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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Sonata op.13 “Patetica” (n.8)
Sonata n.2 op.27
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Chopin

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Suite Bergamasque
Deux Arabesques

Liszt

Valse Oublièe
Valse Impromptu

Schubert

Impromptu n.3 op.90
Impromptu n.2 op.142




 

 

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Post n°864 pubblicato il 30 Agosto 2020 da enodas

 

 

 

"Un pensier dolce è rimembra[r]se in modo
di quello asalto, ma più gravo è il danno
del partir, ch’io restai como quei ch’hano
in mar perso la stella, se ’l ver odo.

Or, lingua, di parlar disogli el nodo
a dir di questo inusitato ingano
ch’Amor mi fece per mio gravo afanno,
ma lui pur ne ringrazio e lei ne lodo.

L’ora sesta era, che l’ocaso un sole
aveva fatto, e l’altro surse in loco,
ato più da far fati che parole.

Ma io restai pur vinto al mio gran foco
che mi tormenta, ché dove l’on sòle
disiar di parlar, più riman fioco."

 

 

E' una mano leggera e gentile, chissà si appoggia al mio braccio, soltanto sfiorandomi, sbirciando tra le pieghe nascoste di uno sguardo, la gentilezza di un gesto immobile, la dolcezza della carezza di una madre. Come a leggere infinite sfumature dell'animo umano. Come un colpo di pennello, un sottile strato di colore che si adagia semitrasparente sopra un altro, un altro, e un altro ancora. Allontanando me, questo mondo reale, da quella dimensione, un trionfo di armonia troppo perfetta, troppo bella. Semplicemente. Ed allo stesso tempo risuonando, oltre gli occhi, parlando una lingua antica e comune. Potenza dell'arte, nella sua espressione più pura e sublime. Ardente, passione, e divina, serenità.

 

 

Partenza, la fine. E poi indietro, a ritroso, a risalire una vita strappata da una febbre feroce, fosse essa veleno o venerea, terminata in modo improvviso e misterioso. Sinistre coincidenze, oggi, che camminiamo a piccoli gruppi, sala per sala, con gli occhi sospettosi sui nostri compagni, una mascherina a coprire il volto fino agli occhi ed un gong che scandisce ogni passaggio. Si intravedono, come una luce che riemerge dal buio nel quale sono rimasti immersi, inaccessibili, negli ultimi mesi, capolavori tramandati all'eternità. E' un modo anche questo, di respirare. Profondo, per sentire la vita. E leggero, un istante, per non cedere alla tristezza.

 

"...l'anima del quale é da credere che, come di sue virtù ha abbellito il mondo, così abbia di se medesimo adorno il cielo..."

"Gli misero alla morte al capo nella sala ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita [...], la quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava..."

"Fu Raffaello persona molto amorosa et affezionata alle donne e di continuo presto ai servigi loro..."

(Giorgio Vasari)

 

 

Dalla fine, a ritroso, come se anche io mi trovassi ad osservare, quel giorno, voltandomi indietro a ciò che ormai era stato. Seguo, prima ancora di comprendere, tanto é immediato il racconto che leggo. Attraversando gli splendori di Roma, la gloria del Rinascimento e lo studio degli antichi, le committenze prestigiose, le passioni più ardenti e focose, indietro, attraverso Firenze ed altri nomi giganteschi, fino ad Urbino, fino ad uno sguardo, giovane e silenzioso che si manifesta soltanto alla fine, dopo avermi seguito idealmente ad ogni passo. Poesia, teatro, architettura, decorazione, scultura. E pittura, ovviamente. Linee e colori, all'infinito, racchiusi in pochi anni che sembrano un'eternità. Per sempre il genio, per sempre la bellezza.

 

"...e disegnando alcuna volta Raffaello e schizzando a modo suo l'invenzioni, le faceva poi tirar misurare e grandi a Giulio per servirsene nelle cose d'architettura..."

"Raffaello ha rappresentato i moti dell'amor fervente, della speranza, della soavità, della venustà, della genitlezza, del desiderio, dell'ardore, della concupiscienza, della beltà universale, dell'avvertimento, della grandezza del tutto, esprimendo in tutti la divinità, la maestà..."

"Considerando dalle reliquie che ancor si veggono delle ruine di Roma la divinitate di quelli animi antichi,... non estimo for di ragione credere che molte a noi paiono impossibili che ad essi erano facilissime..."

(Giorgio Vasari)

 

 

"Il 6 aprile 1520 muore a Roma, a trentasette anni, Raffaello Sanzio, il più grande pittore del Rinascimento. La città sembra fermarsi nella commozione e nel rimpianto, mentre la notizia della scomparsa si diffonde con incredibile rapidità in tutte le corti europee. S’interrompeva non solo un percorso artistico senza precedenti, ma anche l’ambizioso progetto di ricostruzione grafica della Roma antica, commissionato dal pontefice, che avrebbe riscattato dopo secoli di oblio e rovina la grandezza e la nobiltà della capitale dei Cesari, affermando inoltre una nuova idea di tutela. Sepolto secondo le sue ultime volontà nel Pantheon, simbolo della continuità fra diverse tradizioni di culto, forse l’esempio più emblematico dell’architettura classica, Raffaello diviene immediatamente oggetto di un processo di divinizzazione, mai veramente interrotto, che ci consegna oggi la perfezione e l’armonia della sua arte.
A distanza di cinquecento anni, questa mostra racconta la sua storia e insieme quella di tutta la cultura figurativa occidentale che l’ha considerato un modello imprescindibile. La mostra, articolata secondo un’idea originale, propone un percorso che ripercorre a ritroso l’avventura creativa di Raffaello, da Roma a Firenze, da Firenze all’Umbria, fino alla nativa Urbino. Un incalzante flash-back che consente di ripensare il percorso biografico partendo dalla sua massima espansione creativa negli anni di Leone X. Risalendo il corso della vita di Raffaello di capolavoro in capolavoro, il visitatore potrà rintracciare in filigrana la prefigurazione di quel linguaggio classico che solo a Roma, assimilata nel profondo la lezione dell’antico, si sviluppò con una pienezza che non ha precedenti nella storia dell’arte. Grazie ad un numero eccezionale di capolavori provenienti dalle maggiori raccolte italiane ed europee, la mostra organizzata dalle Scuderie del Quirinale insieme con le Gallerie degli Uffizi, costituisce un’occasione ineguagliabile per osservare da vicino le invenzioni dell’Urbinate. Il suo breve, luminoso percorso ha cambiato per sempre la storia delle arti e del gusto: Raffaello rivive nelle sale dell’esposizione che lo celebra come genio universale."

(dall'Introduzione alla Mostra)

[...]

 

 
 
 

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Post n°863 pubblicato il 28 Agosto 2020 da enodas

 

 

 

Osservo la città, in lontananza, oltre il profilo degli alberi che lambiscono la balconata. Il profilo dei pini diventa a poco a poco una silhouette sullo sfondo della città ardente, un braciere di luci che diffonde nella sera ed ancora, più in là soltanto la percezione della costa che si apre sul mare. Il fascino di Roma e ognuno di questi, in un'immagine di storia, potere, carattere e problemi tutto intimamente connesso. I Castelli Romani, con quel nome, non potevano che iniziare da un'immagine così, con la grande città ben visibile ai loro piedi, e quella sensazione di aria fresca, la sera d'estate, che gratifica quel minimo dislivello di altitudine. E anche se le distanze sono brevi, questo sembra davvero un altro mondo, molto più lento e tranquillo, più riservato e personale, come questo sguardo, la sera sulla campagna che lentamente scompare e le luci tumultuose che si fondono in un colpo d'occhio indefinito.

 

 

Una lenta salita, verso una città che non esiste. Non più, almeno. Un anziano indica la strada, uno stretto sentiero che sembra strappato al bosco e che invece rivela pietre appoggiate oltre duemila anni fa. Anche da questa posizione, come molti punti dei Colli Albani si osserva la Città Eterna con uno sguardo silenzioso e perduto, come perdute appaiono le rovine, inaccessibili oltre una cancellata chiusa, altre sparse qua e là a resistere all'oblio e la vegetazione tutto intorno. Come nel passato, questa città antica dal nome Etrusco osserva la vicina potente e se é vero che allora esisteva un collegamento diretto che da qui scendeve fino al cuore dell'impero, é vero che anche ora rimane quel dialogo silenzioso, sospeso nell'aria, abbandonato ad un nome ed alle poche persone che salgono fino a qui.

 

 

Dicono che sia una delle borgate più belle tra i Castelli. Tra sapori di vino, fragoline di bosco e funghi lasciati a seccare. E soprattutto da quel costone di roccia che domina il lago, la strada che attraversa il centro e diventa un sentiero che scende, idealmente, fino al tempio di Diana, ciò che ne resta ora soltanto un'eco lontana, tra culto e magia, ed alle acque azzurre sulle quali si specchiava la dea.

 

"...Ecco Nemi! celato entro una conca
di poggetti selvosi, egli non teme
il furiar dei nembi, e mentre il vento
svelle le querce dall'ime radici,
qua e là s'increspa mormorando appena
lo specchio ovale del suo vitreo lago..."

(Geroge Byron)

 

 

E' il luogo del potere, quello che tra le tante ville antiche e le fortezze forse più rende la parola Castelli. E' una fortezza possente che unisce potere temporale e potere spirituale. Perché Roma é pur vicina e per lungo tempo si identificava nel Papato. Dalle finestre inondate di vento e di luce si scorge un lago, un altro, specchio d'acqua oltre la pietra bianca di un balcone, oltre le geometrie perfette che si allineano senza fine, un vero e proprio regno nel regno, nascosto agli occhi comuni.

 

 

E' passata un'altra sera. Dopo aver risalito un altro tratto di foresta, ancora una volta un lastricato antico che improvvisamente affiorava tra le foglie ed i ciuffi d'erba, addentrato tra silenzio degli alberi ed arrivato a respirare il silenzio del panorama che si estendeva tra Castelli, laghi separati da una linea di terra, ed ancora il bosco. Risceso, mi sono trovato in un villaggio deserto, la cui pietra antica si incastraca, casa su casa, sul fianco della montagna. Lontano dai riflettori delle cittadine più note, era come osservare un altro Paese, un altro luogo, ancora una volta uno di quei borghi forse destinati a scomparire, fantasmi silenziosi che si spengono la notte in un sospiro. E, un'ultima volta, vedo la Città Eterna in lontananza, così distante da sembrare ancora impossibilie.

 

 
 
 

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Post n°862 pubblicato il 24 Agosto 2020 da enodas

 

 

 

Mi piace pensare che i costruttori del passato dovessero avere un senso estetico. Deve essere così. Oltre le necessità difensive, le tonalità cupe di un mondo violento ed insicuro, oltre le cinta murarie, il controllo del potere, una guerra continua, dovevano per forza avere un senso del bello. Città incastonate su speroni rocciosi, un'ombra proiettata sui terreni coltivati a valle, i vitigni i pendenza, gli alberi da frutto, e piccoli punti sulla mappa colmi di storia, magari, e ad oggi quasi dimenticati. A vederne il profilo passando in autostrada, o via via avvicinandomi per strade sempre più lente e a misura d'uomo, non ho potuto distaccarmi da questa impressione, quasi un'illusione, forse, che il mondo fosse governato dalla bellezza. Come fortezze e castelli sospesi nel cielo, che qualcuno ha fatto ricomparire in qualche fiaba nel mondo, o piuttosto immagini scolpite che resistono al tempo, attraverso la storia d'Italia, frammentata proprio come queste città difese ed appartate, isole sorprendenti oltre le mie aspettative, quasi fluttuanti su quel mondo moderno dal quale mi arrampicavo senza sapere che dietro ogni angolo ci fosse sempre tanto da scoprire.

 

 

Una lunga spirale che si avvolge nel cuore della montagna: così la scendo lungo piccoli gradini in dislivello, come se avessi appena bevuto un bicchiere di vino robusto, osservando dalla successione di finestre aperte nel baratro linee avvolte su se stesse destinate a non incrociarsi. Ho pensato alla torre di un castello, sulle rive di un fiume, molto lontano da qui. Solo che adesso la luce non é altro che un faro sempre più lontano a nascondere il cielo, forse chissà pure il mondo dei vivi, là in alto, mentre raggiungo infine la base, una pozza d'acqua oscura che era allora l'ultima difesa, la speranza di vita in fase d'assedio.

 

 

La signora anziana invita ad entrare. La casa é un luogo sepolto dal tempo, le lenzuola che coprono i mobili, il silenzio di un luogo abbandonato dietro una porta chiusa, la coltre del tempo che vi si deposita oscurando i ricordi. La signora anziana é ferma alla porta ed osserva l'incrocio di stradine che danno sul presente di un piccolo borgo via via sempre più anziano. Taglia talee di piante perché le porti con me, ed in questo momento penso che é come se raccogliessi un minuscolo frammento di lei e lo portassi via, lontano con me, perché rimanga nel mondo. Vuole parlare. E racconta: del paese, di una famiglia giovane che si é trasferita da poco nella casa torrita di fronte, dell'eremo dall'altra parte della gola che si spalanca ai piedi del paese, ai piedi della sua stessa casa. Parla della guerra, ovviamente, dei ricordi e della sua vita, così come dell'età che nessuno gli attribuirebbe mai, e della fioritura delle piante che con la mano sta condividendo con me. Ho pensato che questa signora era un po' come la mia nonna, il suo profilo sull'uscio di casa, il suo raccontare, la sua memoria. Lentamente, sfumano, ed é una perdita enorme. Come la resistenza stessa di questi borghi, tanto belli quanto ancorati ad un passato che sembra difficilmente conciliabile con il mondo attuale, più freddo, più indifferente, più povero. Sembra ineluttabile. Che con quelle lenzuola stese sui mobili scenda l'oblio. Ed uno ad uno questi luoghi si spengano in un silenzio infinito.

 

 

Dall'Etruria al potere di Roma, i colori antichi dei primi culti cristiani, le guerre del papato. Tutto, seguendo un sentiero che gira attorno ad un lembo di terra. La cittadella, fortificata, osserva dall'alto come un'ombra. Concentrata, qui come altrove, tra sotterranei, costruzioni scavate nella roccia, vicoli stretti dove piante rampicanti sgorgano dagli angoli delle case e la sera la luce si riflette sui sampietrini lucidi e consumati dal tempo e a qualche angolo la gente resta seduta in strada a cercare rinfresco del calore estivo. Voci che si perdono nell'oscurità. In fondo, é un po' un'avventura anche questa, esplorare questi borghi silenziosi, alla ricerca di una qualche curiosità, una storia lasciata su pietra, uno scorcio nascosto o forse anche una taverna dove fermarsi a cenare. Che il vino contiene il sapore intenso del sole ed il cibo non fa torto alla bellezza del luogo.

 

 

Il borgo fantasma. Uno dei tanti che rischiano di scomparire. Su questo, davvero é già calato il silenzio, e tutto attorno sembra allestito come un'esposizione di un tempo fermato ad un allora, quando lera una borgata di contadini che sopravviveva dedicandosi alla terra. Gli oggetti sono lasciati qua e là, appoggiati ad un muro, o oltre le mura spaccate di un'abitazione. Potrebbe benissimo essere l'ambientazione di un film, uno di quelli che racocntano l'Italia di un altro secolo. Mi sembra davvero di viaggiare lontano. Ed ancora mi torna in mente la nonna, con i suoi racconti ed i suoi ricordi, chissà probabilmente anche l'infanzia dei miei genitori, questo tempo forse non é poi tanto lontano, siamo noi che abbiamo impresso un'accelerazione impressionante alle nostre vite, e la vedo, vedo i suoi occhi buoni che vivevano questi luoghi, allora in vita per davvero, frementi e brulicanti, ben più del sospiro che lasciano adesso, perduto nell'immobilità del paesaggio.

 

 

Ogni luogo ha la sua storia, un'immagine che ho raccolto in qualche ora di passaggio. Cerco di far emergere quelle annotazioni che avevo depositato nella mente. Come il volto di una suora, dietro una grata, che vendeva marmellate che ognuno, di paese in paese, non mancava di menzionare. Era quasi tramonto, de qualche punto oltre le mura giungeva il canto di un coro, e con la vista della campagna era quel momento del giorno in cui valeva la pena fare un respiro profondo, chiudere un attimo gli occhi e lasciarsi andare ad una sensazione di rilassatezza. O magari invece la discesa, ripidissima, verso il paese "delle streghe", quello sì da immaginarsi la notte in un chiaro di luna piena: ed invece, era giorno, sole intenso e dalle case incastonate una sull'altra spuntavano soltanto laboratori artigiani e profumi di dolci invitanti. O forse ancora ancora la città delle chiese, come l'ho impressa nella memoria, circondata, sui colli vicini, di questi edifici che trovare aperti era un colpo di fortuna ed un viaggio raccolto tra spaccati di intarsi i cui colori sono ancora lucidi e vivi e quella luce che come un bagliore si proietta nella penombra silenziosa e mistica di questi luoghi di culto e di arte, preziosi e praticamente deserti. O invece, infine, ognuna di quelle piazze, punto nevralgico di strade incrociate, un po' approdo sicuro ed un po' punto di partenza, strade medievali e stratificazioni del tempo.

 

 

Via Francigena. Questo nome che ovunque appare ad indicare la strada ha un potere evocativo impressionante. Credo che questo tratto, lungo la Tuscia, sia uno dei più belli. Lo ritrovi, attraversando il centro di ogni borgata, la freccia indica il cammino, verso una nuova salita magari o una strada in discesa, oggi come allora, lungo questi luoghi che erano stazioni di riposo ed il pellegrino sfiorava con la mano quelle stesse costruzioni, quella stessa acqua che sgorga dalle fontane, quelle stesse porte che garantivano un accesso sicuro. Forse, nella lentezza del sentiero, ben poco é cambiato. E poi, nuovamente abbandona le mura, scende tra i campi, magari inghiottito in una gola verso valle, una foresta, una nuova salita, il profilo di un eremo appollaiato in qualche punto. Quella lentezza, che rappresenta il cammino é la suggestione, tanto da pensare che sì, sarebbe bello mettersi in cammino, rallentare il tempo fino a dimenticarsi del suo incedere ed accettare la sfida, rallentare e godere di questo paesaggio, di questi segni di storia e memoria che sono incastonati ovunque attorno.

 

 
 
 

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Post n°861 pubblicato il 12 Agosto 2020 da enodas

 

 

 

C'é da chiedersi che significato abbia una frontiera, in questo punto incastonato tra le Alpi, una piccola linea invisibile che si chiude a cerchio in pochi chilometri. E così, oltrepassarla la frontiera é una costruzione in legno a metà tra una porta ed una baita di montagna, ed il verde continuo e smeraldo della montagna d'estate. Oppure, é un ponte di legno coperto e sospeso sul fiume, attraversato da un flusso di camminatori, ciclisti in formazione da scalata o ragazzini in bicicletta che vanno avanti e indietro. Anche se per me rimane comunque affascinante l'idea di percorrere in pochi chilometri la bellezza di tre Paesi differenti. E, per quanto invisibile, la frontiera é qualcosa di palpabile, non solo per i colori di una bandiera, ma per un senso di benessere nei nomi delle banche, nelle macchine parcheggiate, nella sproporzione dei prezzi, che si materializzano di colpo, come un paesaggio nuovo ed in miniatura, dove tutto appare quietamente perfetto. E, su tutto, un nome quasi impronunciabile che, incastonato tra le Alpi, da piccolo cercavo sulla mappa.

 

 

Ho lasciato alle spalle le vigne, con quel senso inebriante alla testa di un vino profondo con uno stemma regale impresso sulla bottiglia. Salendo, lentamente, ho oltrepassato quel castello che dal basso si incuneava sul fianco della montagna senza generare troppo timore. La piccola capitale, un paesino di montagna che alterna architetture moderne ed audaci a boccoli di fiori e balconi di legno, inizia a perdersi nello sguardo che segue la piega della vallata che scompare in lontananza nella luce abbagliante che sembra dare materia all'aria.
Ed entro nella foresta. Tornante dopo tornante, un sentiero che si arrampica sotto un arco di foglie. Forse dovrò affrettarmi, perché il tramonto, al riparo degli alberi, sarà improvviso. Respiro, l'aria umida del bosco ed il silenzio della montagna, alla ricerca di quel punto d'arrivo che idealmente rappresenta questa deviazione. Lo cerco, ad ogni tornante, ma la vista rimane bendata da una coltre di alberi che inghiottono la strada. Fino a quando appare, seminascosto, ad una manciata di metri, un rudere silenzioso che da uno sperone sembra pronto a franare sul precipizio che domina. Come in uno di quei quadri romantici, silenziosi ed un po' malinconici, che nella natura si perdono quasi annegando. Per un attimo é come se mi muovessi tra quei colori, in quella stessa luce calda e palpabile, in quella potenza naturale che soltanto un luogo deserto può esprimere, minuscolo come quelle rovine abbandonate che colorandosi di una sfumatura rossastra sembrano vegliare su una schiera infinita di alberi, sagome che si ripetono sovrapponendosi fino a scomparire nell'ombra, fusi nel bagliore che preannuncia la sera.

 

 

Non é un paesaggio a cui sono abituato, quello di montagna, tanto meno in estate. Così ogni vallata vista da posizione privilegiata, immersi nel verde sfolgorante d'estate, ogni massiccio di roccia, a cui la vegetazione arriva a lambire la base, questo paesaggio alpino da una parte familiare ogni massiccio di roccia, poi non così lontano da ricordi d'infanzia sono in un certo senso qualcosa di nuovo. Tutto, in questa nazione principato, sembra piccolo e nascosto, protetto com'é da cinta di montagne che già sono un altro luogo. Piccola la capitale, piccoli i villaggi, piccole le case che spuntano, tra una piega e l'atra del terreno. Piccole, infine, le strade, che terminino all'imbocco di un paesino alla base della montagna, o che scompaiano tramutandosi in sentieri da seguire a piedi. E così sono salito, seduto su una seggiovia senza indossare un paio di sci, per assaporare questo piccolo angolo dall'alto, per conquistarlo comodamente in discesa, come il volo di un parapendio sospeso nel vuoto. Era una linea che scendeva tortuosa, a tratti nascosta dall'erba e dalle pieghe del terreno, fino a raggiungere gli edifici a valle che sembravano miniature di un gioco. Oppure era una linea scoscesa, marcata da pietre appuntite, che balzava lungo la schiena di un drago, una bandiera, in lontananza, una croce, ancora più avanti, in equilibrio quasi perfetto al vertice di una piramide, sulla quale avrei desiderato continuare ad arrampicarmi. Affinché quel mondo sembrasse ancora un po' più piccolo.

 

 
 
 

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Post n°860 pubblicato il 17 Luglio 2020 da enodas

 

 

C'é un angolo di me che vorrebbe tuffarsi nei colori a far sì che materializzassero almeno alcune di quelle immagini che si formano nella mente. Ricordi, diapositive reali o solo concetti. Ma non sono capace, non ho mai veramente imparato. Ho trovato che come ogni altra cosa, iniziare sia la parte più difficile. In questo caso, si tratta della semplice azione fisica di tirare fuori i colori e sedersi ad un tavolo, e riservare del tempo. Questo disegno é molto semplice, in realtà, ma in questi ultimi giorni ha in qualche modo catalizzato la mia attenzione, fino a quando - pezzo dopo pezzo - non ho terminato. Variazioni, senza pretese.

 

 
 
 

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Post n°859 pubblicato il 13 Luglio 2020 da enodas

 

 

 

Un piccolo sguardo, attraverso macchiari di stampa ed incisioni su tavole di pietra. Un piccolo viaggio, indietro nel tempo, nella Belle Epoque, un'epoca ricca, complessa ed affascinante come lo sguardo di una ragazza. A volte ingenuo ed innocente, altre volte sinuoso e sensuale, il profilo di un viso, le forme di un corpo, é uno sgaurdo che é natura, un fiore, le costellazioni del cielo o le ore del giorno e le stagioni dell'anno. Osservano, immobili, immortalate in una cornice di arabeschi e forme brillanti, con una punta di austera alterigia ed un'evanescenza che le rende troppo belle per appartenere davvero a questo mondo. Immagini preziose come i gioielli nascosti dietro una linea infinita. Osservano, dall'alto. Anche quando, su quei manifesti, erano opere teatrali, pubblicità, e prodotti della vita quotidiana. Le donne sempre protagoniste. In un mondo dove la pubblicità stava nascendo, proprio allora, attraverso quei cartelloni pubblicitari che ben presto diventarono oggetti da collezionismo, dove non c'erano cinema o televisioni e un'attrice rimaneva nell'immaginario popolare una leggenda avvolta nella propria arte. Bellezza angelica e femme fatale.

 

 

"Rond 1900 creëerde kunstenaar Alphonse Mucha (1860-1939) zijn eigen stijl in het kosmopolitische Parijs. Le Style Mucha werd synoniem voor de Franse Art Nouveau. Zijn eerste innovatieve litho uit 1894 voor het toneelstuk Gismonda, met de steractrice van het Parijse theater Sarah Bernhardt in de hoofdrol, maakte Mucha direct beroemd. Naast divers werk voor diva Sarah, verwierf Mucha toenemend opdrachten van bekende Parijse drukkerijen zoals Lemercier en Champenois. Zijn litho’s met sierlijke lijnen, frisse pasteltinten en weelderige motieven van sensuele, melancholische vrouwen groeiden uit tot iconen van het fin de siècle. Hij trachtte door middel van deze vrouwen de Slavische ziel met een licht melancholische inslag weer te geven. Zijn figuren op werken bedoeld voor de weergave van de geschiedenis van zijn geliefde volk, de Tsjechen en Slaven, getuigen echter van een rauw realisme. Daarnaast schreef en illustreerde hij boeken zoals het boek Le Pater, te beschouwen als zijn manifest, en een belangrijk handboek voor zijn leerlingen getiteld: Documents Décoratifs."

 

 
 
 

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Post n°858 pubblicato il 02 Luglio 2020 da enodas

 

 

Volete la foto? Dietro una semplice domanda, con leggerezza, lasciò che trapelasse un bagliore di gentilezza. La sua esperienza, del resto, glielo aveva suggerito.  Di rimando, lui rispose con uno sguardo, un po' vuoto, un po' smarrito, quasi inutile. Nel silenzio - non ha molto senso, credo - rispose. In realtà non aveva le idee molto chiare. Forse, semplicemente, la sua mente era vuota ed immobile. Un po' come il suo corpo. Ma in cuor suo riconobbe quel tocco leggero, il tentativo di allungare una carezza sconosciuta. Quasi un tentativo a vuoto, un movimento nel buio. Gli porse l'immagine, comunque, perché potesse decidere che farne in un altro momento. E lui ancora sentì di essere sfiorato da quella mano sconosciuta, che non avrebbe rivisto, che non avrebbe parlato. Si mosse incosciamente, cercando di raccogliere le idee. Cercando un pensiero che già era sprofondato in qualche angolo nascosto della sua anima.

 
 
 

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Post n°857 pubblicato il 23 Giugno 2020 da enodas



Gli strinse la mano, all'improvviso. Con un movimento imprecettibile del braccio, allineato al corpo, disteso. Quasi fosse un riflesso. E lui capì che aveva bisogno di quel contatto. Adesso. Era come una silenziosa richiesta d'aiuto, l'appiglio cui aggrapparsi, un attimo soltanto, per comunicare silenziosamente le emozioni, la paura, l'ansia. Chissà quanto altro. Perché si trattò di un istante, prima che i muscoli della mano si rilassassero nuovamente. Lui si chiese quante cose non dette fossero state svelate in quell'istante. Le ascoltò, ora che gli venivano dette. O forse già vagava, oltre l'immaginazione. Rispose, di riflesso, come naturale che sia. Lasciò che cercasse la sua mano, che la trovasse, che la prendesse. E strinse qualle mano di rimando.

 
 
 

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Post n°856 pubblicato il 21 Giugno 2020 da enodas



Tamburella, leggera. Ancora impercettibile nell'aria, ultime luci del giorno più lungo dell'anno. Si infrange sulle foglie, quelle ampie della vite, e sui petali di una margherita avvolta nell'oscurità. Si rivela così. Pensavo di non scrivere più, per qualche tempo imprecisato. Troppo profondi e troppo nascosti i pensieri. Come calare un sipario.
Osservo le luci fioche sul terreno, linee che si distribuiscono a raggiera sul terreno bagnato, prima di perdersi nell'ombra. Perché ormai é notte, finalmente, nel giorno più lungo dell'anno, ed il lungo tramonto nordico alla fine si arrende, che il nord, quello vero, é più in là, un punto lontano abbastanza da far sì che qui la luce si spenga. La luce di una candela bianca oscilla sul tavolo. Ed osservo in silenzio, in un angolo, sotto un riparo che mi permette di ascoltare la pioggia, respirarne l'odore via via più intenso, fissare lo sguardo nel vuoto, là dove finisce inghottito tutto ciò che provo a ripetermi. Non capisco.
Mi viene sempre in mente la pioggia nel pineto.
Adesso é una cortina liquida che mi improgiona, nel mio angolo privilegiato. Scende, con insistenza, ed insistente é il rumore su ogni foglia, intravista nell'ombra o meno, ogni superficie, tutto che non sia sotto questo piccolo rifugio Non ho voglia di scrivere. Eppure avrei avuto molte righe da aggiungere, sparpagliate in qualche pagina virtuale, qua e là, di questi giorni lenti ed assurdi di una normalità che per nessuno di noi può essere effettivamente normale.
Mi viene quasi da pensare che mi piacerebbe addormentarmi qui, in quest'angolo riparato, sotto la pioggia, osservando le poche luci tracciate nel terreno ed ascoltando nel buio. Con apatia e sfiducia, semplicemente, nemmeno mi veniva di passare da queste pagine.

 
 
 

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Post n°855 pubblicato il 12 Maggio 2020 da enodas

 

 

Nel suo piccolo, questo é qualcosa che volevo fare da molto tempo. Poi in una di quelle notti di confinamento, ho provato, per lo meno, ad abbozzare una prima idea. Sono risalito lungo le pagine del blog, fino agli inizi. Idealmente, anche oltre. Ed ho cercato di raccogliere i miei appunti lasciati tra queste pagine trasparenti. Per fare ordine e per creare qualcosa di diverso dove poter riunire alcune di quelle immagini che avevo cercato di catturare. Per questo, anche se non con troppa originalità, le ho chiamate istantanee, perché in realtà sono come piccoli scatti che ho desiderato scattare silenziosamente con gli occhi e con l'anima. Questi sono i miei racconti, e non ci saranno informazioni veramente utili, quasi sempre addirittura nemmeno dei nomi e dei luoghi ben definiti, ma soltanto segni temporanei tracciati con la matita su fogli stropicciati.
So di avere la fortuna di aver potuto viaggiare tanto e visitare luoghi che ho sempre sognato. Quasi sempre ho raccolto frammenti che sono diventati parte di me ed allo stesso tempo ho lasciato, quasi in custodia, qualcosa di me stesso. Ho letto una volta che il luoghi sono come promesse, che in qualche modo ci aspettano, se mai decideremo o riusciremo a tornarvi. In molti casi é così: quando mi capita, chiudo gli occhi e rivedo delle immagini particolare, respiro la bellezza, le mie emozioni e le mie paure come se per un istante le stessi toccando nuovamente per mano. In molti luoghi vorrei, semplicemente, tornare, e chissà quanti altri ancora scoprire. Non so dare valore alla ricchezza che per me rappresentano questi viaggi, a come in alcuni casi si leghino profondamente ad un momento piuttosto che ad un altro della mia vita, a volte alimentandomi, a volte quasi salvandomi. Questo é il mio tentativo di raccontarli.

 

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