EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura
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Messaggi di Settembre 2015
Post n°574 pubblicato il 29 Settembre 2015 da enodas
"...subirai eternamente l'influsso del mio bacio. Sarai bella a modo mio. Amerai ciò che io amo e ciò che mi ama: l'acqua, le nuvole, il silenzio e la notte; il mare immenso e verde; l'acqua informe e multiforme; il luogo in cui non sei; l'amante che non conosci; i fiori mostruosi; i profumi che fanno delirare; i gatti che si beano sui pianoforti e che gemono come donne, con voce roca e dolce."
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Post n°573 pubblicato il 26 Settembre 2015 da enodas
"... Ed io gli risposi che già da un mese ne stavo scrivendo la musica. Di per sé, come soggetto, l'Uccello di fuoco non mi attirava granché. E questa ne era la ragione: al pari di tutte le vicende legate ad una destinazione ballettistica, v'era la necessità di un genere di musica descrittiva che allora non avevo intenzione di scrivere perché non ero tanto sicuro dei miei mezzi creativi e non mi ritenevo in grado di criticare apertamente le teorie estetiche dei miei collaboratori. Nondimeno, decisi di farmi valere, e con arroganza, pur avendo soltanto ventisette anni. In realtà tutta la sottile arte diplomatica di Diaghilev risolse ogni problema il giorno che venne a trovarmi insieme al coreografo Fokine, al ballerino Nijinskij, agli scenografi Bakst e Benois; e quando tutti assieme, tutti e cinque, proclamarono formalmente la loro fiducia nel mio talento, allora, solo allora credetti in me stesso e accettai. ..." (Igor Stravinskij)
In realtà, non so esattamente quale sia la trama raccontata dalla musica. Certo, basta un titolo, suggestivo e vagamente oscillante tra la minaccia e la magia, per lasciare libera interpretazione, una volta spente le luci e lasciate all'orchestra le note estratte dal balletto. Quello che più si accosta alla mia immaginazione, é il cortometraggio che chiude la seconda Fantasia, con la sua introduzione che punta alla lotta tra bene e male. Ecco, la fiaba, in effetti é questa contrapposizione, in un mondo fantastico, abitato da creature fantastiche, personaggi magici e principesse. Ecco, l'altra sera, mentre l'orchestra suonava, venivano proiettate altre immagini, di un castello magico e di una storia tremenda. Come le note iniziali, del resto, che addentrano in un tunnel oscuro dal quale sembra non ci sarà ritorno. Tremende le armonie, i cambi dei temi, di ritmo, di suoni. Ecco, Stravinskij per me é un compositore straordinario, autore di musiche tra le più belle ed allo stesso tempo impressionanti del Novecento. Ma due in particolare riescono a rapire la mia mente e tutte quelle energie che può estrarre l'ascoltare musica, entrambe originarie da balletti: L'uccello di fuoco e la Sagra della Primavera. Non credo sia un caso che in diverse versioni anche Walt Disney abbia attinto ad entrambe. Come non credo sia un caso che interpretazioni nuove, come quella cui ho assistito l'altra sera, continuino ad attingervi per narrare. Raccontare, appunto, con quella voce primordiale che sgorga tra le note, un in mondo cupo, sconvolto, dove eventi onirici si scontrano e dove, infine, un Bene trionfa. Ho lasciato che questa musica sgorgasse passione, senza distogliere lo sguardo dallo schermo proiettato sopra l'orchestra.
"... La première fu scintillante e ne conservo un ricordo memorabile. Ero nel palco di Diaghilev e, alla fine del balletto, fui chiamato diverse volte alla ribalta. Stavo ancora inchinandomi agli applausi del pubblico quando mi cadde in testa il sipario: Diaghilev corse ad aiutarmi e accanto a lui notai un signore dalla bella fronte spaziosa che mi rivolse la parola, presentandosi. Il suo nome era Claude Debussy. Ebbe espressioni gentili per la mia musica e m'invitò a cenare con lui. L'uccello di fuoco è, dal punto di vista stilistico, legato a quell'epoca, e segnato da un particolare rigore che è più evidente che in altre musiche legate a motivi d'ascendenza folclorica, ma, ora, non vi ritrovo una particolare originalità. Riconosco che la composizione presentava tutte le condizioni utili a riscuotere successo: successo che fu immancabile e non solo a Parigi. Quando mi orientai a trarne una Suite per l'esecuzione concertistica, l'Uccello di fuoco figurava sui cartelloni dell'intera Europa e, salvo che in Russia, non è mai uscito dal normale repertorio orchestrale. Ho da aggiungere, in proposito, ancora un ricordo: l'Uccello di fuoco ha svolto un ruolo fondamentale nella mia carriera di direttore d'orchestra, perché proprio a questa musica è legato il mio debutto come direttore: fu nel 1915, a Parigi, quando condussi l'esecuzione dell'intero balletto per una manifestazione a beneficio della Croce Rossa. Da allora sino al 1962, data di questo mio ricordo, l'ho diretto non meno di un migliaio di volte. Ma anche se l'avessi diretto diecimila volte, tale esperienza non sarebbe riuscita a cancellare dalla mia memoria il ricordo del terrore che soffersi quella prima sera del debutto nel lontano 1915". (Igor Stravinskij)
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Post n°572 pubblicato il 19 Settembre 2015 da enodas
L'ambra é chiamata "oro"... "oro del Baltico", in particolare. E' un'espressione viva e suggestiva, eppure secondo me non rende completamente il fascino di questa pietra che scintilla alla luce dei suoi colori arancioni, talvolta racchiude la vita in abbraccio eterno e, quando posta vicino al fuoco sprigiona un'essenza che inebria la mente. L'ambra spunta in ogni angolo, davanti ad ogni porta, tagliata, raffinata o rozza, vera o meno che sia. Quasi su di essa si riflettessero le vie imperiali e le facciate scintillanti, di potere prestigio e ricchezza, come se fosse un abbraccio ammaliante, silenzioso ed un po' grigio la mattina, una domenica di settembre, quando le strade ancora sono deserte, e sulle rive della Vistola si sporgono solo un paio di pescatori anziani e per le strade appaiono schiere di fotografi al seguito di coppie di sposi. O la sera, scintillante ed in movimento, con eleganza però, tra un suono rieccheggiato di fisarmonica e lo spostamento lento di un fiume che si nasconde oltre una porta.
Ma Danzica é anche lo sbocco sul mare, quel porto enorme che un tempo la rese una delle città più potenti della Lega Anseatica, legò la sua storia, ormai millenaria, a quella dei suoi cittadini, secolo dopo secolo, tra assedi e lotte operaie. E' la Vistola, che termina il suo percorso, é separazione e contesa. Qui iniziò la Seconda Guerra Mondiale. Su una propaggine di terra, un lembo spazzato dal vento e da una pioggerellina gelida e sottile. Come se il cielo stesso volesse unirsi a narrre questo racconto. Del resto, erano proprio i primi giorni di Settembre, 1939. Questo fu il primo oggetto di contesa, la prima eroica resistenza, la capitolazione, infine, entro pochi giorni. Da qui, quella Polonia che era rinata da poco scompariva nuovamente dalle carte geografiche. Come anni fa, quando viaggiai in questa terra, attraversare la Polonia é navigare nella storia più recente in maniera tanto viva e cruda da essere perfettamente leggibile. E sono luoghi come questi, sinistramente silenziosi, quasi in religioso rispetto di ciò che é il passato. Così, dietro il centro scintillante, solo pochi metri bastano per arrivare delle tante chiese antiche e ricostruite, solo nell'architettura, dopo la guerra. Questa é la chiesa di Solidarnosc, degli operai che lavoravano nei cantieri e del parroco che marciava con loro. Pezzi di storia, piccoli frammenti recuperati e conservati lungo le absidi laterali, dall'invasione nazista e poi lungo tutto il periodo della Guerra Fredda. Tutto, immagini, croci di legno, ritagli di carta, posti a fianco di un altare d'ambra, costruito in tempi recenti. Quasi fosse l'essenza di Danzica, in una parola, o meglio un'immagine, un petalo di rosa lasciata sul terreno, oltre una linea di filo spinato.
Dove sta dunque l'anima di un luogo...nelle vie centrali, ricostruite dopo la guerra come erano prima, nelle chiese dall'aspetto antico come la data della loro fondazione ma ampiamente ricostruite all'interno, nei tram ed i servizi moderni e brillanti, o nelle vie che sono semplicemente la continuazione delle prime e già scendono in un altro mondo. Dove sta l'anima di un Paese segnato dalla storia, come segnati sono i volti degli anziani che arrivano al mercato, o nell'immediato ridosso, avvolti nei vestiti umili di campagna, a vendere mazzi di erbe, fiori, o prodotti freschi portati a mano. Le mani giunte, in preghiera, di un popolo strettamente legato al culto ed alla religione, e tese a porgermi il santino di un Papa, perché lo accetti e lo porti con me. O alzate, ritmicamente, come ritmici sono gli slogan, in segno di rifiuto, in questi giorno caldi di immigrazione e di Comunità Europea, dietro paure, una ricchezza nuova ma precaria, memoria selettiva del passato.
Come silenzio scende nel mare. Vento forte, raffiche fredde, quasi, e la cittadina, le sue luci, si allontanano poco a poco, ad ogni passo che compio. Ed io letteralmente cammino sull'acqua. Sospeso, un paio di metri sopra un unico moto informe e scuro del quale regolarmente giunge soltanto un rigurgito.
"...Vieni e cullaci, (F.Pessoa)
Questo breve percorso, idealmente, sembra concludersi qui. Che é un giungere, almeno, a queste mura possenti, ed accedere ai passaggi protetti che in sequenza di questa fortezza mastodontica ne rivelano poco a poco ogni livello. Qui, dalla Palestina, arrivarono i monaci guerrieri, un ordine potente, i Teutonici, tanto da dar vita in queste terre ad uno stato vero e proprio. C'é un silenzio che sa di polvere, in questa giornata di settembre con pochi turisti qui attorno. E' lo stesso silenzio che rende questo castello ancora più grande, ancora più imponente, i corridoi in penombra ancora più scuri, e gli spazi di vita ancora più abbandonati. Sospeso tra potere ed ordine sacro.
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Post n°571 pubblicato il 15 Settembre 2015 da enodas
E' complicato raccontare come ho lasciato il lavoro oggi. Paradossalmente, speso fino all'ultimo istante, anche oltre, a terminare ogni cosa nel modo che ritenessi migliore. Meglio così, probabilmente, non ho avuto modo di pensare troppo. Di certo, lascio con amarezza, per delle sensazioni che é troppo complicato da spiegare. E con un poco di malinconia, visto che per me ogni addio, ogni cambiamento é sempre un pizzico più difficile, intriso com'é di una sfumatura sentimentale. Anche quando si tratta di una scelta di questo tipo. In ogni modo, non riesco a separare le emozioni, anche quando tutto si restringe in maniera molto soggettiva. Resta il fatto che un ambiente possa essere molto ricco ma molto povero umanamente, anche quando a volte basterebbe davvero poco. Oggi penso questo. Ho preso la bici e sono partito. Ed anche se solo sfiorato da un'immagine, ho pensato anche a cosa significhino questi anni, sorretti dall'orgoglio di lavorare in un posto, alla fine troppo solo in una direzione, e da tutto quello che questi anni siano stati per me. Un passaggio lunghissimo, che si é snodato - e continua ancora - in parallelo. Tutto quello che ho apprezzato e tutto quanto mi ha ferito, nel frattempo. Gli amici nuovi, quelli in arrivo e sempre più in partenza, un'anima nuova da accerezzare ed i pianti sordi, in fondo al cuore. A cominciare da un giorno lontano, attorno ad una stazione, e da poco avevo firmato per iniziare qui. Anche questo é, in fondo, un flebile ultimo filo che ancora tesse un ricordo. E poi, l'inizio dell'anno, i primi giorni, ed il messaggio che mi mandò la mamma, che ho sempre fatto bene e dimostrato di farmi apprezzare, che ogni tanto ripeto a me stesso, le prime persone. Alla fine, apriamo e chiudiamo capitoli in continuazione, pochi se ne accorgono, quando non li riguardano, ed io vivo sempre queste svolte di pagina con molta sensibilità. Questa per me é una clamorosa deviazione. Presa con orgoglio ed una certa amarezza e, a tratti, quasi fosse una strada costretta, allo stato delle cose. Ora, posso solo procedere.
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Post n°570 pubblicato il 06 Settembre 2015 da enodas
"In cattiva salute, il Conte soffriva sovente d’insonnia, e Goldberg che viveva in casa sua doveva distrarlo, in simili occasioni, durante le ore notturne, suonando per lui in una stanza attigua alla sua. Una volta il Conte disse a Bach che gli sarebbe molto piaciuto avere da lui alcuni pezzi da far suonare al suo Goldberg, che fossero insieme delicati e spiritosi, così da poter distrarre le sue notti insonni. [...] Bach concluse che il miglior modo per accontentare questo desiderio fosse scrivere delle Variazioni, un genere che fino allora non aveva considerato con molto favore per via dell’armonia di base, sempre uguale. Sotto le sue mani, anche queste Variazioni divennero modelli assoluti dell’arte, come tutte le sue opere di quest’epoca. Il Conte prese a chiamarle, da allora, le “sue” Variazioni. Non si stancò mai di ascoltarle e, per lungo tempo, quando gli capitava una notte insonne, chiamava: “Caro Goldberg, suonami un po’ le mie Variazioni“. Mai Bach fu ricompensato tanto per un’opera come in questo caso: il Conte gli diede in dono un calice pieno di 100 Luigi d’oro. Ma tale opera d’arte non sarebbe stata pagata adeguatamente nemmeno se il premio fosse stato mille volte più grande". (J.N.Forkel)
Come molte grandi opere, anche l'origine delle Variazioni Goldberg oscilla tra leggenda, aneddoti e realtà. Qualunque sia il vero percorso che ha visto l'origine di quest'opera, ogni volta che anche frammentariamente l'ascolto mi balza in mente l'immagine di una cattedrale superba e mastodontica. Non completa, però. No, da terra si alzano linee guidate di luce, lentamente si combinano, si piegano, deviano e si fondono. Sempre di più, sempre più in alto, fino a chiudersi sopra il mio capo. Brillano, come note purissime. Perché questa musica, tra le ultime e più complesse opere di Johann Sebastian Bach é il culmine di un'epoca ed allo stesso tempo dell'intelligenza di un uomo e dell'uomo. Rasenta la perfezione, complessa ed affascinante, é un'opera estremamente intellettuale, ma raggiunge l'animo, fin dalle prime note, che quasi si scolpiscono come una voce che rimarrà per sempre familiare, appena la si sente, e poi fluisce in infinite variazioni. Come linee che permeano lo spazio ed alla fine si chiudono, appunto, in un cerchio perfetto, un viaggio che torna lì dove era iniziato, a quell'Aria semplice che come uno scrigno sprigiona luce e mistero.
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Post n°569 pubblicato il 01 Settembre 2015 da enodas
Ho cercato note di violoncello, corde che vibrassero in profondità.
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