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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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- M. Rees -
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Sonata op.13 “Patetica” (n.8)
Sonata n.2 op.27
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Sonata op.53 “Waldstein” (n.21)

Chopin

Notturni

Debussy

Suite Bergamasque
Deux Arabesques

Liszt

Valse Oublièe
Valse Impromptu

Schubert

Impromptu n.3 op.90
Impromptu n.2 op.142




 

Messaggi di Marzo 2016

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Post n°615 pubblicato il 30 Marzo 2016 da enodas

 

 

Pare di sentirla, la "musica della pittura": cresce, in un turbinio di sensazioni e sentimenti, quelli dentro la tela, e quelli di fronte, come trascinato da una mano dalla forza esplosiva che come quella musica procede con la forza di un'onda. Mi conduce, sull'orlo di un sogno, dentro una tempesta infernale, sotto il sole cocente del Nord'Africa. Viaggiatore, tantissimi anni fa, a modo suo in un'epoca talmente lontana, in una terra che a mia volta anche io ho visitato. Cosa mi colpisce, sala dopo sala, é questa emotività straripante, forse un po' suggestiva, che fluisce come un colpo di pennello. Ed allora, volontà stessa dichiarata, quella musica si fonde ai colori, alle figure, conduce lontano e soprattutto nel profondo, sotto il pelo dell'acqua o negli abissi di un mare in tempesta. Taccuini di viaggio, in un viaggio che potenzialmente non conosce limiti.

 

"... Vedi su quei canali
dormire bastimenti
d'animo vagabondo,
qui a soddisfare i minimi
tuoi desideri accorsi
dai confini del mondo.
- Nel giacinto e nell'oro
avvolgono i calanti
soli canali e campi
e l'intera città
il mondo trova pace
in una calda luce.

Là non c'è nulla che non sia beltà
ordine e lusso, calma e voluttà."

(Charles Baudelaire - Invito al viaggio)

 

 

Un'onda, creativa, era quella che guidava la mano di Eugene Delacroix. Alla ricerca del colore, alla ricerca del sentimento, esaltato in un trionfo sopra ogni cosa. Fu questa scintilla, come il fuoco pronto ad esplodere da "un cratere mimetizzato dietro un mazzo di fiori" ad elevare Delacriox ad una sorta di riferimento ed ispirazione per la nuova generazione di artisti. Quella scelta, fortemente romantica, di entrare per la prima volta nel mondo dei sentimenti e dei sogni, quell'irruenza nuova nel dipingere, quella scoperta di terre sconosciute - viaggiatore del Diciannovesimo secolo, tutte ispirarono soggetti, temi ed approccio dell'anima, in un mondo che stava cambiando. Verso la modernità, appunto. Laddove estasi e violenza si fondevano in un abbraccio barbarico, o dove il primo viaggiatore rielaborava una coltura lontana e variopinta, o ancora dove nei fiori si scorgeva il proscenio di un dramma sognato. E nell'immaginazione, dissolta come vapore, temi religiosi o suggestioni letterarie emergevano quasi esplodendo, di pari passo alla velocità stessa d'esecuzione, emozione e sentimento. Uno sguardo straordinariamente proiettato avanti, su un terreno ancora prevalentemente inesplorato. Fino ad approdare al paesaggio, uno sguardo quasi segreto, dove l'immaginazione costruiva l'immagine, ed il paesaggio stesso passava in secondo piano rispetto allo specchio dell'anima; oppure al colore stesso, quasi astratto ormai, nelle reinterpretazioni del Nuovo Secolo. Tutto, in qualche modo, si riallacciava ad Eugene Delacroix, personalità arrivata prima, quasi in anticipo, forse in seguito leggermente dimenticata. Con lui, la sua pittura veloce e la sua predisposizione al colore, tutto questo quasi si accendeva, piccole fiammelle pronte ad ardere, nel braciere di quegli artisti ed amici che ne erano presto diventati custodi e che già lo avevano eletto al soglio dell'immortalità.

 

 

[...]

 

"We all paint in Delacroix's language" observed Cézanne.
From the bold colours and abstract shapes of Matisse and Kandinsky, to the expressiveness of Van Gogh and Gauguin, to the vibrant complementary colours of the Impressionists. All can be traced back to Eugène Delacroix – the last painter of the Grand Style but equally one of the first modern masters, who transformed French painting in the 19th century.
'Delacroix and the Rise of Modern Art' is a long-overdue homage to France's leading exponent of Romanticism – a true original who, at the time of his death in 1863, was the most revered artist among the avant-garde in Paris.
Drawing inspiration from British art and literature, his real and imagined travels to North Africa, and biblical scenes; every chord of human passion can be found in Delacroix's paintings: stories of love, murder, violence, and war. "The first merit of a painting is to be a feast for the eye", he emphasised towards the end of his life.
Placing Delacroix alongside contemporaries such as Courbet and Chassériau, this exhibition traces 50 years of Delacroix's legacy, exploring the profound impact he had on generations of artists to come."

(Charles Baudelaire - Invito al viaggio)

 

 

Il poeta in galera, trasandato, morboso,
rollando un manoscritto sotto il piede nervoso,
misura d’uno sguardo fiammante di terrore
la scala di vertigine dove affonda il suo cuore.

Il riso inebriante che riempie la prigione
allo strano e all’assurdo invita la ragione;
il Dubbio lo ravvolge, e la Paura immonda,
multiforme e ridicola, dattorno lo circonda.

Questo genio rinchiuso in un antro di miasmi,
queste smorfie, questi urli, quest’orda di fantasmi
che s’ammutina in turbine stipandogli l’udito,

questo fantasticante che l’orrore del sito
risveglia, ecco il tuo emblema, Cuore dai sogni oscuri,
tu, che il Reale soffoca dentro i suoi quattro muri!

(Charles Baudelaire - Su "Il Tasso in prigione" di Eugene Delacroix)

 

 
 
 

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Post n°614 pubblicato il 27 Marzo 2016 da enodas

 

 

Aggrappato ad un orologio che scorreva al contrario, sono entrato nel regno di Oz. Mi sono immerso nel mondo verde smeraldo di un racconto che soltanto lontanamente ricordo come un'immagine sfuggita ad un bambino, o forse nemmeno quella, forse era un libro, forse un giradischi. Ma non importa, perché la storia che sono andato a leggere questa volta é diversa e, tutto sommato, più piacevole ed affascinante. Le streghe raccontano la loro versione, prima che arrivi Dorothy. Ed allora, ecco che niente é ciò che sembra, come se da piccoli ci avessero raccontato una di quelle storie che si inventano per non complicare i pensieri dei bambini. Il Mago di Oz diventa un ciarlatano, e la Strega Cattiva non é in realtà proprio così cattiva. Anzi. Niente é come sembra, nemmeno nel finale, quando forse, seppure in silenzio, trionferà la giustizia.
Wicked: malvagio/a. A me é piaciuto tantissimo, ed i successi riportati da questo musical non hanno deluso le aspettative. La storia, divertente ed umana, e la caratterizzazione dei personaggi principali - le due streghe -, ironiche e sfaccettate, ispirano empatia ed umanità, e fanno uscire dalla sala con un senso di sollievo ed euforia. In fondo, un modo per 'sconfiggere la gravità'.
Incuriosito, poi, ho letto qualche recensione e sì, effettivamente é vero che - almeno al primo ascolto - nessuna musica rimanga impressa oltre lo spettacolo, e che forse da questo punto di vista questo musical offre un lato debole alla critica. Ma sarà pur vero che c'é gente che torna e ritorna, soprattutto ragazzine, addirittura vestite di cappelli da strega e volti dipinti di verde: suonerà divertente ma alcune ne ho anche viste, in un teatro pieno. E, con un po' di stupore, é vero che questo racconto può leggersi su due livelli interpretativi differenti: uno più leggero e novellistico, una storia romantica e d'amicizia, uno impegnato su significati più profondi. "A musical about political propaganda, ethnic cleansing, racism, infidelity, peer pressure, murder, civil disobedience, official corruption, rewriting history, the flaws in a system where power is inherited, and animal cruelty"... improvvisamente, la storia della Strega dell'Ovest fonde nuova magia nel verde mondo di Oz.

 

"What is it?"

"It's just for the first time
I feel... wicked"

 

[...]

 

Something has changed within me
Something is not the same
I'm through with playing by
The rules of someone else's game

Too late for second guessing
Too late to go back to sleep
It's time to trust my instincts
Close my eyes and leap

It's time to try
Defying gravity
I think I'll try
Defying gravity
And you can't pull me down!

[...]

I'm through accepting limits
'Cause someone says they're so
Some things I cannot change
But till I try I'll never know

Too long I've been afraid of losing love
I guess I've lost
Well if that's love
It comes at much too high a cost!

I'd sooner buy
Defying gravity
Kiss me goodbye I'm
Defying gravity
And you can't pull me down!

[...]

So if you care to find me
Look to the Western Sky
As someone told me lately
"Everyone deserves a chance to fly"

And if I'm flying solo
At least I'm flying free
To those who ground me
Take a message back from me!

[...]

And nobody in all of Oz
No Wizard that there is or was
Is ever gonna bring me down!

 
 
 

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Post n°613 pubblicato il 25 Marzo 2016 da enodas

 

 

 

Mi sembra quasi incredibile che sia passato così tanto. Sette anni, era il 2009, più o meno proprio questo periodo. L'ultima volta che sono stato a Londra. Sembra un attimo, e così é passato il tempo. Un lampo che fa paura, a cercare di ricostruire cosa era, allora, cosa é adesso, chi scrive, sempre su pagine leggere e nascoste nel mare anonimo di un blog. Io cammino. Dalla prima mattina, quando il cielo grigiastro si fonde con l'aria fredda ed il sabato mattina della città addormentata nell'abbraccio del fine settimana. Ho un po' vagato, un po' sono andato a destinazione sicura. La sera sono tornato senza meta, tra luci e silenzi. Il pensiero di tanto tempo che mi separa dal mio ultimo sguardo é qualcosa che mi sconcerta e mi immalinconisce. Vago senza meta precisa, quasi cercando una risposta ad una domanda non fatta, alla ricerca di tutte quelle immagini che mi sfiornano un attimo soltanto e si frappongono tra l'ora e lo ieri. E forse la risposta é una canzone, sconosciuta, mai udita, se non lungo la sponda del fiume, dietro le arcate di un ponte e sotto l'ombra di un occhio gigante. So solo che queste note si sposano bene col filo di pensieri e sentimenti che provo in questo momento, e quasi mi immagino un'ombra che si muove dentro la colonna sonora di un film. Mi é sempre piaciuto attraversare il Tamigi e risalirlo lungo il Southbank. Un uomo pizzica la chitarra e nella notte canta per sé, per un penny forse, con una voce ed una musica che, tra l'ironico ed il sognante, suona quasi di abbandono. Il suo palco é un lampione acceso nella notte. Il suo pubblico é l'oscurità infinita che gli si stende davanti. Due monete cadono nella custodia aperta dinanzi a lui.

 

 

Le scogliere bianche di Dover sono più quello che ne rimane, ormai. Ho il tempo un attimo soltanto di guardarle dal finestrino di un bus che scende dal traghetto quando l'alba ancora non c'é ma si sente dall'oscurità della notte che si sta dissipando. E come a Calais, il paesaggio é un intero cantiere di strade annodate tra loro e percorsi mobili delineati da blocchi di cemento. Una specchio dell'altra, in un abbraccio storicamente infinito che contrappone Inghilterra e Francia. Le scogliere di Dover, quelle che comparivano nelle prime lezioni del libro di grammatica inglese delle medie, sembrano un tetro profilo di sfondo, il cui grigiore del punto di imbarco/sbarco ha sottratto ogni poesia. Prima che gi occhi si chiudano e risprofondino nel sonno della traversata.

 

 

Sollevo lo sguardo: le linee snelle ed acute disegnate nella pietra si perdono verso un'altezza indefinita, così pare, dietro stendardi che calano dai lati. Osservo le figure, narrazione a me complicata, fusione di storie. E resto seduto, come su uno scranno, entro uno di quei sedili intagliati nel legno. Blasoni, stemmi, ogni centimetro quadrato trasuda storia, cavalleria ed onore. Fusione col potere e tradizione, che quasi uno stenterebbe a credere possa essere ancora attuale. Ed invece é così, e non potrei sentirlo meglio che in questo modo. Voci bianche, messa cantata, luci deboli come candele. Nella Cappella Reale di Windsor, per entrare, la domenica, é necessario presentarsi come penitente ed unirsi alla Celebrazione. Il reverendo ed un accolito - una donna - danno il benvenuto sull'uscio della chiesa. Insieme a me, idealmente, appena entrato, si affiancano ordini cavallereschi che giorno dopo giorno, fino ad oggi, fino a questo momento, si imprimono nella pietra grigia e possente coi loro codici ed i loro valori. Ed io, sempre seduto sul mio scranno, mi sento come sospeso senza tempo, spettatore di un Medioevo come magari lo si immagina dai libri di storia o da un film. E' un'esperienza suggestiva, che mi tocca profondamente, quasi in un sogno, tra fascinazione e meraviglia.

 

 
 
 

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Post n°612 pubblicato il 22 Marzo 2016 da enodas

 

 

Vorrei scrivere qualcosa di non banale. Ma non é semplice, se non impossibile. Un paradosso, visto che il Male non é mai banale.
Da ieri volevo scrivere del mio fine settimana, del mio viaggio a Londra e di quanto avevo visto. Ed invece, mentre pensao a questo, seduto su un pullman che fendeva la notte, mi sono trovato a leggere della tragedia avvenuta in Spagna su un pulmann di studenti Erasmus che, anche quello, fendeva la notte, soltanto una manciata di ore prima.
Oggi, che ancora vorrei scrivere di viaggi e cose leggere, non ho altro che cuore pesante all'idea di quanto avvenuto a poco più di un centinaio di chilometri da qui, in un luogo per il quale sono passato spesso negli ultimi mesi.
E' evidente che non ci sia niente in comune tra questi due eventi, se non la loro ingiusta tragicità ed il dolore che ne consegue. Ed allora, vorrei scrivere qualcosa di vero, non banale, magari oltre un proclama emotivo che peraltro non saprei nemmeno quanto sopportabile alla realtà dei fatti.
E, per quanto forse possa suonare strano, ho pensato che un comune significato a questi due eventi si chiami Europa. L'immagine costruttiva, nel primo caso, dietro l'idea del programma Erasmus. Un'esperienza che allora, per una serie di motivi, non ho percorso. L'immagine di quei ponti che idealmente, sono stati scelti pure come immagine sulle banconote. Ecco, l'incidente di qualche giorno fa, é anche un dolore inflitto a quest'immagine bella che in una sua variazione più effettiva si declina con l'apertura delle frontiere, a partire da quelle del sapere e della cultura, alla nostra generazione.
Quello che é successo stamattina é uno sfregio all'Europa ed alle idee, forse inconcluse, che rappresenta l'Unione. Tra le tante cose, anche un colpo ad una struttura fragile e limitata. Le frontiere europee, che la nostra generazione forse a malapena ricorda quando attraversare il confine nazionale era un evento, sono il volto tangibile di questo ideale, colpito nella sua crescente fragilità. Un passo avanti gigante di cui io in questi anni - tanto per fare un esempio - ho potuto beneficiare enormemente, che negli ultimi mesi, silenziosamente e pure un po' ipocritamente, viene limitato ad uso e consumo, dietro una generica voce "controlli", che rischia del tutto di scomparire, almeno effettivamente. Come il sogno che sta dietro, tra l'altro, al mondo che orbita attorno al programma Erasmus.
Oltre ogni cosa, solo tristezza.

 

 
 
 

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Post n°611 pubblicato il 17 Marzo 2016 da enodas

 

 

Non é soltanto la natura di queste immagini che arrivano da Madrid a suscitarmi un fastidio rivoltante, ma pure i protagonisti. Ancora una volta, un certo tipo di tifo: non male, visto la città dalla quale proviene. E la contraddizione di una società che esprime un certo senso civile nel proprio contesto, ma poi sa rendersi attore di scene come queste. Le generalizzazioni ed i luoghi comuni sono sempre stati, a mio avviso, indizio di ignoranza. Ma non posso nascondere una certa rabbia nel pensare che in queste regioni le persone sono spesso molto brave ad impartire lezioni basandosi su stereotipi quasi arcaici ed ignoranti, con arrogante supponenza. E' qualcosa che mi fa bollire il sangue, da sempre. Poi, arrivano immagini come queste che, per carità, sarà pure un gruppo di imbecilli, ma rappresenta comunque un modo di pensare e di vedersi. E allora, magari, sarebbe meglio almeno non essere così arroganti quando si tratta  di guardare agli altri.

 

[...]

 
 
 

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Post n°610 pubblicato il 15 Marzo 2016 da enodas

 

 

Mi rendo conto che questo post suonerà un po' "nerd".
Nelle ultime settimane mi sono messo a giocare con questo programma che genera immagini frattali. Quella dei frattali é una passione lontana e profonda, che ritorna spesso, per delle immagini che esprimono a mio parere la bellezza della matematica e la sua vicinanza con la natura. Un po' quello che scriveva Galileo riguardo il "grande libro dell'Universo". Io, semplicemente, ne rimango affascinato. Così, ci sono sere che prima di dormiere mi ritrovo quasi a giocare con queste immagini creandone sempre di nuove. Perché tutte hanno inizio dalla stessa figura e della stessa legge matematica, che si ripetono idealmente all'infinito generando ogni volta mondi nuovi. E così, muovo le dita sullo schermo con un senso quasi di esplorazione per questi mondi che si disvelano quasi per caso, e soltanto per pochi minuti. Alla ricerca di forme e colori. Con la stessa euforia che si prova lavorando su un puzzle o lavorando ad un disegno, quell'euforia che, una volta spenta la luce, continua a proiettare forme e colori dentro la mente. Non proprio il modo migliore per prendere sonno. Anzi. Anche questa, a suo modo, é un'immagine dell'infinito.

 

 

"Nel 1953 mi resi conto che la linea retta porta alla caduta dell’umanità. Ma la linea retta è divenuta una tirannia totale! E’ una linea tracciata da una mano pavida, col righello, senza riflessione o sentimento: una linea che non esiste in natura. E quella linea costituisce il corrotto fondamento della nostra dannata civiltà. Anche se da più parti è stato osservato che essa ci sta rapidamente portando alla malora, il suo corso continua ad essere disegnato... Ogni opera realizzata con linee rette nasce senza vita. Oggi siamo testimoni del trionfo della cultura razionalista, eppure ci troviamo davanti a un vuoto. Ed è vuoto estetico, deserto di uniformità, criminale sterilità, perdita di potere creativo. La creatività stessa è prefabbricata. Siamo divenuti impotenti, incapaci di creare. Questa, è la nostra vera ignoranza."

(Friedensreich Hundertwasser)

 
 
 

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Post n°609 pubblicato il 13 Marzo 2016 da enodas

 

 

Si scatena la tempesta: onde alte e vele piegate. Urla di uomini assorbite dal vento. E poco lontano, flotte di navi salutano porti sicuri verso rotte commerciali d'oro e tessuti preziosi. Del resto, il cielo cambia, in continuazione, con quelle sue sfumature che alternano raggi di sole a nuvole cupe. Come piccoli punti, uomini e donne si muovono dentro un paesaggio verdeggiante. Lontano, si staglia il profilo gotico di un edificio, suonano le campane, sovrastano la città. L'ingresso é una via d'acqua: paranchi scricchiolano a smuovere il portone che chiude l'accesso. Oltre, le strade sono un miscuglio di suoni e sensazioni. E la luce filtra tra vie strette, penetra nelle case. Bordelli, case da gioco, abitazioni private: una donna stringe tra le mani una lettera appena ricevuta. E magari, con lo sguardo, fissa il vaso da fiori ricolmo di tulipani alla finestra: una farfalla si posa, e quasi sembra che quelo moto gentile sia sufficiente e smuovere l'acqua contenuta nel vaso di vetro trasparente. Allunga la mano, dal piatto raccoglie un frutto maturo, una pesca, o forse una fragola di bosco. Riflesso. Avvolto nell'ombra, un uomo osserva: anziano, il volto segnato e lo sguardo intelligente e quasi beffardo. Ad osservarlo bene, sembra di averlo incontrato, più e più volte, quand'era più giovane, e quando sarà più vecchio. Forse ha in mano una Bibbia, chissà: nei suoi occhi si specchiano scene di un Paradiso Terrestre, colmo di creature selvagge e straordinarie, ma anche scene di battaglie ed episodi dell'Antico Testamento, che rispecchiano i sentimenti più ancestrali dell'animo umano. Una donna si copre, osservata dal volto desideroso di sue vecchi nascosti nel buio. E sempre nel buio, dal buio, emerge il profilo di una giovane donna: una ragazza sconosciuta, con lo sguardo misterioso ed indecifrabile, misto di timidezza, sorpresa e sensualità. Sensuali le labbra rosse socchiuse. Un bagliore, oltre i suoi occhi. E' il riflesso del sole: ha squarciato il buio della stanza e, per un attimo soltanto, ha illuminato l'orecchino semplice e prezioso quasi nascosto dal turbante sul capo. Una perla.

 

 

Il Mauritshuis é colmo di capolavori. Tra i dipinti che amo di più ce n'é uno di dimensioni ridottissime, un quadretto - letteralmente - di una decina di centimetri di lato o poco più. Non ha posti d'onore e quasi si trova in una sala di passaggio. E' un piattino di fragole di bosco. La lucentezza, il sapore del frutto e probabilemnte soprattutto la semplicità del soggetto e del dipinto mi attraggono come una calamita e lasciano un dolce ricordo che é piacevole recuperare quando fisicamente si materializza davanti agli occhi.
Ho osservato questi dipinti più e più volte. Tanto che il tornare li fa riemergere nella mente e nella galleria dei ricordi con rapidità e precisione. Sono tornato tra queste sale dopo molto tempo. Come se avessi spalancato le finestre di una stanza sigillata da anni. In qualche modo, la mia storia olandese inizia qui, é anzi intrinsicamente legata ai due piani di questo museo che trasudano oro e luce, ed a quel pezzo di città che vi si sviluppa attorno.
Potrà sembrare strano. Ma ogni passo qui é un sasso lanciato nell'acqua ed osservare le increspature in superficie.

 

 
 
 

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Post n°608 pubblicato il 09 Marzo 2016 da enodas

 

 

Chapter 6 - Epilogue

28,29 Novembre

 

 

La linea della strada corre verso il ritorno. Recuperando uno dei vertici di quel triangolo che ancora mancava all'appello. La linea della strada, idealmente, corre verso l'immagine più armoniosa e spettacolare, fendendo l'eco delle dinastie mughal che torna a farsi sentire. Una capitale antica ed un nome che evoca quasi un suono arabeggiante. Certo, ma nel frattempo, le pietre si scorgono, ultime rovine sopravvissute di una città ormai scomparsa e, lungo la linea, mausolei silenziosi e porte d'accesso che sembrano soverchianti. E basta un attimo per ritrovarsi catapultati in un mondo che fonde l'India con la cultura araba: mercanti, venditori, guide d'assalto. Lo spazio all'interno della moschea é un microcosmo dove l'attenzione ricevuta é soverchiante, fino quasi a far mancare il respiro. Stanchezza, forse anche quella.
E quella linea finisce inghiottita in una città che é una metropoli: Agra, come Jaipur, mi opprime e mi delude. Avvolta in quella nebbia che non si capisce se sia clima o inquinamento, e la vista che vorrebbe scovare la vedute più belle, da un forte, dall'argine di un fiume. Ma no, non é ancora finita, perché qui dalle mura di un forte alle rovine di una capitale poco lontano, é stata scritta un'ultima storia.

 

 

Mattino. Poca folla, si spera, eppure gente si aggiungerà ad altra gente. No, il cielo rimane sporcato da una foschia persistente. Ed il bianco del marmo svanirà, leggermente sbiadito. Un ultimo appuntamento, sulla soglia di quella che é una lettera d'amore. Chi ne fu l'artefice, in realtà, non ne vide che l'ombra, lontano, dietro le sbarre di una cella nella quale lo rinchiuse il figlio. Ma no, avvicinandomi, il canone stesso di bellezza si spiega, come fosse una melodia. Quella cantata dagli intarsi, magari, o un arpeggio soltanto sui passaggi di misteriosi rapporti geometrici che incantano l'occhio umano. Marmo bianco, candido, e le decorazioni ad incasto più vive che mai. Sempre più scintillante, metro dopo metro che ci si avvicina. Silenzioso, dispiega il suo canto d'amore. Così lo voglio immaginare.
E' un'isola, ancora una volta. Una meraviglia del mondo moderno. Basta varcare una porta, svoltare una strada, letteralmente, e nuovamente ci si ritrova inghittiti dai flutti di un mondo, reale e quotidiano, che sembra quasi tradire ciò che circonda. Come una ragnatela gigantesca, da qui diparte la città vecchia, catapecchie, strade dissestate, animali e motociclette che animano il bazaar. Ancora una volta, un contrasto da lasciare perplessi. Anche se é evidente come tutto questo sia una realtà indissolubile, fusa e forgiata attraverso una cultura millenaria che ha navigato attraverso flutti di provenienza diversa. Una percezione distante di bellezza.

 

 

Dubito che potessi scegliere un finale migliore. Almeno da un punto di vista scenografico. Mi guardo indietro e vedo un mese intenso, faticoso e di grande avventura. Non é stato semplice, ma so che ho scritto questo libro senza problemi che fossero insuperabili. Quel "troppo" che mi ha sovrastato fin dal mio arrivo é rimasto, compagno costante di un cammino dove ogni aspetto é oltre le aspettative. Misurarmi con questo, accettare e cercare di imparare da quanto vedevo, da quanto a tratti, dalla mia distanza privilegiata, mi feriva, é stato - ed é tuttora - complicato.
Ho visto tanta bellezza, ed altrettanto contrario, ed ancora tutto questo fuso e confuso dietro le nostre definizioni. Non c'era altra via che immergervisi e lasciarsi trascinare, confidando di riemergere con una lezione. Non so quanto durerà, onestamente, perché si sa quanto si sia bravi a farci riprendere rapidamente dai nostri piccoli mondi.
Forse sarà un po' banale, ma sicuramente porterò con me questi colori straordinari. In un luogo dove, per scelta o per necessità, in alcuni momenti anche per istinto, ogni senso era sollecitato al massimo, la brillantezza dei colori e la fortissima spiritualità saranno il ricordo più vivo.
Salgo sull'aereo non certo disperato di tornare, stanco e soddisfatto di quanto sia riuscito anche solo a scorgere. Ed al tempo stesso, so già che immediatamente molte cose mi mancheranno, e che il mio stesso tentativo di adattamento faticherà un po', magari con qualche ricordo, a riaggiustarsi.
Questo mondo resta lontano, lontanissimo, e sembra incredibile che mi separi da me per una manciata di ore. Ed idealmente, sollevo la mano, a salutare un amico, perso nella folla e chissà, forse, anche una piccola parte di me.

 

 
 
 

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Post n°607 pubblicato il 03 Marzo 2016 da enodas

 

 

Chapter 5 - The Celebration

26,27 Novembre

 

 

Un treno che corre, nemmeno troppo, con un ritardo abissale, l'arrivo ormai di notte, pochi passi soltanto, fanno capire che questo é un angolo fuori da ogni rotta straniera. Eppure, più di ogni altro, questo é il luogo cui ci siamo dati appuntamento. Al termine, quasi, di un viaggio che con lo sguardo rivolto indietro appare lungo, lunghissimo poi nelle parole, ed allo steso tempo breve come il tempo di un respiro trattenuto. Una ragione per essere qui, ed un'attesa per partecipare in prima persona ad un momento solenne e carico di emozioni e tradizioni. Un viaggio, una maratona quasi, fatta di tempi e rituali, finanche nell'espressione delle emozioni e negli atteggiamenti.
In questi giorni, propizi secondo il credo induista alla formazione di nuove unioni, ho visto in numero sempre crescente preparativi ed allestimenti, luoghi preparati apposta per trasformarsi una notte in giardini di delizie e spazi principeschi: una fortuna, difficilmente conciliabile con tutto ciò che é la quotidianità che appare ad ogni passo, di fuori, vere e proprie follie impegnate per un evento dal forte significato sociale.
Il mio amico indiano si sposa: un matrimonio combinato, accettato alla luce di un'incontro reale durato una manciata di minuti e ricercato attraverso i nomi delle famiglie, le congiunzioni astronomiche e, silenziosamente, nell'organizzazione sociale. Un matrimonio arrangiato secondo regole ben precise, stabilite in particolari che forse difficilmente possiamo immaginare fino in fondo, dalla scelta dei celebranti alla divisione dei compiti fino anche ad indicazioni sul futuro. Anche questa é India, e chissà poi quante altre parti del mondo, e nemmeno troppo profonda, rispetto al contesto.
Per me, é un'esperienza ed un'occasione privilegiata di conoscere, osservare, affascinato, da dentro, ciò che é, ciò che deve apparire, e ciò che magari é ma non deve apparire.

 

 

C'é una differenza fondamentale tra lo sposo e la sposa. Il primo partecipa sin dall'inizio, ad ogni stadio del matrimonio, quasi catturato ed imprigionato dalle orazioni, le offerte ed i rituali dei sacerdotio che gli siedono accanto. Sempre presente, come del resto la sua famiglia. La seconda appare, ad ogni fase, in un secondo tempo, quasi introdotta dai lunghi sermoni del sacerdote, di sicuro anticipata da una lunga serie di doni portati dai familiari, quasi in dote, in segno di rispetto che si estende addirittura fino a noi, stranieri amici dello sposo e destinatari di doni. Il primo guarda dritto, é sicuro di sé nello sguardo, la seconda appare contrita, impaurita e di una timidezza dolce quanto rigida, secondo una sequenza che si spiega lungo le varie fasi della cerimonia, dagli occhi bassi ad un pianto telecomandato ad un dato istante della cerimonia. Mi rendo conto quasi immediatamente che decifrare questi linguaggi del corpo sarebbe impossibile, come fossero anch'essi espressi in questa lingua sconosciuta che a tratti viene snocciolata secondo una modulazione continua e regolare. Allora, almeno, cercherò di scrutare i particolari, a partire dai finimenti dei vestiti, che cambiano di fase in fase, dai finimenti ed i gioielli, dagli sguardi degli invitati, ma soprattutto dalle mani decorate con l'henna, semplici e veloci quelli delle mie amiche, più complicati quelli delle altre donne, intrico senza fine quelli della sposa. E in questi dettagli, ognuno dei quali ha un significato ed una funzione che sicuramente mi sfuggono, che un equilibrio superiore sembra comporsi.

 

 

Ho pensato che ogni fase sembra ordinata al contrario. Il primo giorno arriviamo accolti da un pranzo relativamente leggero che prelude alla presentazione ufficiale degli sposi, uno al cospetto dell'altro, al seguito di offerte propiziatorie e la presentazione di una vera e propria dote. E' in questo momento che, tra le altre cose, come amici riceviamo un dono ed anche la nostra fronte viene segnata in segno di benedizione. E' il momento in cui lei abbandona la casa per abbracciare la famiglia di lui. La folla si scioglie, ed ognuno torna a casa. La sera, verso un banchetto principesco, si ritroveranno gli invitati. Da una strada, lungo tutta la città, accompagnato da sonagli, chiasso e danze, lo sposo procede, in cima al cavallo - l'elefante sarebbe stato troppo costoso - ed una carrozza al seguito. E' la festa, che inizia ben oltre il giardino delle meraviglie, lungo le vie di ogni giorno, e tanto si danza e si suona che pochi metri diventano una distanza infinita. Ancora una volta, la sposa compare in seguito, al centro del palco allestito per la coppia, una sorta di isola sacra entro la quale i due siederanno tutta la sera su troni allestiti, semplicemente spettatori del banchetto offerto ai loro ospiti. C'é un'intrinseca silente solitudine nel loro confinamento in questa posizione privilegiata. Amici e familiari sollevano i due sposi, che a turno, in segno di promessa, cingono il collo dell'altro di una corona di fiori, le stesse che in ogni luogo sacro vengono abbandonate alla divinità o alle acque sacre di un fiume. Ancora una volta, calerà il silenzio. Perché il matrimonio vero e proprio ancora non é stato celebrato: sara; nel cuore della notte, alla presenza delle stelle e degli spiriti buoni dell'Induismo, benessere e fortuna, che l'unione verrà scritta, tra passaggi scritti, e movimenti fisici, lui conducendo lei attorno un cerchio magico, oltre una soglia simbolica di mattoni, prima che sia alba, prima che si segni una nuova partenza.

 

 

Siamo tornati. Buio profondo ed un alito di freddo. Attorno al fuoco, ci cingiamo. E chi si era abbandonato al sonno viene svegliato, fatto spostare magari, perché inizi la cerimonia. E poco più in là qualcun'altro continua a dormire, come un nomade che trova ristoro nel proprio semplice giaciglio. Solo i parenti più stretti sono qui, riuniti attorno ad un cerchio che sembra quasi magico, mistico, e che risveglia nella mente la sensazione di un rito antichissimo ed intimo, un patto sacro e silenzioso. Ancora una volta, dal buio, la sposa arriverà in seguito. Inizia la lettura dei Veda. Non lo leggerà tutto, penso. Ed invece sì, sarà così, una notte lunga ed interminabile, in cui improvvisamente quello spazio enorme e sfarzoso di poche ore prima si é ridotto ad un piccolo fuoco sacro al centro di una stanza, attorniato da tappeti, che al tempo stesso evoca uno di quei fuochi di vita e di sacralità che animano le notti nel deserto. L'infinito in una stanza. Osservo lo sguardo mite di chi conosce bene questo rito, i gesti consolatori della nonna della sposa, che come una matriarca accompagna la ragazza in questo passaggio, pronta a raccogliere il suo pianto liberatorio, e lo sgaurdo a tratti impegnato, a tratti assonnato, dei genitori. Come se osservassi un film in lingua straniera, catturo le spiegazioni che come sottotitoli mi vengono somministrate con pazienza. Non sono altro che bisbigli. Mi rendo conto che in qualche modo sono partecipe di un qualcosa di più segreto che affonda in una storia tanto antica da non essere forse nemmeno scritta. E come senza tempo é l'ingresso non richiesto di questuanti, gente travestita e maltruccata, che cerca di interrompere ad ogni costo la cerimonia: il padre li prende, li allontana, allunga dei soldi dicendo loro che sanno dove trovarlo, il giorno successivo. Anche questa é un'immagine di India profonda: quelli che una volta sarebbero stati definiti dei fuori-casta che reclamano il loro posto al margine del banchetto, e quello che alla fine é un sistema collaudato e quasi innato. Poi ripiomba il silenzio attorno al salmodiare dei due celebranti, uno per famiglia. Tanto da non riconoscere se ci sia una proclamazione vera e propria. So solo che il sole sta sorgendo, e con esso quasi naturalmente si spegne la luce del fuoco. E come una lunga traversata, gli sposi, e chi con loro, ne usciranno trasformati.

 

 

"Esseri umani, piante o polvere cosmica: tutti danziamo su una melodia misteriosa intonata nello spazio da un musicista invisibile." E sì, é tutta una danza, da celebrarsi come rito collettivo dove la tensione accumulata sembra trovare una via di sfogo. La sposa disegna con delicatezza linee nell'aria; lo sposo l'aria la fende con un procedere da spaccone: sul palco vanno in scensa caratteri ed approcci differenti. E' tutta una danza, l'omaggio dei parenti, le scene divertenti, il saluto più o meno volontario degli ospiti. Sintesi perfetta di un motivo comune e costante, come un ritmo continuo che scorre innato e quasi trascende il significato della musica stessa. Forse é questa la connessione con quella melodia misteriosa, forse pure l'equivalente sonoro di quell'esplosione incredibile di colori che hanno inebriato i miei occhi in queste ultime settimane.
E se questa musica, questi segni delicati tracciati nell'aria, non sono altro che un inizio, sento che ogni nota mi avvicina ad un addio e mi allontana da un amico e, in un certo senso, da un periodo della mia vita. Mi rendo conto che non sono il solo a santirla così. Perché presto sarà il tempo delle strette di mano, un abbraccio, ed un ultimo sguardo che vale un saluto. Ed un arrivederci si trasformerà presto in una distanza infinita.

 

 
 
 
 
 

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