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Tu chiamale, se vuoi, emozioni..

Post n°28 pubblicato il 04 Gennaio 2013 da fabio.casi

Parole, parole, decine di parole. Centinaia, migliaia, centinaia di migliaia di parole. Fiumi di versi e tonnellate di seppie innocenti sacrificate sull’altare dell’arte! Baudelaire, Hemingway, Scott Fitzgerald, Dante, Pirandello, Joyce, Wilde, Proust, Flaubert, Goethe, Shakespeare: tutti indiscutibili grandi, tutti indubbiamente amati, ma tutti inevitabilmente morti! Che cosa mai spingerà gli uomini a innamorarsi delle parole scritte da uomini morti, per lo più vergate su fogli ormai ingialliti dal tempo, appartenenti a epoche che ormai non sono più, svanite, evaporate?Generazioni di scrittori che hanno lasciato nelle loro pagine storie e racconti a volte frutto di fervide immaginazioni, altre volte vere e proprie proiezioni su carta delle loro anime tormentate. Si potrà pensare che si scriva per il gusto dell’arte, per puro estetismo o per fare soldi (forse chi lo pensa mai ha provato a scrivere), alcuni sostengono persino che la scrittura possa rappresentare una forma di auto-analisi attraverso cui affrontare e risolvere i propri problemi. In verità o, almeno, così io credo, la scrittura ha come scopo la trasmissione di emozioni, che possono poi prendere la forma di amore, delusione, felicità, oblio, euforia o angoscia, ma restano principalmente emozioni. Si può persino arrivare a sostenere che tutta l’arte origini dalla comunicazione, che a volte può anche essere unidirezionale, non necessariamente indirizzata dal creatore di un’opera al suo utilizzatore, ma limitarsi a una comunicazione tra l’artista e se stesso.Condividere le emozioni. Questo è quanto, quello che conta, in fondo. E’ forse per questo motivo che l’uomo s’innamora delle parole di persone vissute anche centinaia di anni fa, lontane e mai conosciute, ed è forse lo stesso motivo per cui spesso ci sentiamo molto più “vicini” ai nostri artisti preferiti che non a persone familiari: sapere di provare le stesse emozioni provate da uomini che hanno già percorso lo stesso viaggio ci fa sentire, in fondo, meno soli.

 

 
 
 
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