Creato da enca4 il 15/02/2010
PENSIERI E PAROLE
 

W. Allen

NON E' CHE HO PAURA DI MORIRE.

E' CHE NON VORREI ESSERE LI'

QUANDO QUESTO SUCCEDE.

W. Allen

 

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CANZONE

Che giorno è

E' tutti i giorni

Amica mia

E' tutta la vita

Amore mio

Noi ci amiamo noi viviamo

noi viviamo noi ci amiamo

E non sappiamo cosa sia la vita

Cosa sia il giorno

E non sappiamo cosa sia l'amore

Jacques Prévert

 

I ragazzi che si amano si baciano

In piedi contro le porte della notte

I passanti che passano se li segnano a dito

Ma i ragazzi che si amano

Non ci sono per nessuno

E se qualcosa trema nella notte

Non sono loro ma la loro ombra

Per far rabbia ai passanti

Per far rabbia disprezzo invidia riso

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Sono altrove lontano più lontano della notte

Più in alto del giorno

Nella luce accecante del loro primo amore.

Jacques Prèvert

 

DALLA - CANZONE

 

N. de Chamfort

CHE COSA DIVENTA UN PRESUNTUOSO

PRIVO DELLA SUA PRESUNZIONE?

PROVATE A LEVAR LE ALI AD UNA FARFALLA:

NON RESTA CHE UN VERME.

N. de Chamfort

 

GLI APOSTOLI DIVENTANO RARI,

TUTTI SONO PADRETERNI

A. Karr

 

 

ULTIMO POST

Post n°325 pubblicato il 23 Gennaio 2011 da enca4

Avrei voluto un Mondo per tutti, e non solo per pochi eletti.

Avrei voluto un Mondo che,qualche volta, potesse girare al contrario, così da dare a tutti una possibilità.

Avrei voluto un Mondo con una sola religione ed un solo Dio, chiunque esso sia stato.

Avrei voluto un Mondo dove a comandare fossero i bambini, gli unici che nel loro cuore hanno riposto il vero amore.

Avrei voluto un Mondo dove fossero sconosciute  parole come “Aiutatemi, vi prego”.

Avrei voluto un Mondo dove non si debba dire continuamente “Grazie; per favore; scusa; perdonami; per piacere.”

Avrei voluto un Mondo dove cogliere una mela dall’albero non sia considerato un reato.

Avrei voluto un Mondo con due sole leggi, una che obbliga ad amare, l’altra che obbliga a non odiare.

Avrei voluto un Mondo dove nelle scuole la materia principale d’insegnamento fosse: “Imparare ad amare”.

Avrei voluto un Mondo pieno d’amore invece che straripante di odio.

Avrei voluto un Mondo fatto di cioccolata, panna, pan di Spagna.

Avrei voluto un Mondo dove al primo posto fosse obbligatoria la serenità dei suoi abitanti.

Avrei voluto un Mondo dove fosse sconosciuta qualsiasi forma di tristezza.

Avrei voluto un Mondo dove fosse sconosciuta qualsiasi forma di malattia.

Avrei voluto un mondo dove fosse sconosciuta qualsiasi forma di dolore.

Avrei voluto un Mondo dove fosse sconosciuta qualsiasi forma di violenza

Avrei voluto un Mondo dove aprire una finestra, per far cambiare aria alla casa, sia un piacere e non un suicidio.

Avrei voluto un Mondo senza Nazioni o Stati diversi l’uno dall’altro, ma un solo Stato e una sola Nazione, il Mondo.

Avrei voluto un Mondo ricco d’amore e povero di ipocrisia. Ricco di sentimenti e povero di indifferenze. Ricco di passioni e povero di freddezze. Ricco di slanci e povero di pigrizie.

Avrei voluto un Mondo pulito da qualsiasi cosa che ne alteri l’equilibrio.

Avrei voluto un Mondo e non una discarica.

Avrei voluto un Mondo, invece ho, tra le mani,  solo un pugno di terra. Inquinata.

                                                                                                 Grazie a tutti. Enrico

 
 
 

PRIMA O POI DOVEVA SUCCEDERE

Post n°324 pubblicato il 23 Gennaio 2011 da enca4

E’stato bello fino ad ora, ma adesso basta. Chiudo il blog. Non pubblicherò più niente, ne di mio ne di altri.

E’ passato quasi un anno da quando ho iniziato a dialogare prima che con voi, amici miei, con me stesso. E’ stato un anno in cui, anche grazie al vostro aiuto, sono riuscito, almeno in parte, a guardarmi dentro in modo neutrale e non condizionato dal fatto che critiche, esami, valutazioni, e giudizi erano da me rivolte a me stesso.

Voi, tutti voi, mi avete fatto capire quanto sia importante avere degli amici con cui parlare, dai quali ricevere consigli, suggerimenti e stimoli. Però, adesso, quello che io, all’inizio, consideravo un gioco, ma che con il tempo si è invece dimostrato un impegno da mantenere costantemente, è finito. Il gioco è finito.

Non ho, all’infuori che Dio come testimone, nessuno che può farvi capire quanto mi dispiaccia aver preso questa decisione, ma devo fare quanto ho detto. Se voglio salvare il rapporto sentimentale che mi lega a chi voi sapete, devo dimostrarle che si vive anche senza il blog.

Nella mia vita, piena di errori, una cosa giusta sono certo di aver fatto, ed è quella di aver messo al primo posto nei miei pensieri, nelle mie azioni, nei miei intendimenti, le persone che ho amato e che amo. Nonostante ciò sono solo. Mi sento solo. Mi sento inutile, quasi un ostacolo a chi mi sta vicino. Ed io non voglio esserlo.

Non sto scrivendo queste cose per il gusto, poi, di sentirmi dire: “Non farlo; ci servono i tuoi post; fa bene anche a noi leggerti”, e così via, come è sempre successo quel paio di volte in cui ero intenzionato ad abbandonare. Non mi interessa essere lodato. Non sono un “vanitoso”, come mi è stato detto da chi non avrebbe mai dovuto dirlo. Sono un uomo con i suoi problemi, i suoi pregi, i suoi difetti. Ma sono un uomo leale e sincero, questo tengo a dirlo.

Con qualcuno di voi ci siamo scambiati i numeri telefonici, spero che avremo modo di sentirci, almeno qualche volta. Chi, invece, vorrà avere il mio numero, me lo potrà chiedere con un messaggio e sarà mio impegno comunicarglielo. Per questo motivo lascerò aperto il blog ancora per qualche giorno, per darvi modo, se lo vorrete, di mandarmi un messaggio al quale risponderò sicuramente.

Un’ultima cosa, il 15 Febbraio dell’anno passato avevo aperto con un post che poi dette anche il titolo al mio blog: “Il Mondo Che Vorrei”. Chiuderò il blog pubblicando un ultimo post tra oggi è domani, dal titolo “Il Mondo Che Avrei Voluto”.

Vi abbraccio forte e vi faccio un’ultima confessione. Con voi non ho mai mentito, e non mento certo adesso. Nello scrivere queste parole ho una profonda tristezza dentro di me. Sto piangendo perché so che mi mancherete molto.

                                                                                                              Enrico

 

 
 
 

PENSIERI, PENSIERI, PENSIERI

Post n°323 pubblicato il 22 Gennaio 2011 da enca4

               Un anno fa, di questi tempi, piangevo per aver capito, finalmente (anche se avrei voluto con tutto me stesso essermi sbagliato), che l’amore, la dedizione, la  devozione di cui avevo riempito, o almeno tentato di fare, la vita di colei che ritenevo essere l’unica donna degna di tutto ciò, non erano per lei importanti. Non gli interessava che io l’avessi consacrata sull’altare dell’amore.

                Ero, allora, convinto che il mio tempo fosse passato, e la cosa non è che mi dispiacesse molto, a dir la verità.  Stavo cercando di riprendere in mano le redini della mia vita, tentavo di crearmi interessi diversi da quelli che avevo avuto fino ad allora anche perché mi ero accorto che tutto quello che facevo, in quel periodo, mi ricordava fatti, sensazioni, mi dava emozioni e turbamenti che volevo in tutti modi cercare di reprimere e dimenticare.

                Conoscevo perfettamente quale era la mia reale situazione fisiologica e psicologica. Sapevo che per me, oramai, certe cose potevano essere solo dei piacevoli ricordi, non certo delle sensazioni che avrei potuto riprovare nella vita.

                Ma non me ne preoccupavo, allora, come, d’altronde, non me ne preoccupo adesso. Non è certo colpa mia se Dio ha voluto che io mi trovassi ad affrontare un nemico implacabile e spietato che non ha avuto alcuna pietà di me, ne come semplice essere umano bisognoso ancora di certe sensazioni; ne come anima alla continua ricerca di quella tranquillità e serenità che non ha più avuto, anche se per su colpa.

                Poi, di colpo, quasi per gioco, sono tornato ad essere al centro delle attenzioni di qualcuno. Poi, incredulo, ho scoperto che, forse, il mio stato fisico non fosse talmente deficitario da escludermi da qualsiasi altra forma di rapporto affettivo. Mi sono sentito di nuovo importante. Ho avuto l’impressione di aver ricevuto una iniezione di fiducia, di stima, di speranza. Di essere ancora utile, oltre che a me stesso, anche agli altri.

                Ma avevo paura. Paura di essere preso in giro di nuovo. Paura di essere deriso del mio stato. Di essere di nuovo sopportato, tollerato. Avevo paura che chi si avvicinasse a me lo facesse solo per pietà              e compassione del mio stato.

                E’ difficile superare questi ostacoli. Non ci sono ancora riuscito, e me ne dispiace infinitamente. Non è colpa mia se ancora, a distanza di quattro anni, ormai, ancora non riesco ad accettarmi per quello che sono e per come sono. Per quello che sono, perché l’essere ammalato mi ha portato, inevitabilmente, a fare delle considerazioni su me stesso, e sul mio modo di essere stato nel passato, che, da “sano”, non avrei mai fatto. Per come sono, perché è per me un dramma ogni volta che guardo la mia figura allo specchio. In quei momenti mi tornano alla mente i ricordi di quando facevo sport, di quando il mio fisico era asciutto, quasi atletico. Adesso tutto questo non c’è più. Adesso devo imparare a convivere con una persona (che poi sono sempre io), diversa da quella che conoscevo e che amavo.

                “Cosa vuole lei da me? Cosa pensa che io possa darle?” Queste domande me le sarò poste decine di volte, allora, senza riuscire a darmi una risposta. Ed ancora me le pongo. Cosa posso dare io? Non ho più nulla da dare a nessuno. Non riesco a credere che possa bastare la mia presenza per far felice qualcuno. Non valgo molto. Se le persone si giudicassero, e si comperassero, in base al loro aspetto, io sarei venduto sottocosto. Se gli uomini fossero giudicati per quello che hanno fatto nella loro vita, come sarebbe giusto che fosse, io avrei poche cose di cui vantarmi. Se, invece, gli uomini potessero essere giudicati e scelti per le cose che ancora vorrebbero fare, io avrei una sola cosa da dire a mio favore: “Prima di tutto, voglio vivere.”

                Amo. So di amare chi mi ama. Ma non sono capace di esternarlo come sarebbe giusto e come lei si aspetta da me. Non ci riesco. Mi mette in imbarazzo sentirmi dire “Ti amo”. Mi è stato detto talmente poche volte, che non credo che ci sia qualcuno, adesso, che senta il piacere di dirmelo. “Ti amo” è una piccola frase, di solo due parole. Ma, forse, è la frase più importante, che mai un essere umano possa mai dire ad un altro essere.  Ma molte volte dalla mia bocca si rifiutano di uscire queste due paroline. Vorrei poterlo fare. Vorrei essere in grado di dire “Ti amo”, come si vede nei film. In modo semplice, naturale. Ma non mi riesce.

                Per me, che non mi riempio la bocca della parola “amore”, così, per il gusto di dirla, è estremamente complicato far capire quanto io, invece, ami. Cerco di dimostrare l’amore che provo, in tante altre maniere. Innanzi tutto essendo fedele a chi mi ama. E quando dico fedele, intendo qualsiasi forma di fedeltà, sia fisica, che mentale. Cerco di dimostrare l’amore che nutro, interessandomi veramente ai problemi della persona che sta con me. Non sono un ipocrita, non lo sono mai stato, e quando vedo che chi amo soffre, io soffro con lei, e vorrei fare tutto ciò che è nelle mie possibilità per non assistere al dolore, alla frustrazione, all’avvilimento che la persona prova in quel momento.

                Vorrei essere ricco, talmente ricco da poter pagare Dio affinché non faccia soffrire chi amo. Vorrei poter comperare per lei una vita nuova. Vorrei poter togliere dalla sua mente pensieri e ricordi tristi. Vorrei vedere occhi sempre felici.

                Ma prima di tutto, per poter avere tutto questo; per poter tornare a dire “Ti amo” senza paura di essere, poi, utilizzato, non creduto, prima di tutto, dicevo, devo imparare ad amare me stesso. E questo è il cammino più difficile e più lungo.

                Qualche anno fa una persona, di fede religiosa diversa dalla mia, mi disse: “Rispettati e sarai rispettato; amati e sarai amato.” Questo è quello che devo fare in futuro. Questo è il fine che devo raggiungere: rispettarmi ed amarmi. Ma da solo non ce la farò mai. Da solo riesco solo a pensare a cose che, invece, dovrei cercare di far sparire dalla mia mente. Da solo posso solamente passare delle giornate intere in completa solitudine mentale e fisica. Da solo non riuscirei a vivere.

                                                                                                              Enrico

 
 
 

CARO DIO...

Post n°322 pubblicato il 20 Gennaio 2011 da enca4

Caro Dio,

                oggi torno a pregarTi perché ho bisogno di parlare con Te. Ho bisogno di rivolgermi a Te come l’ultimo dei Tuoi figli, ma proprio per questo, ancor più bisognoso  della Tua presenza al mio fianco.

                Tu, mio Dio, sai tutto di me. Conosci i miei errori, così come conosci le mie vittorie. Conosci le mie debolezze, così come conosci la mia forza. Conosci anche l’amore che ho per Te, anche se, nei momenti difficili invece che avvicinarmi a Te mi allontano dimenticandomi della Tua presenza.

                Tu, mio Dio, hai voluto che io nascessi, che fossi parte di Te. Ma avresTi anche voluto che io ricompensassi in altro modo la grazia che mi hai fatto nel permettermi di esistere.

                Come un buon Padre mi hai dato tutto l’amore di cui avevo bisogno, ed io, invece, ho ricompensato il Tuo dono con l’indifferenza ai Tuoi insegnamenti.

                Hai appoggiato la Tua mano sulla mia spalla più di una volta, ma io quella mano, tutte le volte, l’ho scrollata di dosso.  Eppure non era pesante da portare, adesso lo so.

                Mi hai guidato  e condotto per sentieri difficili senza lasciarmi mai cadere. Insegnandomi così come si deve camminare nella vita. Io, invece, ho fatto di tutto per affrontare il cammino da solo, scegliendo il più delle volte strade sbagliate.

                Mi hai detto tante volte: “Io sono qui, vicino a te. Non c’è bisogno che mi chiami. Basta che tu mi voglia al tuo fianco”. Io, invece, guidato dall’orgoglio e dall’orgoglio, ho rifiutato il Tuo aiuto. Non ho voluto sentire il Tuo richiamo, credendomi talmente grande da poter riuscire da solo, anche dove sapevo che, senza di Te, non sarei mai riuscito.

                Mi hai detto: “Non voglio denaro, oro, gioielli, da te. Voglio solo lo stesso amore che io ho per te”  Io, invece, ho preteso da Te l’amore, senza restituirtelo.

                Perdonami se ho mancato verso di Te. Perdonami  se non ho dato ospitalità al viandante in una notte fredda. Perdonami se non ho diviso il mio mantello con il povero. Perdona la mia superbia, perdona la mia presunzione, perdona la mia indifferenza aiu Tuoi insegnamenti.

 Perdonami se mi avvicino a Te solo adesso che, sento di nuovo il bisogno di averTi  vicino.

                Mi hai dato tutto quello che era giusto che io avessi dalla vita. E se il Tuo dono io l’ho gettato via la colpa è solo mia.

                Ma voglio di nuovo cercare di aprirTi il mio cuore, di farTi entrare dentro di me, di trovare in Te colui a cui posso rivolgermi senza dare nulla in cambio se non amore, ma ricevendo in cambio tutto ciò che hai.

                Aiutami, Ti prego, a tornare ad esserTi figlio. Apri la mia mente, apri il mio cuore. Solo con il Tuo aiuto potrò, un giorno, chiamarti Padre mio.

                                                                                                                             Enrico

 
 
 

CARO IL MIO DIARIO 58

Post n°321 pubblicato il 20 Gennaio 2011 da enca4

                 Caro il mio Diario,

e’ questa, per me, una di quelle notti che preferirei fosse cancellata dal calendario. Il sonno, nonostante gocce, pillole e tisana, proprio non accenna a venire permettendomi così di riposare la mente.

                La mente. La mia mente, caro amico mio, è pregna di cattivi pensieri. E’ zeppa di ricordi dei quali farei volentieri a meno, almeno in questo periodo. La mia mente, da qualche giorno, ha ripreso a funzionare a corrente alternata. Passo da momenti di estrema lucidità, che mi permettono di fare dentro di me delle, anche se piccole, pianificazioni per il futuro, a momenti in cui preferirei essere un vegetale, così da non pensare troppo e, forse, nel modo sbagliato.

                Da qualche giorno ho ripreso a sentire in modo insistente, continuo,dolori sempre più forti  alla parte interessata alla mia malattia. A volte, come stasera, sono talmente violenti che mi impediscono di stare sdraiato a letto.

                Mi aspettavo, dai medici che l’altra settimana mi hanno tenuto in osservazione per qualche giorno, che oggi mi comunicassero il responso della Tac che ho fatto l’altra settimana. Non c’è stato verso di sapere qualche cosa. Il primario, e solo lui, comunica certe cose ai pazienti. E se il primario si ammala? E se manca per un lungo periodo? Niente da fare. Devo, per forza di cose, aspettare lunedì prossimo per sapere qualche cosa che, a questo punto, non credo proprio sia positiva.

                Puoi capire facilmente il mio stato d’animo. L’attesa sta logorando il mio sistema nervoso. E’ inutile che abbia degli incontri con il medico psicologo, quando la cosa che mi sta più a cuore non mi viene comunicata, non trovi?

                Ho cercato, oggi nel pomeriggio, di distrarmi un po’ scrivendo nel mio blog un post polemico nei confronti del mio caro nemico Berlusconi. Mi è venuto così, di getto, senza pensare troppo a quello che scrivevo. Quando ho finito, per qualche minuto, ho riso per ciò che avevo scritto e per come lo avevo scritto. Poi, passato velocemente il momento di allegria, tutto è tornato come prima. Anzi, peggio di prima.

                Mi dispiace di questa mia situazione che, inevitabilmente, sta logorando anche il rapporto con Fly. Lei ha i suoi di problemi. Non può avere vicino qualcuno che ne ha talmente tanti da venderne al miglior offerente. Vorrei, nei suoi confronti, essere più disponibile, meno critico, più affettuoso, ma, un po’ perché non sono abituato a certi modi di amare, un po’ perché, come dicevo prima, la mente prende il sopravvento ricordandomi chi sono e, più di tutto, come sono in questo momento.

                Ecco, questo è un altro problema che mi sono creato e che non riesco a sminuire come invece sarebbe giusto che facessi. Non mi accetto fisicamente. Il male ha segnato il mio corpo. Non sono più l’uomo che vedi nella foto. A volte ho pietà di me stesso.

                Lei, Fly, non ha problemi per questo mio stato, ma io si. Io so di non essere come vorrei essere. So che non lo sarò più. E questo mi fa male. Mi rende triste, non mi permette di avere quel po’ di serenità di cui avrei estremamente bisogno.  

                Mi chiedo: “Sono io in particolare che sono fatto male, o è l’essere umano in generale che non si accontenta mai? “ Perché mi chiedo molte volte nell’arco della mia giornata proprio questo: devo accontentarmi di essere quello che sono o posso ancora aspirare a tornare ad essere, almeno in parte, quello che ero?

                Come è difficile amarsi. Io, sicuramente, non mi amo come dovrei. Ho amato tanto nella mia vita. Ho amato tutti coloro, uomini o donne, che mi hanno donato affetto, stima, fiducia. Ma non riesco ad amare me stesso come, invece, sarebbe giusto che facessi.

                Penso spesso alle tante cose che, in certi momenti, ho voglia di fare. Un hobby da curare, un libro da leggere, una lettera da scrivere. E mi chiedo perché non riesco più a dare un significato concreto a queste che sono certamente delle piccole cose, ma sono molto importanti perché mi consentirebbero di lasciar chiusi nei loro cassetti in soffitta, i pensieri tristi e dedicarmi, così, a qualche cosa di più allegro.

                Non ci riesco. E’ più forte di me. Non sono quel guerriero che tanti amici credono io sia. Forse lo ero una volta. Ora non più. Ora sono una persona qualsiasi, con i suoi pochi pregi e con i suoi tantissimi difetti dati da una situazione non certo allegra.

                Amarsi significa, innanzi tutto, rispettarsi, ed io certamente non mi sto rispettando come dovrei.

                D'altronde, a pensarci bene e con un po’ di raziocinio, la vita è questa. E non lo è solo per me, anche se il “mal comune mezzo gaudio”, non è stato mai il mio proverbio preferito.

                A domani, forse, amico mio. Spero con un po’ di allegria in più e con un po’ di malinconia in meno.

                                                                              Enrico

 
 
 

DIALOGO, SEMI-SERIO IN DUE ATTI, TRA BERLUSCONI, APICELLA E SAN GENNARO

Post n°320 pubblicato il 19 Gennaio 2011 da enca4

 

ATTO PRIMO

Berlusconi è nel salone della sua villa di Arcore. E’ agitato, nervoso. Non sta fermo un attimo. Il parrucchino, che di solito gli viene saldato in testa la mattina, questa volta giace per terra, vicino ad una poltrona. Sulla nuca il Cavaliere ha qualche evidente segno rosso, come se si fosse strappato da solo la capigliatura in un attimo d’ira. In mano ha un foglio di carta che agita continuamente.)

B.: “Apicella! Apicella! Dove sei? Vieni subito qui! Che ti pago a fare se non vieni quando ti chiamo?” (Continua a muoversi nervosamente. Fa cadere da un tavolo, al centro della scena, una tazza di porcellana, dove precedentemente gli era stata servita una tisana con la speranza di calmarlo un po’. Guarda di nuovo il foglio che ha in mano.)

(Entra Apicella. All’orecchio destro ha, come orecchino, un suo CD fermato con una molletta da bucato. A tracolla l’immancabile chitarra. E’ impaurito. Non ha mai visto il suo capo in una simile situazione nervosa).

A.: “Sono qua’ per servirvi. Dite, Cavaliere. Apicella vostro è tutt’orecchio.”

B.: “Ecco! E’ arrivata la convocazione dei Giudici Comunisti. Adesso devo solo decidere quando andare da        loro, in tribunale, e farglielo sapere.”

A.: “Dotto’, Cavalie’, Gioia mia, ‘o sapevamo che sarebbe arrivata ‘sta carta. Che dicheno i giudici?”

B.: “Mi mandano a dire che posso andare da loro il 21, oppure il 22, oppure il 23 di questo mese. Questi comunisti, Marxisti,  Leninisti, non sanno che cosa gli farei…” (comincia a mordere il foglio che ha in mano)  

A.: “Calma Ammiraglio. Dobbiamo trovare il giorno giusto. Non possiamo sbagliare data. Il  giorno deve essere propizio. Padreterno mio, avete fede in me?”

B.: (Urlando come un pazzo)  “Cosa hai detto? Fede? Non pronunciare più quella parola. So io che cosa lo mando a fare da domani al Direttore Fede. Altro che casinò! A briscola, all’osteria deve andare, se vuole giocare a carte.”

A.: No! Comandante mio. Anima mia. Volevo dire, se avete fiducia in me, andiamo nella mia stanza dove c’è un mio amico che non mi ha mai tradito e che mi ha dato sempre buoni consigli. Vedrete, Presidente Esimio, che vi consiglierà per il meglio anche a Voi.”

B.: “Tanto ci voleva? Andiamo! Non aspettiamo altro tempo.” (Escono tutti e due dalla scena, continuando a parlare tra loro in modo sempre più agitato)

FINE PRIMO ATTO

 

SECONDO ATTO

 

La camera di Apicella. Al centro un letto con baldacchino dorato, dal quale pendono quattro ferri di cavallo. Alle pareti innumerevoli corna di ogni colore e dimensione. Trecce d’aglio alla finestra. A destra della stanza un comò stile impero sul piano del quale è posizionata una statua di San Gennaro, circondata da numerosi lumini di cera accesi. A sinistra, una poltrona dello stesso stile del comò. La stanza è in penombra.

A.: “Prego, Grand’Ufficiale, trasite e sedetevi pure.

(Berlusconi entra, si siede e consegna quello che è rimasto del foglio che aveva in mano ad Apicella. E’ sempre più nervoso, agitato.)

A.: (Si avvicina al comò, con il foglio tremolante in mano, a testa bassa, quasi timoroso) “San Genna’, tu ‘o conosci Silvio Berlusconi, vero? Te ne ho parlato tante volte. Ha un problema. O vvide stu foglio? E’ na convocazione che gli hanno mandato i Giudici Comunisti di Milano. Deve scegliere quale giorno andare. Aiutalo, consiglialo tu. Quale è il giorno migliore?  (Detto questo si inginocchia davanti alla statua del Santo)

Passa qualche istante, poi, come proveniente dall’oltretomba una voce cupa, profonda, ferma nel tono, dice:

S. G.: “Hai fatto un mare di stronzate, caro Silvio”. (il quale Silvio tenta di replicare ma viene prontamente azzittito prima che possa dire una sillaba) “Zitto tu, che adesso parlo io. Secondo la smorfia il 21 è:la Donna Nuda , perciò è meglio che quel giorno non ci vai, altrimenti i Giudici ti possono accusare anche di aver ripetuto il reato. Sarebbe come se tu ti portasti dietro co’ te n’atra zoccola pure al Tribbunale. Il 22, sempre secondo la smorfia è : Il Matto , e certo che tu tanto sano di mente non ci sei proprio, perciò lascia perdere. Il 23 è: Lo Scemo, e come te in Italia di scemi ce ne sono proprio pochi. Sei talmente scemo che al campionato del mondo degli scemi arriveresti ultimo. Perciò, parla coi Giudici e trova un’altra data.”

B.: (Sconsolato, afflitto) “San Gennaro, che posso fare? Posso chiedere di andare sabato 24?

S.G.: “Bravo! O vvide quanto si scemo? Il 24, sempre per la smorfia sono Le Guardie . Vai il 24, almeno la facciamo finita una volta per tutte.”

Berlusconi sviene. Apicella accorre cercando di far aria al suo Signore con il foglio di carta che ha ancora in mano.

CALA IL SIPARIO

 
 
 

RICATTO (SEMISERIO) AD UN VECCHIO AMICO

Post n°319 pubblicato il 18 Gennaio 2011 da enca4

Caro Silvio,

sicuramente non ti ricorderai di me dopo così tanto tempo. Eppure, tu ed io, abbiamo passato qualche anno a giocare insieme. Erano gli anni della giovinezza, della spensieratezza, delle continue scoperte. Sono Enrico, quel tuo amico di gioventù, più piccolo di te di qualche anno, che tu ti divertivi a prendere in giro continuamente, al quale dedicavi i tuoi migliori, per te, ma non certo per me, scherzi.

                Stavamo sempre insieme, io, tu e Giulietta. A proposito, sicuramente te la ricordi la bambina di sei anni, magrolina, con i capelli lunghi, con la quale ti divertivi a giocare al dottore. Adesso è diventata mia moglie, sono ormai 40 anni che siamo sposati. Pochi giorni fa quando ha letto sui giornali quanto hai pagato le varie escort, maggiorenni e non, che ti hanno allietato negli anni, si è incazzata da morire, e sai che mi ha detto?  “La stronza sono stata io che mi accontentavo di due caramelle e una gomma da masticare.”

                Quante ne abbiamo fatte insieme. Ti ricordi quando entravamo, di nascosto, a casa tua e senza farci vedere andavamo a rubare la marmellata (che a te non mancava mai), e poi ce la mangiavamo sotto quel bell’albero in fondo al tuo giardino?

                E quando, senza farci notare, spiavamo la tua tata quando andava in bagno? A dir la verità eri tu che la spiavi, io dovevo farti da palo. Poi mi raccontavi quello che avevi visto, ed io non capivo. Avevo sei anni e tu, invece ne avevi quattordici.

                Fin da allora dimostravi doti fuori del comune. Eri già un imprenditore, un politico, come, poi, sei diventato da grande. Riuscivi a convincere tutti, con promesse che poi non mantenevi, a fare tutto ciò che volevi.  Mi ricordo anche che ti facevi pagare l’affitto del giradischi portatile, a batterie, se volevamo sentire un po’ di musica.

                Non è che sei cambiato molto da allora. Come allora ti circondi ancora solo ed esclusivamente di chi ti può far comodo. Come allora continui a giocare al dottore, al bunga - bunga, come allora riesci a  trasformare in oro tutto quello che tocchi.

                Quante me ne hai fatte. Quante volte mi sono dovuto accollare colpe che non erano mie. E’ vero, pagavi tutto questo con qualche cioccolatino, al massimo 50 lire. Ma quanti calci nel sedere da mio padre ho preso per colpa tua, per salvare la tua immagine con i tuoi genitori.

                Adesso, che sono in pensione e che Giulietta, purtroppo non sta molto bene, mi trovo costretto a scriverti chiedendoti ( visto che lo fanno tutti, e che elargisci denaro, appartamenti, macchine, e chissà cos’altro ancora, con estrema facilità), in cambio del mio silenzio, sui fatti che ho scritto sopra e che potrebbero far pensare alla gente che fin da piccolo avevi qualche vizietto strano, 500 euro, quanto mi serve per poter arrivare alla fine del mese.

                Non offenderti, Silvio, e non arrabbiarti per questo. Chissà quante persone, in questo periodo, tentano, riuscendoci, di scucirti denaro o favori. Io mi accontento di poco, come vedi. Tanto, alla fin fine, i soldi mica sono i tuoi.

                Sono un tuo vecchio amico, ed i vecchi amici qualche volta ritornano, anche con richieste poco serie, se vogliamo, ma certamente dettate dal bisogno. E se io in questo momento ho bisogno, la colpa è anche tua che non hai fatto nulla di buono per noi italiani. Ed allora è anche giusto che tu in qualche modo restituisca quello che ci hai tolto.

                500 Euro, mi bastano per stare zitto. Stai tranquillo.

                                                                                              Enrico

(Chiaramente tutto questo è un gioco, uno scherzo, fatto così, tanto per ridere. Tanto per cercare di allentare la tensione che si è creata nelle persone adesso che, forse, hanno capito a chi hanno affidato la guida del nostro Paese. Enrico)

 
 
 

UNA LETTERA DAL PASSATO

Post n°318 pubblicato il 17 Gennaio 2011 da enca4

                Faccio collezione di francobolli, buste affrancate, cartoline. Ogni tanto mi capita di trovare, dentro qualche busta vecchia di anni, una lettera sbiadita dal tempo, una bolletta da pagare, e tante altre cose.

                Qualche anno fa, tra le varie cose, trovai una busta celeste con una lettera dentro. La lessi, allora, quasi con la paura di violare qualche segreto. Poi la misi da parte e non ci pensai più.

                Pochi giorni addietro, mettendo a posto tra le mie carte, la busta, e la lettera, sono tornate fuori, quasi sono riapparse. L’ho letta di nuovo, quella lettera. Anzi, a dir la verità, l’ho letta più volte e ogni volta ha creato una sensazione diversa dentro di me.

                La lettera è scritta da un militare, un certo Sig. Osvaldo al 3° giorno di naja, ed è indirizzata alla sua fidanzata, Graziella, che lui chiama Cilia. Riporto i nomi, sono passati quasi 60 anni da quando è stata scritta e non credo perciò che sia così importante un nome.

                Adesso vi trascrivo la lettera dall’inizio alla fine. Con gli errori che contiene, con la punteggiatura e la spaziatura originale, con le frasi che si adoperavano allora per dire all’amata: “Ti amo”.

 

“Cilia mia,

Oggi è domenica e percio abbiamo libertà dalle 12 alle 21, libertà di stare in branda, non è vero perché è arrivato un caporale e via fuori. Amore mio sapessi che vitaccia, dura veramente dura, ora sono in sala di scrittura e ho ricominciato a scrivere.

Sono passati tre giorni e mi sembra già un millennio come vorrei poterti soltanto vedere, sentire soltanto dire ti amo.

Ma bando alla malinconia ho una notizia buona, sono stato destinato a fare il cronometrista e da un caporale ho saputo che questi dopo il C. A. R. vanno ad Anzio, o alla cicchignola, percio se il sig. P. fallisse, sarei già a posto.

Vecchia mia, non è colpa mia se le lettere sono scritte male perché debbo ogni cinque secondi spostarmi di qui, di la.

Spero che stai bene e che fai la brava bimba. Io non spero altro, sapessi come è bello pensare che lontano 600 Km. da qui c’è una pupetta che mi pensa, è veramente una gran cosa.

Il mangiare qui è repellente, fortunatamente c’è uno spaccio ben fornito, ed io è li che mi rifornisco. Mi sono fatto parecchi amici così di camerata che sono in buona parte di Roma percio fra noi ci comprendiamo.

E’ una cosa dura qui sai veramente ma io non me la prendo, un giorno tanto finirà e allora si che sarà bello.

A proposito mi sono fatto la fotografia e martedì la spedisco vedrai quanto sono bello sembro proprio il marmittone del corriere dei piccoli.

Gioia mia mi raccomando telefona a casa mia spesso, e esci con loro. Hai capito? Sii brava come mi hai promesso perché se tu mi fai una puzzonata io non potrò più vivere, perché sei la luce dcel mio cuore, e la più bella cosa della mia vita.

Ora la pianto di scrivere perché non ho più sigarette e debbo andare a far la fila. Sono le 4,15 e spero per le 7 di averle comprate.

Amore mio ti mando un bilione di baci e uno strilione di Pop Pop.

                                                               Il tuo, solo tuo, sempre tuo

                                                                                                              Osvaldo

Mi raccomando fai la Brava e scrivimi

                                                               Ancora un bacio

                                                               Ancora un Pop

                                                               E un ciao

                                                               Da colui che non si stanca mai di pensarti

                                                               Ossia

                                                                              Osvaldo”

 

Non la trovate bellissima? Cosa è cambiato dal allora, 1953, ad oggi? I sentimenti sono sempre gli stessi, amore, passione , gelosia, speranze, certezze, stimoli. Forse è cambiato il modo di presentarli, non certo le persone.

                                                                              Enrico

 
 
 

COME E' DIFFICILE ESSERE FELICI

Post n°317 pubblicato il 13 Gennaio 2011 da enca4

                Cos’è la felicità? Guido, uno dei personaggi di “Otto e mezzo” dice: “La felicità sarebbe poter dire la verità senza far piangere nessuno.” Un’altra definizione di felicità, che piaceva molto ad Enzo Biagi, è di Paul Léautaud: “La felicità è camminare dietro un vecchio cane mangiando ciliegie.” Sono, questi, due modi diversi di intendere la felicità. Di godere delle sensazioni che ci regala l’essere felici.

                Come tutte le cose, specialmente quelle piacevoli alle quali teniamo di più, anche l’essere felici comporta dei sacrifici, delle rinunce. Mi ricorderò sempre di una bellissima frase che Eduardo De Filippo fa dire a Filomena Marturano quando alla domanda che le pone il suo compagno di una vita, e cioè: “Filumè nun t’aggie visto mai chiagnere.” Lei risponde così: “ Perche dovevo chiagnere? Che motivo avevo? Si piange quando si conosce il bello delle cose e non si può avere, non si può raggiungere. Io in trent’anni non ho mai conosciuto niente che valesse la pena di rimpiangere.”

                Ecco, questa è, secondo me, l’unica e vera definizione della parola “felicità”. Una coppia aspetta un figlio che non ne vuol sapere di essere concepito. Poi, come in un miracolo, lei mette al mondo un bambino. Questa è felicità. Questo è un motivo per piangere di gioia.

                Un a persona cara ha condiviso con noi la vita. E’ stata parte di noi. Abbiamo riso insieme, sofferto insieme. Adesso è malata e può lasciarci da un momento all’altro. Ma non succede. Si riprende, anche se lentamente, è di nuovo con noi. Ride con noi. Soffriamo insieme a lui. Non possiamo più fare certe cose che facevamo prima, ma è ancora con noi. Questa è la felicità.

                La felicità non è comperarsi l’ultimo modello ti televisore al plasma, o l’ultimo modello di automobile. Tanto quell’ultimo modello domani non lo sarà più. Allora cercheremo di avere qualche cosa di diverso da quello che abbiamo. Ma non è felicità questa.

                Felicità è vedere un bambino che ride contento. Un vecchio che abbraccia il nipote. Un medico che ti dice: “E’ andato tutto bene”.  Felicità è riuscire ad essere se stessi con se stessi e con gli altri. Essere stimati, compresi, considerati. Felicità è una partita di pallone sulla spiaggia e poi un tuffo per togliersi la sabbia dagli occhi. Felicità è un bacio dalla persona amata. E’ un sorriso da chi non conosci. Una carezza quando tutto sembra crollarti addosso.

                Non tutti riescono ad essere felici. Il più delle volte non lo sono perché la felicità che vorrebbero avere, quasi la pretendono. Come se fosse una cosa che spetta loro di diritto. Non si rendono conto, costoro, che, invece, come tutte le cose belle, è difficile essere felici.

                Un altro personaggio di Fellini, un saggio prelato nel film Otto e mezzo, dice al giovane regista che va in cerca di se stesso: “Figliolo, chi ti ha detto che hai diritto ad essere felice?”

                Enrico

 
 
 

CARO IL MIO DIARIO 57

Post n°316 pubblicato il 11 Gennaio 2011 da enca4

               Caro il mio Diario,

quanti giorni sono passati dall’ultima volta che ti ho scritto? Da allora è finito un anno pieno di avvenimenti e ne è iniziato un altro pieno, al momento, di speranze. Ma io non voglio vivere con la speranza di poterlo fare. Vorrei, come tutti, avere la certezza di poter vivere, di poter essere, almeno in parte, quello che ero fino a qualche anno fa.

                Non posso certo dire che potrei tornare a giocare a pallone, o a fare maratone. Per queste cose, purtroppo, il mio tempo è passato. Ho altre cose che comunque sono ancora alla mia portata. Dialogare con gli amici, leggere, scrivere, passare una nottata a giocare a Scala Quaranta, passare una notte in riva al mare a pescare per poi tornare a casa la mattina senza aver preso nulla.

                Piccole cose, come vedi, ma importanti perché mi darebbero la possibilità di sentirmi ancora vivo e vitale. Utile a me e agli altri.

                Vorrei parlare di arte e letteratura, vorrei poter parlare di politica guardando in viso chi mi sta davanti. Vorrei poter dare il mio contributo, anche se minimo, occupandomi dei problemi delle persone in difficoltà.

                Piccolezze.  Tanto piccole, ma tanto importanti per me. Una persona deve avere qualche cosa da fare, sempre. Un uomo non può, non deve, come ho fatto io, lasciarsi condizionare negativamente, anche se il condizionamento deriva da uno stato fisico deficitario. Un uomo, e quando dico uomo non intendo “l’uomo” nel senso di maschio, deve tirare fuori la grinta al momento opportuno. Non deve, l’essere umano, lasciarsi abbattere dalle difficoltà, qualunque esse siano. Se lo fa ha perso in partenza qualsiasi battaglia.

                Caro amico fedele, quello che sto dicendo me lo avrai sentito dire decine di volte e, sempre sono poi tornato ad essere pessimista  e, a volte, addirittura catastrofico sulle conseguenze che la mia mente prima  elabora poi proietta come se fossero scene di un film dell’orrore. Niente di più sbagliato che questo.  E’ come assistere, impotenti, al film che rappresenta la propria fine.

                Adesso credo di aver capito una cosa importante, e cioè che qualsiasi cosa possa riservarmi la vita in futuro, non posso certo essere io a poterla cambiare o migliorare. Posso però fare una cosa, peggiorare quanto mi è stato concesso.

                Una volta una persona mi chiese: “Conosci la differenza che c’è tra la vita e un paio di mutande?” Io lo guardai stupito, non trovavo un nesso tra il vivere e le mutande. Ci pensai abbastanza per dirgli che no, non lo conoscevo. Lui, sorridendo, mi disse: “ Nessuna differenza. La vita, come le mutande, puoi tingerla dei colori più sgargianti che puoi immaginare, ma puoi anche tingere ambedue di nero. La puoi accorciare, come puoi accorciare le mutande. Una cosa non puoi fare ne alla vita, ne alle mutande, non puoi allungare le mutande perché non hanno orlo sufficiente, ne puoi allungare la vita perché non ti è concesso farlo.”

                Hai capito amico mio la profondità di quello che mi disse quella persona?  E allora, se non posso allungare la mia vita, tanto vale che la renda colorata per quanto ancora mi è concesso viverla.

                A presto, amico mio.

                                                                                                              Enrico

               

 
 
 

ADDIO PICCOLO EROE

Post n°315 pubblicato il 11 Gennaio 2011 da enca4

               … Bologna è stata chiamata in tanti modi diversi: la dotta, per via della sua università, la grassa, per la cucina, la galante, perché  ci si trovarono bene tutti i viaggiatori, come Boccaccio, o il dissoluto marchese di Sade, e gli studenti che vi arrivano da ogni parte; io preferirei: la umana, per la sua gente, laboriosa e tollerante, epicurea e devota della Beata Vergine di San Luca. “Bologna è bella” scriveva Giosuè Carducci. “Gli italiani non la ammirano quanto merita: ardita, fantastica nella sua architettura trecentesca e quattrocentesca.” Cob i suoi edifici rossi, con i 45 chilometri di portici costruiti per la comodità degli uomini, per proteggerli dalla pioggia e dal sole, per permettergli di camminare e discutere.

                Quanto ho riportato qui sopra è uno stralcio di ciò che ha scritto quel grande Maestro di scrittore e giornalista che è stato Enzo Biagi nel suo libro. “I come Italiani.”

                Quello che scrivo adesso è il titolo, a cinque colonne, che il Messaggero ha fatto oggi a pagina 11:

Bologna, neonato muore di freddo:

dormiva per strada con la mamma.

                Tutti voi siete sicuramente a conoscenza di questo fatto così triste e doloroso avvenuto sei giorni fa, ma che solo ieri ne è stata data notizia.

                Il Messaggero dice ancora: “… un neonato, figlio di italiani, non può morire così. Soprattutto nei giorni delle feste, dello shopping, delle luminarie.”

                Io, e come me, credo anche tutti voi, affermo, invece, che nessun neonato deve morire così, in nessun periodo dell’anno, con o senza luci. Un bambino deve vivere. Un bambino di due barboni deve essere considerato, ancor di più, un bambino di tutti noi. Tutti noi, gente che ha un tetto sulla testa, che si è potuta permettere il panettone e lo spumante per festeggiare la fine dell’anno, che ha speso anche solo 10 Euro per una cena di Natale, tutti noi siamo responsabili di questa morte.

                Ne è responsabile chi avrebbe dovuto, anche con la forza, obbligare i due genitori ad andare a vivere nell’immobile che era stato messo loro a disposizione. Ne sono responsabili le istituzioni tutte.

                Adesso che Devid non c’è più, le così dette “persone per bene”, quelle che non mancano mai alla messa domenicale, quelle che pur di far notare agli altri il loro stato sociale, indossano la pelliccia di visone anche il giorno di ferragosto, adesso, dicevo, queste persone rilasciano commenti ed interviste a giornali e televisioni, usando un tono indignato e falsamente altruista.

                Io, invece, ho pianto e pregato per il piccolo Devid. Ma lo ho anche ringraziato per il suo sacrificio, perché di sacrificio si tratta. Devid aveva un gemello e una sorellina di un anno e mezzo. Aveva un padre ed una madre che lo amavano e che avevano paura di perderlo se avessero accettato l’aiuto offertogli di una casa. Devid si è sacrificato per il bene dei suoi cari. La sua morte, spero, possa aiutare i suoi fratelli e i suoi genitori a poter condurre una vita futura normale e felice.

                Adesso tutti noi sappiamo quale era il disagio di quella famiglia. Sappiamo anche che ancora devono, loro che sono ancora tra noi, combattere contro le privazioni, la miseria e la povertà. Adesso hanno bisogno veramente del nostro aiuto.

                Altrimenti il sacrificio di Devid a che cosa sarebbe servito?

                Enrico

 
 
 

A PRESTO

Post n°314 pubblicato il 09 Gennaio 2011 da enca4

                Da domani, Lunedì 10 Gennaio, per qualche giorno difficilmente sarò presente sul blog perché devo ricoverarmi in ospedale per qualche giorno.

                I medici mi hanno consigliato di farlo in modo da poter effettuare un controllo approfondito sulla mia malattia ed eventualmente trovare soluzioni per quanto riguarda il dolore continuo che ho e per verificare il grado di avanzamento del mio inquilino.

                Il tutto dovrebbe risolversi nell’arco di pochi giorni e, se potrò farlo, cercherò di collegarmi con voi.

                Spero di avere notizie positive che non mancherò di comunicarvi.

                Aspettatemi, che torno presto.

                Enrico

 
 
 

SPERARE NON COSTA NULLA ...

Post n°313 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da enca4

                 In questa Italia dove non c’è una cosa che è una che non scenda sempre più in basso; dove, per esempio, non si vende più una macchina italiana; dove la credibilità a livello internazionale del nostro beneamato Presidente del Consiglio è scesa ai minimi storici; dove le pensioni, come gli stipendi, perdono giornalmente una buona parte del loro potere d’acquisto; dove … e potrei continuare all’infinito, una cosa tende a salire sempre più in alto: la disoccupazione giovanile.

                “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro …”, queste sono le prime parole riportate nella nostra Costituzione. Fra un po’ di tempo dovremo, per forza di cose, cambiarle, e scrivere che l’Italia è una Repubblica (democratica non lo è più da molto) fondata sulla disoccupazione.

                Il 28,9% dei giovani è alla ricerca di un lavoro. E’ questo la percentuale più alta dal 2044 ad oggi. C’è da vantarsi di come vanno le cose, vero? E pensare che qualche tempo fa il mini-ministro Brunetta chiamò “bamboccioni” i giovani che, a 30 anni, vivono ancora in casa con i genitori. E dove vuole che vadano? Per strada?

                Sotto i ponti i nostri ragazzi non possono andare perché sono tutti già occupati da extra comunitari senza un tetto. Gli archi del Colosseo non sono praticabili, in quanto potrebbero crollare da un momento all’altro (vista la fine che sta facendo Pompei …). I portici delle vie nei centri storici sono anche loro già occupati da poveri disgraziati senza alcuna dimora. Dove li mandiamo, allora i nostri ragazzi?

                Potremmo istituire di nuovo la leva obbligatoria, così almeno per un anno, avranno una occupazione. Potranno andare in missione nei Paesi dove, giornalmente, ci sparano addosso.

                Insomma, i nostri politicanti che cosa hanno in mente di fare per risolvere, almeno in parte questo gravissimo problema? E’ mai possibile che non si riesca ad incentivare, almeno fiscalmente, le aziende private in modo che il mercato del lavoro possa riprendere quota?

                Forse non ci rendiamo conto che se i nostri giovani non lavorano non guadagnano, e se non guadagnano, nemmeno spendono. E se non spendono le aziende non vendono e se non vendono neanche assumono nuovi lavoratori.

                E’ una catena. Le aziende non assumono, vendono sempre di meno, molte chiudono i battenti contribuendo così ad aumentare sempre più il numero dei disoccupati in cerca di lavoro.

                Di promesse ne sono state fatte tante.  Alle promesse dovevano seguire i fatti, che non ci sono stati.

                La nostra maggiore azienda, la FIAT, ha ricattato platealmente, per mezzo del suo maggior esponente, Marchionne, sia i lavoratori che lo Stato italiano. D'altronde lo ha sempre fatto. Per anni tutti noi che paghiamo le tasse, abbiamo pagato anche mesi e mesi di cassa integrazione ai dipendenti FIAT. Loro, i dipendenti, non centrano per niente in tutto questo. Certo è che Gianni Pecori quando si trattava di spendere miliardi per l’acquisto di qualche giocatore di calcio per la sua Juventus, non si tirava certo indietro. Tanto gli stipendi FIAT li pagavamo noi tutti.

                Continuiamo a sperare che succeda qualche cosa che inverta questo stato di cose. Il fatto è che, come dicevano i nostri vecchi “chi di speranza vive, disperato muore”.

                Enrico

(pubblicato anche su: caen6 - il mio nuovo blog

 
 
 

RICOMINCIAMO?

Post n°312 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da enca4

                Sono molti i giorni che sono assente. Anche adesso sto facendo una fatica enorme per scrivere. La mia non è una fatica fisica, quanto mentale. Nei giorni passati ho pensato molto all’utilità che mi può dare il far parte, virtualmente, di una collettività della quale non conosco volti, pensieri, gusti, voci.

                Sinceramente debbo dire che non era questa la mia massima aspirazione. Io, caratterialmente, sono portato ad instaurare rapporti molto stretti, quasi intimi, con le persone che conosco. Sono portato,e di questo ve ne sarete accorti, a parlare molto di me, senza nascondere nulla. Senza aver timore del giudizio degli altri.

                Il mio modo di comportarmi non nasconde  secondi fini, non è dettato dal voler essere lodato o vezzeggiato perché ho il coraggio di dire tutto ciò che mi riguarda. Sono così e basta.

                Oggi, dopo molto insistere da parte di Fly, ho voluto scrivere di nuovo nel mio blog. Vorrei però avere un rapporto diverso con tutti voi. O meglio, con tutti coloro che vogliono averlo.

                Quando il 15 Febbraio dell’anno passato aprii il mio blog, lo feci solo per passare un po’ di tempo in modo diverso dal solito. Mi venne spontaneo, allora, parlare di me e dei problemi che mi affliggevano. Problemi di salute, di cuore, economici. Tutte cose che trovano dimora non solo in me, come erroneamente credevo, ma anche nella maggior parte delle persone.

                La mia prima amica fu Paola, e tutt’ora è ancora amica mia. Paola non ha mai mancato di spendere una parola buona nei miei confronti, ma, nello stesso tempo, non mi ha mai risparmiato critiche e rimbrotti. Non potete immaginare nemmeno lontanamente quanto io sia contento del comportamento che lei ha avuto nei miei confronti. Non immaginerete mai quanto mi sia stata utile. Come lei, altre amiche ed amici (Silvana, Simonetta, ecc), mi hanno aiutato molto a superare, o almeno a mitigare, problemi, incertezze, e preoccupazioni con la loro presenza e con la loro tolleranza nei miei riguardi.

                Di qualcuno di voi ho il telefono, qualche volta, anche se raramente, ci sentiamo. Abbiamo così modo di, se non altro, parlare con la bocca e non  con una tastiera ed uno schermo.

                Vorrei questo. Vorrei poter essere, qualche volta, “sentito” e non “letto”. Mi fate continui elogi al mio modo di scrivere. Non ho capito, però, se elogiate il contenuto del mio scrivere, o il modo in cui io metto nero su bianco. C’è stata una volta che, di proposito, scrissi un post con evidenti errori di sintassi e con qualche errore grammaticale. Ebbene, qualcuno di voi, ebbe il coraggio di lodare oltre che il contenuto del post, anche il modo in cui lo avevo scritto.

                Questo a me non piace. Ho sempre detto, e lo ribadisco, che le critiche a me servono. Mi aiutano a crescere, a migliorarmi, dandomi così modo di riflettere e di capire dove e come ho sbagliato. E questo vale sia quando scrivo un post qualsiasi, che quando, aprendomi a voi, mi attendo consigli, suggerimenti, giudizi, anche se negativi.

                Un’ultima cosa. Io non riesco proprio a chiamarvi con il nome che avete adottato. Non mi riesce, è più forte di me. Quando mi mandate un messaggio, quando commentate un mio lavoro, vi prego, firmate con il vostro vero nome. Mi piace credere e pensare, che dall’altra parte, c’è qualcuno in carne ed ossa come me.

                Enrico

 
 
 

A TUTTI GLI AMICI

Post n°311 pubblicato il 02 Gennaio 2011 da enca4

DA OGGI, 02 GENNAIO 2011, HO APERTO UN NUOVO BLOG: "PIOVE, GOVERNO LADRO".

SAREI MOLTO CONTENTO SE POTESSI AVERVI COME AMICI ANCHE SUL MIO NUOVO LAVORO.

GLI ARGOMENTI CHE CERCHERO' DI TRATTARE NEL MIGLIORE DEI MODI, VANNO DAL SOCIALE, ALLA POLITICA; DAI SOPRUSI CHE SIAMO COSTRETTI A VOLTE A SUBIRE, AL VOLONTARIATO, ECC.

SPERO CHE MI AIUTERETE CON VOSTRE SEGNALAZIONI A PORTARE AVANTI QUESTO IMPEGNO CHE SICURAMENTE, INSIEME A VOI, SARA' MOLTO PIU' FACILE PER ME MANTENERE.

GRAZIE.

Enrico

 
 
 

IO NON BUTTO NIENTE DALLA FINESTRA

Post n°310 pubblicato il 28 Dicembre 2010 da enca4

               Fino a qualche anno fa c’era ancora la brutta usanza di gettare  dalla finestra, la mezzanotte del 31 Dicembre, qualsiasi cosa vecchia, rotta, o comunque non più utilizzabile. Era una brutta e incivile abitudine che, per fortuna, con il passare degli anni è andata via via scomparendo, anche se non del tutto.

                Quest’anno io voglio gettare via, non dalla finestra ma dalla mia mente, tutto ciò che di negativo ho accumulato, messo da parte, conservato.  Mi sono reso conto, finalmente, che tenere tutta “questa roba vecchia” nella soffitta del proprio cervello, è uno spreco di spazio e di energie mentali. Mi sono anche reso conto che tante cose sono riposte lì da anni e che è arrivato proprio il momento di una bella pulizia.

                Ho aperto la porta della mia soffitta e la prima domanda che mi sono posto è stata: “Da dove inizio?” I cassetti, le scatole, i bauli da aprire sono tanti e, sicuramente, la parte più difficile è quella di decidere cosa buttare e cosa salvare.

                C’è, sulla mia destra un baule molto grande, scuro di colore. Un lucchetto, aperto, pende dal coperchio. Significato che qualche volta è stato aperto, anche se inconsapevolmente. A sinistra ce n’è un altro, dello stesso colore del primo, ma non ha un lucchetto. Ho deciso di lasciarli per ultimi.

                Ho deciso, inizio dai cassetti, sono piccoli e pertanto, spero, che contengano cose leggere e facili da sopportare.

                Apro il primo con un po’ di timore e invece mi accorgo che non ho motivo di aver paura del suo contenuto. Contiene il ricordo di un paio di giornate allegre passate a passeggiare con un mio amico sul corso principale di Perugia. Un gelato, qualche sigaretta di troppo, parecchie occhiate alle gambe di belle ragazze.  Non conviene buttare via queste cose. Le voglio conservare. Ogni tanto voglio tirarle fuori e riguardarle, ridere un po’.

                Il cassetto sottostante, invece, contiene qualche cosa che non sapevo neanche di aver riposto. E’ una frase che, più di quattro anni fa, mi disse un medico dopo avermi visitato: “Se fossi in lei, farei dei controlli più approfonditi.” Gli avessi dato retta, forse adesso …

                Apro un altro cassetto e mi torna alla mente un pomeriggio del Luglio del 2006. Ero seduto, come facevo ormai da tanto tempo, in una panchina. Era il periodo di Umbria Jazz, ma non avevo motivo di essere allegro, tutt’altro. Una ragazza, Barbara, che poi sarebbe diventata mia amica, si fermò davanti a me e dopo avermi guardato a lungo prese da un mazzo di disegni che aveva in mano un foglio dove aveva disegnato un mandolino che sovrastava una mezza luna e me lo diede dicendomi: “Ti ho visto nei giorni passati sempre seduto qui. Si vede che sei triste. Tieni, voglio farti un regalo.” Detto questo andò via. Io guardai il disegno, girai il foglio e dietro c’era scritto. “La solitudine scoppia a tratti nella mente … ma si dissolve nella quiete dell’anima. Barbara.” Com’era possibile? L’avevo vista con i miei occhi prendere quel disegno, fra i tanti, senza guardare, così, a caso. No! Questo ricordo, come il disegno, non posso proprio buttarlo via.

                Continuo ad aprire cassetti, scatole, scatoloni. Tante cose sono da conservare con cura. Il sorriso di mio figlio. Il suo primo lavoro al computer. I ricordi di mio padre e mia madre. Le serate con gli amici, con i parenti.  Una gita a Torino con Fly. Le giornate a pescare insieme.

                Tante altre sono da gettare nel dimenticatoio. Le liti continue con colei che è stata mia moglie per tanti anni, il lavoro perso, la fatica per trovare una nuova occupazione. Le rinunce, i sacrifici fatti.

                Ogni cosa che torna alla mente viene da me catalogata; da una parte le cose da buttare via, dall’altra quelle da tenere, conservare nel miglior modo possibile.

                E’ stato un bel lavoro, fino adesso. Ora non mi resta che aprire gli ultimi due bauli. Sono pesanti entrambi. Non so cosa contengono, non li ho ancora aperti, e non ho il coraggio di farlo. Ho paura del loro contenuto. Però, se devo fare pulizia, devo avere la forza di andare fino in fondo.

                Apro, piano, il primo e di colpo torno indietro di dieci anni. Rivivo momenti felici vicino a colei che credevo potesse essere per me l’amore che avevo sempre sognato di incontrare. Ma poi, come uno sciame d’api impazzite, vengo sommerso da tanti altri ricordi che non avrei voluto rivivere. La scoperta di non essere amato, di aver dato tutto me stesso a chi, viceversa, non l’ha mai apprezzato. La speranza di un futuro felice che naufraga nell’indifferenza e nell’egoismo. Il sentirmi solo anche se fisicamente non lo ero.

                Ho chiuso di colpo quel baule. Tutte cose da buttare. Tutte cose che adesso, anche se solo per un attimo, mi hanno fatto male ricordarle.

                Guardo l’ultimo baule. E’ grande. Provo ad alzarlo ma non ci riesco. Con cautela, timoroso di quello che potrei trovarci dentro, alzo il coperchio senza guardare dentro.  Poi, sforzandomi, guardo. E’ vuoto. O meglio, dentro c’è un foglio di carta, solamente un foglio di carta. Come può essere così pesante un foglio di carta? Allungo la mano, lo prendo, lo porto vicino ai miei occhi e leggo le poche parole che contiene: “ Se hai trovato fino adesso tante cose pesanti da ricordare, ma lo hai fatto, senza paura, allora puoi vincere anche la battaglia più difficile, quella per la vita. Ce la puoi fare.”

                Chiudo piano il baule dopo aver riposto il foglio. C’è più ordine, adesso, nella mia mente, anche se ancora non ho buttato nulla. E poi, perché dovrei buttare via parte della mia vita? Sono fatti, avvenimenti che hanno fatto, e fanno, parte di me. Ho deciso di non buttare nulla. Voglio tenere tutto, ben conservato.

                Vorrà dire che quel vecchio vaso di coccio, che abbruttisce il mio tavolo in cucina, sarà il sacrificato la mezzanotte del 31 Dicembre.

                                                                                                                             Enrico

               

 
 
 

AMARE VUOL DIRE ....

Post n°309 pubblicato il 27 Dicembre 2010 da enca4

               Una mia amica nel commentare il mio ultimo post si chiede: “Si può essere così stupidi da donare tutto se stessi a chi non lo merita?”

                La risposta è si, è una risposta semplice anche se difficile da accettare.  E dirò di più, se vogliamo che il nostro sia vero amore non possiamo fare a meno di dare tutto quello che abbiamo, anche se poi ci accorgiamo che stiamo donando, o abbiamo donato, alla persona sbagliata. Altrimenti che amore è?

                Un missionario dona tutta la sua esistenza nel portare la voce di Dio a chi non la conosce. Lui sa che coloro ai quali si rivolge il più delle volte fanno finta di ascoltarlo perché così possono avere cibo, vestiario, cure mediche. Tutte queste cose lui, il missionario, le conosce, ma non si chiederà mai, in futuro, se quello che ha dato lo ha dato a persone meritevoli o meno. E così fa un volontario di qualsiasi associazione benefica. Anche lui si comporta come il missionario, non si chiede se ha fatto bene o meno nel dare il suo aiuto.

                Una persona che ama è guidata dalle stesse motivazioni che guidano il missionario o il volontario: dare amore per ricevere amore. Ma non sempre è così. Molte volte si incontra chi non merita il nostro amore. Chi ci prende in giro e che bada solo ai propri interessi. Tutto questo, però, fa parte del gioco della vita. Fa parte della partita dell’amore.

                E’ dura soffrire per amore. Si sta male, sia fisicamente che mentalmente. Ma è un dolore necessario, che ci aiuta a crescere. Non deve pero aiutarci a pensare che tutte le persone siano uguali a colui, o colei, che ci ha deluso.

                Tutti soffrono, prima o poi, per un amore sbagliato. Tutti noi abbiamo delle storie da raccontare. Storie che sembravano l’inizio di una favola e che, invece, si sono dimostrate, al termine, dei veri e propri incubi.

                Delusioni, fallimenti, sconforti sono quello che resta di un amore sbagliato. Sono delle sensazioni che comunque segnano il nostro essere. Le lacrime, i pianti, passano. Si dimenticano facilmente. Quello che resta dentro, e che fa più male, è il fatto di essere stati usati, non capiti. Questo fa male. Questo è difficile da ingoiare, da dimenticare.

                Però, con il tempo, tutto passa. Tutto esce dalla nostra memoria. E di un amore sbagliato, con il tempo, ricorderemo solo quello che è stato di buono, anche se poco.

                Jean de Meung, nel suo “Caratteri di amore, secondo ragione”, da del sentimento amoroso, una fantastica quanto allegorica serie di definizioni:

Pace è, l’Amore, ma litigiosa;

lite è, l’Amore, lite amorosa;

cuore sincero ma disleale;

è la follia più razionale;

è la ragione più forsennata;

è la speranza più disperata;

è la paura senza timore;

è sicurezza tutta languore;

……..

Animo tristo e generoso;

tanto dolore, lieto e gioioso;

instabilmente equilibrato;

esso è quel gioco non regolato;

piangere sempre, sempre gioire;

quiete penosa senza finire;

esso è l’inferno più delizioso;

il paradiso più doloroso;

…….

Uomo non trovi d’alto lignaggio,

ardimentoso, valido saggio,

forte ed ardito, tutto vigore,

che non si pieghi, sempre, ad Amore.

 

Enrico

 
 
 

GRAZIE SIMONETTA

Post n°308 pubblicato il 25 Dicembre 2010 da enca4

 

 

"Ho sopportato in silenzio sofferenze e grandi dolori
sono stata sconfitta dall'umiliazione
a volte ho rinunciato alla felicità per la serenità altrui
ho riempito il cuore di rimpianti
ho velato la vita di malinconia
mi sono chiusa nell'autocommiserazione
poi ho imparato a volare in alto, libera e leggera
mi sono lentamente spogliata di inutili sensi di colpa
ho accettato i miei errori prendendo atto dell'imperfezione dell'essere
ho lasciato che la pioggia lavasse le ultime lacrime
ho trasformato la fragilità in consapevolezza
ho raccolto pezzi di orizzonti per riempire gli occhi
mi sono tuffata nell'arcobaleno per riappropriarmi della spensieratezza
ho finalmente fatto pace con me stessa
e sono felicemente viva... nonostante tutto
Auguri! Simonetta

 
 
 

MILLE BATTAGLIE FANNO UNA VITA

Post n°307 pubblicato il 22 Dicembre 2010 da enca4

               Mi è arrivato, oggi, un messaggio da parte di una mia amica che dice tra l’altro: “Serena giornata anche se domani un mio amico dovrà affrontare la battaglia più dura della sua vita.” Voglio prendere spunto da queste parole per parlare delle battaglie che ognuno di noi, nessuno escluso, deve combattere, e sperare di vincere, nel corso della sua vita.

                Venire alla luce è la prima battaglia che dobbiamo affrontare. Fino a pochi minuti prima eravamo al sicuro nel grembo di nostra madre. Avevamo tutto ciò che ci occorreva. Ridevamo con lei quando lei rideva, piangevamo con lei quando lei piangeva. Nove mesi in un ambiente fatto su misura per noi, caldo, accogliente, lontano dai pericoli. Di colpo ci siamo trovati in un ambiente nuovo, sconosciuto, pieno di insidie. Volevamo restare li, dove eravamo, ma, nonostante i nostri sforzi, siamo stati costretti ad uscire, a vedere per la prima volta la luce.

                Io credo che questa sia la battaglia più difficile che ci troviamo ad affrontare. E’ la più difficile perché siamo indifesi, non capiamo cosa sta succedendo intorno a noi. Possiamo solo piangere (e guai se non lo facessimo), non abbiamo altro modo per far capire il nostro disagio.

                Man mano che cresciamo affrontiamo altre battaglie. Alcune ci vedono vincitori, molte ci vedono perdenti. Però con il crescere acquistiamo di esperienza, di personalità. Affrontiamo le difficoltà prendendole di petto, quando non se ne può fare a meno. Altre volte aggiriamo i problemi, riusciamo a non farli pesare più di tanto, e questo nonostante la loro complessità. Riuscire in questo vuol dire aver fatto esperienza del passato e di quello che ci è stato insegnato.

                I primi amori non corrisposti, la ricerca infruttuosa di un’occupazione. La famiglia da mantenere unita anche quando si ha voglia di mandare tutto e tutti a quel paese e cominciare da capo. Altre battaglie, altre vittorie, altre sconfitte.

                E poi il male. Il male che aggredisce sempre nel momento in cui si è più vulnerabili o quando non ce lo aspettiamo. Il male fisico che non ti permette di fare le cose più semplici. Il male mentale che non ha pietà di nessuno, che fa vivere nella paura, paura di non farcela, paura di vivere nonostante la voglia di vivere, paura del futuro e anche del passato che, molte volte, torna impetuoso come un vento di tramontana.

                E poi le battaglie affrontate per veder trionfare le proprie idee, le proprie convinzioni.  I compromessi a cui tutti noi, prima o poi, dobbiamo sottostare.

                Le battaglie che tutti noi genitori giornalmente affrontiamo per il bene dei nostri figli o per far capir loro quanto sia importante seguire gli insegnamenti che possiamo dargli. Anche queste, il più delle volte, sono battaglie perse in partenza.

                Eppure continuiamo a lottare. Eppure non ci lasciamo sconfiggere tanto facilmente. Specialmente quando sappiamo che stiamo combattendo una battaglia giusta.

Combattiamo tutta la vita conto il tempo che, inesorabile, passa per tutti nello stesso modo. Un minuto è fatto di sessanta secondi sia per il ricco che per il povero. Eppure vorremmo sconfiggere l’avanzare dell’età. Vorremmo avere l’elisir di lunga vita, ma lo vorremmo solo per noi, ma non è possibile imbrigliare il tempo, fermarne gli effetti.  

                Per ultima, la morte. E’ l’ultima nostra battaglia. Cerchiamo di sconfiggere la comare secca in tutti i modi. Vorremmo vivere per sempre, a dispetto di quanto, invece, è già stato stabilito. Questa, forse, è l’unica battaglia che non perdiamo. Non vinciamo, ma nemmeno perdiamo.

                Tutti noi, uomini o donne, coraggiosi o vigliacchi, giovani o vecchi, passiamo la nostra vita a combattere. A volte il nostro nemico è li, visibile. Facile da contrastare. Altre volte, invece, il nemico si nasconde, si cela dietro maschere che mai ci sogneremmo possa adoperare. Molte volte il nemico si nasconde dietro il volto del nostro miglior amico. Dobbiamo mettere in conto tutto questo. Fa parte della vita. Guai se non fosse così.

                                                                                                                             Enrico

 
 
 

CARO GESU' BAMBINO

Post n°306 pubblicato il 21 Dicembre 2010 da enca4

Caro Gesù Bambino,

quando da bambino, insieme a mia madre, scrivevo la tradizionale letterina di Natale a te indirizzata, la riempivo di promesse e buoni propositi per il futuro. Promesse e propositi che poi, lasciavano il tempo che trovavano, ero un bambino e come tutti i bambini le promesse si infrangevano inesorabilmente davanti ad una marachella.

                Adesso, alla mia età, ho sentito il bisogno di scriverti di nuovo non per chiederti qualche cosa che potrebbe farmi piacere poter avere, ma perché, secondo me, tu non sei più presente come una volta, ed allora ho pensato che forse una volta ogni tanto, anche a te fa bene ricevere una sturatina di orecchie.

                Mettiamo subito in chiaro una cosa, e cioè che quello che ti dirò non mi vede protagonista, ma solo cronista e, come tale, ti metterò al corrente di fatti ed avvenimenti che avvengono  ormai quotidianamente in questo povero e mal utilizzato, da parte nostra, mondo.

                Permettimi anche di criticare la tua organizzazione. Sono certo che hai dei collaboratori i quali ti aggiornano, o almeno dovrebbero farlo, su quanto accade sul pianeta Terra. La critica riguarda proprio il fatto che sicuramente non tutto ti viene detto, altrimenti non si spiega il perché certi fatti, certi avvenimenti, hanno sempre gli stessi attori. Chi soffriva prima, continua a soffrire. Chi invece stava bene, continua a star bene, chi era ricco prima, adesso lo è di più. Non vedo equità in tutto questo.

                Quando diventasti maggiorenne e giravi per la Palestina insieme ai tuoi discepoli, dicesti un giorno che il Regno dei cieli era di chi soffriva. Questa tua affermazione avrebbe dovuto, almeno sulla carta, mitigare le sofferenze degli ammalati, di chi non ha da mangiare, di chi vive in paesi perennemente in guerra, di chi non ha il lavoro che gli permette di sfamare i propri figli. Vai tu a raccontarlo ad un bambino che sta morendo e che, invece, vorrebbe vivere e giocare come tutti i bambini. Diglielo tu al suo papà e alla sua mamma. Io non ne sono capace.

                Un’altra volta, almeno così riportano le cronache dell’epoca, scacciasti i mercanti dal Tempio. Prova a farlo adesso. Prova ad andare nei luoghi di preghiera visitati da migliaia di persone al giorno e ti accorgerai che la Chiesa stessa è diventata un mercante.

                Portasti con te in Paradiso uno dei due ladroni che ti stavano ai fianchi. Si era pentito di quello che aveva fatto ed era giusto che avesse il giusto premio. Sai quanti ladroni ci sono adesso? Li vediamo ogni momento in televisione; ne leggiamo le gesta sui giornali. Occupano cariche pubbliche, guadagnano fior di soldi senza far niente per il popolo. Eppure tutto questo non gli basta. Vogliono sempre di più. E non si fanno scrupoli su come ottenerlo. Nessuno di loro si è mai pentito di quello che ha fatto, anzi, continua a farlo.

                Tu perdonasti dei suoi peccati Maria Maddalena. Ma lei ti ripagò seguendoti fino alla fine. Adesso le chiamano “escort”, ma nessuna di loro ti seguirebbe.

                Dicesti a Pietro: “Prima che il gallo canti tu mi rinnegherai tre volte.” E Pietro ti rinnegò tre volte. Adesso rinnegare il proprio passato, le proprie idee, i propri fini è diventato lo sport nazionale. E nessuno se ne stupisce più di tanto.

                Dicesti anche che “E’ più facile che un cammello passi nella cruna di un ago, che per un ricco guadagnare il Paradiso.” Io penso che la corruzione sia arrivata a livelli talmente alti che il Paradiso  è pieno di ricchi. Se fossi in te controllerei i miei collaboratori. Vuoi scommettere che qualcuno di loro è proprietario di qualche casa a Montecarlo e neppure lo sa?

                Oggi ho saputo che la nipotina di cinque anni di un mio caro amico è, forse, malata di celiachia. Ti chiedo: “Perché?” Tra tutte le persone che meriterebbero veramente di essere castigate per il loro comportamento, tu vai a far soffrire una bambina di cinque anni. E quanti ce ne sono di bambini che soffrono. Quanti ce ne sono che non conoscono il Natale, che non hanno ricevuto mai un regalo, che hanno passato la maggior parte della loro breve vita nel dolore, nelle privazioni, nella miseria.

                Sai che inizio a dubitare della tua misericordia? Sai che non credo più, come una volta, alla tua giustizia?

                Non sono blasfemo, non ti sto bestemmiando.  Mi sono solamente sorti dei dubbi. Dubbi che vorrei non avere in un momento della mia vita molto difficile.

                Tutti dicono: “Bisogna aver fede. Bisogna credere fermamente.” Non è facile. E’ la cosa più difficile da fare, specialmente quando le difficoltà, le traversie, le avversità sono talmente tante e talmente grandi che è impossibile poterle sopportare.

                Ci sono riusciti in pochi, e quei pochi sono stati riconosciuti Santi. Io, invece, di Santi non ne conosco. Non ne vedo in giro. Non conosco nessuno capace di rinunciare a qualche cosa per il bene degli altri. Capace di sopportare il dolore, e non solo quello fisico, con il sorriso sulle labbra. Capace di essere umile tra gli umili in un mondo dove regna l’arroganza e la prepotenza.

                Buon Natale anche a te, Gesù Bambino. Spero che tu non ti senta offeso per questa mia lettera forse un po’ irriverente, ma giusta nei contenuti.

                                                                                                                             Enrico

                 

 

 
 
 
 
 

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