Creato da enca4 il 15/02/2010
PENSIERI E PAROLE
 

W. Allen

NON E' CHE HO PAURA DI MORIRE.

E' CHE NON VORREI ESSERE LI'

QUANDO QUESTO SUCCEDE.

W. Allen

 

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Citazioni nei Blog Amici: 39
 
 

CANZONE

Che giorno è

E' tutti i giorni

Amica mia

E' tutta la vita

Amore mio

Noi ci amiamo noi viviamo

noi viviamo noi ci amiamo

E non sappiamo cosa sia la vita

Cosa sia il giorno

E non sappiamo cosa sia l'amore

Jacques Prévert

 

I ragazzi che si amano si baciano

In piedi contro le porte della notte

I passanti che passano se li segnano a dito

Ma i ragazzi che si amano

Non ci sono per nessuno

E se qualcosa trema nella notte

Non sono loro ma la loro ombra

Per far rabbia ai passanti

Per far rabbia disprezzo invidia riso

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Sono altrove lontano più lontano della notte

Più in alto del giorno

Nella luce accecante del loro primo amore.

Jacques Prèvert

 

DALLA - CANZONE

 

N. de Chamfort

CHE COSA DIVENTA UN PRESUNTUOSO

PRIVO DELLA SUA PRESUNZIONE?

PROVATE A LEVAR LE ALI AD UNA FARFALLA:

NON RESTA CHE UN VERME.

N. de Chamfort

 

GLI APOSTOLI DIVENTANO RARI,

TUTTI SONO PADRETERNI

A. Karr

 

 

YARA

Post n°345 pubblicato il 27 Febbraio 2011 da enca4

Yara è morta! Benedetta sia Yara.

Yara è stata uccisa! Sia maledetto per sempre chi lo ha fatto!

Tredici anni, ancora un’intera vita da vivere, da gustare, da godere, forse anche da detestare qualche volta, ma, comunque, ancora una vita da trascorrere.

Fare sport, crescere, diventare mamma, nonna, tutto questo a Yara è stato negato. E’ stato negato nel nome della violenza, mai giustificata. Sia essa una violenza che proviene da mente assassina, o da mente malata. In tutti e due i casi, sono due menti che non hanno diritto di vivere con tutti noi, persone normali.

Nessuno di noi deve essere giudice degli altri, nessuno di noi ha la facoltà di assolvere o condannare un suo simile. Solo chi è più in alto di noi può farlo, e deve farlo, e lo farà sicuramente. Ma l’indignazione, la rabbia, lo sdegno di fronte ad un simile delitto travalica ogni qualsiasi proposito.

Il suo giovane corpo è stato violato, oltraggiato, offeso. La sua gioventù non è stata sufficiente a salvarla da colui che, i più, chiamano orco, ma che io chiamo semplicemente assassino.

Non è la prima Yara a morire. Quante Yara, maschi o femmine, non ci sono più? Quante Yara, ancora, dovremo veder morire?

Dio, se ci Sei, se Sei veramente così giusto, è questa la Tua giustizia? Così amministri il Tuo immenso potere? Ma forse tu, Dio, non esisti, non Sei mai esistito. Sei, forse, una leggenda a cui, noi esseri umani, crediamo perché ci fa comodo. Perché in casi come questo ci fa dire: “Io che potevo farci? Era compito di Dio …”

                                                                                                              Enrico

 
 
 

C'E' UN SEGRETO DIETRO LA MORTE?

Post n°344 pubblicato il 25 Febbraio 2011 da enca4

           Vorrei conoscere il segreto della morte, ma so che per poterci riuscire devo prima conoscere la vita. Vorrei conoscere il segreto della vita, ma so che per poterci riuscire devo prima conoscere l’amore.

Vivere è amare. Morire è amare.  Qualsiasi cosa facciamo nella nostra vita, fin dal primo giorno di vita, è guidata da un atto d’amore. Così, come il bambino appena nato si avvicina al seno della mamma non solo perché può calmare la sua fame, ma perché quel seno è per lui uno strumento dove il suo amore e quello di sua madre si incontrano e si mischiano per sempre, anche morire racchiude un ultimo atto di amore. L’ultimo sguardo che un moribondo rivolge ai suoi cari è uno sguardo d’amore. L’ultimo pensiero che si ha un attimo prima di morire è un pensiero pieno d’amore verso chi lasciamo.

La vita e la morte sono una cosa sola. Nessuna delle due può prescindere dall’altra. Una madre penserà sempre al momento in cui suo figlio, come tutti, dovrà lasciare il suo spazio a qualcun altro. Lei, la madre, non ci sarà più, allora, comunque avrà il cuore pieno di tristezza al solo pensare che anche suo figlio un giorno dovrà morire.

E questo è amore.

Ho paura della morte. Ma forse, più che della morte, ho paura di ciò che troverò dopo, se ci sarà un dopo.  E, ancor più, ho paura che dopo la vita non ci sia più nulla, per nessuno di noi.

Forse, però, la morte non ha segreti. Certamente ha più segreti la vita che la morte. Forse la morte non nasconde niente di così terribile da metterci paura al solo pensiero di incontrarla. Se solo pensassimo a quello di negativo, di pesante, di greve che la vita ha destinato ad ognuno di noi, non avremmo paura della morte.

San Francesco la chiamava: “Sorella Morte”. Ma lui era San Francesco, mentre io sono un uomo solamente.

Gibran dice che solo se riusciremo a stare in pace veramente con noi stessi in vita, “danzeremo veramente” quando dovremo morire.

Allora il problema è vivere in pace con noi stessi?  E’ un problema grande da affrontare da soli. E’ un problema che ci porterà sempre a prendere decisioni sbagliate, che ci porterà a rifugiarci nelle cose futili ed inutili nella speranza che esse ci aiutino a raggiungere, in un modo o nell’altro, la felicità e, con essa, una nostra pace interiore.

Dovremmo essere più cattivi con noi. Non dovremmo, sempre, giustificare i nostri comportamenti, almeno non dovremmo autogiustificarceli. Non possiamo vivere pensando che noi, e solo noi, siamo i portatori della sola ed unica verità. Perché la verità la troveremo solo quando daremo la nostra mano a “Sorella morte”.

                                                                              Enrico  

 
 
 

LA TRANSUMANZA

Post n°343 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da enca4

Vi ricordate come diceva la poesia di Gabriele D’Annunzio: “La Transumanza”?

         Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare…

Mi è sorta una domanda: D’Annunzio, ai giorni nostri, a chi  avrebbe dedicato la sua poesia? Certamente non ai pastori d’Abruzzo,non ce ne sono più. Ma in compenso avrebbe avuto l’opportunità di dedicarla a chi ha fatto della transumanza la sua ragione di vita, anche se si tratta di vita politica.

In questo periodo c’è, in parlamento, un via – vai di onorevoli (che poi mica tanto onorevoli sono)che, senza ombra di rispetto per coloro che li hanno votati, passano dalle fila di un partito all’altro, per poi tornare al partito iniziale, con estrema facilità.

Facciamo qualche esempio: L’Onorevole Maria Grazia Siliquini giustifica il suo passaggio dal Pdl a Fli perche: “Perché nel Pdl le donne sono tutte delle veline”. La frase, detta da una donna acquista un significato particolare, non credete? Acquista un altro significato quando, prima del voto di fiducia del 14 Dicembre scorso dice: “Vado in bagno, mi guardo allo specchio e decido se tornare o meno con Lui, (chiaramente “Lui è il Magnifico, Munifico, ma anche mummificato Cavalier Silvio Berlusconi)”. Torna, accolta a braccia aperte, nel Pdl affermando che tra le varie cose che hanno influenzato il suo ripensamento c’è il fatto che ” le donne di Fini hanno preso tutte dalla sinistra, si sentono tutte colte”.

L’Onorevole (?) Luca Barbareschi, quando la Siliqui abbandonò il Fli disse che “Si tratta di un caso di corruzione politica”. Venerdì 18 Febbraio (tre giorni fa) l’Onorevole Barbareschi ha abbandonato Fini per approdare di  nuovo alla corte di Re Silvio 1° (sperando che dopo di lui non ce ne siano altri,come è successo in Francia con la famiglia dei Luigi, che sono arrivati a 18), anche se mascherata dall’appartenere al Gruppo Misto della Camera dei Deputati.. Per Barbareschi, quando lasciò il Pdl, Berlusconi era l’esempio vivente della “corruzione” e del “malgoverno”. Di colpo Re Silvio 1° è tornato ad essere una persona degna della massima fiducia, della cui onestà nessuno può e deve dubitare.

Ricordate Scilipoti? Lasciò l’Italia dei Valori perché “Di Pietro non mi risponde al telefono.” (Poteva provare con i segnali di fumo, con i tam – tam, con i piccioni viaggiatori, prima o poi si sarebbero certamente parlati).

L’Onorevole Guzzanti ha cambiato casacca almeno quattro volte. Fu lui, il Guzzanti, che coniò un nuovo termine: “Mignottocrazia”, riferendosi al tipo di politica che più piace a Re Silvio 1°. Adesso scrive di nuovo su “Il Giornale”, testata del  Gruppo a cui fa capo Berlusconi.

L’Onorevole Bocchino è antipatico a molti. Proprio l’antipatia che emana da ogni poro della sua pelle, ha portato alcuni esponenti del Gruppo di Fini, a tornare al caldo tra le braccia del loro amato Sire.

Poi c’è il fatto che siccome tra il Fli e la sinistra (c’è ancora una sinistra in Italia? Io non me ne sono accorto) si è instaurato un dialogo politico abbastanza concreto, mirato soprattutto a scalzare dal trono, indegnamente occupato, Re Silvio 1°, molti degli ex Pdl hanno preferito riempire di nuovo l’ovile berlusconiano, dove sanno di trovare stalla calda, paglia pulita e... mangiatoia piena.

Vogliamo mettere poi quanto sono importanti e quanto influiscono sulle scelte, i rapporti di parentela? Specialmente, poi, quando il parente è uno zio prete, come nel caso dell’Onorevole Roberto Rosso, Pdl – Fli – Pdl. “Ho uno zio salesiano e Re Silvio1° ha studiato dai salesiani.” Che nobile intento!

Poi ci sono motivi economico-culturali. L’Onorevole Razzi, ex dell’Italia dei Valori, è passato sotto la sponda pidiellina. Poveretto, ha un mutuo da pagare (e ancora sta aspettando che qualcuno provveda in tal senso), oltre che un libro da pubblicare, e chi se non la Mondadori, poteva garantirgli tanto?

Molti di questi personaggi (e tanti altri ancora che non ho nominato), per non dare nell’occhio hanno fondato un movimento che si chiama: “Iniziativa Responsabile”. Sono 22 transfughi che, dopo aver disertato una prima volta, lo hanno fatto di nuovo, vestendo una tuta mimetica. La cosa importante, però, è quella che, comunque come vadano le cose, loro appoggeranno l’attuale Governo. Alla faccia della responsabilità.

In poche parole, riprenderanno a fare i lecchini al loro Imperatore; così non dovranno fare politica, non essendone capaci, ma parteciperanno, intascando compensi extra, a qualche trasmissione radio televisiva. La pubblicità serve sempre. Hai visto mai che …

                                                                                   Enrico

 

 
 
 

VUOI LA GUERRA? E GUERRA SIA!

Post n°342 pubblicato il 20 Febbraio 2011 da enca4

Caro il mio cane nero,

                in amore e in guerra tutte le armi sono ammesse. Così recita un vecchio detto popolare ed io, che sono in guerra con te da ormai quasi cinque anni, da domani adopererò le armi che riterrò più appropriate per sconfiggerti una volta per tutte.

                Si, carissimo, perché ieri è tornato il mio Angelo. Manolo, l’Angelo che era andato a Cuba a trovare la sua famiglia e, con l’occasione, ha sprecato una giornata per potermi reperire quel farmaco, l’Escozul, di cui tanti parlano.

                Tu, in questi anni, nei miei confronti hai messo in campo tutte le tue risorse. Mi hai fatto male veramente. Hai distrutto la mia vita, il mio aspetto, la mia voglia di vivere. Adesso tocca a me. Adesso sono io che, oltre le tradizionali cure che continuerò a fare, ti aggredirò, ti affronterò, corroderò la tua forza. Ti sconfiggerò.

                Ho iniziato questa lettera chiamandoti “Caro il mio cane nero”. Ti ho chiamato caro perché tu, ormai, fai parte di me, sei un altro organo che è cresciuto dentro di me. Ma, a differenza degli organi che naturalmente abbiamo con la nascita, tu non hai niente di buono da offrirmi. Nonostante questo, però, mi sono quasi affezionato a te. Sembra quasi che io ti consideri come un fratello minore al quale, se ce ne è bisogno, qualche volta si parla in modo pacato cercando di fargli capire quanto inopportuna sia la sua presenza, altre volte invece è necessario adoperare le cattive maniere per essere rispettati.

                Tu non rispetti nessuno. Non hai pietà per nessuno. Hai detto bene l’altra volta, ti ricordi? Hai detto: “ Io devo fare il mio lavoro e cerco di farlo nel miglio modo possibile.” Fino adesso lo hai fatto, il tuo lavoro, e lo hai fatto talmente bene che nonostante le armi da me adoperate fino ad ora, ancora sei li, attaccato a me come una sanguisuga. Tu vivi delle sofferenze altrui. Sei un qualche cosa che succhia la vita agli altri per poter vivere. Sei un parassita. Ma, come tutti i parassiti, prima o poi trovano qualcuno che li schiaccia sotto i piedi.

                Non sono arrabbiato con te, credimi. Sono stanco di sopportare le tue angherie. Sono stanco di veder fuggire da me quello che, invece, mi farebbe piacere avere fino all’ultimo giorno della mia vita.

                Ho perso tanto, forse tutto, da quando abitiamo insieme in questo appartamento che è il mio corpo.  Hai preso possesso di me in modo subdolo, sleale. Non mi hai dato alcun avvertimento, prima di entrare. Non hai bussato alla mia porta. Forse l’hai trovata aperta per mia distrazione, e tu sei entrato. Adesso, però, basta. Adesso, però, inizia una nuova guerra tra te e me.

                Io, potrò anche perderla, questa guerra, anche perché non tutte le guerre si vincono. Ma il solo rubarti un minuto di vita a mio favore, sarà per me una vittoria. Qualche anno fa vidi un film, “Il ruggito del topo”. Tu non puoi averlo visto, o forse si, non lo so. L’interprete principale, ricordo, era Peter Sellers. Il film parla di un piccolo stato, che non è presente neanche sulle carte geografiche, che dichiara guerra all’America e la vince.

                Io sono il topo. Tu sei l’America. Io vincerò. Tu perderai.

                Non ci credi? Ricordati che pochi giorni fa ci siamo lanciati una sfida, raccolta da ambedue, ed io non sono affatto disposto a perdere. Ricordati un’altra cosa, la nostra sfida è come un incontro di pugilato, ma qui i colpi bassi sono permessi, anche perché non c’è un arbitro. Tra me e te chi perde non esiste più. Ed io ho ancora un po’ di cose da fare e non sarai certo tu ad impedirmelo.

                Alla prossima, cane nero, e che vinca il migliore.

                                                                                                                                             Enrico

 
 
 

AMORE

Post n°341 pubblicato il 20 Febbraio 2011 da enca4

Amore Amore  Amore  Amore Amore  Amore  Amore  Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore   Amore  amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore

Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore Amore …………………

 

……………… CHE PALLE……………..

 
 
 

CARO IL MIO DIARIO 3/11

Post n°340 pubblicato il 18 Febbraio 2011 da enca4

Caro il mio Diario,

                non se ne può più. La pazienza dell’Italia intera ha raggiunto il limite di sopportazione che,umanamente ci è possibile concedere.

                Tu, forse, non lo sai, ma noi, cittadini italiani, abbiamo, oltre che il 60% delle opere artistiche esistenti al mondo; oltre che il Papa con tutti i suoi annessi e connessi; oltre che un tasso di disoccupazione giovanile, e non solo, che metterebbe paura a paesi del terzo mondo; oltre che una inflazione dove, tra le varie cose necessarie a poterla calcolare, figura anche il salmone affumicato e i televisori al plasma da 50 pollici (come se un operaio che guadagna 1.200 Euro al mese con i quali deve mantenere tutta la sua famiglia, possa permettersi di pasteggiare a salmone tutti i giorni); e tante, ma tante altre cose che è preferibile io lasci stare da elencare, altrimenti non finisco neanche per il giorno di Pasqua, abbiamo, dicevo, la sfortuna di avere un Presidente del Consiglio un po’ puttaniere, oltre che bugiardo e portato, forse per natura, a fare e disfare ciò che a lui piace, l’importante che ne abbia un tornaconto personale.

                Tu, amico mio, dirai: “Ognuno fa quello che vuole. Specialmente tra le pareti di casa sua è padrone di se stesso e non deve dar conto a nessuno.”  Giusto quello che dici. Ma il tutto non rientra più nelle cose giuste quando, invece che essere splendido, generoso, prodigo di Euro, appartamenti, gioielli, macchine, spintarelle varie a belle ragazze, disposte a vendersi all’uomo più importante d’Italia, sapendo che non le lascia certamente insoddisfatte, avrebbe dovuto destinare i suoi averi a persone che, veramente, ne avrebbero fatto buon uso.

                In più mettiamoci il fatto che per timore di essere scoperto di aver avuto rapporti sessuali con una minorenne (che per quanto mi riguarda più che minorenne è una minorata psichica), ha inventato una alquanto improbabile parentela tra la stessa e il deposto dittatore dell’Egitto Mubarak. Il quale Mubarak, dicono, che sia gravemente malato, rischia la propria vita, ma non si capisce se il suo stato fisico è improvvisamente peggiorato dopo essere stato deposto, oppure di aver saputo troppo tardi di avere una nipote così disponibile.

                Non se ne po’ più. Basta! Non ne vogliamo più sentir parlare. Dovrà essere il Tribunale a decidere se il nostro Primo Ministro è o meno innocente dall’accusa di sfruttamento della prostituzione, anche minorile, e dall’altra accusa: concussione, ovvero, aver adoperato, per fini poco onesti, la propria autorità verso funzionari di polizia che avevano fermato la nipote (?) di Mubarak per il furto, ad una sua amica, di 3.000 Euro e di gioielli.

                Certo che la nipotina ha, alla sua età, un bel curriculum. Ha un così bel curri culum (scusate ma involontariamente ho messo uno spazio dove non dovevo), che le porte dello spettacolo le si sono aperte all’improvviso. Ha già fatto qualche serata in un paio di balere della bassa padania; ha partecipato come ospite d’onore ad una trasmissione televisiva per la “TV di San Crispino di Sotto” (anzi, sembra che gli abitanti di San Crispino di Sopra siano arrabbiati con la propria Tv locale per non essere stati loro i primi a scritturare la ragazza); ha rilasciato più di una intervista a giornali locali (L’urlo della Sera; Lo strillo del Mattino; La Bestemmia del Pomeriggio, ecc.), e adesso, aspetta solo la sua grande occasione. Quella che può veramente cambiare la sua vita. A lei e alle altre venti o trenta ragazze implicate nello scandalo.

                E’ inutile dire che l’occasione di “svoltare” è stata loro promessa dal Presidente del Consiglio, dopo aver sentito il parere dei suoi più fidati collaboratori (almeno per queste cose), Emilio Fede, Lele Mora, e la Minetti. Sembra, ma è pressoché certo, che quando il Presidente ha domandato ai tre suoi moschettieri, cosa avrebbe potuto fare per queste povere ragazze, in modo che, anche loro, avessero, come tutti noi, la possibilità di emergere, sia stato consigliato al Premier di presentare una proposta di legge in Parlamento che contempli la riapertura delle case di tolleranza, o, volgarmente, casini.

                Il premier ha subito messo in moto tutto il suo staff. Ha dato incarico ai propri consulenti di individuare aree appropriate, nelle città più importanti, dove costruire autentiche e vere case di lussuria. Ha incaricato le proprie Tv di studiare delle forme pubblicitarie tali che possano essere trasmesse a qualsiasi ora del giorno e della notte: “Tanto, mi consenta, i ragazzi di oggi sono molto più preparati di quelli della mia generazione”. Ha ipotizzato l’idea di una raccolta punti, mirata a premiare, secondo una scala ben precisa, gli acquirenti dei suoi giornali: !00 punti, corrispondono ad una sbirciatina; 500 punti, ad una toccatina;  1000 punti … basta mi fermo qui perché siamo in fascia protetta.

                A domani amico mio.

                                                                                                              Enrico

 
 
 

RICORDIAMOCI... DEI RICORDI

Post n°339 pubblicato il 17 Febbraio 2011 da enca4

                Una leggenda metropolitana racconta che lo struzzo quando ha paura mette la testa sotto la sabbia. In questo modo, non vedendo il pericolo, pensa che lo stesso non ci sia più. Mettere la testa sotto la sabbia vuol dire: dove non vedo, non c’è nemico.

                Sappiamo tutti, però, che non è così. Non dobbiamo credere che nascondendoci sparisca il pericolo. In realtà, se c’è, il pericolo acquista ancor più vigore, diventa ancor più temibile.

                Molti di noi, ed io per primo, nascondiamo la testa sotto la sabbia anche per le piccole cose. Abbiamo paura di confidarci, di svelare i nostri segreti, di farci vedere come in realtà siamo in quel momento.

                La cosa, però, la facciamo anche quando si tratta di ripensare al passato, a quello che è stato. Non possiamo mettere il passato in soffitta e far finta che non sia mai esistito. C’è stato, altrimenti non saremmo qui adesso. Ma se c’è stato bisogna pure che qualche volta venga da noi tirato fuori e consultato.

                Facciamo l’esempio di una enciclopedia. Il più delle volte la comperiamo solo per riempire il vuoto che abbiamo in una parete. Comperata l’opera, comperiamo anche una libreria. Montiamo il tutto, esponiamo i nostri volumi, i primi giorni li consultiamo, poi, ogni tanto li tiriamo fuori più che altro per togliamo la polvere che li ricopre. Poche volte li utilizziamo per lo scopo che hanno.

                La libreria è la nostra mente che contiene i volumi, che sono i nostri ricordi. Sarebbe giusto che se ho un dubbio relativo ad un qualsiasi argomento, oppure ho necessità di dissetare una mia curiosità, io consulti la mia enciclopedia. Nella stessa maniera se ho un problema, oppure se si riaffaccia, a distanza di tempo, un problema, io dovrei tornare indietro nel tempo e consultare i miei ricordi, l’enciclopedia che ho nel mio cervello.

                Il fatto è che, come gli struzzi, il più delle volte abbiamo paura del nostro passato. Abbiamo timore che possa prendere il sopravvento su il nostro presente. La paura di ricordare è una delle peggiori paure che si possa avere.  Non dovrebbe essere così. Il passato dobbiamo utilizzarlo quando occorre. Dobbiamo consultarlo se necessario. Non dobbiamo trattarlo come l’enciclopedia. Se le esperienze che abbiamo avuto, negative o positive che esse possano essere state, sono state assorbite dal nostro cervello, un motivo ci deve essere, altrimenti, come in un computer, esisterebbe il “cestino” dove buttare tutto ciò  che riteniamo non serva più.

                Il nostro cervello non ha il “cestino”. Il nostro cervello non getta niente. Specialmente i ricordi che, in qualche modo, hanno riguardato in modo significativo la nostra vita. Possiamo dimenticarci di un film visto molti anni fa; di un viso conosciuto così, per caso, ma non possiamo certo dimenticare le cose importanti.  Non dimenticheremo mai il primo amore, il nostro primo lavoro, il nostro esame di maturità, il nostro migliore amico. Questi ricordi  li custodiamo gelosamente dentro di noi.

                Sono altri i ricordi che, in qualche modo, cerchiamo, senza riuscirci, di cancellare dalla nostra mente e, il più delle volte, sono ricordi che riguardano momenti negativi del nostro passato. Un amore finito, un debito non pagato, un amico perso per causa nostra.

                “Della propria vita ognuno di noi può stracciare una pagina, ma non può bruciare tutto il libro”. Questa frase, della quale non mi ricordo l’autore, ha avuto per me un significato particolare. Fino a qualche tempo fa (non vi dico quando), ne avevo fatto il mio stile di vita. Poi, e so anche il perché, l’ho abbandonata, non ho più seguito il suo insegnamento.  La mia volontà inconscia è stata quella di fare di tutto per dimenticare gli avvenimenti che mi avevano visto protagonista sia nel bene, che nel male. Ho messo, così, anche io la testa sotto la sabbia.

                Poi, di colpo, quegli avvenimenti sono tornati a galla. Uno per volta. Quando meno me lo aspettavo. Ed io, invece che affrontarli nel modo dovuto, ho cercato, di nuovo, di allontanarli da me. Ho messo di nuovo la testa sotto la sabbia.

                Ad un certo punto, però, non ho trovato più sabbia dove nascondere la testa. Ho trovato cemento. Duro, impossibile da scalfire. Il libro che, per più di una volta, avevo cercato di bruciare, non era stato neanche intaccato dalle fiamme.

                A quel punto tutto è diventato più difficile per me. Ho cercato, cerco, e ancora dovrò cercare in futuro, di tornare ad essere la persona che ero. Ho voglia di tornare a vivere completamente, e non a metà. Nascondendo, anche a me stesso, la metà che potrebbe farmi male.

                Quello che resta da vivere ad ogni qualsiasi persona che, come me, vuole tornare ad essere chi era, è da vivere nella massima trasparenza, innanzi tutto con noi stessi. Non dobbiamo soltanto amarci, dobbiamo, prima di tutto, rispettarci. E per rispettarci, ed essere così rispettati, dobbiamo essere in pace con la nostra coscienza, anche se a volte ricordare il passato, potrebbe sembrarci una nuova sconfitta.

                                                                                                                             Enrico

 
 
 

RIFLESSIONI SUL BLOG

Post n°338 pubblicato il 17 Febbraio 2011 da enca4

                Trovo giusto che tutto quello che io dico, penso e scrivo non sia condiviso da chi mi legge. Guai se fosse così. Se ognuno di noi condividesse ciò che pensano gli altri il mondo sarebbe di una noia che non vi dico. Paradossalmente a tutti, proprio a tutti, starebbe bene anche se Berlusconi restasse al suo posto per altri trenta anni.

                A parte le battute (non me ne voglia il Presidente, lui sa perfettamente quanto io non sia d’accordo con lui, e poi di questi tempi parlare di lui, delle sue feste, e di tutto il resto, è come sparare sulla Croce Rossa), trovo che sia importante sia per chi scrive, sia per chi legge, avere un dialogo, scambiare opinioni, altrimenti che gusto c’è nello scrivere e nel leggere, se poi tutto resta così, com’era prima?

                Libero, secondo il mio punto di vista, potrebbe essere un ottimo mezzo per far avvicinare le persone non solo virtualmente, ma anche fisicamente. Dico, però, “potrebbe”, perché in realtà nel 95% delle volte, Libero viene utilizzato per altri scopi mascherati e nascosti dietro facciate perbeniste e conformiste.

                Attenzione, non sto facendo “di tutta un’erba un fascio”, quello che scrivo a me interessa che sia capito da quel 5% che utilizza questo mezzo nel modo giusto.

                Avere un blog, poterlo gestire a proprio gusto e piacere, poterlo rinnovare, cambiarne aspetto a seconda del proprio stato d’animo, poter pubblicare su di lui tutto quello che ci passa per la testa , è una di quelle cose che, specialmente per chi come me ha raggiunto un’età non più giovanissima, ma si ricorda ancora quando da bambino giocava con i tappi delle bibite,  dovrebbe far felici tutti. Invece succede che avere uno schermo e una tastiera a disposizione, per molti è sperare di instaurare rapporti non proprio illuminati da onestà e trasparenza.

                Non voglio essere considerato un bigotto e baciapile, tutt’altro, ma quando risulta evidente il vero intento di una persona, nascosto però dietro un paravento, resto stupefatto  e nello stesso tempo, sconcertato pensando a dove può arrivare l’immaginazione umana.

                Con questo non voglio dare lezioni di vita a nessuno, sia chiaro. Ognuno di noi fa quello che vuole della propria esistenza, però sono convinto che “certe cose” si ottengono anche continuando ad essere se stessi.

                Amore, poesie, video, foto, frasi (fatte), pensieri (degli altri), intenti (poco chiari), riempiono i blog, che a loro volta sono, il più delle volte, pieni di vere e proprie sciocchezze. Eppure ci vorrebbe poco per fare del proprio spazio un vero e proprio mezzo di comunicazione con gli altri, un vero e proprio strumento per ampliare le proprie amicizie per quello che si è realmente, e non per quello che si vuol sembrare di essere.

                Poi, tutto può succedere, tutto può essere raggiunto. Sprecando meno risorse, tempo e personalità. Quando si è se stessi si è sempre un gradino sopra gli altri. Quando non si violenta il proprio carattere, dipingendolo in tinte che non gli sono congeniali, si è sempre creduti e, cosa più importante, si è sempre veramente apprezzati.

                E’ facile capire quando colui, che è dall’altra parte, mente su se stesso, sui propri fini, sul proprio essere. E’ facile perché, prima o poi, tutto viene a galla. Ci vuole una buona dose di memoria per tenere sotto controllo quello che si dice. Specialmente quando si hanno centinaia di interlocutori. Può succedere che si dica oggi il contrario di quello che si era affermato un mese fa. Può succedere che si diano notizie diverse a persone che noi crediamo diverse, ma che in realtà sono le stesse che, con un altro nome, già abbiamo come amici.

                Non è una bella figura quella che facciamo in questi casi, vero? Anzi, direi che è proprio pessima. E’ vero che a molti non interessa se ci sono state raccontate, o raccontiamo, cretinate, ma è anche vero che se abbiamo un po’ di buon senso, oltre che un po’ di rispetto per noi e gli altri, la cosa più gratificante è continuare ad essere quelli che siamo. Sempre.

                Io ho ereditato, due anni fa, circa 20 milioni di Euro. Ci credete? No sicuramente, e fate bene, perché in realtà, erano solo 50 Euro.

                                                                                                                             Enrico

 
 
 

RITROVARE SE STESSI ... ALLA STAZIONE

Post n°337 pubblicato il 15 Febbraio 2011 da enca4

                Dice: “Devo ritrovare me stessa. Devo vedere se il dolore che ho provato l’anno passato è ancora dentro di me.”

                Dico: “ E per sapere tutto questo cosa hai intenzione di fare?”

                Dice: “ Domenica mattina lavoro. Il pomeriggio ho intenzione di andare alla Stazione a fumarmi qualche sigaretta e vedere così se ho ancora qualche reazione, se provo qualsiasi tipo di dolore.”

                Dico: “ Perché proprio Domenica 13 Febbraio?”

                Dice: “Perché l’anno passato, il 13 Febbraio, io ero alla stazione  dove poi mi incontrai con …”

                Dico: “Stiamo insieme da quasi un anno. Dici che mi ami come non hai amato nessuno in vita tua. Dici di accettarmi così come sono. Dici che non debbo dubitare del tuo amore, e poi vai a cercare di scoprire se la delusione che hai avuto l’anno passato, prima di incontrare me, si è esaurita. Questo tu lo chiami amore? Mi hai sempre detto che per quanto ti riguarda è una cosa passata, finita. Tanto è vero che io, nonostante avessi avuto più di una occasione per arrabbiarmi con te quando, anche senza fare il  suo nome, lo nomini, ti ho creduto e, parecchie volte, ho fatto finta di non aver capito.”

                Dice: “Per me è importante ritrovare me stessa.”

                Dico: “Sei qui, basta che ti guardi allo specchio e vedi che ci sei.”

                Dice:”Non vuoi capire …”

                Dico: “Io ho capito che se nella tua mente c’è ancora qualcuno che ci divide, potresti dirlo chiaramente, senza tante scuse. Voglio ritrovare me stessa è una delle frasi più usate quando si vuole interrompere un rapporto. E’ come dire: Non mi meriti, o non ti merito. E’ come dire: Non riesco a capirti, o a farmi capire da te. Frasi fatte che non hanno alcun significato.”

                Dice: “ Ma io ti amo veramente. Voglio solo verificare se dentro di me è tutto finito.”

                Dico: “ Fai come vuoi, ma poi non stupirti se avrò una reazione dura nei tuoi confronti. Quello che vuoi fare, come quello che hai fatto qualche Domenica fa, mi umilia. Mi fa sentire inutile. Io sono abituato a mettere la persona che sta con me, al primo posto della scala dei miei valori. E’ il sole, per me, ed io sono solamente un pianeta che gira intorno ad essa. La stessa cosa devo essere io per lei. Se questo non è possibile …”

                Dice: “ Non hai capito che io ti amo? Non vuoi capire quanto è importante per me leggermi bene dentro?”

                Dico: “Secondo me, a distanza esatta di un anno tu vuoi riprovare certe sensazioni particolari che allora hai provato. Se ami me non hai bisogno di andare alla stazione per ritrovare te stessa. Lo facciamo insieme.”

                Dice: “No! Io Domenica vado alla stazione.”

                Dico: “Fai come vuoi.”

 

                                                                                                                                             Enrico

 
 
 

CINQUE NOTIZIE, O CINQUE BARZELLETTE?

Post n°336 pubblicato il 13 Febbraio 2011 da enca4

                Mubarak, il Presidente dittatore dell’Egitto, si è dimesso dall’incarico che ricopriva da circa 30 anni. Non poteva fare a meno di prendere questa decisione visto che le dimostrazioni pubbliche contro di lui e il suo regime, oramai erano diventate così travolgenti da coinvolgere anche buona parte dell’esercito egiziano.

                Hosni Mubarak si è imbarcato su di un aereo, almeno così sembra,e ha raggiunto la sua famiglia che lo aspettava, insieme a tutto quanto di prezioso era riuscito a far uscire dall’Egitto, in qualche Paese amico.

                Da bravo zio, sempre attaccato alla sua famiglia, ha cercato, Mubarak, di farsi raggiungere anche da sua nipote Ruby Rubacuori, ma sembra che il nonno, il nanetto di Arcore dal “culo flaccido”, si  sia rifiutato di mandare la “nipotina” tra le grinfie dell’ex dittatore, accampando la scusa che: “come cresco io le bambine, come riesco io a farle diventare vere donne, non ci riesce nessuno.”

                La conseguenza è stata che Mubarak, imbestialito, abbia disdetto l’abbonamento a Mediaset Premium, giurando e spergiurando che: “Allah mi fulmini se guarderò più Rete Quattro, Canale 5 e Italia Uno:”

 

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                Due giorni fa, per la precisione giovedì scorso, il TG 1 ha trasmesso una intervista, tramutatasi poi in un monologo a favore del Brontolo di Palazzo Grazioli, a Giuliano Ferrara. Fino a qui niente di male. Il male, però, è stato il fatto che l’ormai traboccante oltre ogni limite Direttore de “Il Foglio”, abbia dimenticato le sue origini politiche. Se la memoria non mi fa brutti scherzi, qualche anno addietro il caro Ferrarone – one – one – o, si professava socialista, antifascista e, pertanto, facente parte della sinistra moderata.

                Qui le cose sono due, e cioè: O Ferrara è stato ospite qualche volta anche lui alle feste di Arcore, ed allora, capito che altrimenti non alzerebbe paglia, vista la mole, ha deciso di seguire l’Impomatato fino alla fine, oppure qualche busta anonima lo ha raggiunto e convinto ad esporsi in tutta la sua dimensione che non è certamente da non tenere in considerazione di questi tempi di magra.

 

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                La Lega Nord ha deciso: il 17 Marzo prossimo, giorno in cui ricorre il 150° anniversario dell’unificazione dell’Italia, tutti devono lavorare. Calderoli, poi, dall’alto della sua saggezza spinge affinché tutti, ma proprio tutti, ad eccezione dei Parlamentari, lavorino e, anzi, cerchino di rendere di più del solito, in modo di risollevare quanto prima le disastrate casse dello Stato.  Nessun commento.

 

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                La Provincia di Bolzano si dissocia dai festeggiamenti per l’Unità d’Italia. “Noi ci sentiamo austriaci, non abbiamo certo scelto noi di far parte dell’Italia!”

                Il ministro La Russa (a proposito, avete notato che l’unica Russa brutta è il nostro Ministro?), dopo lunga riflessione ha sentenziato che gli italiani di Bolzano festeggeranno comunque e che: “Bolzano fa parte dell’Italia.”

                Signor Ministro, invece che perdere tempo in chiacchiere inutili e scoraggianti, perché non ci mettiamo d’accordo con Vienna? Potremmo cedergli tutta la provincia di Bolzano in cambio di 3 o 4 metri di autentiche salsicce austriache e un paio di pinte di birra, quella buona, però!

 

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                Un paio di giorni fa il Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, accompagnato da Bonanni e Angeletti, Segretari della Cisl e della Uil, hanno deciso di fare una gita, per così dire, “fuori porta”.

                Alla Stazione Termini di Roma si sono imbarcati, in seconda classe, sul treno che unisce la Capitale a Reggio Calabria. Lo hanno fatto, hanno affermato, per vivere, in prima persona lo stato delle carrozze, i disagi dovuti agli ormai cronici ritardi ferroviari.

                Come prima sorpresa ha scoperto che nelle toilette del vagone che lo ospitava non usciva acqua dal rubinetto.  La carrozza, a suo dire, era abbastanza pulita e anche i tempi di percorrenza potevano essere considerati accettabili.

                Vorremmo tutti sapere: 1° - C’era bisogno che il Ministro salisse su un treno a lunga percorrenza, come è il Roma – Reggio Calabria, per conoscere il reale mal funzionamento delle nostre ferrovie? - 2° perché non ha preso il treno che da Cisterna porta a Roma, tutte le mattine, centinaia e centinaia di pendolari i quali viaggiano con il Santo Rosario nella mano in modo da affidarsi  a qualcuno più in alto di tutti noi per poter arrivare al lavoro in orario, almeno un giorno l’anno? – 3° Dato che il ritorno da Reggio Calabria è stato fissato in pullman, così da verificare lo stato effettivo della maledetta Salerno – Reggio Calabria, poteva, il Ministro, salire, la mattina alle cinque, sul pullman che da Subiaco porta a Roma. Avrebbe avuto così un quadro chiaro della situazione dei trasporti in Italia.

 

                                                                                                                             Enrico

 
 
 

CARO IL MIO DIARIO 2/11

Post n°335 pubblicato il 11 Febbraio 2011 da enca4

Caro il mio Diario,

dopo qualche giorno di silenzio torno a trovarti perché mi sono accorto che quando dialogo con le tue pagine, riempiendole di pensieri e di sensazioni  che provo in quel momento, oppure quando i miei presentimenti prendono il sopravvento sulla ragione, parlarti mi aiuta a scaricare la tensione che attanaglia i miei sensi.

Ho pronunciato la parola “ragione” che, detta da me fa un po' ridere, perchè se nel passato avessi usato un po’ più di razionalità sicuramente non mi troverei, adesso, a rimpiangere ciò che non sono più, ne ciò che non ho più.

Mi è stato raccomandato più volte di dimenticare il passato o, almeno, di cercare di renderlo meno negativo facendo in modo di ricordare i momenti belli che anche io ho avuto.

Non ci riesco! Mi è impossibile, in questo momento, non tener conto dei miei errori e di quanto questi hanno influito sulla mia vita e su quella delle persone che mi erano cara, e che ancor di più lo sono oggi. Credo che bisogna essere cinici, freddi, per riuscire a far questo ed io, nonostante le apparenze, non sono mai stato ne cinico ne freddo.

Quello che condiziona il mio modo di essere, e che sta frenando la mia risalita è, in primo luogo, il mio stato di salute. Le cose non vanno affatto bene, direi che peggio di così non potrebbero andare. Ho, pertanto, paura di non poter portare a termine quelle due o tre cose che vorrei  fare prima che mi sia difficile, se non impossibile, farlo.

Chiunque leggerà queste righe sicuramente troverà, in quello che dico, la massima negatività. E’ vero, ma come si può essere positivi quando ogni giorno senti il tuo nemico che avanza, implacabile, accanito nel volermi togliere la voglia di continuare a lottare? Come è possibile non tener conto di questo? La vita, anche per me, è una, sola ed unica, e mi sarebbe piaciuto poterla vivere in un modo diverso. Con questo non voglio certo affermare che io debba essere un privilegiato rispetto al resto degli uomini. Questo no, neanche l’ho mai pensato, però avrei certamente preferito essere aggredito e vinto senza portare tanto per le lunghe la cosa, tanto questo succederà prima o poi.

Adesso mi aspetto i rimproveri, le ramanzine, i richiami ad un modo di fare più orientato verso la positività e la speranza.  Non è sempre possibile riuscire a non pensare in modo negativo. Chi come me combatte una malattia da qualche anno, e ha visto e sentito il suo nemico prendere possesso sempre più del suo corpo, chi come me ha dovuto mettere sulle proprie spalle altre delusioni, insuccessi, fallimenti, non può non essere, qualche volta, pessimista.

Ci sono momenti in cui il mondo sembra mi stia crollando addosso. Altre volte, invece, riesco a fare un passo indietro e lasciare che il mondo, nella sua caduta, mi sfiori senza colpirmi. Ma, purtroppo, questo accade poche volte.

Qualcuno mi ha detto: “Offri il tuo disagio, il tuo soffrire, a Dio”. Altri mi ricordano che la sofferenza fa parte della vita dell’uomo e che, pertanto, debbo mettere in conto anche questo. Tutte belle parole, e non sto scherzando. Ma non riesco a parlare con Dio. Non riesco ad accettare questa situazione come fosse la normalità. Io voglio vivere. Ho ancora qualche cosa da fare di importante, qualcosa che non posso non fare.

Caro amico, sicuramente anche tu ti sarai stancato di sentire i miei lamenti, ma se non parlo con te, se non approfitto del fatto che, almeno tu, accetti tutto quello che dico senza lamentarti e senza farmi paternali  e cazziatoni, con chi lo faccio?

Ho letto, pochi giorni fa, una massima di Gibran: “Dura è la vita di colui che desidera la morte ma continua a vivere per amore dei suoi cari.” Questa frase mi è rimasta impressa perché in parte ho cercato, e cerco di condividerne il contenuto. E’ difficile poterla mettere in pratica, specialmente quando lo sconforto prende il sopravvento sulle buone intenzioni. I giorni passati sono stati veramente duri e difficili da sopportare. Oggi è un giorno ancor più difficile, per me. Oggi ho avuto, da i miei medici, notizie che non avrei voluto avere. So, però, che debbo continuare a lottare. Non so se riuscirò a farlo. Forse arriverò al punto in cui abbandonerò la lotta, o forse riuscirò ad acquistare ancor più coraggio e volontà. Non lo so, per adesso, passivamente, faccio quello che i medici mi dicono di fare, ma mi accorgo ogni giorno che passa, che il “guerriero” (come qualcuno mi ha chiamato qualche volta), sta perdendo i pezzi. Non ha più la forza, ne fisica ne mentale, di continuare a combattere come ha fatto fino ad ora.

Scusami se, anche questa volta, sono stato troppo lagnoso e monotono, prometto che cercherò di non esserlo più.

Per adesso ti saluto e, spero, di rivederti domani.

                                                                                              Enrico

 
 
 

CENTOCINQUANTA ... E LI DIMOSTRA TUTTI

Post n°334 pubblicato il 10 Febbraio 2011 da enca4

                Quest’anno sono centocinquanta. Un’ età che tutti vorrebbero arrivare ad avere (possibilmente in buona salute), ma pochi ci riescono. Non parlo degli uomini, mi riferisco invece alla nostra amata, e nello stesso tempo odiata, bistrattata, strapazzata, umiliata, offesa, insultata, a volte ingiuriata, Italia.

                Centocinquanta anni  da quando, almeno sulla cartina geografica, la nostra Patria ha ottenuto, a prezzo di enormi sacrifici, la fisionomia attuale.

                Tutti noi dovremmo essere fieri di questo traguardo soltanto al pensiero di quante vite umane si sono sacrificate in nome della libertà  e della democrazia. Di quanti hanno lottato contro l’ oppressione, la tirannia, la sottomissione.

                Fino al 1860 l’Italia era divisa in piccoli Stati e Ducati: Gran Ducato di Parma, Ducato di Modena, Principato di Lucca,Gran Ducato di Toscana, Stato Pontificio, Regno delle due Sicilie, Regno Lombardo Veneto (che, allora, faceva parte dell’Impero d’Austria).  

                Fu solo a Marzo del 1861 che l’Italia venne riunita in un unico Stato, anche se, all’interno di esso, erano presenti lo Stato Pontificio, e a nord – est il Regno Lombardo Veneto. Il 17 Marzo dello stesso anno venne promulgata la Legge 4671, pubblicata il giorno successivo sulla Gazzetta Ufficiale, nella quale il Senato e la Camera dei Deputati sanzionarono che:

 Articolo unico. Il Re Vittorio Emanuele II assume per se e i suoi successori il titolo di Re d’Italia. …

Sotto la firma di Vittorio Emanuele comparivano le firme di Cavour, Minghetti, Cassinis, Vegezzi, Fanti, Mamiani, Corsi, Peruzzi.

                Esattamente un mese prima, il 18 Febbraio, si inaugurò, a Torino, all’interno della Camera dei Deputati Subalpini,  il primo Parlamento italiano, composto da 443 eletti delle Regioni d’Italia, chiaramente escluso lo Stato Pontificio.

                Fino ad allora la nostra Patria era stata fatta a fette. Ogni fetta (Stato o Ducato che fosse), aveva un proprio ordinamento legislativo e giuridico. Ogni fetta emetteva una propria moneta. Si dovette aspettare il 1866 perché sulle banconote fosse riportata la dicitura: “Banca Nazionale nel Regno d’Italia”.

                Ma quante ancora ne doveva passare l’Italia. Nel 1866 iniziò la terza guerra d’indipendenza; il 20 Settembre del 1870 ci fu, dopo la breccia di Porta Pia, l’annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia; il 3 Febbraio 1871 Roma fu dichiarata Capitale d’Italia con Legge numero 33 dello stesso anno. Guerre varie, fino al 1912, in Africa, in Turchia e in Libia.

                Poi la prima Guerra Mondiale, la dittatura fascista con i suoi manganelli, l’olio di ricino, la censura su tutto quello che non vestiva la camicia nera, la seconda Guerra Mondiale e i suoi milioni di morti, di deportati nei campi di sterminio e poi, finalmente, la Repubblica. La Prima Repubblica, quella che è caduta sotto i colpi dei Magistrati di Mani Pulite. La Repubblica delle mazzette, degli appalti truccati, delle monetine tirate addossi all’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi.

                Ed ecco arriva Lui, il Dio in terra circondato dai suoi serafini. Angeli riciclati che, pur di continuare a far parte di quel meraviglioso e sfavillante mondo che è la politica, non hanno esitato a sputare sul piatto dove hanno mangiato per anni e a rinnegare le idee che, fino al giorno prima, li aveva visti protagonisti.

                Arriva Lui e, sembra, che per l’Italia, la nostra povera Italia, possa di nuovo iniziare un periodo di “vacche grasse”.  Promesse mai mantenute, scandali a ripetizione, menefreghismo totale nei confronti dei problemi che attanagliano milioni di famiglie.

                Mio padre, che Dio, quello vero, l’abbia in gloria, diceva che i politici sono tutti papponi, ed aveva ragione visto il gran numero di puttane di cui si è circondato Lui, l’Eletto.

                E, adesso, il Federalismo Fiscale. Il 95% degli italiani non sa cos’è. Non sa che cosa comporterà in futuro alle famiglie il Federalismo Fiscale. Sa soltanto che è voluto, bramato, ardentemente desiderato dalla Lega Nord e, pertanto, servirà a dividere di nuovo quello che con fatica, rinunce, morti, è stato possibile avere dopo secoli di dominazioni straniere.

                Intanto Lui, il nuovo Messia, allegramente dichiara che farà causa allo Stato se verrà processato per i recenti scandali. Fare causa allo Stato significa, in caso di vittoria, chiedere un indennizzo. Lui, l’Inviato del Signore, ha finito i soldi? Non ha più il denaro necessario per pagare le sue concubine? No! Lui, il Predestinato, di soldi ne ha quanti ne vuole. Ma visto e considerato che con molta probabilità non verrà più scelto dal popolo, vuol far pagare a tutti noi la sua sconfitta.

                E intanto questa povera, bisognosa, sventurata, disgraziata Italia sta andando a rotoli. Dopo appena centocinquanta anni dalla sua unificazione.

                Massimo D’Azeglio disse: “Abbiamo fatto l’Italia, adesso dobbiamo fare gli italiani”. Mai una frase fu più esatta di questa.

                L’Italia, almeno dal punto di vista geografico è ancora una e sola Nazione. Dal punto di vista demografico vuole tornare ad essere un insieme di Stati nello Stato.

                Odio  tra nord e sud. Astio tra i vari partiti politici. Avversione verso chi ha un colore di pelle diverso dalla maggioranza di noi. Ostilità verso coloro che credono in un Dio che non è il nostro.

                Questa è l’Italia che si appresta a festeggiare, il 17 Marzo prossimo, i suoi primi centocinquanta anni.  Una data importante che tutti dovremmo utilizzare per riflettere e meditare. Invece sarà una ricorrenza che, invece che unire, dividerà ancor più.

                E Lui, il Prescelto da Dio, cosa farà il 17 Marzo 2011? Le solite cose: una cenetta intima con una ventina di troiette, Apicella che allieterà la serata con le solite canzoni, racconterà, l’Istrione, qualche barzelletta da bambini deficienti e, per finire, un po’ di Bunga – Bunga non ci sta per niente male.

 

 

                                                                                                              Enrico

 
 
 

DIALOGO NOTTURNO TRA ME E IL DOLORE

Post n°333 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da enca4

                “Perché ti accanisci così verso di me? Lasciami in pace per un po’. Fammi riposare, almeno una notte, ti prego …  Io, poi … come un cretino sto parlando con chi che non puoi rispondermi. Il dolore mi sta annebbiando anche il cervello”

                “Ma io sono qui, al tuo fianco. Sai che ci sono. Non mi vedi, ma pagheresti per vedere il mio volto, se avessi un volto. Vorresti restituirmi il male che io sto facendo a te, ma non puoi farlo. Vorresti sconfiggermi, fare in modo che sia io ad abbandonare la lotta, ma non ci riuscirai mai. Fino all’ultimo istante della tua vita, io sarò presente dentro di te.”

                “Chi sei? Chi è che mi risponde? Da dove viene questa voce? Dove sei? Fatti vedere!”

                “ Te l’ho detto, non puoi vedermi. Però hai ragione, non mi sono presentato, sono il tuo dolore,il male che senti nella tua carne, ma sono anche il male che ti sta mangiando l’anima. Ti sto divorando, un po’ per volta. “

                “Perché? Cosa ti ho fatto?”

                “Tu, a me, personalmente, non hai fatto niente. Ma io debbo fare il mio lavoro. Sono stato creato per questo. “

                “Ma, allora, tu sei la Morte?”

                “No. Sarebbe troppo facile, troppo bello per te.  Finirla così? Che gusto c’è? Il mio lavoro viene prima di sorella Morte. Io faccio soffrire. Faccio maledire, a voi umani, il giorno siete nati. Faccio in modo che siate voi a chiedere che la Morte vi raggiunga il prima possibile. Così rendo le cose più semplici. Più divertenti.”

                “Come puoi divertirti a far soffrire le persone? Dove trovi questo coraggio?

                “Io non ho bisogno di quello che tu chiami coraggio per fare quello che faccio. E poi non sono io a divertirmi nel fare certe cose, anzi, per me, qualche volta, come nel tuo caso, è una noia terribile.”

                “Noia? Perché noia?

                “Perché sei solo tu a soffrire. Vuoi mettere quando, invece, riesco a far soffrire più di una persona nello stesso tempo? Allora si che il mio lavoro da delle soddisfazioni che neanche puoi immaginare.”

                “Come puoi essere così cinico? Così cattivo?”

                “Te l’ho detto, è il mio lavoro, e cerco di farlo nel miglior modo possibile. Pensa ad una battaglia. Pensa a quante persone faccio soffrire nello stesso tempo. Pensa al dolore di una madre alla quale sta per essere tolto un figlio. Queste si che sono soddisfazioni.”

                “Ma Santo Dio …”

                “Fermati, non buttarla in politica. Tra me e Dio scorre un fiume in piena. Se ci pensi un attimo, poi, senza di me non esisterebbero ne Santi ne Beati. Pertanto il mio compito è utile anche a Lui, non trovi?”

                “Ma tu stai parlando di bambini che muoiono, di madri che soffrono. Di battaglie, di guerre con milioni di morti. Morti innocenti. Che non sarebbero dovute avvenire.”

                “Tu che ne sai? Chi ti dice che i bambini, le persone morte in guerra, gli oppressi , i perseguitati, non sarebbero morte comunque? Voi tutti, uomini e donne, non potete contrastare il destino. Non potete cambiare ciò che è scritto. Se proprio volete prendervela con qualcuno, prendetevela con il vostro Dio, con il vostro Maometto, con il vostro Buddha, con il vostro Allah. Io che c’entro?”

                “Come fai a dire che tu non c’entri niente? Se mi parli esisti. Se esisti potresti  anche rifiutarti di fare un simile lavoro, come lo chiami tu.”

                “Amico mio, forse non hai capito una cosa. Io, il Dolore, sono solo l’effetto sviluppato da una causa che mi precede. Il Male, la malattia. Ma anche il Male è un effetto di una causa che lo precede. Se il genere umano avesse rispettato ciò che ha avuto in dono, la propria vita, il Male, prima, ed io, il Dolore, poi, non avremmo ragione di esistere. L’ambiente in cui vivete e in cui fate vivere i vostri figli, ed in cui vivranno i figli dei vostri figli, è talmente malato, contaminato, avvelenato, che è normale veder gente morire continuamente. Come è altrettanto normale che chi muore debba anche soffrire.”

                “Non è vero! Molta gente muore così, senza alcun dolore. Senza alcuna sofferenza.”

                “Ma tu che ne sai che cosa succede ad una persona nel momento in cui muore? Lo hai mai provato?”

                “No, non l’ho provato e, come tutti, vorrei non provarlo mai. Ma so che è impossibile. So che tutti noi facciamo parte di un ciclo che inizia quando nasciamo e termina quando moriremo.”

                “Bravo, hai detto tutti. Io, infatti, non guardo in faccia nessuno. Ricco o povero; giovane o vecchio, per me siete tutti uguali. Qualcuno di voi tenta di rimandare ciò che è già deciso, ma al massimo può prolungare un po’ la propria vita, niente di più.”

                “Dici? Sai che ti dico? Voglio proprio vedere chi di noi due si stanca per primo. Io sono qui. Ti aspetto. Vieni quando vuoi.”

                “Sfida accettata, Enrico. Ci vediamo, o meglio, ci risentiamo questa sera.”

                                                                       Enrico

 

                                                                                                                                                               Enrico

 
 
 

IO, TRA CIELO E MARE

Post n°332 pubblicato il 07 Febbraio 2011 da enca4

               Mezzanotte, e il sonno non arriva. Questa notte il letto è per me una tortura. Provo a accendere di nuovo il televisore ma, oltre le ultime notizie sul così detto “scandalo Ruby (che poi sono sempre le solite, vecchie notizie), non c’è niente che possa interessarmi.

                Perdo un altro po’ di tempo a rigirarmi come un ossesso tra le lenzuola. Mi alzo e mi preparo un caffè che rendo ancor più imbevibile mettendoci dentro, al posto dello zucchero, il sale.

                A questo punto la misura è colma. Imprecando come un egiziano nei confronti di Mubarak, mi vesto ed esco da casa.

                Il mare è un po’ agitato, com’è il mare in questa stagione, ma la notte è stupenda. Nel cielo non c’è ombra di nubi. Le stelle, tantissime stelle, aiutano lo spicchio di luna ad illuminare il cielo.

Lo scoglio dove mi sono seduto non è il massimo della comodità, ma dopo un po’, fatta l’abitudine, non mi accorgo della ruvidezza e dell’irregolarità del sedile che mi accoglie. Accendo una sigaretta, guardo distratto l’orologio. E’ l’una e mezzo di notte. Cristo Santo, potevo almeno portarmi una sciarpa da mettere intorno al collo. Fa freddo, ma non tira vento. Le mani, nelle tasche del giaccone, sono abbastanza calde. Le orecchie, invece, cominciano a gelare. Speriamo che i geloni, dei quali ho sempre sofferto da bambino, non tornino adesso che di bambino non mi è rimasto più nulla.

Vicino a me tre pescatori ridono tra loro. Raccontano di improbabili catture sapendo  perfettamente che niente di quello che dicono sarà creduto dagli altri. Resto per un po’ ad osservarli e, dentro di me, a criticare il loro modo di pescare, l’esca che stanno utilizzando, le parolacce che dicono.

Mi tornano alla mente tutte le volte in cui anche io, rinunciando al sonno, ho passato ore ed ore ad aspettare l’alba, in attesa di una “toccatina” alla lenza. Le canne dei tre non si muovono. Stanno ferme come pali nella terra. Il mare sta cambiando, e quando cambia il pesce si allontana in cerca di acque più profonde.

Siamo a Febbraio e, una dietro l’altra, due stelle cadenti fanno a gara a chi arriva per prima sulla terra. Non esprimo nessun desiderio, non ne ho. Ciò che io desidero è difficile da ottenere, e allora … lasciamo perdere.

Si vedono, in lontananza, le luci di qualche peschereccio intento a ritirare le reti. Per un attimo ho avuto come un senso di invidia verso coloro che hanno scelto il mare come lavoro. Avrei voluto farlo anche io, ricordo, ma la precarietà del lavoro, e il fatto di non aver avuto al mio fianco chi avrebbe dovuto incitarmi a fare ciò che più desideravo, piuttosto che opporsi a qualsiasi mia iniziativa, a favore di uno stipendio “certo e sicuro”, che poi alla fin fine “certo e sicuro” non lo è stato mai.

Mi ricordo quando, dopo essere stato operato la prima volta, avevo deciso di trasferirmi in un piccolo centro del Gargano, a Peschici. Ero deciso a finire lì i miei giorni, tra gente cordiale, allegra, solare. In un paese dalle case bianche, abbarbicate su uno sperone di roccia. Fin dalla prima volta che lo vidi ne rimasi colpito.  Poi, l’amore, la dedizione, la passione che ancora era parte integrante di me, fecero in modo che io cambiassi le mie intenzioni. Il progetto restò quello che era, un sogno che avrei dovuto, invece realizzare.

Il tempo, questa notte, sembra correre più velocemente del solito. Mi accorgo che i pescatori se ne sono andati già da un po’ di tempo. Con calma mi avvio verso il porto dove, ormai sono quasi le sei del mattino, i primi pescherecci stanno rientrando.

Mi è sempre piaciuto vedere scaricare il pesce pescato da poco. Inizia a far giorno e guardando con attenzione i volti mangiati dal sale e dalle notti passate in bianco, è facile notare quanta insoddisfazione e quanto sconforto c’è  in loro. Delusione per una notte di pesca non proprio ottimale. Sconforto per una vita che avrebbero voluto essere meno pesante e più ricca di soddisfazioni. Gli occhi sono incorniciati da rughe profonde, ma gli sguardi di quegli uomini sono sguardi di persone caparbie, ostinate, dure. E la caparbietà e l’ostinazione non rende questi uomini facilmente arrendevoli. La prossima notte, come tutte le notti, saranno di nuovo in mare a calare le reti.

E’ tardi. Ho voglia di un caffè. Giù, in fondo al porto, c’è un bar aperto. Ordino e mentre bevo il mio caffè, ascolto le voci di chi mi è vicino. Gente di mare, ma anche di terra. Padri di famiglia che hanno lavorato tutta la notte, e ragazzini che tirano tardi, illudendosi, così, di essere, questa notte, cresciuti un po’ di più.

E’ la macchina che mi riporta a casa. Non mi ricordo la strada del ritorno. Per tutto il tempo del viaggio di ritorno, non ho fatto altro che pensare alle innumerevoli cose che mi hanno visto spettatore. Cose che già sapevo di conoscere, ma che, forse, questa notte ho guardato con uno sguardo diverso.

                                                                                                              Enrico

 
 
 

HO IL DIRITTO DI ESSERE AMATO COSě COME SONO?

Post n°331 pubblicato il 28 Gennaio 2011 da enca4

Compatito. Commiserato. Sopportato. Tollerato. Compassionato. Cinque verbi che indicano una sola cosa, pietà. Pietà della mia situazione fisica. “Sei malato, sto con te anche per questo motivo.”

Parole che non avrei più voluto sentire. Parole che, meno di un anno fa, mi avevano gettato in un abisso dal quale credevo di essere uscito e nel quale credevo di non cadere più. Invece, di nuovo, le stesse parole. Dure, taglienti come lame di rasoio.

Io ho voluto essere aiutato, ma non compatito. Io aspiro ad essere amato per quello che ho dentro di me, non per il male che abita in me. Io vorrei essere capito, ma non giustificato. Io non vorrei essere solo, ma non voglio vivere in sub affitto nel cuore di chi dice di amarmi.

Non è giusto sentirsi un peso. Non è giusto sentirselo dire, anche se non esplicitamente, ma comunque facilmente comprensibile. Io non sono mai stato un peso per nessuno. Sulle mie spalle ho portato pesi che non erano miei senza mai lamentarmi, senza mai pentirmi.

Adopero poche volte la parola “amore”, non mi lavo la bocca con essa, non lo faccio perché ho, forse, paura del significato profondo che ha. Non ci vuole niente a dire “ti amo” . Basta guardare da un’altra parte mentre si pronunciano queste cinque lettere. Basta non guardare negli occhi la persona a cui sono indirizzate e tutto diventa facile. Ma quel “ti amo”, così, è pieno di falsità, di ipocrisia. È una simulazione d’affetto.

Tento di dimostrare l’amore in altra maniera. Con uno sguardo, un pensiero, un rimprovero se necessario.

“So che anche tu mi ami, come io amo te, ma …” Non esiste ” ma” in amore. L’amore si nutre di certezze, non vuole dubbi. L’amore vive dentro di noi fin dal momento in cui veniamo al mondo, ma non sempre è facile esternarlo come sarebbe giusto. Però c’è. E’ li, alla portata di chi lo vuole, di chi lo vuole, ma anche di chi lo merita.

Non posso amare del tutto. Dio, come vorrei che fosse possibile. Ma non posso, e non per colpa mia. Ho dovuto scegliere 26 mesi fa. Se volevo vivere dovevo rinunciare a quello che rende completo l’amore. Però ho sempre amato prima che con il corpo, con il cuore e con la mente. Ecco perché ho sempre sofferto quando ho amato.

Non mi vergogno di quello che sto dicendo in questo momento. Sul mio diario scrivo quello che voglio e che mi va. Se poi sarò oggetto di scherno e sarcasmo da parte di qualcuno non ha importanza per me. Io sono così, non posso cambiare. Non voglio cambiare.

                                                                                                                                             Enrico

 
 
 

HAI CAPITO LA SIGNORA MARIA?

Post n°330 pubblicato il 28 Gennaio 2011 da enca4

               Questa mattina alle sette il campanello della mia porta d’ingresso già suonava nervoso. Non immaginavo che, vista l’ora, fosse la mia vicina di casa, la signora Maria (per chi non la conoscesse, ha 80 anni ed è pensionata al minimo. Non raggiunge i 500 Euro al mese di pensione)  Ero sveglio da un po’, ma la mattina mi piace poltrire a letto guardando in televisione tutti i telegiornali possibili e immaginari.

                Ciabattando sono andato ad aprire la porta e, senza darmi il tempo di dire “Buongiorno”, la signora Maria mi fa: “Enrico, il caffè è pronto. A casa mia c’è anche il signor Antonio (altro pensionato, ex artigiano, segretamente, ma poi mica tanto, innamorato della signora Maria). Ti dispiace venire di la perché ti dobbiamo chiedere una cosa importante?”

                Dopo pochi minuti ero seduto in cucina della mia vicina con una tazzina di caffè fumante in mano. Il signor Antonio aveva  uno sguardo birichino che gli illuminava il volto. Come mi ha visto mi ha salutato e, senza farsi vedere dalla padrona di casa, mi ha fatto l’occhiolino.

                Dopo qualche minuto, il tempo di berci tutti e tre il buon caffè della signora Maria, la stessa, arrossendo un po’, mi dice: “ Ieri sera non riuscivo a prendere sonno, tu sai che alle otto io già dormo, ma ieri proprio non ci sono riuscita. Ho lasciata accesa la televisione, sul secondo canale della Rai e, per la prima volta, ho visto Anno Zero, la trasmissione di Santoro. Ho capito poco di quello che hanno detto. L’unica cosa che ho capito è che ce l’anno tutti con quel pover’uomo di Berlusconi. Altra cosa che credo di aver capito, e ieri sera ne hanno parlato molte volte, è il bunga – bunga. Io sono sicura che il Bunga – Bunga è una danza di origine africana. Antonio invece dice che è qualche altra cosa, ma non vuole darmi spiegazioni, anche se mi ha fatto capire che non è una cosa tanto pulita. Tu, che leggi tanti giornali, che guardi sempre i telegiornali, sai dirmi chi ha ragione?”

                Mi è preso un accidente.  “E adesso che gli dico?” ho pensato dentro di me. Il signor Antonio rideva sotto i baffi lanciandomi sguardi di sfida, quasi volesse dirmi: “E adesso vediamo un po’ come te la cavi!”

                Ho finito di prendere il caffè. Me ne sono fatto dare un altro po’, giusto per prendere tempo e pensare a cosa dire, poi, ho dovuto iniziare a dare una spiegazione alla signora Maria, che fosse per lei meno traumatica possibile.

                “Dunque, signora, deve sapere che al suo caro Berlusconi piacciono molto le donne, specialmente quando sono giovani e disinibite. Ogni tanto, abbastanza spesso a dir la verità, ha organizzato a casa sua delle cene con un po’ di ragazze presenti.”

                “E che c’è di male se invita a cena delle ragazze? Anche questo non può fare?” Questa è stata la prima reazione della mia ospite.

                “Volevo finire di raccontarle. Dunque, dopo cena, come in tutte le case dei ricchi, Berlusconi invitava i suoi ospiti in un’altra stanza dove, oltre che bere il caffè o qualche liquorino, venivano fatti dei giochetti particolari, un po’ spinti.”

                Altra interruzione: “E cosa mai possono aver fatto. Al massimo il gioco della bottiglia. Quel gioco che fai girare una bottiglia sul pavimento e …”

                “Lo conosco, l’ho fatto anche io da giovane. Ma non è quello il gioco. Il Bunga – Bunga è un gioco dove il Cavalier Berlusconi, faceva proprio il cavaliere con le sue giovani ospiti. E, come se non bastasse, dopo aver cavalcato, le riempiva  di soldi in contanti. Dava loro una casa. Gli comperava gioielli.”

                “Va bene, che vuoi che sia. Ha fatto quello che fanno tutti gli uomini. Mi ricordo che nel ’40 c’era un altro che, come a Berlusconi, piacevano le donne. E quante ne ha avute, lui.”

                Il Signor Antonio, sornione, mi guardava continuando a sorridere. Poi mi fa: “Enrico, spiega bene che vuol dire cavalcare, perché lei mica lo ha capito.”

                Non lo avesse mai detto. La signora Maria si è girata verso il signor Antonio e, dopo averlo fulminato con uno sguardo gli fa: “Anto’, a me Berlusconi mi è sempre piaciuto, dai tempi della Ruota della Fortuna, di Beautiful, di Sentieri. Il voto io glielo do perché le sue televisioni mi hanno fatto, e mi fanno divertire, solo per questo, tanto a me, con la pensione che prendo, non è che mi può far male ancora di più. Mo ho capito che cosa è il Bunga – Bunga. E’ quello che fa con tutti gli italiani. Mica solo con quelle quattro sgallettate che invita a casa sua. Mica so’ nata ieri, io!”

                Io e il signor Antonio, dopo esserci guardati negli occhi, abbiamo preferito alzarci, salutare e, trattenendo a stento la voglia di ridere, abbiamo salutato la signora Maria andandocene ognuno a casa nostra.

                                                                                                                             Enrico

 
 
 

CARO IL MIO DIARIO 1/11

Post n°329 pubblicato il 27 Gennaio 2011 da enca4

               Caro il mio Diario,

anche se ho avuto modo di scrivere su di te il 20 di Gennaio, ho deciso che questo di oggi sarà, da me considerato il primo mio scritto del nuovo anno.

                Le cose che ho da dirti non sono molte, ma sono comunque importanti. In particolare voglio parlarti di un avvenimento, successo oggi, che mi ha lasciato l’amaro in bocca oltre che tanta tristezza nel cuore.

                Oggi (e ti prego di scusare il gioco di parole), ho capito che è difficile capire chi non vuol essere capito e non vuol neanche capire.

                Fino qualche giorno fa colei che, afferma di volermi star vicino per sempre, di amarmi, di non poter fare a meno di me, si lamentava per il mio comportamento un po’ freddo e distaccato nei suoi confronti. Senza minimamente pensare che, almeno per quanto mi riguarda, certi miei atteggiamenti non erano diretti a lei in particolare, ma erano, e sono, dettati da un disagio mentale che, purtroppo, mi porto dietro da quando sto combattendo la mia battaglia per la vita. Non capiva, e non capisce, che non è così semplice non pensare a quello che ho, anche se ho cercato, e continuamente tento, di farlo.

                Due giorni fa, poi, ho avuto altre notizie affatto rassicuranti che avrebbero messo per terra chiunque, ma non me. Cosa strana, da lunedì passato, da quando cioè ho saputo che il mio cane nero sembra stia occupando altre parti di me, ho come avuto una iniezione di forza, di energia. E’ tornata a farsi vedere la caparbietà e la voglia di continuare a lottare, come prima e più di prima.

                A tutto questo aggiungo il fatto che sapere che lei è vicino a me mi da ancor più voglia di vivere.

                Oggi, invece: “Ho deciso di riflettere, di ritrovare me stessa. Di cercare di fare qualche cosa per me, perché fino ad ora non ho fatto altro che pensare agli altri. Ai miei figli, a mio nipote, a te. E non a me. Pertanto per un mese non voglio sentirmi pressata,  voglio riflettere. Non sarò neanche sul mio blog.”

                Poi ha aggiunto: “Ci vedremo, faremo qualche partita a carte, parleremo.”

                Caro amico mio, cosa posso dire?  Niente. Posso solo ringraziare, assicurare che non mi dimentico di ciò che è mio dovere ricordare, e ricominciare, di nuovo, per l’ennesima volta.

                Nessun problema. Solo ero e solo sarò nel futuro. E’ certo, però, che la voglia di vivere non mi manca. E’ assolutamente certo che certe battaglie si combattono da soli. Non si può obbligare nessuno a combatterle per te e con te.

                Detto questo, per oggi, non ho altro da scrivere su di te. Non mi ucciderò di certo per essere stato me stesso, con onestà, senza fingere di essere un’altra persona.

                A domani, o dopo, amico mio.

                                                                                                              Enrico

 
 
 

BUON VIAGGIO MANOLO

Post n°328 pubblicato il 26 Gennaio 2011 da enca4

               Venerdì prossimo Manolo, come tutti gli Angeli, volerà. Manolo non ha ali di piume e cera come Icaro. Manolo avrà ali di metallo che non dovrà battere per muoversi nel cielo, perché avrà anche dei motori che lo porteranno a Cuba, il suo Paese d’origine.

                Manolo è un altro mio Angelo. E’ l’ennesimo Angelo che ho incontrato sulla mia strada.

                Vi ricordate quando, per mezzo del mio Blog, chiesi di poter essere messo in contatto con qualcuno che avesse avuto la possibilità di andare a Cuba? Mi interessava poter avere la l’opportunità  di provare un farmaco che producono solo lì. E’ un farmaco dal potere antidolorifico e anti infiammatorio sicuramente, ma, sembra, che sia valido anche come farmaco antitumorale.

                Sapeste quanti Angeli hanno risposto al mio appello. Addirittura un Angelo era pronto (gli Angeli non hanno sesso) a partire a sue spese per andare a prendere , per conto mio, il farmaco. Qualcuno voleva lanciare una colletta su Libero per trovare il denaro necessario al viaggio. Altri mi hanno messo in contatto con persone che avevano conoscenze a l’Avana. Fin quando è capitato Manolo. Prima di Manolo, Massimiliano, prima ancora A. (e qui basta l’iniziale, perché sono certo che non vuole essere nominata).

                Manolo lavora in Italia da qualche anno. E’ un Angelo di circa 50 anni, simpatico, responsabile, disponibile. Questa impressione, che già avevo avuta parlando con lui al telefono (anche gli Angeli, visti i tempi, adoperano il cellulare), oggi si è fortificata ancor di più.

                “Non ti preoccupare, Enrico, ci penso io! So come mi devo comportare nel mio Paese. Cercherò, anzi, di farti avere più notizie utili possibili. Ti chiamo appena avrò ritirato i flaconi.”

                Questo mi ha detto il mio Angelo quando gli ho consegnato tutta la mia documentazione clinica. Mi ha tranquillizzato. Mi ha fatto star bene.

                Ma queste poche parole che sto scrivendo, non sono rivolte solo a Manolo. Sono per tutti voi, in ugual misura. Tutti voi che avete cercato di aiutarmi. Tutti voi che mi date coraggio. Tutti voi, che mi volete bene.

                Manolo tornerà in Italia il 19 di Febbraio e, comunque vadano le cose, inizierò immediatamente questa nuova terapia. Ho un po’ di paura, ma i  medici mi hanno detto che faccio bene a tentare anche questa via. Loro mi seguiranno e mi consiglieranno se ne avrò bisogno.

                Voglio di nuovo ringraziare tutti i Manolo che ho incontrato e che ancora mi sono vicini. E’ grazie a loro se ancora ho voglia di lottare.

                Buon viaggio Manolo.

                                                                                                              Enrico

 
 
 

NASCERE, VIVERE, MORIRE

Post n°327 pubblicato il 25 Gennaio 2011 da enca4

                Nascere, vivere, morire, tutto questo non è altro che il ciclo naturale della nostra vita e di tutti gli esseri viventi.

                Nasciamo, tutti, da un atto d’amore. Anche il rapporto più squallido e sporco se da la vita ad un nuovo essere, diventa un atto d’amore.

                Nascere non è facile. Ho già avuto modo di dire che la nascita è il primo ostacolo che deve superare chi viene al mondo. Un seme, al caldo della terra, nel suo guscio, ha portato a termine la sua crescita nascosta. Adesso è pronto a uscire dal terreno. Ma quanta fatica deve fare per poter scavare quel piccolo foro che gli permetterà di assorbire la luce del sole? Alla fine ce la fa. Respira aria pulita. I raggi del sole accarezzano le sue piccole, ma già evidenti foglie. Inizia, senza che nessuno glielo abbia imparato, a nutrirsi di quello che il terreno gli dà.

Se potessimo leggere nella mente di un germoglio, ammesso che abbiano una mente, sicuramente scopriremmo che anche lui, come qualsiasi altro essere, ha un insieme di sentimenti contrastanti tra loro. Stupore, disorientamento, sbalordimento, incredulità, paura. E ha ragione ad aver paura, perché il più delle volte, un uccello, un qualsiasi animale vegetariano, vede il germoglio e lo mangia. Era appena spuntato, non aveva, ancora difese che lo potessero aiutare nella crescita. Non c’è più. E’ servito a far crescere un altro essere che, come lui, ha sofferto quando ha visto per la prima volta la luce. Ha corso anche lui il rischio di non vedere il tramonto del suo primo giorno di vita. Ma anche l’uccello, l’animale, l’uomo, quando nasce, quando viene al mondo, prova gli stessi sentimenti che ha provato il germoglio.

Poi viviamo. Noi, esseri umani e dotati di intelligenza, siamo sicuramente gli unici che possono decidere, a volte non solo per se stessi, ma anche per gli altri, come vivere e se vivere.

E’ un dono immenso che ci è stato dato. Ci è stato concesso di poter fare della nostra vita quello che vogliamo. Abbiamo il libero arbitrio delle nostre azioni. Possiamo decidere di vivere bene, se vogliamo, come possiamo decidere di vivere male, o di non vivere affatto. Il problema non è quello che facciamo della nostra vita, ma quello che facciamo alla vita degli altri. Di chi già occupa un posto sulla terra, e di chi lo occuperà in futuro.

Il nostro “modus operandi” è un insieme di azioni, il più delle volte, mirate solo ed esclusivamente a far star bene noi e solo noi. Siamo avari di bontà verso gli altri. Siamo egoisti, ipocriti, menzogneri. Siamo capaci di mentire a noi stessi pur di cercare di stare in pace con la nostra coscienza. E questo anche se sappiamo che non riusciremo mai ad esserlo.

Anche nel regno animale ci sono comportamenti che, a prima vista, possono sembrare essere guidati dall’egoismo. Un leone adulto, prima di dar da mangiare ai piccoli del branco, mangia lui. Ma questo non è egoismo. E’ una necessità. Il leone adulto procura il cibo per tutto il branco (anche se i migliori bocconi sono i suoi). Se desse da mangiare prima ai cuccioli, o alle femmine, lui non potrebbe più essere di alcuna utilità a nessuno del suo gruppo. In questo modo tutto il branco, il suo branco, in poco tempo sparirebbe.

Ma noi no! Noi non siamo animali! Ci comportiamo, a volte, da animali, ma non lo siamo.

Facciamo offerte alle varie associazioni umanitarie. ci scandalizziamo (o facciamo finta di scandalizzarci), se vediamo in televisione un bambino che muore di fame o di sete. Ma se incontriamo per strada, ad un semaforo, qualcuno che chiede una moneta, chiudiamo il finestrino, mettiamo le sicure alle portiere e facciamo finta di parlare al cellulare.

Viva il leone, allora. E’ sicuramente più giusto di noi.

Poi arriva il momento di lasciare ad altri la gestione di questa terra che ci ha visti, nel bene o nel male, protagonisti.

 Moriamo soli. Sempre e comunque, e abbiamo paura della morte. Non tanto come un qualche cosa che potrebbe farci male (anzi, a volte fa bene morire), ma solo perché non conosciamo cosa c’è dall’altra parte. Non conosciamo il “dopo”.

Vorremmo vivere in eterno. Vorremmo far parte di questo mondo, in modo  stabile e duraturo. Ma non è possibile. Ma non sarebbe giusto.  Se dopo aver lavorato per tutta vita giunge per ognuno di noi il momento di cedere il nostro posto lavorativo a qualcuno più giovane di noi, è altrettanto giusto che anche la vita di ognuno di noi, prima o poi, abbia termine.

Nessuno di noi vuol diventare cibo per vermi. Ma anche i vermi, se ci sono, servono a qualche cosa. E’ la nostra anima che deve continuare a vivere. E’ il ricordo di chi ci ha voluto bene, di chi non è stato da noi tradito e ingannato,  che servirà a fare in modo che ognuno di noi sia sempre vivo.

                                                                                                                                             Enrico

                 

 
 
 

MIEI CARI AMICI

Post n°326 pubblicato il 25 Gennaio 2011 da enca4

Miei cari amici,

mi avete detto in questi giorni: “Perché vuoi smettere di scrivere? Leggerti ci fa piacere. Ci insegni tante cose. Ci hai aiutato con le tue parole. Non vuoi più essere nostro amico.”

                Voglio smettere di scrivere di me, dei miei problemi, delle mie frustrazioni, delle continue lotte che devo fare con me stesso per, almeno, tentare di essere, o di tornare ad essere, quello che sono in realtà. Voglio smettere di scrivere perché mi sono accorto che quello che scrivo non mi accontenta,ne come contenuto, ne come forma. Voglio smettere di scrivere per non essere considerato un vanitoso, un presuntuoso, una persona tronfia e immodesta, alla continua ricerca del consenso e delle lodi di chi ha la sfortuna di leggermi. Voglio smettere di scrivere perché ciò che scrivo può essere male interpretato e non accetto che mi si dica, dopo avermi letto, che mi faccio le così dette “seghe mentali”.

                Vi fa piacere leggermi e, credetemi, per chi scrive, anche per solo hobby, non c’è cosa più piacevole che sentirselo dire. E’ un impegno che si ha nei confronti dei propri lettori. Che non sono solo dei semplici lettori, ma, con il tempo, diventano i veri e soli autorizzati a criticare, commentare e, all’occorrenza, bocciare quanto scritto.

                Il mio Blog, considerato da me fin dall’inizio, un mio diario, si è piano – piano trasformato, a volte in un confessionale, altre volte in un giornale. Diario, confessionale o giornale, erano, comunque, i soli fini che mi ero imposto di raggiungere.  Fin dall’inizio non mi è mai importato quanti amici potessi raccogliere lungo il mio cammino, ne quante visite potessi accumulare. Stronzate. Tutte queste sono stronzate.  Chi, per puro caso entra nel mio spazio e dopo aver  letto qualche cosa di mio, commenta e sparisce, non è la persona con la quale aspiro a colloquiare. Non mi da niente. Non mi da stimoli. Non mi da idee. Ed io, invece, ho bisogno, come tutti noi, di avere continuamente stimoli, idee da mettere in pratica, consigli da seguire, contraddittori da effettuare, critiche da accettare.

                Non è mai stata mia intenzione insegnare qualche cosa a voi. Il contrario. Ho cercato, quando me ne avete dato l’occasione, di assorbire, come una spugna assorbe un liquido, tutto ciò che di buono ho trovato in voi. Qualche volta non ci sono riuscito. Qualche volta, sicuramente per vigliaccheria da parte mia, ho fatto finta di non aver capito ciò che mi avete detto o ciò che ho letto di voi. Siete voi che avete insegnato a me, non io a voi. Se poi quello che mi avete volontariamente o involontariamente dato, non è stato da me messo in pratica, la colpa è mia e solo mia.

                Qualcuno di voi mi ha detto di aver ricevuto aiuto grazie a ciò che ho scritto. Debbo essere io, allora, a ringraziarvi, e non voi. Perché non c’è cosa più bella e gratificante nel sapere che le proprie esperienze (chiamiamo esperienze tutti i nostri fallimenti, ve ne siete accorti?), siano, almeno, servite a qualche cosa di utile. Io, come tutti, sono certo che se potessi rivivere commetterei gli stessi errori un’altra volta. Ma certo non commetterei gli errori che hanno commesso altre persone.  Il mio, pertanto, nei vostri confronti, è stato un aiuto involontario, non studiato a tavolino.

                L’amicizia è sicuramente la cosa più importante che ci possa essere donata e che noi possiamo donare.  Gibran, a proposito dell’amicizia, dice: “ Il vostro amico è la vostra esigenza soddisfatta. E’ il campo che seminate con più amore e che mietete con riconoscenza. E’ la vostra mensa e il vostro focolare.” Queste parole fanno parte di me come fa parte di me qualsiasi organo del mio corpo. Nel passato, pieno come ero di superbia, orgoglio, immodestia e presunzione, ho perso amicizie importanti, uniche. A volte, senza che me ne accorgessi, ho avuto un atteggiamento sprezzante e ipocrita nei confronti di qualche amico. Ho pagato tutto questo con il rimanere solo. Solo con me stesso. Non commetterò mai più simili errori. Mi sono accorto, anche, che l’amicizia è insostituibile anche nei rapporti sentimentali. Non si può dire di amare una persona se, prima, non si nutrono nei suoi confronti, sentimenti di amicizia. Io ho amato molto, forse troppo e troppo male. Ma, forse, non sono stato per chi ho amato, un vero amico, un vero confidente. Anche questa, da parte mia, è stata una prova di superbia e di immodestia.

                Ho pensato che amare significasse mettere colei sopra un piedistallo, un altare. Niente di più sbagliato. La persona che si ama deve essere alla tua altezza. Nessuno dei due deve sentirsi suddito dell’altro. Dare tranquillità è importante, ma non si deve dare tranquillità a scapito della propria personalità ed onestà. 

                Tutto ciò che ho scritto fino ad ora è per rispondere a domande e richieste che molti di voi mi hanno fatto in questi giorni. Qualcuno mi ha chiesto, tra le varie cose, anche notizie sulla mia salute. Adesso vi metterò al corrente, ma, in seguito, cercherò di parlarne con voi meno che sia possibile. Ognuno di noi ha i suoi problemi,  ha le sue battaglie quotidiane da combattere, i figli da crescere, le finanze da controllare, e pertanto non trovo giusto  che io sia causa di ulteriore tristezza.

                Si sono sviluppate delle metastasi al polmone e al fegato. Dovrò fare ulteriori accertamenti la prossima settimana per poi iniziare immediatamente  la chemioterapia.  Confido molto nel fatto che possa riacquistare un po’ di quella forza di volontà, che negli ultimi tempi mi ha abbandonato.  Poi, sarà quello che Dio vorrà.

                Riparto, lo avrete capito dopo questa lunga lettera. Inizio di nuovo ad essere presente sul Blog.  Forse avete ragione tutti voi quando mi dite che anche il Blog, se usato nel modo giusto, può essere una valvola di sfogo, un modo per sentirsi vivi.

Per me, comunque, è certamente un modo per essere me stesso.

                                                                                                                             Enrico

               

 
 
 
 
 

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