«Ho visto cose che noi italiani…». Antonella Dipierro, 34 anni di Noicattaro, non va a caccia di androidi, ma di automazione se ne intende. Tanto è vero che da software developer (tradotto: sviluppatrice di programmi, programmatore insomma) è partita da Bari lo scorso 28 ottobre per raggiungere Shanghai, la metropoli più popolosa della Cina (per curare l’installazione di banchi di collaudo frizioni in una azienda del posto), inviata in Estremo Oriente dall’azienda barese per cui lavora, leader nella progettazione e realizzazione di macchine e linee automatiche per l’assemblaggio e il collaudo di componenti automobilistici (ma c'è anche un asset per la progettazione e realizzazione di dispositivi biomedicali). Le restrizioni di questi giorni non le hanno impedito di volare dalla Puglia a Roma Fiumicino per poi giungere a destinazione con scalo a Helsinki. Ma nel passaggio da Ovest a Est il cambio di scenario le è sembrato rilevante non soltanto per gli occhi a mandorla, i templi, i giardini e… i mercati (senza pipistrelli).
ISOLAMENTO In Italia lo chiamiamo lockdown, inteso come confinamento. In Cina pure, anche se scritto in mandarino. Solo che ciò che a noi è oggi impedito (vedi anche ultimo Dpcm), da quelle parti adesso è consentito, grazie a un tracciamento massiccio (coi tamponi e con le app) e a un isolamento severo, ma temporaneo, per chiunque intenda entrare nel Paese. «Arrivo a Shanghai venerdì scorso - descrive, come in un diario, Dipierro, laureata in Informatica all’Università «Aldo Moro» - portando con me non solo il passaporto con visto e l’approvazione dell’ambasciata cinese, ma soprattutto la preziosa certificazione di un test negativo fatto a Bari. All’aeroporto inizia il... “Covid senza frontiere”, quasi un gioco con ostacoli e livelli da superare. Il percorso verso l’uscita è fatto di tanti piccoli posti di controllo tutti rigidamente organizzati da personale in tuta protettiva. Non parlano sotto le mascherine. Solo gesti con le mani guantate. L’iter è infinito: moduli di salute da compilare, dichiarazione di movimenti passati e futuri, distribuzione di istruzioni, scansioni di qr code in ogni posto di controllo. Poi, il primo premio: sottoporsi al tampone di ingresso».
PRECISIONE Se vi lamentate dei controlli e delle restrizioni decise in Italia, non andate in Cina. «Fuori dallo scalo - prosegue Dipierro - addetti mascherati mi conducono al bus speciale diretto all’hotel dove trascorrerò i primi tre giorni di quarantena. A quattro ore dall’atterraggio, lungo periodo di burocrazia, segno bene l’orario. Sono le 11.35. I cinesi sono precisi. La mia quarantena finirà dopo 14 giorni alle ore 11.35. Disinfettati i bagagli, salgo sul pullman senza sapere dove portano me e gli altri sconosciuti compagni di viaggio. Qui è il Governo a decidere, mica quando parti ti comunicano l’albergo. Sistemati nuovamente i bagagli, cioè disinfettati ancora da cima a fondo, mi consegnano le chiavi dell’alloggio indicandomi un Qr code attraverso cui aggiungere il contatto WeChat del medico che mi seguirà nei primi tre giorni. Questa applicazione, più o meno come la nostra Whatsapp, è come un passepartout con cui i cinesi fanno di tutto: pagano nei negozi, utilizzano i mezzi di trasporto, oltre al semplice chattare cui anche noi siamo abituati. Arrivo in camera e la dottoressa manda il primo messaggio. Devo misurare la febbre due volte al giorno e comunicarla».
GENTILEZZA A chi volesse provare l’ebbrezza dell’esperienza è bene chiarire. Non si sogni di interrompere l’isolamento. «La mattina dopo sento bussare alla porta e mi sveglio. Un altro uomo bardato e sigillato in una tuta bianca con visiera, occhialoni, guanti da terapia intensiva, stivali di gomma che gemono sul pavimento, mi lascia la colazione. Una persona direi rigida, come tutto il resto del personale, ma educatissima e molto gentile. I pasti sono serviti ad orari da ospedale: ore 6 per la colazione, 11.30 per il pranzo, 17.30 per la cena. Il menù è più o meno sempre lo stesso: riso in bianco, verdura lessa, pesce lesso o pollo bollito serviti in una asettica vaschetta avvolta in un sacchetto di plastica. La mia finestra (il sole è fortissimo nel mio terzo giorno di permanenza) si affaccia su una scuola. Mentre faccio colazione riesco facilmente a vedere un campo da basket e un campo da calcio. Assisto a non so bene cosa: un rito, una premiazione o magari semplicemente l’inizio della settimana. Non lo so e non lo saprò mai. Vedo file composte di ragazzi (vedi foto) che con musica in sottofondo vanno a occupare tutto il rettangolo. Guardano il palco, portano la mano in fronte e gridano qualcosa. La bandiera cinese si alza al vento. Sembra l’alzabandiera, in effetti. Ma mi colpisce che a farlo siano degli scolari».
POLIZIA Nella Repubblica popolare non esiste l’ammuina. «Dopo mezz’ora senza alcun tipo di schiamazzo, tutti composti e in fila indiana ritornano nelle proprie aule proprio mentre il medico su WeChat mi dice che posso essere trasferita. Anche il tampone fatto qui in aeroporto è negativo. Tiro un sospiro di sollievo. Così lascio Shanghai, non senza prima la pulizia dei bagagli…, e mi dirigo nell’altra struttura alberghiera dove finirò la quarantena. Altro giro, altra corsa: oltre al classico contatto del medico di turno, ricevo anche un numero di assistenza psicologica. Sulla porta della mia nuova camera, ecco un nastro con tanto di scritta “Police”. Mi ricorda che no, non posso uscire. Le giornate scorrono, cerco di tenermi impegnata. Lavoro, leggo, chiamo qualche amico. A pranzo mi rendo conto di una cosa a cui non avevo fatto caso prima: trovo il biglietto da visita del ristorante che mi ha preparato il pasto. Leggo il nome dei due cuochi e affianco la loro temperatura rilevata in quel momento (vedi foto). Questo sì che significa tracciare! Rido tra me stessa e penso a cos'altro accadrà di inaspettato fino al 13, cioè al giorno in cui sarò libera. Prima di andare a dormire penso che forse questi cinesi, in fondo, la sanno lunga. Vi farò sapere…».
Inviato da: GiuliettaScaglietti
il 13/06/2024 alle 16:24
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il 12/10/2023 alle 19:22
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il 30/06/2022 alle 17:12