Creato da LivinginFortaleza il 16/12/2009

Fortaleza Report

Giorno dopo giorno da Fortaleza

 

 

Musica dal Brasile

Post n°666 pubblicato il 21 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Yamandu Costa (chitarra) Dominguinhos (fisarmonica) interpretano "Lamentos"

 
 
 

Musica dal Brasile

Post n°665 pubblicato il 21 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Altamiro Carrilho interpreta "Flor Amorosa"

 
 
 

Voci dal Brasile

Post n°664 pubblicato il 21 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Tulipa Riz canta "Pedrinho"

 
 
 

Rio de Janeiro - Il centro

Post n°663 pubblicato il 19 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Camminare per il centro di Rio è come trovarsi dentro un grande puzzle scomposto.. non sai da che parte cominciare per ricomporlo e all'inizio ti sembra tutto fuori posto. E' una città stratificata Rio, ma qui, dove lo spazio non fa difetto, gli strati si sono sviluppati in orizzontale e non in verticale, come di solito accade e si è costruito adattandosi al terreno, seguendo le mode e gli stili del momento, aggiungendo qualcosa lì accanto, girandoci attorno, un pò come si è riuscito e un pò come si è potuto..

Scalinata del Selaron

Un mosaico variegato come quello che tappezza la Scalinata del Selaron..è da qui che inizio il mio percorso. Vista da lontano, di sbieco, in fondo ad un vicolo squallido, con i suoi colori vibranti e lucidi, sembra un macro tappeto srotolato dall'alto. In 215 gradini, 4 metri di larghezza, mattonelle quadrate, romboidali, rettagolari, dipinte a mano o industriali, stampigliate o impresse, che dicono qualcosa o non dicono niente, con accostamenti tematici o in totale contrasto. L'arte musiva di  Jorge Selaron è del tutto latina.. non per niente lui, con il suo barbone brizzolato e l'immancabile t-shirt rosso fuoco, è cileno, artista autodidatta che dopo aver girato il mondo è qui, lungo la scalinata che porta al convento di S.Teresa, che ha deciso di fermarsi.

  

Murales nel quartiere della Lapa

Il quartiere della Lapa, luogo effervescente, prediletto da intellettuali e gente di spettacolo - qui vissero Machado de Assis, Jorge Amado, Carmen Miranda, Heiror Villa-Lobos fra gli altri - si è sviluppato attorno al settecentesco acquedotto (Arcos da Lapa) con due ordini di archi, che taglia la piazza in trasversale. Peccato non vedervi più scorrere sopra il bondinho (tram) giallo - uguale uguale a quelli che circolano per il centro di Lisbona - .. purtroppo è stato - si spera momentaneamente - disattivato. Saliva su a Santa Teresa, collina verdeggiante e zona residenziale, ricolma di villini Art Nouveau, alcuni dei quali trasformati in pousadas e B&B. 

Scalinata del Selaron

Reminiscenze portoghesi si scorgono nella chiesa che ha dato il nome al quartiere N.S. do Carmo da Lapa,  dalle forme severe addolcite da bordure di azulejos e nei tanti edifici, meritevoli tutti di un poderoso restauro, dalle facciate decorate, con volute e maschere, con fregi e ghirlande. Centri culturali ed associazioni, ex-cinema trasformati in pub, vie diventate centro della "boemia" carioca, la vita notturna. Bisognerebbe spingersi qui di notte, con le luci accese e la musica nell'aria --dal forrò al rock, dallo choro al samba -in questi "botequins" riammodernati, mentre altri sono rimasti tali e quali, magari un pò scalcinati, perfetti per bere e socializzare. E' qui, fra questi tavolini che negli anni'30-'40 ed oltre, autori talentuosi si sfidavano a colpi di canzoni, al ritmo di samba, improvvisati sul momento, con le rime ineccepibili, le frecciate allusive, duelli sonori in piena regola, che certe volte finivano male. E' proprio qui, fra queste vie, che è nato il "malandro carioca" con tutto il suo bagaglio di significati e simbologie.

 

Scalinata del Selaron / mural

Adesso sono i graffitari a confrontarsi, colorando i muri della città di meraviglie a suon di bombolette spray, con grande creatività, grande abilità, tanta tecnica e fantasia.Un tassello un pò stonato è la vicina cattedrale metropolitana di S. Sebastiano .. sembra una navicella spaziale, caduta da chissà dove.. tronco-cono gigantesco che stride con tutto il resto. Una capsula modernista nel cuore di Rio che ospita il museo di arte sacra ed è in grado di accogliere folle di fedeli - fino a 20.000. Giri l'angolo e ti ritrovi invece nel Brasile coloniale, quello degli acquerelli di J.B. Debret per intenderci, con le strade percorse da carrozze, signore in crinoline ed ombrellini e tanti schiavi a vendere mercanzie. Il convento e la chiesa di S. Antonio, fondati dai primi francescani giunti in città sono un esempio di architettura coloniale secentesca.

Antiga cattedrale / edifici coloniali in largo do Boticario

Qui venivano sepolti i membri della famiglia imperiale, da qui uscirono frati importanti per la storia brasiliana. Un santo potente, cui votarsi in caso di pericolo, di attacchi ed invasioni e così, dato che funzionava meglio di un esercito, fu nominato dapprima capitano di fanteria e poi tenente colonnello, ed il suo stipendio regolarmente pagato al convento. Adesso abbarbicato sulla collinetta omonima, un poco malridotto e in fase di restauro, il convento è costretto a convivere con le bancarelle del mercato sottostante, con il viavai di passanti frettolosi, banchi di libri  a metà prezzo e gadget calcistici. Tutt'intorno si spandono a volume altissimo inni di squadre di calcio, neanche fossero arie d'opera e il Teatro Municipale, guarda caso, è a due passi..

Teatro Municipale

Con un involucro neoclassico degno della migliore musica, non gli manca niente :   le statue allegoriche ci sono, le cupolette scure pure, così come i decori dorati e le colonne doriche. Fu inaugurato nel 1909, suscitando meraviglia e stupore. Era l'imponenza che doveva rappresentare, con quella pomposità tipica da Operà di Parigi, che appunto imitava. Marmi e cristalli, affreschi e vetrate, balaustre e mobilia, specchi e macchinari, tutto importato dall'Europa, affinchè la copia non sfigurasse minimamente rispetto all'originale.   

Real Gabinete Portugues de Leitura

Le grandi avenidas, dove centinaia di macchine in fila indiana si incolonnano come modellini in un plastico, decido di snobbarle e mi addentro fra le vie pedonali, quelle che conservano ancora qualche traccia sporadica del passato, che talvolta sorprende. Il Real Gabinete Portugues de Leitura lo individui subito, è una biblioteca, ma non semplicemente e solo quello. Fuori.una facciata da manuale, in stile neo- manuelino (dal re Dom Manuel I 1491-1521) con le sue guglie esuberanti e l'esaltazione della lusitanità nelle statue di Vasco de Gama e Luis de Camoes. Quasi una fotocopia del XX secolo di celebri edifici lisbonensi, vedi Monastero dos Jeronimos e Torre di Belèm.. Dentro, un ambiente apprezzabile da bibliofili e non, dove il libro è coccolato, curato, custodito e vezzeggiato entro grandi scaffalature che sono tutto un traforo e un intaglio.. osservo rapita e respiro quest'aria buona, libresca, liberatoria..

Confetteria Colombo, dal 1894

Qua e là qualche antico negozio,  come la profumeria dal nome poetico "O jardim engarrafado da cidade" (il giardino imbottigliato della città) che dal 1947 vende lozioni profumate ed ogni genere di flaconi e bottigliette - dimenticate l'odiosa plastica, qui è tutto di vetro- e dove il vecchio proprietario si nasconde, mostrando una timidezza e una riservatezza che non pensavo ancora esistessero.O come una vecchia pasticceria art Decò con le vetrate decorate ed i dolci in scatole di latta, o come la rinomata Confeiteria Colombo, sontuosa caffetteria storica, in piedi dal 1894.

antica profumeria "O jardim engarrafado da cidade", dal 1947

Qui il tempo sembra si sia fermato, credenze in jacaranda, banconi in marmo italiano, vetrine bombate, pavimenti floreali, sedie impagliate, specchi dorati, soffitti con vetrate.. tutto un luccichìò per il tempio della pasticceria portoghese, dove reali, politici, scrittori ed artisti erano serviti con i guanti bianchi, su vassoi d'argento e porcellane raffinate con rifiniture d'oro. Biscottini, ripieni o da the, cialde, pasticcini, e poi pingo de tocha, pastel de nata e trouxinha de ovos - dolcetti realizzati con la stessa ricetta dei maestri confettieri portoghesi.

 

Confetteria Colombo, dal 1894

Il centro è un'alternanza di vicoli con negozi chic e vie più popolari, dove, tra bandierine multicolorate appese,  trovi di tutto, negozi per animali, ricambi per elettrodomesttici, rivendite alimentari, e dove le cabine telefoniche sono tappezzate interamente - stile horror vacui - da annunci di "particolari servizi a domicilio", senza che ci siano dubbi su quale genere di servizio si tratti..nel loro accostare i colori dei cartoncini, mi ricordano tanto una favela di Rio, vista qualche giorno prima.. il gusto cromatico sembra proprio lo stesso..

orelhão (cabina telefonica)/favela

Mi spingo verso il mare, laddove si concentra il nucleo più antico della città, la piazza XV è contornata dalla severissima antica cattedrale, da una fontana piramidale, opera di uno dei più famosi scultori rococò brasiliani, il mulatto Mestre Valentim e dall'altra, dal Palazzo Imperiale, fin quasi modesto per un impero così vasto..residenza di governatori, re e poi imperatori, ora è un centro culturale. Qui avvenivano le udienze reali, qui avvennero le incoronazioni e le acclamazioni popolari, qui venne firmata la Lei Aurea, che sancì l'abolizione della schiavitù.

Palazzo Imperiale 

Lo skyline di un tempo puoi solo immaginartelo - ora irrimediabilmente rovinato da un brutto viadotto -la costa in lontananza e l'Ilha Fiscal, abbastanza vicina..un posto di controllo delle merci in entrata e in uscita dal porto di Rio, che più che una dogana mi sembra un castello delle fiabe, tutto verde- azzurro con le guglie neo-gotiche. Fu l'imperatore Dom Pedro II- evidentemente sensibile a questioni estetiche- a deciderne le forme, in uno stile che non deturpasse il bel paesaggio della baia. Si optò per un gotico alla Viollet-le-Duc, un capriccio medievaleggiante e si pensò anche al verde, impiantando palme di cocco. Dal 1913 l'isoletta fu consegnata al Ministero della Marina che la utilizzò come sede di istituti idrografici e metereologici. Adesso è un sogno architettonico che si specchia sull'acqua, da raggiungere a piedi o con un battello.

Ilha Fiscal

Vicino vicino un'altra perla dell'architettura coloniale di Rio, il Museo Storico Nazionale, ma la sua storia e quello che c'è dentro l'ho già raccontata..

 
 
 

Rio de Janeiro - Il Cristo Redentore

Post n°661 pubblicato il 18 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 
Tag: Brasile

Mirante Dona Marta

"Lasciate ogni romanticismo voi che andate".. così potrebbe recitare una targa da affiggere lungo la strada per il Corcovado. Dimenticate pure il silenzio, la solitudine e la tranquillità.. recarsi a visitare il Cristo Redentore è una tappa obbligata, un voto da sciogliere, un dovere da compiere.. e i pellegrini sono tanti - di tutte le età, razze, lingue e religioni-.. inconcepibile pensare di goderselo tutto soli soletti..Qualcuno lassù, in sostanza, ce lo trovi sempre..Sarebbe bello prendere l'elicottero e fare le boccacce a quelli giù in basso, accalcati.. ma è solo un'idea e tale rimane.. 

Cosme Velho- Stazione treno del Corcovado

Come funziona la cosa, lo capisci appena arrivi nella piazzetta di Cosme Velho, davanti alla piccola stazione ottocentesca tutta dipinta..è un movimento continuo di turisti, taxisti, autisti, operatori turistici, oltrechè dei normalissimi abitanti del quartiere per niente stravolti, anzi avvezzi a questo frastuono.La meta è una sola : guadagnare il Corcovado, non importa come, quanto costa e in quanto tempo. C'è chi opta per il trenino, rosso fiammante, che dopo un lungo tragitto, si inerpica per ripidi pendii nella foresta della Tijuca, per poi depositarti a destinazione. Si può sempre andare a piedi o in bicicletta- opzione questa solo per chi ha buone gambe e tanto, tanto fiato.

baia di Guanabara e Rio de Janeiro vista dal Mirante Dona Marta

L'alternativa, pratica, moderna, economica c'è.. i pulmini. E' un vero business, tutto ben organizzato, studiato, rodato da anni di esperienza turistica, meglio dire da decenni ed anche di più..L'offerta è del tutto professionale, ti attirano suadenti, spiegandoti  per filo e per segno, ti caricano, ti applicano un bollino di riconoscimento ed infine ti scaricano come pacchetti postali nei punti prefissati.Se ritardi, ti lasciano lì, ma niente paura.. salirai sul van successivo.. tanto, è un passaggio continuo, un riciclo di gente, una vera industria del divertimento..

Laguna De Freitas, Zona sul e il Corcovado visti dal Mirante Dona Marta

Famiglie, gruppi di amici, fidanzati, coppie di una certa età, giovani globetrotter, fotografi della domenica, una varia umanità, quella che aspetta speranzosa di affacciarsi sul terrazzo panoramico più famoso al mondo. La strada, la lastricata Ladeira dos Guararapes, sale su, fra ville ed antichi edifici immersi nel verde, percorsa da un salire e scendere continuo di furgoni con turisti ammutoliti.. per fortuna la radio dell'autista tiene su il morale. Fra una curva e l'altra, lungo la Estrada das Paneiras, spunta ogni tanto un lembo di favela..

Il Mirante Dona Marta offre un assaggio del panorama che si godrà più in sù, vale a dire, un antipasto prima del dessert..Oltrepassata una fitta boscaglia di bambù, la raccolta terrazza offre una vista magnifica sulla città. Bisogna sgomitare per farsi posto, per guadagnarsi uno spazietto ed il diritto - sacrosanto- di farsi una foto-ricordo. Gli altri concorrenti, in questo gioco " a chi si fotografa di più" sono assai agguerriti, per niente disposti a cedere di un passo. Scatti di gruppo, singoli, di coppia, in pose ammiccanti, con tutta la famiglia, con varie spiritosaggini...

souvenirs sul Corcovado

Mi sembra quasi che siano tutti più attenti e interessati a fotografarsi, piuttosto che ad osservare e cogliere la bellezza del paesaggio, captare con lo sguardo l'immensità della baia, scoprire l'intreccio urbano della città, scorgere Niteroi dall'altra parte, lo Stadio Maracanà, l'aeroporto, seguire il profilo del lungo ponte fra i due versanti. Mi immagino, estraniandomi da tutto, scontri navali, fantastico di attacchi di pirati e mentre un aereo- appena decollato dall'antico aereoporto cittadino Santos Dumont- vira sopra la spiaggia di Botafogo, penso a quando circa due secoli fa, qui, fra queste acque, si cacciavano balene, per estrarne il famoso olio.. 

Arcipelago  Isole Cagarras, visto dal Corcovado

Altra sosta d'obbligo è quella per pagare il biglietto d'ingresso al Parco della Tijuca, un grandioso polmone verde, area ecologica preservata, divisa in quattro unità, a due passi dalla città, e in parte dentro la città stessa. Addentrandosi nei numerosi percorsi del parco, ci si può tranquillamente imbattere nel Tangará-dançador (Chiroxiphia caudata), nell'Arapaçu-verde (Sittasomus griseicapillus), nel Saíra-de-sete-cores (Tangara seledon) e nel tropicalissimo Tucano-de-bico-preto (Ramphasto vitellinus). I più fortunati possono anche sperare  nell'incontro con speci rare dell'avi-fauna. I turisti frettolosi, di passaggio vedono poco in realtà, ma ben nascosti ci sono cascate e laghi, foreste e picchi a strapiombo, dove praticare l'arrampicata libera e il parapendio.

souvenirs sul Corcovado

Ancora qualche chilometro per una strada a serpentina e si è arrivati. I turisti si agitano come formiche impazzite.. si abbarbicano sui gradini, li affrontano con determinazione - per i più pigri e per chi ha problemi motori ci sono pur sempre ascensori e scale mobili - Per alcuni sembra una salita al Calvario, e come nella via Crucis ci sono le Stazioni Dolorose, qui ci sono snack-bar e negozi di gadgets.. Così, mentre prendi fiato tra una rampa  e l'altra, puoi sempre confortarti con bibite e panini, comprare ricordini e cartoline, sostare sotto un ombrellone.

 Rampe di gradini per accedere alla terrazza del Corcovado

Il Cristo appare a prima vista, di spalle.. sembra fare il gesto di spiccare il volo o più prosaicamente di aprire le braccia- rigide ed erette- per un esercizio di ginnastica..la terrazza è ricolma e imperversa la febbre incontenibile dello scatto/auto-scatto, malattia contagiosa, mentre il Redentore è impassibile e guarda oltre.. forse, se potesse muoversi, incrocerebbe le braccia, chissà..Chi si sdraia sul pavimento, chi si torce di 3/4, chi si inginocchia, l'importante è inquadrarsi insieme al Cristo. Il panorama è mozzafiato, nonostante questa calca e un generale vociare.. Non ci si può proprio raccogliere, lanciare uno sguardo in religioso silenzio, ripercorrere mentalmente sforzi e fatiche fatti da chi ha costruito tutto questo..immaginare vagamente l'emozione dei primi viaggiatori che salivano fin quassù col trenino, per fare un giro fuori porta..

Giardino Botanico, laguna De Freitas, Ipanema e Leblon, isole Cagarras- visti dal Corcovado

Alla fine la città non ha più segreti, riconosci le vie, individui gli edifici, localizzi i punti.. è come vederla al computer, sulle mappe satillitari, solo che qui non puoi zoomare.. e allora mi diverto a farlo con la fotocamera.. immortalare la mia faccia, non mi interessa, la conosco fin troppo bene.. Ecco le coordinate che stavo cercando, la percezione dello spazio che mi mancava..  e pensi -una volta vista Rio de Janeiro da quassù, non ti ci puoi più perdere..

souvenirs sul Corcovado

Mi soffermo poi, con una nota di masochismo, nei negozi di souvenirs.. spille e magneti, portachiavi, di plastica e metallo, colorati, rosari e tazze, statuine in gesso, legno, alabastro, Cristi dorati, platinati, bruniti, argentati.. su magliette e cappellini, foulard e accendini.. una fiera del cattivo gusto - uguale qui come in altri luoghi- che non finisce mai di stupirmi..

Il giro è finito.. rien va plus..

 
 
 

Muro, mural, murales

Post n°660 pubblicato il 18 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Sui muri di Rio de Janeiro

 
 
 

Rio de janeiro - i musei II

Post n°659 pubblicato il 18 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

 

MHN, Museo Storico Nazionale, RJ

E' ospitato in un edificio, oltrechè bellissimo, assai antico e ricco di storia e meritano senz'altro una visita, sia il contenuto che il contenitore. Al principio era un forte, il secentesco forte di Santiago, importante struttura difensiva della città di Rio de Janeiro e della baia di Guanabara, costruito com'era sulla punta più avanzata. Nel '700 accanto al forte fu costruita la Casa do Trem, che custodiva l'armamento delle truppe inviate dal Portogallo, per difendere la città dai continui assalti dei pirati, attratti dai carichi di oro del Minas Gerais.

MHN, Museo Storico Nazionale, RJ

Diventata Rio la capitale del Brasile, si costruì un arsenale militare, destinato alla fabbricazione di munizioni e riparazione di armi e con l'arrivo della corte portoghese , i due edifici vennero infine accorpati per diventare un grande centro di produzione e custodia di armi e munizioni dell'esercito. Grandi trasformazioni l'edificio subì per diventare la sede dell'Esposizione Internazionale del 1922, cui parteciparono 14 nazioni e tutti gli stati brasiliani, nell'ottica di inserire ambiziosamente la città fra le grandi capitali moderne. Ed è proprio nell'ambito dell'esposizione che nasce il Museo Storico Nazionale, ospitato in alcune sale. Negli anni '80 l'insieme architettonico è stato restituito al suo aspetto originale, un'architettura tipicamente coloniale, con mura immacolate e semplici elementi strutturali in pietra.

manufatti di arte plumaria / maschere indigene -Museo Storico Nazionale, RJ

Il percorso espositivo segue un andamento storico, dai primi uomini ai giorni attuali. Il rifacimento di una grotta della Serra di Capivara, famosa per le pitture rupestri, e manufatti rinvenuti in scavi archeologici risalenti a più di 5000 anni fa.. sono i cosiddetti sambaquis, collinette formate da depositi organici - residui di conchiglie di molluschi e resti di carapaci di tartarughe- ossia l'alimentazione dei primi abitanti, chiamati sambaqueiros.. al suo interno rinvenuti resti di manufatti in ceramica, osso e pietra, utensili, ossa umana ed animali, strumenti di caccia e pesca, ornamenti ed oggetti sacri.

bamboline in ceramica - Museo Storico Nazionale, RJ

Ampia esposizione quella dei manufatti indigeni.. dagli ornamenti in piume, carichi di significati irispetto allo status sociale, appartenenza etnica e definizione sessuale, in una varietà colorata di gonnellini, orecchini, collane, copricapi, cavigliere, anelli e bracciali, cinture, pettorali, ornamenti per labbra-orecchie-naso- fronte, a frecce e remi per canoe, dai tanga di perline alle maschere di paglia, da grandi bacili e pentole in terracotta bìcroma, alle bamboline di ceramica, sorta di giocattolo educativo per le bambine e fare loro apprendere, attraverso il gioco, il loro ruolo nella società.

Reperti provenienti dalle missioni gesuitiche - Museo Storico Nazionale, RJ

L'arrivo dei Portoghesi è testimoniato da alcuni reperti legati alla loro espansione marittima, alla volontà di scoprire e prendere possesso di nuove terre, di ampliare e consolidare il proprio potere..sulla piccola monetina in argento "Indio"- coniata nel 1499 ed usata nei commerci d'oltremare, soprattutto con l' India, una croce e la frase "In hoc signo vinces" la dice lunga sulle velleità coloniali lusitane.. Armati di spade ma anche di croci, i primi esploratori vennero raggiunti da missionari di vari ordini religiosi .. testimoni di questa fase della storia brasiliana, sono alcuni frammenti architettonici (colonne, frontone, porta, pavimento, lapide) provenienti dalla missione gesuitica di São Miguel. Accanto alle missioni sorsero pure le fazendas, vero e proprio nucleo di produzione coloniale, che prevedeva l'uso sistematico di manopera schiavizzata, dapprima indios e poi africani. Inizia la tratta degli schiavi e lo sfruttamento intensivo di tutte le risorse naturali del territorio.

barrette d'oro -Museo Storico Nazionale, RJ

Fu soprattutto l'oro, con la scoperta di ricchi giacimenti nella regione del Minas Gerais, ad alimentare per molto tempo l'economia portoghese.. in mostra monete, barrette, una maschera di ferro per evitare che gli schiavi ingerissero le pepite d'oro, forme per lingotti, setacci ed altri strumenti. Tante libbre d'oro, una ricchezza ed uno splendore visibile nella mobilìa sofisticata delle case nobiliari brasiliane, negli esuberanti oratori dipinti- quasi cappelle portatili private-tutti capolavori di ebanisteria barocca, di un barocco tropicale, con caratteristiche tutte sue rispetto a quello europeo, uscito  dalle mani di artigiani neri o meticci.. visibile anche nelle statue di santi, ridondanti, e nei pezzi di arte sacra, santini, puttini, statuette, crocefissi.. per pregare sì, perchè tante erano le cose da farsi perdonare..

mobilia barocca - Museo Storico Nazionale, RJ

L'impatto della cultura africana sulla società brasiliana è emblematicamente riassunto nei bracciali d'argento delle nere bahiane, quasi un monile con charms ante-litteram, in realtà amuleti contro il malocchio, nonchè in altri oggetti legati a rituali religiosi africani e al loro folclore, danza e musica, tutti legati a stretto filo. Anche l'arrivo della corte portoghese a Rio- Dom João e Dona Joaquina Carlota- nel 1808, segnerà un passaggio successivo che determinerà nel paese trasformazioni politiche, sociali ed economiche. Da città coloniale, Rio de Janeiro diventa piano piano una metropoli, con gusti e tendenze europee, sopratutto francesi. Quadri e ritratti, arredi intagliati e madreperlati, oggetti preziosi, porcellane raffinate.. la corte, anche se ai tropici, non si faceva mancare nulla, facendosi spedire tutto dal Vecchio Continente, nel tentativo di fare di Rio la "Parigi delle Americhe". I rapporti di forza sono ben espressi dal rilievo allegorico, dono fatto al sovrano di questo regno in divenire.. il "Nuovo Mondo" rappresentato da un'india che si genuflette ad omaggiare il suo re, e ad offrire i prodotti della terra.. anche se non erano banane ed ananas ad interessare i portoghesi.. 

Rilievo in alabastro donato a D.João  al suo arrivo in Brasile- MHN, RJ

In mostra nelle sale successive gli sforzi fatti per costruire dal nulla una nazione, dalla dichiarazione di Indipendenza dal Portogallo in poi, un lavoro immenso per unificare un territorio vastissimo, creare strutture amministrative e sociali, fissare dei simboli in cui potersi riconoscere, inserire ed allineare il paese nei canoni della civiltà europea. Una galleria di quadri, armi,  sedie  e cassettoni, monete, emblemi, banconote, documenti ed oggetti fra cui la lettera d'addio di Dom Pedro I che abdica in favore del figlio, scritta fra lacrime di commozione a bordo della nave Warspite, e il calco della mano di Dom Pedro II da adolescente. Una nazione che, finita l'era dell''oro, basava la sua ricchezza su un altro prodotto, il caffè.. e così se da una vetrina spuntano abiti ricamati, cristalli, scatolette intarsiate, specchi, scarpine dorate, pianoforti ed argenteria, tutta "roba" dei potenti baroni del caffè, immortalati in lucidissimi busti marmorei, verosimiglianti come fotografie, dall'altra  catene,  collari, maschere di ferro, una gogna e persino i marchi, ricordano i supplizi di chi alimentava tale ricchezza, gli schiavi. Nel mezzo, macinini e bilance, dosatori e setacci. 

 

Museo Storico Nazionale, RJ

Una imponente tela raffigura momenti della sanguinosa e quinquennale guerra (Guerra do Paraguai) che fra il 1865 e il 1870 divise in due il sud America- Brasile, Argentina ed Uruguay da una parte, Paraguay dall'altra- vinta infine dai primi. Echi di epici scontri navali nelle gòmene di alcune navi e nelle uniformi militari con bottoni dorati e mostrine. Una piccola penna d'oro con pietre preziose incastonate, merita una vetrina tutta sua. E' quella usata dalla Principessa Isabella per dichiarare ufficialmente abolita la schiavitù, in un clima effervescente di cambiamento, desideri ed aspettative. Di fatto, ci volle ancora del tempo perchè le cose cambiassero veramente.

Patio dos canhões- Museo Storico Nazionale, RJ

Fra patii, cortili, scalette, nicchie, sporgenze e rientranze.. il museo offre ancora tanto, un'esposizione di cannoni, disposti a cerchio contro una fontana, mostre temporanee, una raccolta di dipinti sacri di scuola spagnola-peruviana (XVII- XIX secc), una ricca collezione numismatica ed una sequenza di carrozze reali, perfettamente conservate e colorate ed altri mezzi a due ruote, presi in affitto quando ancora a Rio le strade erano lastricate, e la nobiltà carioca, nascosta tra marsine e cuffiette, ventagli e bastoni, si recava a passeggio sulla collina della Gloria, per godere il fresco e panorama..

Museo Storico Nazionale, RJ

Prima di uscire uno sguardo di ringraziamento -dovuto- al busto bronzeo del primo direttore del museo, nonchè fondatore, Gustavo Barroso..

proprio una bella idea, la sua..

 
 
 

Rio de Janeiro - i musei I

Post n°658 pubblicato il 18 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Museo Carmen Miranda-RJ

L'idea dell'architetto Afonso Eduardo Reydi era quella che creare un edificio che richiamasse la forma di una fisarmonica, per ospitare balli e concerti. In cemento armato, basso e circolare, sembra più un bunker, ed ospita dal 1976  il Museo Carmen Miranda, la pequena notavel. Tra le vetrine alcuni dei 65 abiti di scena donati al museo nel 1956, solo un anno dopo la sua morte, ed accuratamente restaurati - camicie, gonne, bluse, tuniche, corpetti, cappotti. Colorati, ridondanti, esuberanti come la sua personalità, le mises e i copricapi ricoperti di paillettes e passamaneria, indispensabili per i suoi travestimenti da "bahiana", la bigiotteria vistosa,  le famose scarpe a piattaforma, per le quali Carmen andava matta e che collezionava avidamente - molto simili a certe calzature "avvenieristiche" viste sulle passerelle di moda degli stilisti più eccentrici -

Museo Carmen Miranda -RJ

Abiti a sirena sfavillanti, gonnellone a ruota e corpetti aderenti, abiti bordati, frangiati, con canutiglia plasticosa, perline, pizzi, pietre e cristalli e paillettes dorate o argentate.. tutti indossati in famosi film e spettacoli. L'accessorio aveva un'importanza fondamentale.. borsette, cinture e gli inconfondibili turbanti, che Carmen confezionava da sè, così come i cappelli, avendo lavorato da giovane presso la "Maison La Femme chic" nel centro di Rio. Per decorarli, usava dalle piume ai cestini di frutta, dai nastri alle banane di plastica, persino piccoli giocattoli.

Due modelli di mises da "bahiana" - a destra quello "modernista" creato da J.Luiz nel 1938, per lo spettacolo presso il Cassino da Urca- Museo Carmen Miranda-RJ

Tutto coordinato e pensato nei minimi dettagli da lei e da costumisti di scena esperti, o da stilisti di Hollywood- Helen Rose, Gwen Wakeling, Yvonne Wood, Travis Bantos, Sasha Brastoff, Barjansky- al fine di creare un personaggio che rivoluzionò la moda e il costume degli anni '40-'50, introducendo il cosiddetto stile "latino". Chi volesse approfondire, può spulciare le 1500 fotografie dell'archivio, consultare i suoi documenti privati- ma anche ritratti, caricature, disegni, inviti, premi, manifesti - leggere ritagli e copertine di giornale od ascoltare nastri con le sue canzoni più famose.

Museo dell'Indio-RJ

In tutt'altro clima invece ci riporta il Museo dell'Indio, in una silenziosa via del quartiere Botafogo, dal nome evocativo, Rua das Palmeiras (Via delle Palme), dove si susseguono una serie di edifici con balaustre e decori in stucco, risalenti al XIX secolo- abitazioni private di ricchi industriali, come quella che ospita il museo, di proprietà di un imprenditore carioca del campo alimentare. All'esterno, gigantografie di maschere indigene ci accompagnano fino all'ingresso, dentro una capanna di taipa che funge da biglietteria e showroom. Una scala con tettoia merlettata ci introduce fra miti e culture ancestrali, per ricordare tutta la ricchezza di tali tribù e quanto sia stato fondamentale il loro contributo alla formazione della cultura brasiliana. La ricostruzione di un lakuh, spazio sacro per la danza torè, tipico dell'etnia Oiapoque, sottolinea la profonda religiosità degli indios, la necessità di trovare una connessione con entità divine, in forma di animali e piante che abitano i fiumi, i laghi, mari, le foreste e il firmamento e che si manifestano solo attraverso gli sciamani, richiamati ed evocati con canti e danze.  

Copricapi - Museo dell'Indio, RJ

Copricapi elaborati, dipinti e assemblati vengono indossati con orgoglio dai pajè (sciamani/sacerdoti), maracà sacre con piume e penne, quasi piccoli stendardi, sono agitate per entrare in trance, con il loro ritmo ripetitivo, e connettersi con l 'altro mondo, in feste che durano due giorni, cui tutta la comunità partecipa, dove ogni cosa, persona e oggetto ha un suo posto e un suo preciso significato. Così come i tatuaggi che ricoprono i loro corpi, messaggi in codice, forme ispirate ad elementi della natura e dipinte o stampate con colori naturali - urucù, jenipapo e cumatè

panchette rituali - Museo dell'Indio, RJ

E poi oggetti d' uso quotidiano, che denotano anche una certa abilità artigianale, l'intaglio del legno per creare panchette sacre a forma di animale, giocattoli che rappresentano la fauna conosciuta- il coccodrillo, il serpente, uccelli, l'armadillo, il giaguaro- il tutto sempre decorato da colori e grafismi geometrici, astratte e personali  interpretazioni di pelli, squame, musi di animali, cortecce di alberi, oppure onde del mare, stelle e nuvole. E se ogni artigiano ha un suo stile, l'ispirazione viene sempre dall'alto, le decorazioni sono "sognate" dallo sciamano, suggerite dagli spiriti.

Museo dell'Indio, RJ

L'uso dei prodotti naturali, delle risorse che la foresta può offrire, senza nulla togliere in più di quello che realmente serve, si ritrova nella varietà di oggetti intrecciati, cesti e contenitori, stuoie, cappelli e setacci, attività questa tipicamente maschile e  nella sequenza di cuias, ciotole ricavate da piccole zucche, scavate, ripulite, essiccate e decorate - attività del tutto femminile - con vari motivi geometrici e non, foglie di palma, maiali selvatici, tele di ragno, squame di tartaruga, ma anche numeri  e nomi, e più recentemente disegni copiati da riviste e ritagli. Molteplici gli usi di questo utensile domestico, di varie dimensioni, usato per servire bevande sacre durante le feste, per mangiare alimenti brodosi, per prendere l'acqua o conservare semi.

 

Museo Internazionale d'Arte Naif, RJ

Anche l'edificio bianco-azzurro che è sede del MIAN, Museo Internazionale di Arte Naif, nella piazzetta di Cosme Velho, è della medesima epoca e stile, stessi bei pavimenti con "ladrilhos idraulicos", stessi decori alle finestre, stesse balaustre in facciata, stessa scala e tettoia. Il luogo è fin quasi strategico, visto che è a due passi dalla stazioncina, con uguale bicromia, da cui parte il treno che sale al Corcovado. Quello che regna sovrano qui è il colore, nei piccoli quadretti come nelle grandi tele, figurine tanto semplici, d'obbligo però, dimenticare  prospettiva e  proporzione, per poter apprezzare  i disegni ingenui e, per questo, commoventi..

 

Museo Internazionale d'Arte Naif, RJ

Grande spazio è dato ai padroni di casa, i maestri naif brasiliani, fra i tanti anche il cearense Chico da Silva - e come poteva mancare..- processioni, giochi sulla spiaggia, balli e feste, paesaggi, paesini, quasi delle cartoline di Rio, animali e fiori poi, scene di vita quotidiana, campestre o urbana, leggende e miti, eventi sociali ed episodi storici.. non manca proprio nulla, in questa caleidoscopica raccolta.

 

Museo Internazionale d'Arte Naif, RJ

Una enorme tela lunga 7 metri ed alta 4, della pittrice Lia Mitarrakis, dal titolo "Rio gosto de você, gosto desta gente feliz" (Rio mi piaci, mi piace questa gente felice) condensa l'amore per la città, dominata dalla sagoma bianca del Redentore, della quale si scorgono monumenti e quartieri, il ponte di Niteroi, la Laguna de Freitas, le spiagge, le case, le navi, le macchine, le chiese e naturalmente anche il museo..Circa 6000, dal XV secolo ad oggi,  le opere della collezione Lucien Finkelstein, appassionato estimatore dell'arte "primitiva" e fondatore del  museo, aperto nel 1995.

Museo Internazionale d'Arte Naif, RJ

Scorre lungo tutta una parete il quadro "Brasil 500 anni" della pittrice Aparecida Azedo, che celebra in 24 metri tutta la storia brasiliana, condensandola in alcuni momenti, i più significativi. Dalla scoperta del Brasile alla fondazione di Brasilia, passando per le missioni, i bandeirantes, l' Inconfidencia mineira, il ciclo della canna da zucchero, la schiavitù, l'arrivo della corte portoghese, la scoperta e lo sfruttamento dell'oro,  la dichiarazione d' Indipendenza, il ciclo del bestiame e del cotone, l'Abolizionismo, il ciclo del caffè, la proclamazione della Repubblica, il ciclo del caucciù, la scoperta del petrolio, l'industrializzazione. Presente nel museo anche uno spazio dedicato ad un grande pittore naif, Rousseu il Doganiere" ed una serie di quadri provenienti da tutti gli angoli del pianeta, per godere di tale ingenuità visiva sotto le più differenti forme e intrepretazioni.

Lia Mitarrakis "Rio gosto de você, gosto desta gente feliz"- Museo Internazionale d'Arte Naif, Rj

 
 
 

Rio de Janeiro- la città e le spiagge

Post n°657 pubblicato il 17 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 
Tag: Brasile

"Copacabana" quadro naif (Museu Internacional de Arte Naif do Brasil- RJ)

Bombardati da immagini da cartolina, l'idea di Rio de Janeiro è fissata in tutto il globo come di un luogo magico e allegro.. difficile non aspettarsi questo dalla "cidade maravilhosa", una delle mete turistiche più visitate al mondo..una città mitizzata e forse proprio per questo, per tali aspettative amplificate, che quando ti ci trovi dentro e cammine per le sue strade, un poco frastornato ed estraniato,  non sempre ritrovi poi quello che immaginavi..

Morro dos Dois Irmãos - spiaggia di Leblon

Che sia grande, molto grande, lo percepisci subito, planandoci dall'alto, con le miriadi di casette sparpagliate nel suo vasto entroterra..Invidio i viaggiatori di un tempo, che sebbene si sottoponessero e lunghi ed estenuanti cammini, per mare o per terra, avevano però un vantaggio, quello di prepararsi alla visuale, di capire lo spazio ed ambientarsi poco a poco, individuare le coordinate e sapere così dove erano e dove stavano andando. Sbarcati dall'aereo, ci si trova, a Rio come in quasi tutto il mondo, in luoghi periferici, grigi e industriali, fra depositi, baracche e moli, con un primo impatto del tutto anti-estetico..Una superstrada veloce attraversa aree con edifici di uso vario affastellati disordinatamente, per poi scomparire nel buio di un tunnel..Quella sotto cui si sta passando è una delle tante imponenti formazioni rocciose che circondano l'abitato, lo proteggono, lo dominano e che rendono unico  questo ambiente urbano.

Corcovado e lagoa Rodrigo de Freitas visti da Leblon

I quartieri della Zona Sul (Ipanema, Copacabana e Leblon) sono un catalogo ragionato di architettura Seventy's. Grandi vetrate, decorazioni a mosaico, forme geometriche, superfici specchiate o brunite.. parallelepipedi ingentiliti  da verande e terrazze da cui fuoriescono piante in abbondanza. Con viste privilegiate, come quelli lungo il perimetro della Lagoa Rodrigo de Freitas, contornata da alberi e piste ciclabili, o quelli sui lungomare chilometrici, ciascuno con un viavai di sportivi sfegatati, pensionati salutisti e proprietari di cani, o come quelli, disposti in contesti più riservati, lungo i numerosi viali interni, tutti rigorosamente alberati, intervallati da locali, ristoranti e negozi chic.

Morro dos Dois Irmãos - spiaggia di Leblon

Sono i quartieri "in" e più a sud ti sposti e più "in" diventano.. Leblon innanzitutto, con i suoi 8000 reais a metro quadro e quel meraviglioso monte conico, il Morro dos Dois Irmãos, sfondo perfetto per foto-ricordo, bello sempre, all'alba o al tramonto, a far da sentinella, immobile. Giri l'occhio e ti ritrovi  una favela, sullo sfondo, abbarbicata come solo qui a Rio le trovi, che di notte, con le luci, sembra quasi un presepe, e dal'altra il Cristo Redentore, piccolo piccolo lassù, che mi sembra stia guardando da tutt'altra parte..Attraversare i tre quartieri in successione è come assistere ad un gioco al ribasso, le differenze sono lievi, graduali ma effettive.

Corcovado e lagoa Rodrigo de Freitas visti da Leblon

A Copacabana, sarà che il cielo è plumbeo, così come lo è anche il mare, sarà che è quasi deserta, sarà che in giro c'è tanto un'aria da autunno imminente.. occorre parecchia immaginazione per vederla colma di ombrelloni, con le sue famose calçadas (marciapiedi) ad onde bicolori bianco e nere, calpestate da estremità rigonfie per il caldo, con i bagnanti spalmanti sulla sabbia bianca e i chioschetti brulicanti di succhi tropicali e cocktails.. anche questa è Rio,  ma una Rio dimessa, fuori stagione..Tabelloni elettronici avvisano che il sole è sempre in agguato, qualche raggio sporadico arriva pur sempre, ma niente di preoccupante : i displays con i fattori di protezione suggeriti per i vari tipi di pelli (neri  e mulatti, morenos scuri, morenos chiari, biondi e rossi) sono tutti spenti..

chiosco sulla spiaggia di Copacabana

Non viene nemmeno voglia di prendersi una dissetante agua de coco,  e farsi aprire un cocco fra quelli impilati in ordine lì davanti. Mi consolo con un grande carioca, il poeta Carlos Drummond de Andrade che mi fà la compiacenza di farmi accostare. La sua statua di bronzo è consunta, stanghette ed occhiali rotti dal tanto abbracciare, appoggiare, accarezzare, di turisti e concittadini affettuosi. Lui sta sempre lì, con le braccia incrociate su un libro, in maniche di camicia, le gambe accavallate, lo sguardo pensieroso.. Monumenti assai più effimeri si trovano più avanti.. castelli e sculture di sabbia, che qui a Copacabana pare siano una vera istituzione..

 statua di Carlos Drummond de Andrade- spiaggia di Copacabana

Venditori ambulanti ce ne sono pochi, anche loro latitano.. uno che vende costumi striminziti, un altro borsette fatte con zip, un altro ancora prova a rifilare la targa di squadre di calcio e ci rammenta che oggi è giorno di derby a Rio, fra il Botafogo e il Fluminense. Forse è per questo che c'è così poca gente...Una donna mastodontica giace accasciata su una panchina, con ai suoi piedi un barboncino minuscolo, accasciato come lei ed ha un momento di rigurgito al passaggio di un suo simile, che vezzosamente sfoggia scarpette anti-pioggia in fucsia/nero.. caso mai dovesse piovere..

spiaggia di Copacabana

Altro giro, altra spiaggia..Botafogo è più piccola sì, ma ha dalla sua l'avere accanto nientemeno che il Pan di Zucchero, con il suo bondinho che va instancabilmente su è giu, giù e su.. barchette a vela - che sembrano di carta- fluttuano sull' acqua, salpate dai vicini porticcioli turistici.. nel vasto Parque do Flamengo tanto spazio per tutto e tutti, pedalare, camminare, giocare a fresbee, sedersi  e meditare, fare ginnastica o ammirare le tante speci vegetali architettonicamente qui disposte da quel genio del paesaggismo chiamato Burle Marx. Senza immaginare minimamente tutto ciò, pare che il posto, rilassante  angolo di tranquillità, sia molto apprezzato da pescatori e raccoglitori di cozze, nonchè da una colonia di gatti, sornioni e imperturbabili più qui che altrove. 

Baia di Botafogo e Pão de Açúcar

Un trio di parrocchetti verdi su una yucca mi rammenta scene del cartone "Blu", anche se quelli erano arara, parlavano e sapevano pure ballare il samba..per loro fortuna, nonostante il cemento abbia invaso ogni cosa e domini sovrano, si trova sempre un grande albero in cui sostare, tante le aree verdi, vegetazione pubblica e privata, aiuole curatissime di residence o piazzette e parchi attrezzati, dove oltre agli alberi per i volatili, si trovano attrezzi ginnici per la terza età e talvolta tavolini dove gli anziani giocano a carta e dama. Quasi una città-giardino, dotata di rifugi  per scappare dal  frenetico caos cittadino, continuo, costante. Muoversi a Rio richiede costanza, pazienza ed abilità..ne sanno qualcosa taxisti e autisti di autobus che non hanno nulla a che invidiare a piloti di Formula Uno.

Pão de Açúcar dal Parque do Flamengo

Sterzate improvvise, frenate robuste, svolte e sorpassi a filo, questi quotidiani eroi del volante non si fanno smontare nemmeno dalla pioggia battente, abituati come sono a circa 100 giorni piovosi all'anno.. sfrecciano velocissimi alle fermate e in questa folle corsa, non si fermano se non davanti ad un cenno, prendono con filosofia i congestionamenti, fermi ai semafori scendono e salutano colleghi, scherzano e buttano giù una battuta, conoscono a memoria i cambi dei sensi di marcia delle più grandi avenidas.. E' con tali operatori cordiali e gentili, svelti e sicuri- mai visto un incidente o un litigio- e con una variegata offerta di mezzi, da pseudo furgoncini a grandi pulman di lusso, bus con o senza aria condizionata, che si affrontano gli ingorghi a Rio. Senza scomporsi più di tanto..  

 
 
 

Muro, mural, murales

Post n°656 pubblicato il 16 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Sui muri di Rio de Janeiro

 
 
 

Tempo bloccato

Post n°655 pubblicato il 11 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

 

Chiesa N.S. di Fatima

 

Istituto di Cultura Tedesca

 

  

Monumento a Josè de Alencar

 

praça Gen. Tiburcio

 

  

praça Luiza Tavora

 

Chiesa del Cristo Re

 
 
 

A ferro e a fuoco

Post n°654 pubblicato il 10 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Secondo un mito africano, Ogum -dio del ferro- aveva un bastone magico che aveva la proprietà di dividere gli uomini in sette parti, e le donne in  nove. Nella sua officina di fabbro, ne realizzò uno uguale e lo diede come regalo di nozze a Oiá, sua moglie, dea dei venti che lo aiutava ad alimentare il fuoco. Qualche tempo dopo, Oià  fuggi con un altro orixà, Xangô  ed Ogum furioso, si mise alla sua ricerca, deciso a vendicarsi. Ritrovatala, i due si affrontarono in combattimento, usando le rispettive armi magiche, e così Ogum venne diviso in 7 parti (e per questo ha sette nomi e si manifesta in sette modi diversi) e Oiá in 9. Il bastone di ferro non era altro che una spada, diventata il suo simbolo. Ogum era un cacciatore, un guerriero ed un fabbro- sorta di Efesto africano- e come tale, fabbricava oggetti in metallo e proteggeva tutti coloro che con tale materiale avevano a che fare.Sulle sue insegne sono riprodotti in miniatura tipici utensili in ferro, l' incudine e la falce, la vanga e la sega, il martello e il coltello, c'è pure il ferro di cavallo e la zappa, il rastrello e l'accetta...E' il "ferreiro" ancestrale, Ogum, il fabbro primordiale..

 

strumento-insegna di Ogum

Il mestiere di fabbro, nonostante tutto, non è poi così in estinzione. Basta allontanarsi dai grandi centri urbani, inoltrarsi verso l'interno del Cearà ed arrivare a Potengi, regione del Cariri, notoriamente terra di fabbri. Inizialmente non lo facevano per professione .. erano contadini che per risparmiare, si producevano gli strumenti di lavoro da sè e per guadagnare qualcosa di più,  poi li rivendevano nelle fiere di paese, anche di altri stati. Quasi un doppio lavoro.. Adesso lungo la strada principale del paese, è tutto un susseguirsi di officine, antri bui e caldi, riconoscibili dai monticelli di scarti di lavorazione anneriti.  Luis Carlos Pereira è uno di loro. Figlio e fratello di ferreiros, si alza all'alba, e anche prima, nel cuore della notte, ed aperta bottega inizia subito a scaldare e martellare il ferro per dare forma a falci, vanghe e machete. I colpi fanno un rumore assordante, ritmato, continuo, cui gli abitanti si sono ormai abituati, non per niente Potengi è stata chiamata "la città che non dorme". Il medesimo suono, martellante, sordo, cadenzato, uguale identico al verso- incredibilmente metallico- dell'araponga, un uccellino tutto bianco che lo imita alla perfezione. Motivo per cui questo passariforme è anche chiamato ferreiro o ferrador. La giornata del fabbro ha orari strani. Per evitare le ore più calde sono costretti a lavorare al buio, per poi fare una pausa a metà mattinata e  riprendere quasi al tramonto. A Potengi le botteghe dei fabbri ferrai sono più di 40 sporche, disordinate, con piccole aperture, un caldo infernale, mentre a Juazeiro do Norte ce ne sono una cinquantina. Per lo più lavorano lo stagno, fabbricano le tipiche lamparinas, piccole lampadine tradizionali da usare con olio , alcool o cherosene. Ma chi è in cerca di oggetti in metallo può anche trovare artigiani a Mauritì dove vengono sfornate grandi quantità di  posate, serramenti, forme per torte, bacili, secchielli, imbuti, campanacci, articoli per la cucina, pezzi sacri, serrature, falci, staffe ed ovviamente anche gli strumenti dilavoro dei fabbri. Ad Assarè e Caririaçu si producono anche candelieri, sonagli per il bestiame, boccali, cerniere, ganci per le amache, fucili, pentole, ed anche portoni.

 

"Ferreiros" di Potengi

Antonio Ferreria Viana, conosciuto come Ferreirão, invece l' officina l'ha sempre avuta a Crateus, dove è nato e dove l'ha ereditata dal padre, che prima di essere fabbro - uno dei più affermati nella zona- era orefice. Quello che ha sempre fatto e continua a fare sono utensili legati al lavoro dei campi e all'allevamento del bestiame, attività  principali della regione. Picconi, pale, falci, asce. Un tempo faceva anche fucili, ganci per amache, una speciale vanga per la semina del cotone, ed una falce per raspare la cera dalla carnauba. L'officina è dominata dalla forgia, al centro, in muratura, foderata con piastre d'acciaio, tondini per cemento armato o pezzi di rotaie dismesse, poi rivestita di mattoni. E' quasi sospesa, come una piattaforma, irradia calore e al di sotto è tutto un accumularsi di resti e scarti. L' imboccatura è un piccolo forno, in  terracotta speciale, in grado di sopportare altissime temperature. Ai tempi di suo padre, per alimentare il fuoco si usava un mantice di legno rivestito di cuoio, azionato a mano. E ogni tanto,  quando manca la corrente, lui ancora lo usa. Per  il fuoco ha sempre usato carbone di jurema, molto diffuso nella caatinga circostante unico arbusto capace di scaldare il ferro. Ha due aiutanti, ma nessuno dei suoi figli e dei nipoti ha voluto seguire il suo esempio. E' giusto così, tutto sommato - afferma-perchè questo è un lavoro pesante, pericoloso,  quasi una maledizione.. d'altronde dice Ferreirão, non fu un fabbro a fabbricare i chiodi che inchiodarono Cristo in croce ?

prove dei marchi su porta di bottega-Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

Sonagli per mucche e capre non ne ha mai fatti, perchè altri  si sono specializzati in quel particolare settore, piuttosto, una delle sue specialità sono i marchi per ferrare da bestiame. Di solito riproducono le iniziali del proprietario, con l'aggiunta di numeri se ha figli ed ha bisogno di definire bene a chi appartenga l'animale. I marchi per capre e pecore, sono naturalmente più piccoli (collocati nelle orecchie o sotto il mento, per non rovinare il pellame). A Ferreirão non è mai piaciuto fare la prova dei suoi marchi sulle ante delle porte della sua officina, come invece è costume fare. Non avrebbe fatto altro che rovinarle e non ce ne è mai stato bisogno, sempre sicuro di ciò che stava facendo.

Fabbri, studio a matita di Raimundo Cela, 1921 (Archivio MAUC Fortaleza)

Nel sertão caldo e secco del nord est brasiliano, il costume di marchiare gli animali venne introdotto dai portoghesi, che a metà del '500, introdussero i primi capi di bestiame provenienti dall'Alentejo, da Capoverde e dalle Isole Canarie. Bovini ed equini, ovini, caprini e suini, nessuno veniva escluso dalla marchiatura. Le fattorie erano senza recinzioni, il bestiame era allevato e fatto pascolare liberamente, per estesi territori. Quando il bestiame si spingeva molto lontano rispetto alla proprietà alla ricerca di pascoli, capitava che si mescolasse con quello di altri proprietari, di qui la necessità di apporre un marchio di riconoscimento.   Per i bovini si usano due marchi diversi, uno per indicare il luogo dell'allevamento e l'altro il proprietario,    solitamente il primo apposto sulla coscia o sull'anca sinistra, il secondo su quella destra. Il ferro de ribeira  (ferro della "riviera" -valle) è il più antico storicamente,  ed allude alla vicinanza, presso le fattorie di corsi d'acqua, risorsa fondamentale per abbeverare le mandrie e garantire acqua per la sopravvivenza di tutti. Il ferro de freguesia, si diffuse, quando le terre vennero successivamente divise in parrocchie. Con l' aumento della popolazione e la creazione di centri urbani, venne infine creato  il ferro de município, quello di più recente acquisizione. 

alfabeto creato dallo studioso Ariano Suassuna


Il ferro de freguesia è generalmente rappresentato da una lettera, o più raramente da un disegno che simboleggia un elemento legato al luogo, ad esempio l'iniziale del nome del fiume che attraversa la zona. Oltrechè a caratteristiche geografiche e naturali, può alludere a fatti storici, animali , oggetti o all'iniziale del nome del santo o santa patrona della città, od ancora all'iniziale del nome della città stessa. Il marchio di  Morrinhos,  è ad esempio una M più un cuore, (perchè la patrona è il Sacro Cuore di Maria), quello di Aracati, una croce ( perchè anticamente il municipio si chiamava Arraial da Santa Cruz do Aracati), quello di Cascavel è una S per la forma del serpente (cascavel significa appunto serpente a sonagli) quello di Barbalha è una K (dagli indios Kariri), quello di Canindè una F (in onore di San Francesco di Canindè, una delle principali mete di pellegrinaggio religioso del Cearà) e così via. Anche se ogni cittadina possiede il suo marchio,  può capitare che due municipi diversi abbiano lo stesso marchio, in questo caso è perchè tale città si è smembrata in due.

Collezione di staffe - Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza 

I marchi misurano 8-10 cm di diametro e 30 - 40 cm di lunghezza, non ci sono angoli (per evitare ferite nell'animale), un' impugnatura di legno o di osso serve per proteggere le mani del marchiatore. Sono professionisti abili, devono sapere bene maneggiare il ferro arroventato, avere un tocco nè pesante nè troppo lieve, per evitare bruciature e sbagli. Fondamentale infatti è che il marchio sia ben leggibile, e nel caso in cui si faccia qualche errore, si possono sempre fare delle correzioni a mano libera con una sorta di bulino, anch'esso incandescente.  Una volta l'anno, dopo le piogge, i proprietari uniscono il bestiame in una determinata fattoria, per castrare alcuni  capi ed per effettuare la marchiatura. Sono giorni di lavoro intenso ma anche di festa, vengono invitati bande di musicisti, si assite alla vaquejada, si uccide un bue e si prepara un grande banchetto collettivo, allietati dai versi improvvisati di qualche poeta popolare (repentista). Anche la marchiatura è un fatto collettivo, tutti i marchi sono collocati insieme per arroventarsi dentro il fuoco. 

marchio per bestiame- Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

Ogni fazendeiro ideava il suo personale marchio, ma di solito era ereditato e passava di padre in figlio. Si utilizzava quello usato dal padre, che a sua volta lo aveva ricevuto del nonno e costui dal bisnonno. Motivo per cui, i marchi dei componenti di una stessa famiglia sono molto simili e per ovviare al problema si fanno delle piccole modifiche, chiamate “diferenças” (differenze). Hanno forme e nomi particolari - luna, freccia, fiore, ala, martello- nell'araldica dei marchi nordestini, ne sono state individuate circa una ventina. Quando un capo era venduto, il marchio del nuovo proprietario veniva apposto sopra o a destra di quello vecchio. Se costui era di un altro municipio, anche la rimarcazione della freguesia era fatta sempre a destra o in cima a quella precedente. In un ambiente fortemente maschilista, la donna non aveva diritto ad un suo marchio, ma riceveva quello del padre con il numero uno se era la primogenita, il numero due se era la secondogenita, ecc. Se sposata, usava quello del marito.

Fabbro, pastello di Raimundo Cela (Archivio MAUC Fortaleza)

 Di tutto questo bagaglio di segni e simboli racchiusi in pochi centimetri di ferro, forgiato a mano,  si sono occupati vari studiosi, allo scopo di approfondire ed indagare, ma anche per evitare che questo antico sapere andasse perduto. I marchi pare siano collegati con nozioni di alchimia ed astrologia antiche, connessioni astrali, tramandate oralmente dai vecchi mastri ferrai. Il primo ad occuparsene fu lo studioso fortalezense Gustavo Barroso, che nel 1912 affrontò il tema nel suo saggio etnografico  "A terra do sol". I ferreiros tracciavano i simboli sulla sabbia, con un bastone, un simbolo che riassumesse la storia della famiglia, un collegamento con i propri antenati, per poi forgiarlo in una forma definitiva.  

morsi per cavallo-Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

 Marchiare il bestiame. pertanto, non è solo segnare la proprietà ..c'è dietro un un background culturale, tecnico e mitologico. Partendo da un registro di vari marchi familiari fatto da un suo avo,  Paulino Villar, fazendeiro del XIX secolo, Ariano Suassuna studiò le forme di tali marchi e le relazionò alla simbologia antica. Nel 1974 scrisse "Ferros do Cariri: uma heráldica sertaneja". Arrivò alla conclusione che il tratto verticale, chiamato tronco, rappresentasse il cielo, mentre l'orizzontale la terra. L' unione imperfetta dei due,  il divino e l'umano, formava un ramo, mentre l'unione perfetta formava la croce. Individò marchi che simboleggiavo l'elemento maschile, quello femminile e l'unione sessuale.  Marchi come geroglifici astratti, con legami con i segni zodiacali, astrologia ed alchimia, ed ipotizzò che i primi fazendeiros  scelsero dei simboli astrologici, legati ai propri segni e pianeti personali. Suassuna elaborò poi un alfabeto, basandosi su tali connessioni.  E sempre un marchio per bestiame - quello ereditato da suo padre - è diventato il logo del NASEB, Nucleo Ariano Suassuna di Estudos Brasileiros- legato al Dipartamento di Scienze Sociali dell'Università Federale del Pernambuco.

 

staffa - Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

Altra lettura indispensabile è l'opera di Oswaldo Lamartine de Faria  "Ferro e ribeiras do Rio Grande do Norte", nonchè il completo, omnicomprensivo, e più recente studio di Virgilio Maia che nel suo "Rudes Brasões" sviscera il tema da tutte le possibili angolazioni.. analizza le pitture di J.B.Debret, osserva i segni di marchi sulle porte delle fattorie, si spinge a comparazioni fra marchi americani, argentini e uruguaiani, spulcia documenti di registrazioni di marchi, ex-libris, indaga sui marchi per schiavi e sui marchi impressi sul viso come punizione, accorpa sculture, bandiere della Mongolia con marchi di bestiame, arte e monete, ritagli di giornale. E riproduce spiegandoli,  tutti i marchi dei 184 municipi cearensi.

Operazione questa, che al vero mandriano non serve : gli basta dare un'occhiata al marchio per capire da dove il capo provenga.. esattamente come facciamo noi, quando leggiamo le targhe automobilistiche..

campanacci artigianali- in centro a Fortaleza

 
 
 

Muro, mural, murales

Post n°653 pubblicato il 09 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Sui muri di Fortaleza

 
 
 

Fortaleza in trance

Post n°652 pubblicato il 07 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

(foto Bruno Zanzottera)

Complicato il tema lo è, ma si sa, più le cose sono intricate più viene voglia di districarle..la difficoltà nel parlare dei culti afro-brasiliani sta nella loro comprensione più profonda, nel fare distinzioni fra l'una e l'altra, nel tentare un riassunto il più comprensibile possibile, senza però scendere nel semplicistico o nel banale. Mi consola il fatto che gli stessi studiosi brasiliani, gli addetti ai lavori esterni ed anche i medesimi sacerdoti/tesse abbiano  talvolta problemi a mettere tutto in ordine. Il motivo essenziale è da ricondurre al sincretismo religioso, portato qui agli estremi, per cui è prassi normale che un culto ne copi un altro, che rituali passino attraverso un processo osmotico, riducendo così ogni volta le possibilità di differenziarli. Sono religioni in continuo divenire, non dogmatiche, aperte al cambiamento, all'accoglimento di elementi nuovi, lasciate alla creatività dei singoli, culti in cui l'instabilità ha connotati positivi. A Fortaleza, oltre al Candomblè (diffusosi da Bahia in tutto il paese), troviamo culti tipicamente locali, quali il Catimbò e la Macumba, altri importati da stati vicini quali il Terecò, ed infine l'Umbanda. Un tempo praticare queste religioni- sia quelle di origine indigena che di origine africana- era  severamente vietato, poichè l'unica religione accettata era il cattolicesimo. Fu  proprio la Chiesa ad intraprendere la crociata contro quelle che erano considerate, tutte, indistintamente, forme di  magìa e stregoneria, poi ci pensò lo stato a proseguire  la persecuzione.

(foto Bruno Zanzottera)

 Se colti sul fatto, i "catimbozeiros", venivano imprigionati con l'accusa di eresia e superstizione. Per secoli tali culti vennero praticati in segreto, talvolta mascherati e mescolati con il cattolicesimo, altre volte liberamente espressi nelle forme tradizionali, ma in luoghi nascosti, in mezzo a foreste, lontano da occhi indiscreti. Sacerdotesse africane giunte in Brasile sulle navi negriere portarono con sè idoli, credenze, rituali, termini ed oggetti sacri, riproponendo nei "terreiros" brasiliani (spazi sacri) la medesima concezione della vita e della morte, il rapporto con la natura e con le divinità ancestrali, tramettendole oralmente di generazione in generazione. Un attaccamento alla religione che traduceva una possibilità di resistenza alla vita in schiavitù, una speranza di liberazione e di ricongiungimento, non solo spirituale e metaforico, ma anche fisico e reale con la propria terra, l'Africa.

 

Oxalà/Obaluaè - statuette in ceramica (collezione MAUC Fortaleza)

La particolarità di tali culti rispetto a quelli originari della madrepatria, è il loro doversi mescolarsi con altre culture, costretti ad una convivenza forzata con quella dominante dei portoghesi (cattolica) e  quella india, anch'essa, nella medesima situazione, soffocata e sottomessa.  I culti afro-brasiliani possono essere considerati una risposta creativa e propositiva ad un tentativo di annientamento culturale e religioso. Così nascono il Tambor de Mina nel Maranhao, il Candomblè a Bahia, lo Xango in Pernambuco, l'Umbanda a Rio de Janeiro, regioni, guarda caso, con un' alta concentrazione di schiavi neri. Nel Cearà la memoria collettiva africana, anche se un pò diluita rispetto ad altri stati brasiliani, esiste ed ha lasciato segni innegabili in manifestazioni culturali, quali il maracatu, il reisado, le congadas, nella lingua e nella cucina. Quantificare la presenza di schiavi africani nel Cearà è sempre stata un'impresa ardua,  le statistiche divergono fortemente e la cristallizzazione di certi miti storiografici, fissatisi poi nell'immaginario collettivo, è dura da estirpare. L'esaltazione delle azioni degli Abolizionisti e l'idea che il Cearà fosse una terra del tutto ostile alla schiavitù, ne sono un esempio.

rito umbanda

 Anche l'indentità indigena che si è tentato in tutti i modi di cancellare, ha trovato qui uno spazio per svilupparsi, riaffermarsi, rigenerarsi. Le tribù sopravvissute subirono una serie di trasformazioni : dapprima costrette alla sedentarietà nelle missioni gesuitiche, successivamente- alla chiusura di quest'ultime- si ritrovarono due scelte possibili, o accettare di inglobarsi nel sistema coloniale e trasformarsi in caboclos (ossia meticci indigeni snaturalizzati) dediti all'allevamento del bestiame, o  vagabondare nullafacenti per i territori, spogliati di tutto. In entrambi i casi ci fu una frammentazione e dispersione dei gruppi etnici, uno smembramento e perdita della propria cultura. Sia nel catimbo che nella macumba  si ritrovano molti elementi di culti indios, dall'uso di fumo-- emblematico il cacimbo, pipa rituale (adesso sostituiti da più moderni sigari e sigarette) - alle bibite sacre e non (mocororò), ora per lo più bevande alcoliche (cachaça e acquavite) ed alla venerazione di spiriti legati al bosco, all'uso di erbe e piante allucinogene, ad alberi sacri, come la jurema, presente sugli altari in forma di tronchetti sacralizzati. Tipicamente cearense è poi l'uso di alcuni strumenti musicali, quali il triangolo, il tamburo e il maracà.  

altare umbanda

Tutti residui della cosidetta pajelança, rituali operati dal curatore-sciamano. Culti che includevano anche rituali di magìa, bianca o nera (e in questo caso si parla di Quitamba), praticati lontano dalla città, nelle foreste recondite della Barra do Cearà, nella periferia ovest di Fortaleza, per sfuggire ai controlli di polizia. La situazione mutò radicalmente quando un'intraprendente sacerdotessa (mãe-de-santo), Mãe Julia, Julia Barbosa Condante, aprì il suo primo terreiro di umbanda nel 1948. Nata in Portogallo, dotata di capacità medianiche, era stata iniziata a tali pratiche a Rio de Janeiro. Rientrata a Fortaleza iniziò una lotta per mantenere viva tale identità religiosa ed evitare che venisse dimenticata. Affrontò più volte la polizia ed alla fine trovò un modo per rendere legittimo il suo culto. L' umbanda, aprendosi alle dottrine dello Spiritismo Kardecista  - cui aderivano vari politici ed autorità - riuscì a vedersi legittimata da quest'ultime. Nel 1954 apre i battenti la Federação Cearense Espirita de Umbanda che nei suoi statuti, oltre a chiarire rituali e liturgia, si proponeva come filosofia, etica e religione rivolta esclusivamente al bene. Venivano al contempo categoricamente condannate tutte le pratiche magiche, del catimbo e della quimbanda.

negozio articoli religiosi Sao Jorge - Fortaleza

Il CEU (Centro Espirita de Umbanda) nato per volere di un dissidente, Manoel Oliveira, fu un ulteriore passo in questa strategia alla ricerca di una maggiore visibilità, con la possibilità di riunirsi in spazi architettonici ben precisi, e l'apertura ad altri strati della società, alle classi medio-alte (bianche).  E' sopratutto negli anni '60 che si assiste ad  una sorta di "sbiancamento" graduale dei riti afro-brasiliani, con un graduale allontanamento da pratiche più popolari e di matrice africana, un tentativo di razionalizzare i riti ed un avvicinamento maggiore allo spiritismo. Nell'umbanda i sacerdoti-medium, evocano, durante le sessioni  rituali (giras), con canti (corimbas) e danze,  le varie divinità del loro pantheon (gli africani orixàs) ed incorporano un numero infinito di spiriti guida (caboclos).  Lo scopo è quello di risolvere problemi, curare malattie, prevenire il futuro.  

negozio articoli per riti afro-brasiliani, Fortaleza

A complicare ulteriormente le cose, il fatto di associare nella terminologia,  orixàs, santi cattolici - infatti i sacerdoti sono chiamati pais/mãe-de-santo- nomi di indios, piante, aspetto questo, tipico della macumba.  Non potendo materializzarsi, le  entità si avvalgono di una propria schiera (falange o linha) di spiriti, inviati sulla terra. Dall'esame dei nomi delle linhas, si deducono forti peculiarità regionali. Il gruppo di "caboclos" è composto da spiriti di indigeni- donne  e uomini (Iracema, Jurema,Tapinarè, Tupinambà, Tapuia ecc.) o spiriti legati all'allevamento bovino (Boiadero (Bovaro), Vaqueiro (mandriano), Boi de cara preta (bue testa nera),Vaqueiro Brabo, Vaqueiro Nobre, Chapéu de couro (cappello di cuoio) e Gibão de couro (giubba di cuoio)), figure legate al sertão nordestino. In tale curiosa ricostruzione di un pantheon a propria immagine e somiglianza, anche i caboclos Cangaceiro, Maria Bonita e Lampião, rimandano al paesaggio, ai costumi e  ai personaggi del sertão. 

Zè Pelintra

Lo spirito guida Zè Pelintra, invece, è di origine strettamente carioca. E' nel quartiere della Lapa, a Rio de Janeiro, che è nato, ed è diventato famoso grazie alla sua diffusione nel Samba-canção  degli anni '30-'40. Un "malandrino" diremmo noi, avventuriero furbo, che ama oziare, vivere di espedienti, spaccone e gran giocatore d'azzardo. Un personaggio nato come reazione al sistema del lavoro, che in Brasile per secoli si era basato sulla schiavitù, un'alternativa al lavoro forzato, un rifiuto del sistema. Inizialmente circondato da ammirazione perchè ritenuto positivo, affascinante, accattivante con quel suo modo da gigolò, il completo di lino bianco impeccabile, cravatta rossa, scarpe bicolori, cappello panama e sigaro, in seguito passerà ad essere considerato un vagabondo, un criminale, un nullafacente, un approfittatore. Uno spirito dotato di duplice aspetto, ambiguo come l'entità che spesso rappresenta, Exu.

"Pretos velhos" xilografia di Joao Pedro do Juazeiro

 Exu è una divinità fondamentale in tutte queste religioni, forza vitale, sta in ogni cosa, importante punto di comunicazione fra il divino e il terreno, fra gli uomini e le divinità, e per questo è puro e al contempo sporco, è sacro e profano, sorta di mercurio africano, nel patheon Yoruba. Procreatore e dio della fertilità, apporta benefici vitali, pratici, essenziali. E' lui che ha inventato tutti gli strumenti ed utensili della quotidianità, a lui si ricorre per fare magie e risolvere problemi materiali e spirituali. Confuso erronaemente con il diavolo - credenza questa diffusa dai missionari  e dagli schiavisti al fine di negativizzarlo - è invece un'entità positiva, però instabile, incosciente, irresponsabile. In lui gli schiavi africani vedevano un Eroe ancestrale, sinonimo di speranza di ricostruzione, di ritorno alla terra natale, di libertà, forza e resistenza e furbizia.

 

Oxossì /Xangò - statuette in ceramica (collezione MAUC Fortaleza)

Altro gruppo  di spiriti che si incarnano nei medium sono i cosiddetti "pretos velhos" (vecchi neri), spiriti di antichi schiavi neri, rappresentano la saggezza, la dolcezza, l'indulgenza e la semplicità della vecchiaia. Sono anziani, vestiti di bianco, incedono lentamente, fumano la pipa, sono chiamati affettuosamente papà, nonno, zia e mamma. Anche a costoro (Nego Gerson, Maria Redonda, Maria de Aruanda,  Pai Tomas, Maria Conga, Pai Joaquim ecc.) ci si rivolge per trovare una cura a malattie e problemi di salute. Nei centri religiosi arrivano persone di tutti i tipi, adepti e non. I sacerdoti devono essere sempre pronti a riceverli, ascoltarli ed aiutarli, non ci sono orari nè appuntamenti. Le "consulte" fanno parte del lavoro e per "trabalho" qui si intende tutto ciò che si realizza entro questi spazi, iniziazioni, evocazioni, battesimi, incorporazioni, mense rituali ed offerte, previsioni, magie. Non tutti i mediums sono uguali, ci sono quelli specializzati nel "trasporto", ossia fungono solo da corpo per gli spiriti,  gli indottrinatori, i veggenti, quelli che hanno intuizioni. Tutti "lavori" che implicano grandi dosi di energia ma anche grandi spese. Alcune divinità richiedono sacrifici di animali (per lo più bovini e caprini), banchetti rituali da preparare con determinati criteri, e tutto un armamentario di abiti ed oggetti religiosi, da ciotole a bevande, da incensi a candele, da statue a collane, per non parlare delle "insegne" (ferramentas) dei vari orixàs, in ferro o alluminio, fiori e piante, e vestiti rituali usati dai sacerdoti/ sacerdotesse quando avviene l'incorporazione dello spirito, spade, archi e frecce, strumenti musicali e chi pù ne ha più ne metta. Un arsenale di oggetti visibile in vari negozi sparsi per il centro città di Fortaleza.

Solitamente il terreiro è intitolato allo spirito guida che ne "ispirato" la fondazione, ne diventa il protettore, la sua statua -a grandezza naturale- è collocata in bella mostra dentro o fuori, come fosse un guardiano. Un salone, più o meno grande, accogli i credenti, uomini da una parte, donne dall'altra, un altare sullo sfondo e stanzette separate dedicate a particolari divinità o destinate alle consultazioni. In alcuni si fanno anche oracoli consultando le conchiglie. Nei centri di Umbanda il calendario è preordinato e fisso, con giorni dedicati ad una linha ben precisa di spiriti - e non si sgarra,  nei terreiros di macumba invece no. Le pratiche possono differire fra un terreiro e l'altro, non solo in una medesima città, ma soprattutto fra Sud e Nord Est del paese, e in taluni casi si assiste una circolarità interregionale, soprattutto fra stati nordestini (Rio Grande do Norte, Piauì e Maranhão), con scambi ed influenze reciproche nelle danze, nei vestiti, nei ritmi musicali. Non si sa esattamente quanti centri siano attivi a Fortaleza, difficile fare un censimento. Sono quei luoghi che nessuno conosce, nessuno ha mai visto, ma c'è sempre "l'amico di un amico" che lo sa. Localizzati nei quartieri più disparati, e non solo in quelli più periferici, possono anche aver luogo nei salotti di borghesi condomini, nei retrobottega,  in micro stanzette nella casa del pais/mãe-de-santo. Non c'è città e cittadina del Cearà che non ne abbia almeno uno.. 

Negli anni '70-'80, all'era dello sbiancamento è seguita una progressiva ri-africanizzazione dei culti, un ritorno alla macumba e al candomblè, con la valorizzazione e la riappropriazione di rituali più strettamente indigeni ed africani. Fenomeno questo da collegarsi al movimento per i diritti dei neri e delle tribù indigene, la cresciuta coscienza afro-brasiliana, il diffondersi in tutto il Brasile di progetti culturali, iniziative, eventi e dibattiti legati alla loro emancipazione. Adesso, anche se il preconcetto verso tali culti è molto diminuito, essi devono costantemente difendersi dagli attacchi particolarmente aggressivi delle chiese evangeliche e pentecostali che lanciano campagne diffamatorie anche on-line. Alcuni terreiros si sono organizzati e sono diventate ONG, si sono aperti alle modernità tecnologiche e fanno uso di carte di credito per le spese, computer per accedere ad informazioni, in lotta contro la concorrenza di altre religioni, visto che l'offerta del "mercato religioso" è sempre più diversificata.

 

Ogum/Oxossi, xilografie di Joao Pedro do Juazeiro 

  Dotate di gusti e preferenze, le divinità hanno lori colori specifici, oggetti rituali ed insegne, un vestiario ben preciso, caratteri e temperamento umani. Tutti comunque apprezzano le offerte, ne richiedono molte, sono assai capricciosi e vanno in sollucchero per le feste. Il carattere festivo è imprescindibile. Le stesse sessioni sono vissute innanzitutto come un omaggio allegro, danzato e cantato alla divinità, che poi tutto ciò venga fatto per chiederle qualcosa, è quasi secondario. Inoltre, è facile assistere, in un medesimo giorno, all'esaltazione della Madonna Assunta e a quella di Jemanjà, che S. Barbara venga invocata come Iansa, che S. Giorgio altri non sia che Ogum, mentre S. Sebastiano sia Oxossi e così via,  associazioni fatte per  "specializzazioni" simili fra gli uni e gli altri, potere del sincretismo. Nell'Umbanda Cearense le festività principali sono quella dei Caboclos, quella dei Pretos Velhos e quella di Jemanjà, quest'ultima, l'unica ad avere un carattere pubblico.

(foto Bruno Zanzottera)

Il 15 agosto di ogni anno si celebra, presso la Praia del Futuro, località balneare cittadina, meta  anche di tanti turisti italiani, una lunga striscia di sabbia invasa da barracas (stabilimenti balneari) fra i più famosi della città, la festa di Jemanjà, la dea del mare. E ' proprio qui fra bagnanti, curiosi, venditori ambulanti, poliziotti, ed un pubblico variegato, si celebrano le sessioni religiose, si prega, si invoca la divinità, si va in trance, si offrono consultazioni, tutti vestiti da bianco, davanti ad una statua della dea o ad una bambina vestita come se lo fosse, messa in piedi ferma immobile su un  altare o sdraiata sulla sabbia, come fosse una sirena. Al tramonto i fedeli si immergono in acqua e lì, sulla superficie increspata, si lasciano tutte le offerte.Un tempo era più sentita, più semplice forse, la zona assai meno urbanizzata e frequentata.. i bambini vestiti da angioletti o di indios con gonnellini di piume, le candele infossate nelle sabbia per non farle spegnere dal vento, stendardi e bandierine di carta per segnalare il proprio spazio, un continuo battito di tamburi, odori di fumo, frutta e fiori, bottiglie di sidro. Negli ultimi anni, visto che agosto è sempre tempo di elezioni, i politici ne approfittano per fare un giro qui, distribuiscono volantini e  simpatici sorrisi, alla ricerca, non tanto di comunione e spiritualità, quanto di tanti bei voti .. modernità che avanza e che corrompe..     

 
 
 

Voci dal Brasile

Post n°651 pubblicato il 05 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Silvia Machete  canta  "Sábado e domingo"

 
 
 

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