Mondo Parallelo

Festa solenne, il giorno del “Corpus Domini”. Non si può andare oltre né aggiungere nulla all’Eucarestia. Non esiste altro a cui si possa tendere, bisogna fermarsi lì. Torniamo dunque al centro, al cuore di quella vita donata nel teodramma di morte e di gloria dei giorni pasquali. Sostiamo adoranti dinanzi a questa presenza: un Corpo che si dona come pane, umile compagno quotidiano che sostiene la fatica del nostro nomadismo errante alla ricerca di una patria dove l’anima tende e vuole fermarsi. ”Resterò con voi sino alla fine dei secoli” ha detto il Cristo nel momento stesso in cui lasciava la scena della fisica visibilità di questo mondo. E certo Egli resta con noi e lo incontriamo nello splendore della normalità dei giorni, negli occhi dei bambini, nel grido dei sofferenti, nell’esemplarità degli operatori di pace, degli affamati di giustizia, nel povero che ha bisogno non del tuo tozzo di pane, ma che tu cambi la tua vita e divenuto davvero suo fratello, condividi la vita con Lui. Resta il Cristo con noi, ogni giorno, nella bellezza ancora esuberante dell’alba, dei colori della parola amica, nella voce liberante di chi ami e di chi ti ama. Ma adesso c'è quest’ostia bianca di pane: non si può andare oltre, non esiste altro a cui si possa tendere. Qui é Lui, tutto e solo. Silenzioso, chiuso nel grande ostensorio, ora esce dal tabernacolo delle chiese e passa per le nostre strade, tra le nostre case, i luoghi di lavoro, di ritrovo. Nelle nostre città si snoda la processione del Corpus Domini. Cristo tra noi: «Ecco il mio corpo», ha detto, e non, come ci saremmo aspettati: «ecco la mia mente, la mia volontà, la mia divinità, ecco il meglio di me», ma semplicemente, poveramente, il corpo. In fondo è così fragile il corpo,è molto vulnerabile. Non è esso il campo delle segrete battaglie segnate dalla nostra precarietà votata alla morte? E Gesù si comunica a noi proprio attraverso questo segno di debolezza, si dona a noi attraverso la fragilità del corpo che accoglie le stigmate della nostra croce umana. Il Signore si dona a noi così: il sublime dentro il dimesso, lo splendore dentro l’argilla, il forte dentro il debole. Il Signore non ci ha portato solo la salvezza, ma la redenzione, che è molto di più. Salvezza è tirar fuori qualcuno dalleacque che lo sommergono, redenzione è trasformare la debolezza in forza, la maledizione in benedizione, il tradimento di Pietro in atto d’amore, le lacrime in passi di danza, la veste di lutto in abito di gioia, la carne in casa di Dio. E passo dietro passo, nella nostra processione, possiamo procedere a ripensare al nostro modo di essere presenti agli altri, tra gli altri, a partire dalla vita in famiglia, nell’ambiente di lavoro, nelle comunità ecclesiali fino agli spazi complessi della società e della politica. Essere un “presente” non è forse essere un dono? E si realizza in noi non con mezzi di potenza e ricchezza. Con questi si fanno cose. A partire dalla propria povertà si fa dono di se stessi. E da questo nasce comunione. Gli occhi fissano l’ostia di Pane della presenza di Cristo: essere corpo, pane, presenza creativa di una crescita in pienezza della comunità. Corpus Domini, corpus hominis: un cammino di trasfigurazione, dalla solitudine alla comunione, di luce in luce.Tu il Dio di ogni essere umano, troppo abbagliante per essere visto,Tu vieni a noi per cammini imprevedibili. Come un povero Tu... non forzi mai la mano di nessuno!Ti arresti alla soglia della nostra porta e bussi. Aprirti è scoprire la presenza di una pienezza dentro le nostre povertà, il miracolo di una inesauribile moltiplicazione dei pani per la nostra fame di guarigione del cuore, una trasfigurazione delle nostre solitudini in gioia di comunione di noi... tutti fratelli.

Giovanni