Mondo Parallelo

Già da tempo, avevo imparato che non appena avvertivo anche un minimo slancio dell’anima, come accade quando una folata di vento improvvisa spinge verso l’alto un aquilone, la corda sottile andava tenuta ben stretta e forte fra le dita, nonostante il suo scorrere veloce e improvviso potesse far bruciare i palmi delle mie mani. Oh sì, quanto mi piaceva sentire forte il vento, che mi strappava il mio trofeo di carta dalle dita quasi a volermelo rubare e dirmi: “Che aspetti a lasciarlo volare?”. Mi sembrava di vivere solo per quello! E correvo e correvo con il vento tra i capelli che ho sempre tenuti lunghi, perché così mi piaceva, e mi finivano negli occhi. Come un aquilone la mia anima si gonfiava, di desiderio, di voglia di dare al vento il mio grido, e di amare le nuvole sopra la mia testa che giocavano a trasformarsi in mille pupazzi come nelle favole. Ma mi dicevo, mentre il filo si tendeva: “E’ questo il giusto equilibrio, lasciar che l’aquilone giochi con il vento, prendendolo di petto, poi sviando via, seguendo ancor la sua direzione e poi di nuovo vederlo sollevarsi piano e sempre più in alto ma, sempre da me mantenuto, sostenuto, sorretto da quel filo sottile, resistente e forte! Volare in alto dà gioia e fa bene al cuore, ma c’è sempre bisogno di quel qualcosa che impedisca al vento, a quell’impeto dolce, che a volte mi commuove, di mollare il filo e perdersi in qualcosa di troppo grande, come un dilatato, frammentato, pezzetto di cuore lasciato nell’azzurro infinito di un giorno di sole, che piange il suo rosso colore tra le nuvole bianche. E allora, certo, restavo sospeso a guardare i volteggi dell’aquilone, il filo sempre più teso  e in quell’attimo sai, non ti conoscevo, tempo! No, non ti avvertivo, non sapevo che mi eri accanto! Tempo che mi cambi. Non ti sento. Ti vedo solo dopo, quando già sei via. Fermami, anche se scorri, fermami! Voglio ascoltarti in ogni battito del mio cuore. Viverti meglio e con sapore, ora, adesso e qui, appeso al filo del mio aquilone, quando il sangue mi scorre dentro, e nessuno mi può distrarre da quel tocco leggero, o profondo, e, come in una foto, resto fisso in posa, nell’attesa di non so chi, e nemmeno di che cosa.

Giov@nni