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Riff: il clown triste torna a sorridere

Post n°2 pubblicato il 21 Aprile 2008 da jungle.rain

Finalmente è arrivato il nuovo lavoro dei Riff! Dopo il demo che ci aveva lasciato ottime impressioni e buone aspettative è infatti giunto il momento di ascoltare il loro primo album, dove i sei propongono la loro visuale del pop- rock all’italiana, aiutandosi con testi che raccontano storie di vita quotidiana e arrangiamenti favolosi e accurati, spinti con quel pizzico di rock che fa del loro lavoro qualcosa di veramente elegante. In questo primo album i Riff non lasciano nulla al caso: la qualità della registrazione è ottima e le canzoni sono ben collegate; sembra quasi che per loro non sia stato tanto difficile comporre un progetto simile! Si parte con “Ti voglio”: l’attacco delle chitarre prende subito al petto, quasi non ci si aspetta un inizio così; la batteria è quadrata e porta bene il tempo, qualche giretto di approccio e la voce irrompe nella base che pronta gli fa subito spazio. Già da subito si sente la vena poetica di Emiliano che descrive ogni attimo tenendo una linea filosofica  personale che fa sì che l’ascoltatore riesca ad  immaginare il tutto con facilità;  per il ritornello dobbiamo aspettare fino a  1,25, ma ne vale la pena.

Davvero ottima la variante, dove la chitarra di Davide urla sotto qualche accenno di doppio pedale di Gian Luca (suo punto di forza, ma lo vedremo più avanti); il pezzo è vigoroso, potente, e questo grazie anche al sostegno del basso di Gemano e alla chitarra di Roberto. Quasi a fine pezzo c’è anche spazio per una citazione a Ligabue, che a lungo andare non si dimostrerà la sola. Nella seconda traccia “Buona fortuna”compare la tastiera di Tiziano che dice la sua dando con i violini un tocco più classico e ricco. La canzone suona bene, veloce e scorrevole anche se dura 4,42, tempo che forse è un po’ un azzardo per essere quello della seconda di un album dove in media ogni pezzo supera i quattro minuti, quindi fuori dalla portata degli standard radiofonici. In “Questo amore è un Vietnam”  tristezza , amarezza e un po’ di rabbia forse, danno un gusto diverso dalle altre canzoni che abbiamo sentito. Terminata questa dovremmo prepararci bene all’ascolto di una e vera e propria ballata, “Sogni”, dove Tiziano dimostra di saperci  fare  con il pianoforte: è toccante, dinamico, crea un’atmosfera delicata e ricca di emozioni; tengo a precisare che in questo gruppo la tastiera non è un elemento di sottofondo o  da classico “tappetino”, ma è una presenza vera e propria, un bene della band che sa dosarlo al punto giusto e farlo emergere quando c’è ne bisogno. Tirando le somme, “Sogni” è una ninna nanna che ricorda un po’ Certe notti del mitico Ligabue . A questo punto arriva la sveglia con  “Ora d’aria “  che con un assolo quasi metal di Davide ci lascia a bocca aperta già dal principio; la chitarra di Roberto come sempre lo sostiene molto bene, e un notevole appunto va fatto anche alla sessione ritmica di Gian Luca e Germano, che sono travolgenti e macinano alla grande , specie nei passaggi. E’ con queste premesse che entriamo nella storia di “Cico”, narrataci da un testo crudo speziato da una trama che sa lasciare l’amaro in bocca; Cico è forse un personaggio creato da Emiliano (autore di tutti i testi della band), ma è anche un gelido specchio della vita di molte persone definite “criminali” forse troppo alla leggera. La storia di quest’uomo è soprattutto la triste favola di una vita nata sotto una cattiva stella, una vita che sfocia nell’ombra di una cella dove la cruda realtà non manca di sbattere in faccia ogni secondo l’amara agonia di chi non può godere di una giusta esistenza.

Le sonorità del sesto pezzo, “ Tu sei il fratello”, appaiono molto più chiare rispetto al precedente, tanto che  le sventure di “Cico” finiscono quasi per farsi dimenticare.

Giunti a questo punto, ossia a più di metà album, ci si rende conto di come la struttura delle canzoni tenti di essere “pop” nonostante abbia le radici ben affondate nel rock e del fatto che forse i brani sono troppo lunghi: ci sono nove pezzi che fino ad ora sono stati intensi, ma alcune loro parti sembrano ripetitive, come se dovessero  riempire solo del  tempo. “ Il clown è triste”  è teatrale, arrangiata magnificamente (secondo me è la canzone più bella di tutto l’album, una vera hit) dettagliata fin nei minimi particolari, e sa suscitare malinconia e solitudine: con essa il sestetto tocca i 5,45, e in questo pezzo non pesano tanto. Tuttavia per ciò che riguarda gli altri brani il gruppo dovrebbe essere più sintetico e togliere il superfluo e le ripetizioni. “ Sclero” stupisce per il suo ritornello dal cuore duro, dove le chitarre non mancano di divenire compatte e in alcuni frammenti quasi  “hard rock”. “Rinascere”, in chiusura dell’album, è forse il punto di svolta di tutto il tema del cd, il traguardo che ci apre un nuovo punto di vista e ci svela la luce alla fine del tunnel: fino ad ora i testi sono stati negativi e narravano temi pessimistici, alquanto tristi, pieni di solitudine e malinconia, ma “Rinascere”, come già anticipa il titolo, chiude il tutto dandoci speranza e voglia di continuare a vivere. Nel cd non troveremo hit o cavalli di battaglia perché in parte ogni canzone potrebbe qualificarsi come tale.

Per essere la loro prima fatica i Riff non hanno lavorato male, ma si sente che sono alla ricerca di qualcosa di meglio: Emiliano ha saputo dimostrare di essere pienamente padrone del suo ruolo e di certo questo lo deve anche al resto della band, che non è stata da meno, e anzi ha saputo dare un ottimo appoggio ai testi del cantante, molto curati e dinamici. Questi sì che sono musicisti “con le palle”! Infine c’è da notare che non manca un tocco di virtuosismo, che tuttavia rischia di nuocere e di soffocare l’efficacia delle canzoni stesse.   

 

Album: Dal tempo…Dal sogno…Dal sole…

Titoli:

 

Ti voglio

Buona fortuna

Questo amore è un Vietnam

Sogni

Ora d’aria

Tu sei il fratello

Il clown è triste

Sclero

Rinascere

                  

I RIFF:  

 

Emiliano Tofoni               -     Voce

Davide Scartabelli            -    Chitarra

Roberto Bonifazi               -   Chitarra

Germano Barlattani         -    Basso   

Gian Luca Gobbi              -    Batteria

Tiziano Giudice                 -   Tastiere

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 29/04/08 alle 19:57 via WEB
ciao RAin. al gods ci vado!! ho trovato un tuo sostituto! :) per la birretta quando ti pare. il mio msn fattelo dare da laura non lo pubblico se no sai le fans scatenate mi circonderebbero!! ahahahah!!! poi il mio num ce l'hai chiamami quando vuoi! ciao Germano
 
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Non si pone spesso attenzione sull’importanza delle radio nel veicolare e diffondere musica, eppure queste, pur non avendo più lo sconfinato potere di un tempo, continuano a detenere il coltello dalla parte del manico per ciò che riguarda i gusti della maggioranza delle persone. Al centro commerciale, in un negozio, a volte anche al lavoro, in macchina o in casa ciò che ci martella le orecchie sono i suoni che provengono dalle frequenze radiofoniche. Si sentono le stesse canzoni decine di volte, finchè quasi automaticamente si giunge a conoscerne a memoria il motivo.
Prestando un po’ di attenzione è facilissimo notare come le radio italiane in linea di massima selezionino i brani operando un vero e proprio “razzismo musicale”: un piccolo esempio? L’ossessività con cui vengono proposte canzoni di artisti come ad esempio Laura Pausini o Eros Ramazzotti, e la rarità con cui vengono fatte ascoltare le produzioni di gruppi invece famosi all’estero come Lacuna Coil o Linea 77… ma non solo! Per fare un esempio sugli artisti più gettonati abbiamo utilizzato due esempi italiani, ma forse ho un po’ sbagliato: la quantità di musica italiana che viene messa in onda è assolutamente irrisoria se paragonata a quella straniera. Molte stazioni si giustificano adducendo il pretesto che in Italia manca innovatività o uno stile personale: questa tesi è più che ovviamente falsa… basta pensare a gruppi come Subsonica o Bugo, assolutamente scartati dai programmi radiofonici!
Vi chiedete il perché le radio emarginino alcuni artisti, emancipandone altri? Bè, proviamo a darvi una risposta noi… perché si pensa troppo alla commercialità, all’orecchiabilità! A questo punto viene logico dire: “Le radio DEVONO pensare alle cose commerciali perché sono quelle che piacciono alla massa!”. Bè, a questa tesi sono da ribattere alcuni fatti storici: Elvis Prasely quando ancheggiò per la prima volta in tv era commerciale? Eppure è considerato il re della musica! E i Pink Floyd? Hanno rivoluzionato la musica! E con loro gente del calibro di Jim Morrison, Genesis, Nirvana…
Concludiamo con un augurio: che le radio la smettano con la loro dannata dittatura e inizino a dare spazio a tutti… dovrebbe essere veramente il pubblico a decretare chi merita fama e chi no, selezionando i propri artisti preferiti tra i molti che le radio dovrebbero mettere a disposizione di tutti gli uditori.

Rain, Laura Liguori

 

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