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L’orecchino di Miccoli non si smentisce mai?

Post n°4366 pubblicato il 01 Aprile 2011 da nadir63l
 

Immagine IPB

di G. Fiorito

Il 14 marzo 2010, nel corso di una puntata di Controcampo, Fabrizio Miccoli confessa di essere stato a lui a ordinare l’acquisto in un’asta pubblica di un orecchino di Diego Armando Maradona pignorato, pare, durante un soggiorno a Merano. Il feticcio avrebbe un valore reale di 4.000 euro, ma il talentuoso capitano del Palermo confessa di essere rimasto addirittura sorpreso della somma relativamente esigua di 25.000 euro sborsata per l’oggetto. Strana la vita e ancor più il destino. Il morboso interesse che nutriamo nei confronti dei campioni del calcio, spesso è causa di una fama esasperata dal pettegolezzo.

Il caso Miccoli è sintomatico. L’orecchino lo identifica meglio delle 48 reti messe a segno con il Palermo che ne fanno il miglior bomber rosanero di sempre di serie A e certificano sul campo le sue qualità di funambolo del calcio. Non solo l’orecchino, però. Nemmeno i numerosi tatuaggi. Perché Miccoli è stato al centro di una vicenda controversa che lo ha dato in pasto alle folle voyeuriste come la vittima per eccellenza del moggismo più bieco.

Dotato per il pallone fin dalla più tenera età, l’attaccante arriva nel 2002 nella Juventus con una valigia piena di sogni di gloria, subito delusi dal trasferimento in prestito al Perugia. Passa una stagione e ritorna in bianconero per trascorrervi un anno vissuto come una tragedia, stando a ciò che dichiara in un’intervista. Facile a comprendersi, la coppia titolare risponde ai nomi di Del Piero e Trezeguet, due che avrebbero messo insieme qualche centinaio di reti. E sarebbe arrivato Zlatan Ibrahimovic a rendere la vita difficile persino al capitano. Senza calciopoli probabilmente la racconteremmo così. Invece no. Perché nell’aprile del 2008 Miccoli depone al processo GEA e sciorina sotto giuramento la sua versione dei fatti: “Da quest' anno, grazie a Dio, da quando cioè il Palermo è proprietario del mio cartellino, non ho più problemi con Luciano Moggi. Non ho mai saputo le ragioni di questa conflittualità con lui iniziata sin da subito, già ai tempi del ritiro con la Juventus” . Alla corte di Zamparini Fabrizio approda dopo un’odissea. Per un anno alla Fiorentina, Luciano Moggi lo strappa dai viola solo per fargli un dispetto e tentare a tutti i costi di spedirlo in Inghilterra, al Portsmouth, con minaccia di non permettergli più di giocare in Italia se non acconsente. E intimidazione di non farsi illusioni sulle convocazioni in Nazionale, 10 presenze con il Trap, in quanto opera sua. Risultato: due anni al Benfica, con infortuni che quasi lo convincono a smettere, fino a quando non lo rileva il Palermo a titolo definitivo. Secondo Miccoli, però, tra le vessazioni subite ce ne sarebbero altre. In prestito al Perugia, avrebbe ricevuto da Antonio Conte, suo compagno in bianconero e leccese come lui, una telefonata dispensatrice di consigli per cambiare procuratore al fine di restare a giocare nella Juventus. Tuttavia il giocatore non sostituisce Caliandro con Alessandro Moggi, ma alla Juve ci rimane lo stesso a vivere la “tragedia”. Prima di dirottarlo all’estero, magari solo per sensatamente non cedere alla diretta concorrenza un calciatore in esubero al quale riconosce validità, Moggi padre si dedica, tra una telefonata e l’altra e una griglia e l’altra, a negargli di esporre le proprie opinioni, a multarlo, unico tra tutti gli altri della rosa, qualora indossasse l’orecchino, nientemeno che a dimenticarlo sul pullman in occasione di una visita del sindaco di Torino. Nell’ottobre 2008 Antonio Conte rende la sua testimonianza in tutt’altro modo: “Furono Miccoli ed il suo procuratore Francesco Caliandro a chiedermi, durante una cena, di intercedere presso Alessandro Moggi affinché il giocatore fosse assistito anche da lui”.
Il 9 gennaio 2009 Lavinia di Gianvito scrive sul Corriere della sera dopo il pronunciamento della sentenza di primo grado: “Nessuna «cupola» ha governato il mondo del calcio, non c' è stato un controllo globale delle procure sportive «a suon di intimidazioni e condizionamenti». In due ore di camera di consiglio la X sezione del tribunale, presieduta da Luigi Fiasconaro, cancella il «sistema Moggi». Cade l' associazione per delinquere, cadono altri 10 capi di imputazione. Restano solo 4 episodi di violenza privata per i quali vengono condannati «Big Luciano» - a un anno e mezzo - e il figlio Alessandro - a un anno e due mesi” . La corte d’appello ha confermato l’inesistenza dell’associazione, ne abbiamo già parlato in modo dettagliato in altri
editoriali. Una dichiarazione di Miccoli di qualche giorno fa a Radio Radio suonava così: “Con la Juventus non ho mai avuto nulla. Tutto quello che è successo è successo perché hanno deciso di mandarmi via, a Firenze, dove sono stato bene e ho fatto un anno importante. Poi quando ero in comproprietà ho detto che avrei preferito restare in viola. Non rinnego nulla, a Torino sono stato bene e ho avuto la fortuna di giocare con Nedved, Thuram, Del Piero, Trezeguet…”. Parole che sembrano ridimensionare di molto quanto deposto a suo tempo. Con il passare degli anni forse Miccoli ha sopito l’astio antico e la ripicca per non aver realizzato il sogno di giocare nella Juventus. Oggi si sente appagato dai successi comunque ottenuti. Peccato che dentro quell’aula del tribunale di Roma non si fosse al bar, a far due chiacchiere tra comari. Le solite chiacchiere che a tanti sono costate care. Un prezzo del quale qualcuno potrebbe chiedere il risarcimento quando i processi saranno conclusi.

http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/...lio.asp?id=1504


 
 
 
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