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Bypassare calciopoli

Post n°5472 pubblicato il 19 Ottobre 2011 da nadir63l
 


Immagine IPB

di G. Fiorito

La Juve non ha ancora “scollinato” calciopoli. Letta sotto il profilo agonistico, la frase di Buffon intendeva superare i toni di un’effimera autocelebrazione agonistica solo per aver battuto gli attuali campioni d’Italia e invitare i compagni e l’universo bianconero al lavoro in vista di traguardi ben più ambiziosi. Ma l’eco si è infranta nel coro unanime degli addetti ai lavori che di calciopoli farebbero volentieri a meno di parlare ancora.
Nell’imprudenza verbale di Gigi si può assaporare un retrogusto finanche poetico. “Scollinare” non è termine dall’uso comune, sebbene appropriato per uno sportivo.
Rimanda a uno sport che la sua calciopoli l’ha vissuta e la vive nel modo più atroce.
Come insegnano Pantani e Riccò. “Scollinare” è geometricamente un vertice. La fatica di raggiungere la cima e la consapevolezza che dopo verrà la discesa.
Superare l’ostacolo. Si può fare anche con un semicerchio. Non è previsto dai regolamenti, che squalificherebbero il ciclista che intendesse bypassare il gran premio della montagna.
Ed è un paradosso che la giustizia sportiva abbia scelto di superare calciopoli aggirando incongruenze e contraddizioni determinate dal corso della giustizia ordinaria.
Attraverso il raggiro dell’incompetenza.

Il tempo è galantuomo. Ma non agisce da solo. Sono state le difese degli imputati del processo di Napoli che si sono addentrate nelle zone d’ombra silvane della collina, districando l’intreccio dell’inverosimile numero di intercettazioni delle quali solo una manciata hanno generato il procedimento ignobile, nei tempi e nei modi, dell’estate del 2006.
Causa presunta la rilevanza penale. L’interesse esclusivo di un pm che la cronaca ci restituisce responsabile della violazione dell’art. 8 del codice deontologico dei magistrati, bypassata la carriera di giudice per quella di assessore. Piaccia o non piaccia, barattata.

Il tempo consegna alla memoria frammenti di specchi che come nel sogno di un film di Hitchcock si fondono, ritrovato il denominatore comune nella chiave di interpretazione di Andrea Agnelli: la richiesta di par condicio.
Fine maggio dell’anno 2010. Narducci, Moratti, Auricchio e Piccioni si incontrano all’ombra di una delle tragedie più sconvolgenti del XX secolo. Nello scenario subdolo della presentazione di un libro sulla causa dei desaparecidos, letteralmente “persone fatte scomparire”, suscita qualche perplessità da codice deontologico l’ipotesi che abbiano in mente di far scomparire qualche verità scomoda. Piccioni forma con Galdi la coppia di giornalisti che ha seguito le udienze di Napoli per La Gazzetta dello Sport, il giornale che ha lanciato calciopoli, la bibbia alla quale Auricchio e i carabinieri attingevano per le indagini. Non solo copiandone senza verificarli i tabellini inesatti delle partite, ma anche tenendosi in contatto per un fruttuoso scambio di informazioni, come emerge dalle testimonianze di Galdi e del maresciallo Di Laroni, che aiutava il giornalista persino a redigere un ricorso avverso una sanzione per violazione al codice delle strada.

Un affresco inquietante. Specialmente se c’è un altro frammento di specchio che è vuoto. Non c’è l’immagine di Moratti che depone a Napoli. E nemmeno quella di Tronchetti Provera, di Tavaroli o Cipriani. C’è il processo Telecom di Milano.
Cipriani che racconta a Repubblica il 2 giugno 2006 che le sue agenzie investigative dipendevano per quanto riguarda la Polis d'istinto per il 45-50% del fatturato dalle commesse di Pirelli e Telecom, per la Wcs e la Sra per il 75-80%. C’è a Napoli la deposizione tormentata di Nucini, che nel maggio 2006 imperversa su Repubblica come cavallo di Troia e Che Guevara del sistema calcio. Ma agli inquirenti racconta troppe versioni diverse della stessa storia.

Ci sono Vieri, De Santis e Bergamo, sempre meno disposti a bypassare i pedinamenti e gli spionaggi illegali effettuati dall’Inter ai loro danni.
C’è il giudice Artico, che invano Moggi ha tentato di ricusare, che nel comunicato ufficiale della FICG relativo al processo sportivo per le sim svizzere conclude che non erano stati accertati fatti censurabili nei rapporti tra Nucini e Facchetti. Che c’erano, essendo Nucini un arbitro in attività che arbitrava l’Inter e beneficiava attraverso i dirigenti interisti di colloqui di lavoro.
C’è Baldini, che dopo aver fatto il ribaltone è apparso più nervoso di Nucini e si è confuso deponendo a Napoli sulle date degli incontri con Auricchio.
C’è Dal Cin, chiacchierone con la stampa e senza prove in tribunale.
C’è Manfredi Martino, che aveva sospetti sui colpi di tosse fugati dalle deposizioni di notai e giornalisti senza i quali non si sarebbe potuto truccare il sorteggio. Non c’è l’attendibilità dei testimoni dell’ex pm Narducci, che avrebbe voluto fare acquisire come prove anche i commenti di alcuni tifosi laziali sui forum.
C’è Palazzi, il superprocuratore che attualizzandoli ha prescritto gli illeciti dell’Inter, ma ha fatto radiare Moggi e Giraudo.
C’è una lettera dell’UEFA che attende risposte da Abete, per sapere se la FIGC ha operato bene riguardo a calciopoli.

Su un frammento di specchio c’è ancora il monito di Borrelli a continuare le indagini e a riordinare la giustizia sportiva.

Scollinare ha un altro significato. Valicare in volo le alture. Come fanno gli uccelli. Nel rispetto delle correnti. Nel diritto alla libertà. La libertà di scegliere che ad essere rese non siano soltanto sentenze, ma anche giustizia.

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