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Moggi, De Laurentiis e Preziosi: non tutte le “minacce” vengono per nuocere?

Post n°6188 pubblicato il 24 Luglio 2012 da nadir63l
 

glmdj 

Immagine IPB

di F. Filippin

Facciamo un piccolo salto nel passato.
Marzo 2011. La Corte d'Appello di Roma, pur riducendo le pene comminate in primo grado ed escludendo l'associazione a delinquere, condanna Luciano Moggi, (incarnazione del male pallonaro assoluto) ed il figlio Alessandro (evidentemente qualis pater, talis filius) per il reato di violenza privata.
Senza entrare più di tanto nel merito della sentenza e degli episodi relativi, ormai noti a tutti, mi limito a ricordare che la condanna attiene alle presunte pressioni esercitate da coloro che, così ci venne spiegato, controllavano e decidevano le sorti dell'intero mercato calcistico, italiano e non, su giocatori addirittura del calibro di Blasi, Zetulaev e Budiansky, perché lasciassero i rispettivi procuratori, a costo (ed è qui il succo della “minaccia”, componente essenziale del reato in questione) di non vedersi riconosciuti adeguamenti contrattuali o possibilità di giocare in squadre blasonate.

Torniamo al presente.
Luglio 2012. De Laurentiis: "Cavani? Lo faccio marcire in panchina se chiede 7-8 milioni di euro“.
Preziosi: “Destro. E' una situazione scandalosa, se non si dovesse chiudere con la Roma, Destro resterà al Siena a 400 mila euro.”
Chiariamo subito, a scanso di equivoci: a nostro avviso i veri reati sono altri e le trattative del mercato calcistico, pur con i loro eccessi e le dichiarazioni mirabolanti, rientrano nella normale libertà negoziale, dove, con un contratto in essere, o tutte le parti si mettono d'accordo, o tutto rimane così com'è.
E' sempre vero che i calciatori, pur essendo privilegiati e strapagati, sono, comunque, lavoratori dipendenti e come tali godono dei loro stessi diritti, così come di quelli di tutti i normali cittadini, ma, se il male minacciato è quello di non giocare, continuando a percepire lo stesso ricco stipendio o quello di essere obbligati a rimanere nella società per la quale hanno sottoscritto contratti pluriennali, francamente ci sfugge qualcosa.
Questo non vuol dire, però, che non siano doverose alcune considerazioni, al di fuori dell'ambito penalistico.

Quanto al presidente del Napoli, sempre più “folkloristico” e, a cui, in quanto tale, qualsiasi dichiarazione è ormai permessa (anche di accusare di cafoneria i giornalisti per il fatto di parlare solo di soldi, quando lui, da mesi, ogni volta che nomina Cavani, ci rende edotti della cifra con cui monetizzerebbe immediatamente la cessione), non abbiamo, ancora, sentito piovere grosse critiche.
Ci pare, infatti, che minacciare un giocatore di “marcire in panchina” se chiede (essendo valutato ora 50, ora 70, ora 100 milioni di euro dal suo stesso presidente), uno stipendio proporzionato, non sia molto diverso dal “minacciare” di non concedere un adeguamento contrattuale, non certo né obbligatorio né dovuto, rifiutare un trasferimento gradito o trattarne uno con qualche società di una piazza calcistica poco stimolante.
Anzi, forse una differenza c'è, perché, se nel caso della Juventus si trattava di giocatori di seconda (o terza) fascia, per i quali rimanere a Torino senza giocare non sarebbe stato certo uno scandalo, visti il livello tecnico e le rispettive carriere, per Cavani, rincorso dai principali club europei, l'ipotesi di un confino forzato in panchina o tribuna (per quanto poco credibile) appare come una forma di coercizione quantomeno discutibile.

Quanto al presidente del Genoa, sul quale molto si potrebbe dire, prendiamo atto che, pur essendo a volte presente sui quotidiani, anche di recente, in pagine diverse dalla quelle di cronaca puramente sportiva, la sua amicizia speciale con alcune società non è ancora considerata “pericolosa”.
Così come prendiamo atto del fatto che nessuno muove appunti su alcune pratiche di mercato piuttosto bizzarre, per le quali si preferisce agire in perdita, come quando si cedono giocatori a taluni piuttosto che ad altri “anche perdendoci un milione” (parole del presidente), come quando ci si dice pronti a “risarcire” l'amico di sempre restituendogli, in caso di squalifica, il prezzo del cartellino, o come quando, a prescindere dalle offerte, si invita in maniera piuttosto brusca, addirittura pubblicamente, un giocatore ad optare per la destinazione gradita, a costo di rimanere nell'attuale società, di non essere trasferito in una squadra blasonata e non avere il conseguente adeguamento dell'ingaggio.

Tutte pratiche che, a suo tempo, venivano periodicamente contestate al Direttore Generale juventino.
Mai vorremmo, siamo sinceri, che qualche Procura, come ormai siamo abituati, intervenisse intravvedendo in questo una forma di mobbing, di minaccia o di violenza privata (ripetiamo che non ci pare proprio il caso), ma ci chiediamo come mai nessuno, dalla carta stampata, alla FIGC o all'Associazione Calciatori, trovi il tempo per qualche riga quantomeno di censura su certi comportamenti e certe dichiarazioni, come avveniva con riferimento a quel dirigente che faceva esattamente le stesse cose che facevano tutti, con l'unica colpa (ma in Italia è grave, evidentemente), di essere più bravo degli altri e, per questo, di lavorare per una società in particolare.

http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/...lio.asp?id=2386


 
 
 
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