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Calcioscommesse. 'Due feriti e un morto'

Post n°6469 pubblicato il 18 Settembre 2012 da nadir63l
 

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Immagine IPB

Inizio dalla fine. Mensurati e Foschini e il loro ultimo libro :“Lo zingaro e lo scarafaggio”. Nella pagina dedicata ai ringraziamenti scrivono: “Il libro, se mai qualcuno ce lo farà scrivere davvero, parlerà dell’impossibilità di fare giornalismo sportivo in Italia, un Paese strano dove si può fare tutto tranne che toccare le squadre di calcio”.
In queste parole c’è la conferma del fatto che oggi il giornalismo sportivo non rappresenta quello che dovrebbe essere.

Prima di tutto – e qui mi rivolgo anche agli Autori – ci sarebbe da capire cosa rappresenta oggi il giornalismo sportivo. Quello che scrivono è condivisibile, ma rimane pur sempre dettato non solo dall'impossibilità di accontentare il tifo estremo, ma forse anche dalla volontà di chi è chiamato a fare giornalismo. E’ sempre più evidente come per qualcuno, tranne rare eccezioni, rimane solo una forma di sponsorizzazione, per lo più affidata a coscienti ultrà da tastiera che, con il loro lavoro, condizionano l’enorme massa dei tifosi attraverso la diffusione di informazioni distorte su quotidiani a larga diffusione nazionale. Per altri un semplice modo per sopravvive, spesso per compiacere l'editore attraverso l’uso di argomentazioni che catturano la curiosità dei lettori. Ed è noto che essere antijuventini in Italia è diventato uno spot che dà visibilità e che si può cavalcare in modo spesso scorretto. Che poi qualcuno ne abusi in barba all’etica e al buon senso, è acclarato; visibilmente riconoscibile da come sono stati raccontanti quegli scandali infiniti che dal 2006 attanagliano il calcio italiano, anche quando i “cattivi” sono fuori da giochi.

La Juventus, oltre ad essere la squadra che ha un maggior seguito di tifosi, è anche quella che da calciopoli ha creato, attraverso il web, una linea di controinformazione volta a contrastare l’antijuventinità imperante nel giornalismo sportivo italiano. Non può sfuggire quindi quella che è chiaramente una linea precostituita volta a danneggiare l’immagine della vecchia signora, curata assiduamente dalle stesse testate e dalle stesse firme: una vera e propria missione.

Ho letto il libro "Lo zingaro e lo scarafaggio". Una versione “romazesca” dell’inchiesta giornalistica di Repubblica sul calcioscommesse: i sogni di gloria dei calciatori, le loro ambizioni, la loro stupidità con sullo sfondo una federazione incompetente, un Paese schifato da chiunque e la fine di quello che era il gioco del calcio. Insomma, un’istantanea nuda e cruda, dell’attuale realtà italiana.

Le vicende legate al calcioscommese – così per come sono raccontate - non presentano elementi di novità, nel senso che sono “storie” che già conosciamo, già romanzate da chi ha trasformato il calcioscommesse nel processo ad Antonio Conte. Evidenziare questa realtà legata al tecnico juventino significa – secondo una moda recente introdotta per giustificare chi ricerca giustizia - prendere una posizione di parte, da tifoso, e quindi non credibile perché accecato dal tifo. Non sempre è così se a parlare sono i fatti e non le chiacchiere da bar…

I temi ricorrenti del libro sono quelli in cui emerge lo zingaro potente, “che aveva tutto sotto controllo”; la “stupidità” dei calciatori e dei tifosi; “l’ossessione” delle scommesse.

Il controllo del “gioco”, attraverso pressioni “per far entrare nelle teste vuote dei calciatori il concetto che qualsiasi scherzo avrebbe fatto arrabbiare molta gente”, perché nella loro “stupidità” non ti lasciano mai tranquillo, “ti dicono una cosa e poi ne fanno un’altra. Non perché sono distratti ma perché così guadagnano di più”. Per questo erano frequenti le visite negli hotel che ospitavano le squadre, dove lo zingaro appariva come un fantasma: un incubo per i calciatori. I giocatori erano gli “scarafaggi”, “deboli”, “più stupidi dei cavalli”, “gli esseri più di merda” con la “coscienza ipocrita”, “sfigatelli” ma proprio quella loro stupidità poteva rappresentare il vero “capitale” e su cui lavorare. L’Italia era il territorio ideale, laddove il calcio non è un gioco ma un compromesso, dove a fine stagione, con obiettivi già chiari, vige il motto “meglio due feriti che un morto”. Il gioco consisteva nello scegliere un “calciatore di ponte abbastanza esperto, meglio se con trascorsi nella squadra avversaria, così da poter garantire anche qualche contatto dall’altra parte”. “Dal punto di vista legale pericoli ce n’erano ben pochi, soprattutto in Italia”. In teoria il rischio grosso sarebbe sul piano sportivo per i calciatori che “possono godere della sostanziale copertura della Federazione e dei tifosi”.

La scelta degli asiatici su quale paese puntare, veniva fatta in base a considerazioni “geopolitiche – debolezza dell’economia del paese, incapacità della Federazione calcistica locale, avvicinabilità dei calciatori “. “Una Federazione che non ha alcun interesse a far scoppiare il casino”; il pericolo maggiore è rappresentato dalla polizia e dai tifosi. Sì i tifosi, “gli unici in tutta Italia” che non sapevano cosa stava succedendo. Lo zingaro, l’uomo “grosso” con la cicatrice che incuteva timore e i tatuaggi di cui andava fiero, tifoso di Del Piero e della Juventus, che indossava spesso una maglia a strisce bianconera.

Un’immagine del calcio da terzo mondo, dove non esiste una cultura sportiva e dove la Federazione rimane impotente, ferma con vecchie regole, capace di dare copertura ai calciatori e favorevole a far finta di nulla pur di non rompere il giocattolo del calcio. Ma non è forse quello che denunciamo da anni? L’incompetenza della Federazione e degli uomini che la rappresentano e quella copertura offerta - senza badare nemmeno alle apparenze – solo a determinati gruppi di potere? E perché chi vuole fare giornalismo sportivo non denuncia questa chiara disparità di trattamento preferendo appoggiare mediaticamente qualcuno? Non può anche una corretta informazione - magari super partes - far crescere la cultura sportiva italiana? E se quei giocatori stupidi sapessero di non poter contare sulla copertura delle istituzioni e dei media, forse avrebbero uno stimolo in più per non cadere nel gioco?

Dopo lo zingaro con la maglia a strisce bianconera, c’è spazio anche per il “boia juventino”, un poliziotto che aveva fermato lo zingaro in fuga dall’Italia e che in realtà non effettuò nessun controllo; episodio legato all’immagine suggestiva della maglia di Del Piero, acquistata dallo zingaro per il figlio, e deposta sul sedile anteriore della macchina dei due in fuga e notata dal poliziotto/tifoso che fa la battuta: “stai attento, però, a girare con questa roba in macchina”..e “Forza Juve”.
Spazio anche al racconto dell’arresto sventato in cambio di due biglietti per il derby di Milano trovati dai doganieri all’interno di un bagaglio contenente 25.000 €

Il calcio in Italia è un “atto di fede”. “Una fede cieca, immotivata, irrazionale, violentissima”. Un giornalismo sportivo pronto a parlare di calciomercato, desideroso di smettere di scrivere e spiegare il calcioscommesse.
"Due feriti è meglio che un morto", feriti come il giornalismo e il tifo e un morto: il calcio.


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