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L’amarezza del Pallone d’Oro

Post n°6858 pubblicato il 10 Gennaio 2013 da nadir63l
 

glmdi

Immagine IPB

Il Pallone d’Oro 2012 è stato assegnato a Leo Messi. Qualcuno si sorprende? Al di là della quasi noiosa ripetitività della celebrazione di uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, al di là delle critiche che si possono muovere ai giurati per essersi dimenticati del giocatore più determinante dell’ultima Champions League, quel Didier Drogba che trascinò il suo Chelsea ad una vittoria impossibile, al di là dell’ennesima delusione per i supporter di Iniesta, al quale ancora una volta non è bastato vincere con la propria nazionale il terzo titolo consecutivo, tra Europei e Mondiali, non si può evitare di riconoscere al fuoriclasse argentino di essere una spanna (anzi, dieci spanne) sopra a tutti e di meritarsi ogni riconoscimento che gli viene assegnato, giorno dopo giorno.

Ma per un osservatore italiano è demotivante un altro aspetto: nonostante la nostra nazionale abbia raggiunto la finale agli Europei (rimediando poi una batosta di dimensioni storiche), nell’elenco dei trenta giocatori più votati, ci sono solo tre giocatori italiani, dei quali solamente due giocano in un club italiano (indovinate quale?): Pirlo si è classificato settimo, Buffon sedicesimo e Balotelli ventitreesimo (ultimo tra chi ha ricevuto almeno un voto). Qualcuno penserà: poco male, qualche posto sarà occupato da uno dei tanti stranieri del nostro campionato. Vuoi che Cavani o qualche altro protagonista della Serie A non compaia nella lista? No. Nisba. Nada.
Si prosegue poi con gli allenatori. Vince Del Bosque, protagonista di un Europeo spettacolare con la sua Spagna, e lo segue lo Special One Mourinho, capace di vincere con il suo Real il campionato spagnolo, con Guardiola a chiudere il podio. E gli italiani? C’è Di Matteo quarto, per i meriti del suo Chelsea; c’è Prandelli settimo, grazie alla finale europea raggiunta dalla nazionale; c’è Mancini ottavo, per il campionato vinto dal Manchester City. Ma il calcio italiano è ancora una volta dimenticato: Klopp, che ha vinto il campionato tedesco, è sesto (addirittura davanti a Mancini, che ha vinto quello inglese), mentre di Conte, capace di vincere il campionato italiano da imbattuto, non c’è traccia. E pensare che una volta si diceva che il nostro fosse il campionato più difficile del mondo!

Ma per noi questa debacle non è una novità. Nel 2011, se possibile, il calcio italiano fu trattato addirittura peggio. Tra i calciatori, gli unici due menzionati furono Forlan (ma non per le scialbe prestazioni messe in mostra all’inter) e Sneijder (forse più per rispetto che per meriti), mentre gli allenatori furono completamente ignorati. Una mezza eccezione ci fu nel 2010, quando l’inter di Mourinho (votato migliore allenatore d’Europa) si aggiudicò la Champions League e di conseguenza Snejider si classificò quarto, Eto’o dodicesimo, Maicon diciassettesimo e Julio Cesar diciannovesimo. Ma, anche in quel caso, il resto del calcio italiano non fu preso minimamente in considerazione.
Stessa musica negli anni precedenti, quando non c’era una classifica degli allenatori, ma non abbiamo mai piazzato un giocatore militante nel nostro campionato tra i primi tre: nel 2009 Eto’o quinto (ma grazie alla Champions League vinta quando ancora giocava nel Barça), nel 2008 Ibra nono. Stop.

Ora qualcuno ci racconterà che tutto questo è dovuto ad una crisi che lentamente ha trascinato il nostro campionato verso gli abissi della mediocrità. Ma è sufficiente girare le lancette degli anni ancora indietro di un passo e la musica cambia completamente. Il 2007 è l’anno successivo a Farsopoli: la Juve è fino a giugno in B, quindi mancano tutti i suoi giocatori (anzi, no: Buffon, nonostante una stagione giocata nella serie cadetta, è diciannovesimo; poi ci sarebbero anche Ibra e Cannavaro in classifica, a ricordarci lo sfascio compiuto dagli uomini di John Elkann, ma forse è meglio non pensarci…), ma il Milan, suo principale antagonista fino all’estate 2006, piazza Kakà in cima alla classifica, Pirlo quinto, Inzaghi sedicesimo, Maldini diciottesimo, Gattuso e Seedorf diciannovesimi. Considerando anche Totti decimo, una percentuale consistente della classifica è italiana. E se torniamo a quel maledetto 2006? Ai primi due posti ci sono due juventini: Fabio Cannavaro e Gigi Buffon. Poi c’è Pirlo nono, Kakà undicesimo, Gattuso e Vieira quattordicesimi, Toni e Zambrotta ventesimi. Insomma, una classifica in cui a farla da padrona è l’Italia, come pure negli anni precedenti, nonostante al momento della votazione la protagonista principale sia già stata spedita in B. Nel 2005, in barba all’andamento non proprio esaltante delle squadre italiane in Europa, piazziamo Shevchenko, Maldini, Adriano, Ibrahimovic e Kakà, rispettivamente quinto, sesto, settimo, ottavo e nono, oltre a Buffon e Nedved in diciannovesima e ventitreesima posizione. Nel 2004, il Pallone d’Oro va al milanista Shevchenko. Gli fanno compagnia Adriano (sesto), Nedved (settimo), Ibrahimovic (tredicesimo), Buffon (diciassettesimo), Maldini (ventottesimo). Nel 2003, invece, vince lo juventino Nedved, seguito da Maldini (terzo), Shevchenko (quarto), Buffon (nono), Del Piero, Dida, Nesta (tredicesimi), Totti (diciottesimo), Inzaghi (ventiduesimo).

Inutile proseguire nel viaggio a ritroso nel tempo, anche perché i fasti del calcio italiano degli anni passati li ricordano tutti.
Sia chiaro: la classifica del Pallone d’Oro non è il Vangelo. Va presa per quella che è: un’amenità. Quando Sammer si aggiudicò il trofeo, lasciandosi alle spalle Ronaldo e Del Piero (addirittura quarto!), non credo che nessun dirigente sano di mente avrebbe preferito disporre del giocatore tedesco rispetto ai due attaccanti più forti del momento. Ma una classifica internazionale, composta dai voti di una larga fascia di “addetti ai lavori”, è una buona cartina tornasole dello stato di salute e visibilità di un campionato. Se l’allenatore campione d’Italia non compare neanche tra i primi dieci, nonostante sia riuscito a portare la propria squadra ad aggiudicarsi il titolo senza perdere una partita, significa che il nostro campionato non ha più il minimo fascino. E il problema ormai è cronico: l’anno scorso si sono classificati tra i primi dieci Klopp e Rudi Garcia, allenatori di Borussia Dortmund e Lilla, ma di italiani non s’è vista l’ombra. Può succedere che una squadra faccia un exploit anche a livello europeo, come accadde all’inter di Mourinho. Ma, tolti quei quattro nomi piazzati in lista per onorarne il risultato, il resto della classifica resta un deserto, per gli italiani.

Uscire dal circolo vizioso in cui è affondato il calcio italiano non sarà facile. Poco fascino allontana investitori e giocatori. Pochi investitori e pochi giocatori bravi rendono difficili le vittorie in campo internazionale. Poche vittorie in campo internazionale rendono ancora meno affascinante il nostro calcio.
Ma l’aspetto più triste della vicenda è che la situazione attuale non è arrivata per caso o per chissà quale congiuntura economica: questo sfacelo è stato fortemente voluto dai vertici del calcio nostrano, quando si decise che era ora di eliminare dai giochi la squadra che più di ogni altra aveva contribuito fino a quel punto ad innalzare il livello del nostro campionato, per fare vincere chi aveva sperperato montagne di soldi senza combinare niente. E ancora più triste è constatare che gran parte dei protagonisti di quel disastro siedono tuttora sulle loro poltrone e si apprestano a rimanerci per tanti anni in futuro. Ma del resto, questo è lo specchio di come vanno le cose in Italia. Buon anno!

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