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« Ciro Capuano: "Contro la...dopo 4 anni ha aperto gl... »

Calciopoli, il perito: « Sim svizzere. Col buco...»

Post n°3344 pubblicato il 03 Dicembre 2010 da nadir63l
 

 
De Falco: «Che errori grossolani in quell’indagine! Le telefonate sulle schede straniere si possono ascoltare, perché non fu fatto? E perché alcune sparirono? Manca una parte di verità»

ROMA, 3 dicembre - Aveva stupito senza effetti speciali l’ingegner Giu­seppe De Falco, nell’ultima udienza del processo Calciopo­li. E’ il perito di parte dell’im­putato Mariano Fabiani e ha messo al servizio dell’avvocato Morescanti la sua esperienza di perito per numerose procu­re d’Italia proprio su materie come quelle delle sim svizzere messe al centro del dibatti­mento napoletano dal lavoro dei carabinieri di Roma e pas­sato ai pm Narducci e Beatri­ce (poi Capuano). Aveva stupi­to per come, dall’alto dei suoi 25 anni passati ad affiancare chi sgomina bande e affianca­re la polizia giudiziaria, aveva smontato il ragionamento del tenente colonnello Auricchio, che ha associato ogni scheda sim a uno degli imputati ba­sandosi sulle zone geografiche delle celle a cui le schede si col­legavano. In sostanza un sillo­gismo “sim svizzera=persona” (poi imputato). Ma De Falco ha pure detto chiaro e tondo che quella rete alternativa creata da Moggi era tutt’altro che mi­steriosa: che, volendo, ci si pote­va entrare, mettere orecchio e magari raccontare una storia diversa di Calciopoli. De Falco - che insegna “sistemi automa­tici” in un istituto superiore di Salerno - collabora con nume­rose procure, anche con quella di Potenza dove agiva il giudi­ce Woodcock, quello delle inda­gini su Vittorio Emanuele e il caso dei videopoker. «Calciopo­li, indagando diversamente, poteva dare altri risultati, que­sto è sicuro».

Ingegner De Falco quattro anni fa l’incarico dei legali di Fabiani, che idea si fece sull’inchiesta Calciopoli.

«Una premessa: io svolgo, co­me perito delle Procure di Sa­lerno, Torre Annunziata, Sala Consilina, Nocera, Lagonegro, Potenza e talvolta anche Na­poli il lavoro di affiancamento peritale della polizia giudizia­ria in indagini simili a quelle condotte dal tenente colonnel­lo Auricchio per conto di Nar­ducci. Ho 25 anni di esperien­za alle spalle e ho notato subi­to il fatto che qui, una volta scelta la strada dell’indizio del­le sim svizzere, non ci si è rivol­ti ad un esperto del settore: hanno fatto un sillogismo tra persona sotto indagine e sim e lo hanno fatto diventare una prova. Non avrei fatto così, io».

Lei ha criticato le certezze con cui si attribuiva a Fabia­ni un numero di 60 contatti a Primavalle, popoloso quartiere dove viveva il suo assistito.
«Parto dall’assurdo assunto: persona=scheda. Sono sicuri che Fabiani fosse lì in quel mo­mento, in quel luogo, in quel posto? E sono sicuri che la cel­la che richiamano potesse es­sere attivata proprio da casa Fabiani? Non possono dirlo, non hanno fatto questo lavoro. Non si possono fare le cose co­sì. E mi sarei aspettato anche di leggere introduttivamente una sorta di teoria sul raggio di azione delle celle, uno studio sulla particolarità di quella vi­cina a casa Fabiani: era una cella particolare, posta su un campanile che poteva aggan­ciare e supportare celle molto lontane. Ripeto: non mi convin­ce niente di questo lavoro».

Si spieghi meglio: lei come avrebbe fatto?

«Le sim potevano essere un in­dizio, un’indagine vera su quel­l’indizio manca totalmente. Hanno preso quell’indizio ini­ziale per una prova formata. Perché non chiedere gli sposta­menti in tempo reale delle sim sotto indagine? Si può fare con un programma che usano i servizi segreti. E poi, non han­no studiato il palazzo dove abi­tava Fabiani, quando era pre­sente in loco. Mah...».

Da Primavalle a Messina: la­vorava lì, Fabiani.

«Ci sono telefonate a Messina sparse un po’ ovunque: sareb­be stato logico avere concentra­zioni allo stadio o nel suo alber­go o in sede. Niente: nessun in­dagine a riguardo e nessun da­to significativo. Eppoi non par­liamo di persona, ma di zona attiva: poteva essere un amico o chiunque ad attivare quella sim, visto che non è stato fatto alcun lavoro investigativo su­gli spostamenti e la presenza di Fabiani, così come degli altri. Io do per scontata la buona fe­de della polizia giudiziaria, ma l’onere della prova, ovvero di dimostrare che Fabiani era lì dove si attiva la cella ce l’han­no loro, non le difese. Eppoi si poteva proprio fare di più, se proprio si credeva al teorema».

Ovvero?
«Quanti arbitri ci sono cui vie­ne attribuita una scheda? Tan­ti. E molti i contatti da Cover­ciano. A quel punto si poteva fare una bella retata lì, al limi­te le sim le avrebbero trovate nei water. Magari, invece, era una bella conventicola di co­mari o camerieri amici degli arbitri. Insomma: non sono stati utilizzati tutti i mezzi di riscontro di prova a disposizio­ne quando si fa un’inchiesta sui gsm. Di certo è stato utiliz­zato un metodo grossolano e non sono galileiane le conclu­sioni. Visto che hanno fatto il gioco delle probabilità, ci dica­no qual era, stocasticamente, la loro percentuale di probabilità. Io dico che c’era meno del 3% di chance che Fabiani potesse ag­ganciare quella cella a Prima­valle, sempre che ci fosse lui lì».

In audizione ha anticipato alcuni temi.

«Mi riservo di presentare alla difesa Fabiani, per l’arringa, al­tri tre elementi che configure­ranno un altro colpo di scena. Tra l’altro i dati su ore e minu­ti dei contatti sono mescolati tra vari operatori: non coinci­dono perfettamente, di solito. E anche Moggi avrebbe di che approfondire sul tema delle sim, per quel che ho visto nel­l’informativa 554 del 28 marzo 2007».

Il suo lavoro è stato effettua­to quattro anni fa, perché non l’avete divulgato pri­ma?
«Processualmente è molto più efficace farlo ora che si forma la prova, anziché di fronte al Gip. In questi quattro anni, però, seguendo il lavoro delle difese se ne sono viste di incredibili».

Cosa l’ha colpita, in partico­lare?
«Guardi, premetto che io sono tifoso interista e avrei voluto stringere la mano a Giacinto Facchetti, un idolo per me, ma dovranno spiegare per bene il perché quelle telefonate di Fac­chetti siano state tolte dal ma­teriale d’accusa. Io il lavoro di Auricchio proprio non l’ho capi­to. Avevano a che fare con un materiale eccitante, ma l’equi­valenza tra indizio e prova è evidente per quanto emerge in udienza. Hanno fatto tutto da soli. Poi la spinta dell’opinione pubblica ha avuto la meglio».

A Napoli ha detto che le sim svizzere era tutt’altro che segrete.
«Certo. Nella stessa stanza del­le intercettazioni dove hanno ascoltato e registrato la Calcio­poli conosciuta, avrebbero po­tuto anche ascoltare la Calcio­poli su scheda svizzera. Pote­vano sapere tutto, svelare tut­to: in aula abbiamo invece una versione parziale. Fabiani non ci sarebbe proprio entrato, per esempio. Le voci “svizzere” si potevano sentire, se c’erano. Avremmo potuto seguire in tempo reale gli spostamenti. E con un’indagine condotta da esperti avremmo avuto anche a disposizione i dati dell’imei, l’identificativo del telefonino che utilizza la sim. Sapere se quella sim è stata attivata da un telefono intestato a qualcu­no degli indagati o meno. In­somma, sarebbero serviti più buonsenso e meno sillogismi, che a mio avviso in aula non posso reggere».

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