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I figli e i figliastri di Abete...

Post n°3639 pubblicato il 12 Gennaio 2011 da nadir63l
 

Immagine IPB

di M. Lancieri

Giulemanidallajuve su calcio GP

Ogni giorno che passa, il trattamento riservato a tre cittadini italiani dalla sedicente “giustizia” sportiva si rivela sempre più raccapricciante. Antonio Giraudo, Innocenzo Mazzini e Luciano Moggi nel 2006 furono condannati, con un processo-lampo, senza la benché minima tutela giuridica, a cinque anni di inibizione. Per condannarli, fu inventato di sana pianta un nuovo tipo di illecito, perché il popolo che sventolava i cappi andava accontentato. A corredo di questa condanna, nata su presupposti che poi si sarebbero rivelati a dir poco infondati, fu aggiunta anche la proposta di radiazione. Una spada di Damocle lasciata a penzoloni sulla loro testa per quasi 5 anni, senza che si sia mai compreso chi dovrebbe prendere la decisione definitiva ed in base a quale criterio andrebbe adottata.

Poi, un bel giorno la Corte di Giustizia sentenzia che “la radiazione doveva intendersi implicita” , dimostrando poca attitudine all’uso e alla comprensione della lingua italiana: normalmente, una “proposta” è tale proprio perché non è certa. Ma, visto che in Figc il coraggio è merce rara, nessuno si prende la briga di formalizzare questo provvedimento “implicito”. Tra l’altro, c’è chi, come Moggi, annuncia apertamente che aspetta di ricevere il documento, per poi richiedere immediatamente i danni al responsabile.

Passa un po’ di tempo ancora e un bel giorno Abete si sveglia, chiedendo all’Alta Corte di Giustizia del Coni una risposta definitiva sulla radiazione dei tre.
Il presidente Abete ha rassicurato il popolo anti-juventino, affermando: «Riguardo alla proposta di radiazione di Luciano Moggi, Antonio Giraudo, e Innocenzo Mazzini, abbiamo deciso di chiudere a gennaio il cerchio della giustizia sportiva, area nella quale operiamo».

La tempistica è a suo modo perfetta: nel momento in cui si avvicina la fine della squalifica, si accelera l’“esecuzione” definitiva dei tre malcapitati, tutelandosi in ogni modo, così da trovare l’ennesima scappatoia per allontanare la ventilata possibilità di un reintegro degli inibiti all’interno del mondo sportivo. Il trattamento indecente riservato a Giraudo, Mazzini e Moggi è tanto abituale da non sorprendere più nessuno. E questo è grave, perché in una società evoluta non bisognerebbe mai smettere di scandalizzarsi, di fronte ad un’ingiustizia così evidente.

Come se non bastasse, l’atteggiamento della Figc sembra quello di persone che vivono in una dimensione parallela. Le motivazioni – quelle utilizzate per la condanna nel 2006 – sono state superate dalle nuove rivelazioni rese evidenti dalle intercettazioni, portate alla luce dalla difesa di Luciano Moggi nel processo di calciopoli. In particolare, il rapporto tra gli imputati di “associazione a delinquere” e i designatori si è dimostrato tutt’altro che “esclusivo”, come paventato dalla sentenza sportiva. Al contrario, è emersa definitivamente una realtà che gli imputati hanno sempre urlato, proprio a partire dalle dichiarazioni rese nel 2006 alla stessa giustizia sportiva, che preferì non verificare i fatti, ritenendo le dichiarazioni delle difese non credibili. Il tempo ha dato ragione agli imputati. Eppure, proprio quando l’ingiustizia è ormai a tutti chiara, l’accanimento nei confronti di queste persone si intensifica. Sembra di assistere ad un brutto film, nel quale l’aguzzino, preoccupato che l’innocenza di alcuni carcerati nel braccio della morte sia in procinto di essere definitivamente svelata, si affretta ad effettuare la pena capitale.

Cambiamo pagina e proviamo ad analizzare il trattamento riservato dalla stessa federazione ad un altro inibito, con proposta di radiazione: Enrico Preziosi, patron del Genoa, che il 3 ottobre 2008 ha patteggiato davanti al tribunale di Como una condanna di 23 mesi di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta. Nell’estate del 2005, il nostro finì nel registro degli indagati, accusato di associazione a delinquere e frode sportiva. Nel 2006 venne scagionato dalla prima accusa (associazione a delinquere), ma il 2 marzo 2007 fu condannato a 4 mesi di reclusione per il reato di frode sportiva, in merito alla partita Genoa-Venezia dell'11 giugno 2005. La condanna fu poi confermata nel Processo d'appello, il 27 novembre 2008, ma la Corte di Cassazione il 25 febbraio 2010 annullò tale sentenza, disponendo il rinvio del processo ad altra sezione della Corte di Appello di Genova. Come si è comportata la Figc? Per prima cosa, ha ritirato la costituzione di parte civile sostenuta nei primi due gradi di giudizio, per un’intesa stragiudiziale con il Genoa. Per la giustizia sportiva, Enrico Preziosi, ha un’inibizione di 5 anni con proposta di radiazione, ma la Corte di Giustizia della Figc ha tenuto a precisare che Preziosi non rientra nel provvedimento della radiazione implicita, avendo patteggiato al Coni. Ricordiamo che Preziosi ha subito un’ulteriore condanna a 6 mesi di inibizione per il caso di Motta e Milito, avendo gestito la compravendita con Moratti.
Nonostante tutto, al patron del Genoa è di fatto permesso di svolgere ogni mansione, anche quelle che l’inibizione non permetterebbero, calciomercato in primis. Tra l’altro, Preziosi opera alla luce del sole, rilasciando dichiarazioni relative ai continui incontri che intrattiene con gran parte dei dirigenti di serie A, ma nessuno sembra preoccuparsene. Perché gode di questo beneficio, non permesso a tutti gli altri?

Noi ci limitiamo ad evidenziare come, in ogni occasione, la giustizia sportiva certifichi uno stato di fatto diventato inaccettabile, nel quale da una parte si preme per una punizione esemplare, proprio nello stesso momento in cui i fatti smentiscono l’impianto accusatorio da cui nacque tutto, dall’altra si finge di non vedere e non sentire.

La giustizia, secondo la nostra Costituzione, dovrebbe essere uguale per tutti. E allora c’è da chiedersi se Abete e i suoi uomini si rifacciano alle leggi di qualche altra nazione o, più probabilmente, di qualche altra epoca.

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