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L’ossessione di Allegri...

Post n°5854 pubblicato il 05 Aprile 2012 da nadir63l
 

Immagine IPB

di M. Lancieri

È terminato da poche ore il big-match Barcellona-Milan. Per uno juventino, questa dovrebbe essere stata una partita da guardare con il cuore leggero di chi non partecipa alla competizione. Ma, quando vedi Ibrahimovic con la maglia milanista e ripensi a chi lo portò in Italia (tra mille dubbi degli “addetti ai lavori”, che sostenevano che lo svedese segnasse troppo poco per il campionato italiano) e a come gli fu scippato un paio di stagioni dopo (insieme a metà rosa campione d’Italia, a due scudetti e ad un posto in Champions League, sostituito con uno in serie B), più di un rimpianto è naturale. Come è naturale ripensare che nei 12 anni precedenti alla più grande truffa mediatica della storia del calcio, la Juve raggiunse la finale della massima competizione europea ben 4 volte.
Per questo scempio, qualcuno prima o poi dovrà pagare e certamente noi non smetteremo di urlare il nostro disgusto fino a quando non sarà fatta giustizia.

Nel frattempo, pensiamo all’unica persona, tra i protagonisti della sfida del Nou Camp, che sta vivendo questo periodo in maniera tragica: il povero Allegri.
Un allenatore che, ad otto turni dalla fine del campionato, è in testa alla classifica in Italia, pure con un margine minimo, ed è uscito dall’Europa “a testa alta” (almeno secondo il comune pensiero milanista e gazzettaro) contro i campioni in carica, dovrebbe essere fondamentalmente contento. Certo, il sogno del “triplete” si è volatilizzato con l’eliminazione in Coppa Italia e in Champions League, ma resta in piedi l’obiettivo per il quale ad inizio stagione qualsiasi milanista sano di mente avrebbe firmato ad occhi chiusi. Eppure, Allegri è sempre più agitato: dalle parti di Torino, ormai non si sente più volare una mosca, ma l’allenatore del Milan insiste a chiedere agli juventini di stare zitti. Il guardalinee sbaglia a sbandierare un paio di fuorigioco e lui se la prende con Marotta. Poi, lo stesso guardalinee incredibilmente azzecca una decisione su una palla che non è entrata (ma che ai milanisti avrebbe fatto molto comodo vedere dentro) e lui se la prende ancora con la Juve. C’è mancato poco che anche ieri, dopo l’eliminazione in Champions League, Allegri ritirasse fuori il gol di Muntari. Ormai è un’ossessione.

Per comprendere l’incredibile atteggiamento dell’allenatore rossonero, bisogna considerare tre fattori.

Primo. Lo stress derivante dalla conduzione di una squadra ai vertici del professionismo è enorme: basti pensare a numerose vicende, come quella di Sacchi, in cui allenatori blasonati hanno dovuto rinunciare alla propria attività a causa di problemi fisici o psicologici. Si sa che vincere è difficile, ma confermarsi lo è di più: l’anno scorso, l’allenatore toscano era alla prima avventura veramente importante della propria carriera e non aveva nulla da perdere. I favori del pronostico erano tutti per l’Inter e, di conseguenza, la pressione a Milanello era relativamente bassa. Quest’anno è tutto diverso: il Milan è campione d’Italia e, una volta appurato che l’Inter è definitivamente fuori dai giochi, tutti si aspettavano che vincesse abbastanza facilmente lo scudetto. Ma, come spesso accade, è arrivato il terzo incomodo, che questa volta è veramente inatteso: la Juve di Conte non perde una partita, ha la migliore difesa del campionato e, nonostante un differenziale di 9 rigori (8-1 per il Milan, 1-3 per la Juve), è ad un’incollatura dai rossoneri. E allora Allegri sente per la prima volta il vero stress da alta classifica: quello che tanti suoi predecessori (Capello e Ancelotti su tutti) erano abituati a gestire e che invece lui sembra soffrire particolarmente. Questa volta è lui nella posizione di chi ha tutto da perdere e la sua reazione alle prime difficoltà è stata preoccupante. Tanto da convincere Conte e tutto il popolo juventino che l’impresa di vincere uno scudetto insperato non sia poi così impossibile.

Secondo. Al Milan, come alla Juve che fu, o si vince o si perde: il secondo posto è una sconfitta e spesso comporta l’allontanamento dell’allenatore. Non esistono giustificazioni: se non porti a casa almeno un titolo “importante”, hai fallito. Questo Allegri lo sa e, allo stress di cui si parlava prima e che è normale per chiunque goda dei favori del pronostico, si aggiunge certamente la paura di un fallimento che metterebbe a repentaglio la sua permanenza sulla panchina rossonera. Lo stress e la paura fanno perdere lucidità e solo così si può spiegare il fatto che un allenatore ad ogni conferenza stampa dedichi più tempo agli avversari (NB: non gli avversari contro cui si appresta a giocare, ma quelli che l’ossessionano da alcuni mesi perché troppo vicini in classifica) che alla propria squadra.

Terzo. Allegri subisce l’influenza di Galliani, abituato a compiere ogni genere di prepotenza senza mai pagare dazio. Non è una questione di “buona educazione” (che non è mai stata di casa dalle parti di Milanello), ma quasi di “bullismo”. In casa Milan, si sentono intoccabili e il guaio è che tale sensazione è giustificata dai fatti e dalla storia recente. Questo senso di onnipotenza li ha portati, di recente, a montare una polemica enorme su un gol che pretendevano e che poi si è scoperto non essere mai esistito. Ma, al di là del fatto che il pallone calciato debolmente da Robinho verso la porta del Catania non sia entrato completamente, ci si chiede con quale coraggio e con quale sprezzo del ridicolo si possa aggredire arbitri e guardalinee con tanta veemenza su un episodio che è rimasto incerto anche dopo 300 replay e che solo con l’intervento delle più moderne tecnologie 3D è stato risolto (tra l’altro, contraddicendo clamorosamente le tesi milaniste). Le voci di Allegri e Galliani, che oramai cantano all’unisono, sono geremiadi infinite, dedite alla lagna incessante per i pochi episodi sfavorevoli capitati nell’arco di una stagione, tralasciando statistiche impietose come quella relativa ai rigori (addirittura con battute infelici, come la recentissima dell’ossessionato Allegri: “Alla Juve non danno rigori forse perché non entra in area”) ed episodi clamorosi, come i rigori negati al Barcellona nel turno d’andata di Champions League. Già, perché ora tutti se la prendono con Kuipers per il magnanimo rigore assegnato al Barcellona per un fallo di Nesta, ma pochi ricordano che, neanche una settimana prima, a San Siro i catalani si videro negare due penalty “solari”.

Ma il problema di Allegri è lo stesso che accompagnò per tanti anni gli allenatori interisti, che vedevano il loro capo lamentarsi e si sentivano di conseguenza autorizzati a fare altrettanto, credendo che i presunti torti arbitrali potessero rappresentare un valido alibi per conservare il posto anche in caso di insuccesso, salvo poi scontrarsi con l’amara realtà: i Moratti e Galliani restano, i Simoni, Hodgson, Cuper, Gasperini, Orrico, Benitez, Tabarez, Terim se ne vanno. Non sarà il caso di Allegri, ché lo scudetto lo metterà certamente in saccoccia. Ma il tecnico rossonero farà bene a ricordarsene anche in futuro: conta vincere, non piangere.


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