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Mondiali da schiavi, un poco da galera

Post n°7275 pubblicato il 07 Ottobre 2013 da nadir63l
 

 

 

 

di G. Fiorito

 

Sono passati due anni dall’inaugurazione dello Juventus Stadium. C’è già qualcuno che fa i conti in tasca alla società bianconera e afferma che non basta per metterli in salute, nonostante ci sia chi se la passa peggio e si ritrovi costretto a svendersi a qualche magnate straniero. Si tratti o no di rigurgiti di veleno conditi all’invidia, lo JS ha rappresentato la mosca bianca nel panorama nazionale italiano, poiché nessuno e da nessuna parte ha ancora posto la prima pietra per edificare una struttura calcistica di proprietà.

C’erano quelli disposti a confidare nel solito aiutino dello Stato, ma la mancata assegnazione degli Europei del 2012 ha stroncato tutte le aspettative, sommandosi alla crisi che pervade tutti i settori dell’economia.

Il tempo non ha cura delle umane necessità. Scorre ineluttabile come i titoli del telegiornale e le news che arrivano dovunque attraverso le più varie e multiple applicazioni dei nostri cellulari di ultima generazione, tablet e computer, sfruttando le potenzialità della rete. Così, se vi è preso un groppo alla gola scoprendo che nei paesi scandinavi il consumo di conserve di pomodoro nostrane è in calo perché non viene considerato etico lo sfruttamento degli extracomunitari nelle campagne, aspettate di sapere quanto fa male quando si tratta di calcio.
Gazzetta.it si è interessata (
link) ai prossimi mondiali di Brasile (2014) e Qatar( 2022) e ha scoperto una realtà brutale che costringe lo stadio, luogo di passione per eccellenza, a significare, in un gioco crudele di sinonimi e contrari, amore e sofferenza.
La questione non riguarda l’opportunità di far giocare i calciatori, creature che nell’immaginario comune hanno assunto il rilievo di supereroi strapagati e vezzeggiati, con le proibitive temperature estive di regioni aride e bollenti. Quanto l'urgenza di chiedere conto alla Fifa delle sue decisioni e delle sue responsabilità, dal momento che qui non si tratta “solo” di lasciar cucire il cuoio dei palloni a fanciulli tolti dai banchi di scuola.

Come spesso accade, è il cinema a riportare nella mente immagini che si credevano finzione. Molti di voi ricorderanno il secondo atto della celebre trilogia di Indiana Jones, quando l’intraprendente archeologo si ritrova catapultato in una dimensione magica e terrificante, dentro il tempio maledetto dal quale riesce rocambolescamente a salvare i bambini schiavizzati rapiti da un villaggio vicino, costretti a lavorare senza paga, senza pane, picchiati e sfruttati. Qualcosa del genere sta accadendo in Qatar, dove operai adolescenti sono ridotti a una moderna schiavitù e vengono costretti a lavorare duramente 24 ore su 24 in mezzo al deserto, vittime di problemi cardiaci, senz’acqua potabile a disposizione, senza cibo, aspettando una paga sempre più agognata per impedire che possa essere impiegata per osare un viaggio della speranza. E’ quanto ha rivelato un report del Guardian, dal quale è emerso che dal 4 giugno all’8 agosto il numero di quelli che non ce l’hanno fatta è arrivato a toccare le 44 unità, troppo consistente per far scendere ulteriormente il silenzio su una realtà tanto atroce. Alcuni di questi ragazzi avrebbero cercato rifugio presso alcune ambasciate e avrebbero rivelato i contorni di una dimensione di vita veramente difficile da accettare nel XXI secolo. Noi occidentali, a torto crediamo estinta per sempre l’immagine dei contadini egiziani ridotti in schiavitù quando il Nilo non consentiva la coltivazione dei campi, i quali, grazie alla mancanza delle più elementari tutele destinate ai lavoratori, si ritrovavano ad erigere le piramidi, meravigliose creazioni costate la vita a centinaia di poveri cristi.

La spettacolarizzazione dello sport e i sopraggiunti diritti delle televisioni hanno spostato l’attenzione degli investitori e degli sponsor sempre più a est. La F1 è già molto avanti su questa strada e ci ha abituato ai GP notturni. Una sfortunata edizione per l’azzurro dei mondiali è stata giocata nel 2002 tra Corea e Giappone. Alcuni dei nostri campioni hanno già dato il loro contributo in cambio di tanti quattrini in terre lontane. Non vi sarà sfuggita l’esperienza giapponese di Zaccheroni, quella cinese di Lippi, la scappatoia australiana scelta da Del Piero per non smettere di giocare pur privato della maglia bianconera e senza voler tradire l’affetto dei suoi tifosi. Lì dove il sole brilla dinanzi ad occhi a mandorla e iridi scurite dalle dune del deserto, prima di sorgere sulle nostre giornate europee, c’è un serbatoio nuovo di liquidità e tifosi da trasformare in clienti, secondo la definizione cara a Cobolli Gigli. Spetta a noi fissare il prezzo da pagare.

Nel frattempo, tutti i tifosi italiani esclusi gli Juventini, che uno stadio ce l’hanno già, anche se non di 90.000 posti come si favoleggia in quei paesi da mille e una notte, resteranno perplessi di fronte all’altra notizia che arriva da oltreoceano. In Brasile hanno costruito uno degli stadi che utilizzeranno per i prossimi mondiali a km 2.440 da Rio de Janeiro, in mezzo alla giungla e lo hanno chiamato Arena da Amazonia di Manaus. Dopo di che si sono resi conto che in quella landa lussureggiante e sperduta a nessuno importa un granché del calcio e hanno pensato di recuperare la struttura adibendola a carcere, vista la gran penuria.
Shankara. Soleva dire Indiana Jones in quel famoso film. Fortuna e gloria.

 

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