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Bertini. Un pazzo ma non un delinquente

Post n°7338 pubblicato il 29 Novembre 2013 da nadir63l
 

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bertini.jpg

 

di G. Fiorito

 

Udienza del 27.11.2013. Napoli, appello calciopoli

L’ex arbitro Bertini ha rinunciato alla prescrizione. Questa decisione forse fa di lui un pazzo, ma non un delinquente. In un contesto nel quale il processo è stato retto dalla prova logica, del tutto soggettiva, in mancanza di prove vere.

Le prime due considerazioni tese a scagionare Bertini dicono che non aveva una scheda svizzera e che tutto il processo si è retto sull’ipotesi che Moggi avesse preconfezionato un’associazione non solo per far vincere il campionato alla Juventus, ma per influenzare l’intera politica del calcio. Ebbene, la tesi che si è ricavata poggia su un incastro saltato pezzo per pezzo dopo che è venuto meno l’ancoraggio che reggeva le fondamenta: la possibilità di determinare gli arbitraggi attraverso il sorteggio, che non poteva essere truccato. Secondo la difesa questo procedimento è iniziato a Roma e molte domande sono rimaste senza risposta. Perché i carabinieri della capitale hanno indagato per il tribunale di Napoli spingendosi fino a Chiasso senza una rogatoria internazionale?
Tornano uno ad uno sciorinati dalle parole delle difese i fantasmi di calciopoli, simili a quegli spettri che terrorizzano le notti buie e tempestose e che basta accendere un’abatjour per individuare con un sorriso di vergognosa pusillanimità nella tenda smossa dal vento o nell’ombra ingigantita di un ragazzo che attraversa la via filtrando dalle imposte semichiuse. Tra di loro i nomi dei protagonisti dell’accusa. Dei Baldini che si contraddicevano dinanzi alla Casoria e dei Coppola che non servivano a nulla perché volevano dire qualcosa che riguardasse l’Inter, come se calciopoli fosse un copione già scritto e dovesse soltanto essere recitato. Ma anche i tentativi di ricusazione della giudice Casoria, che aveva fretta di celebrare processi più e non piaceva al presidente del tribunale e il proscioglimento di Carraro, che ha complicato la difesa degli imputati, poiché si sono determinate conseguenze di ambigua interpretazione delle accuse.

Capitolo schede.
La difesa di Bertini segue la linea che indica nel filone delle schede svizzere la centralità delle ipotesi accusatorie. Il possesso delle schede dovrebbe determinare gli indiziati, invece ci sono tre possessori dichiarati che vengono esonerati: Paparesta padre e figlio e Nucini, il cavallo di troia di Facchetti, il quale addirittura si trasforma in testimone dell’accusa. Il possesso di una scheda svizzera non costituisce reato, né il suo utilizzo prima di un partita, tuttavia il legale di Bertini rimane convinto che un arbitro non avrebbe dovuto possederne. Di spettro in spettro, il più temuto di calciopoli è sempre stato il codice etico: il convitato di pietra ad personam. Passando alle incongruenze processuali, mentre Ambrosini pur essendo possessore di scheda svizzera è stato assolto, Bertini non era possessore, ma il tribunale rimane contrario e ne contesta l’uso prima di quattro partite, assolvendolo in tre casi, eccetto che per Juve Milan e a causa di due telefonate di Moggi con Biscardi. Secondo la difesa le schede svizzere vengono tirate in ballo a seconda del bisogno, rilevando una sostanziale persistenza di giudizio secondo due pesi e due misure.

Omissione di prove?
Un altro problema classico dei procedimenti di calciopoli è l’omessa produzione di prove circostanziate da parte dell’accusa, che spesso è apparsa costruita sugli indizi artificiosi e tutt’altro che inoppugnabili che i Magnifici 12 che hanno svolto le indagini non hanno avuto cura di circostanziare efficacemente. In un processo basato in gran parte sul possesso e l’utilizzo delle schede svizzere, avrebbe dovuto essere prodotto anzitutto il tabulato che riporta le chiamate che sono state ricostruite artigianalmente dai carabinieri partendo dalle dichiarazioni di de Cillis, anche se tra le dieci che avrebbe venduto non vi è quella destinata a Bertini. In aula è stato stabilito che non è possibile verificare sulla base delle prove prodotte il numero delle chiamate, con la conseguenza che la non certezza del dato impedisce che sia utilizzato come prova di appoggio e non si può affermare chi operava le chiamate delle quali si sa da sempre che manca il contenuto delle conversazioni (la giustificazione ufficiale che le sim svizzere non fossero intercettabili si è rivelata non veritiera). Il maresciallo Di Laroni ha seguito il criterio della residenza, con una certa approssimazione, poiché non ha saputo spiegare cosa significa nello specifico che le chiamate partano “prevalentemente” da Arezzo, attribuendo a Bertini telefonate che avrebbero potuto partire da Siena o Firenze. Di Laroni non si è nemmeno preoccupato di effettuare la riprova attraverso l’incrocio tra chiamante e ricevente, lasciando le accuse sul terreno precario delle ipotesi. La cella che agganciava la scheda si trovava come è stato già detto più volte sul famoso casello autostradale, da dove passavano migliaia di persone, ma Di Laroni si è rifiutato di ammetterlo. Secondo la difesa avrebbe potuto trattarsi della scheda che Paparesta padre ricevette da Moggi con il pretesto di seguire alcune partite e riferirgli se a suo giudizio la Juve venisse penalizzata dagli arbitraggi. Un punto anche questo che rivela come in calciopoli si siano intersecati gli interessi di tutti, e tutti cercassero di proteggersi in bilico sul filo del rispetto del famoso art. 1 del CGS, che imponeva comportamenti etici. Ricordiamo che ne furono sommati ben 6 per retrocedere la Juventus, mentre quando Palazzi riconobbe che i dirigenti nerazzurri avevano trasgredito all’art. 6 e cioè commesso illeciti con la relazione del luglio 2011, la prescrizione intervenne a non renderli perseguibili.
La difesa di Bertini chiarisce efficacemente che il bene giuridico tutelato non è la lealtà sportiva, bensì il corretto svolgimento della manifestazione sportiva.

Riguardo a Juve Milan
a) Moggi non difende Bertini né con la segretaria di Biscardi, né con il popolare presentatore;
b) dopo Atalanta Milan la Juventus produce addirittura un comunicato stampa nel quale si dice danneggiata dagli errori di Bertini a favore dei rossoneri;
c) Bertini non ha ottenuto né miglioramenti in carriera né è stato ricompensato con somme di denaro;
d) l’indagine sui suoi conti bancari è risultata negativa;
e) si trovava al settimo posto tra i dieci arbitri internazionali dell’epoca, dopo i primi sei non coinvolti nel processo;
f) ha arbitrato 6 volte il Milan con 4 vittorie e 2 pareggi e 3 volte la Juve con 1 vittoria e 2 pareggi, poiché come sempre quando calciopoli si esamina dal punto di vista degli effetti prodotti dalla presunta associazione a delinquere i conti non tornano: la Juve aveva una media inferiore rispetto a quella necessaria per vincere il campionato, il Milan una media superiore;
g) Milan Juve non è una partita da considerare tra potenti contro non potenti, poiché vede fronteggiarsi la proprietà degli Agnelli contro la proprietà di Berlusconi, Fiat contro Mediaset, in un contesto nel quale il presidente ”reggente” del Milan era anche presidente della lega (Galliani).

In queste parole si nasconde una delle verità di calciopoli? Quanti conflitti di interesse sono stati pagati solo dalla Juventus, che dava fastidio perché guidata da una triade di dirigenti capaci di ottenere il massimo con il minimo sforzo economico-mediatico? La difesa conclude affermando che Bertini non vuole su di sé la macchia della prescrizione, perché è innocente e chiede pertanto l’assoluzione.

 

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