Auricchio, che delusione!
di marcolanc
Non amo particolarmente raccontare i miei fatti personali. Tantomeno mi piace scrivere riguardo episodi capitati ai miei familiari. Ma questa volta farò un’eccezione.
A casa mia, c’è sempre stato un forte legame con l’Arma dei Carabinieri. Gli ultimi ad averne fatto parte sono stati i miei due fratelli, entrambi durante il servizio militare. Io, che ho circa dieci anni meno di loro, ero affascinato da quelle divise con gli alamari: ricordo il giuramento del primo, a Benevento, e conservo ancora le foto con la divisa da ufficiale del secondo. Ma il “vero” carabiniere fu certamente mio nonno materno: un maresciallo d’altri tempi, che aveva l’Arma nel cuore. Era un uomo tutto d’un pezzo, di una serietà ed un’onestà indiscutibili. Ho ricordi molto lontani del nonno Giammaria: morì che ero un bambino e, a parte qualche immagine che mi è rimasta impressa, tutto ciò che so di lui deriva da racconti che successivamente mi fecero mia nonna e i miei genitori. Una delle vicende più indimenticabili riguarda lui, ma ancora di più il gesto di eroismo di un brigadiere che era ai suoi comandi durante la Seconda Guerra Mondiale: furono assaliti a colpi d’arma da fuoco e questo ragazzo di vent’anni lo protesse col proprio corpo, per salvargli la vita, rimanendo ferito gravemente.
L’immagine di un ventenne che onorò quella divisa in maniera tanto estrema talvolta mi torna in mente. Soprattutto quando vedo altri carabinieri, addirittura ufficiali, che in un’aula di tribunale, un luogo istituzionale per eccellenza, non sentono neanche il dovere di indossare l’uniforme.
Sarò all’antica, ma l’immagine di un carabiniere con il maglione anziché la giacca con gli alamari mi provoca uno strano malessere. Il brutto, nel caso del col. Auricchio, è che le cattive sensazioni derivanti dalla sua tenuta “borghese” sono state sostituite da un autentico rammarico durante l’ascolto della sua deposizione: come può un rappresentante dello Stato rendersi protagonista di una deposizione tanto scalcagnata?
Posso capire, anche se non lo giustifico, il “gioco” del Pubblico Ministero, che da mesi si arrampica sugli specchi per prendere tempo. Ma che un carabiniere, anzi un ufficiale dei carabinieri!, si presti ad una figura del genere è davvero triste. Così come è triste constatare la “serietà” (si fa per dire…) del processo a cui stiamo assistendo a Napoli.
Al di là del fatto che condurre un interrogatorio in cui non si fa altro che rileggere intercettazioni già agli atti (spesso riguardanti anche episodi che non c’entrano nulla con il processo in corso!) non può portare ad altro che a perdere tempo, c’è da chiedersi se il col. Auricchio sia conscio di stare in un’aula di tribunale, in cui si sta decidendo il destino di un folto gruppo di persone. Come può un ufficiale dei carabinieri, durante una deposizione, iniziare una frase su due con “penso che…”, “il mio giudizio…”, “riusciamo forse a trarre qualche elemento…”? Ma di cosa stiamo parlando? Ma dove siamo? Stiamo facendo un processo oppure una chiacchierata al bar?
La deposizione del teste-chiave si è ridotta, almeno finora, alla ripetizione del solito “nulla”, condito con commenti riguardanti le partite, che a suo dire “suscitarono polemiche”. Ora, non voglio sostituirmi ai legali degli imputati, ma suggerisco di portare in aula tutti i giornali sportivi dei lunedì degli ultimi quattro anni e vedere se ce n’è anche solo uno in cui non si faccia riferimento a “polemiche” dopo le partite. Quando c’è di mezzo la Juve, poi, i mass-media e gli avversari si scatenano! Auricchio aveva mai visto una partita di calcio prima del 2005? Ha mai sentito parlare del gol di Turone? E del rigore di Brady? Da quando è nato il calcio, gli anti-juventini parlano di torti… ma si vede che Auricchio e Narducci fino al 2005 vivevano in un’altra dimensione.
Ad ogni modo, l’apice della ridicolaggine si è raggiunto nel finale, quando l’accusa ha pensato bene di spendere un po’ di tempo anche per raccontare le telefonate di Moggi a Baldas, moviolista del Processo di Biscardi. Siamo veramente alle comiche. Ecco come Auricchio ha motivato l’importanza di quelle intercettazioni: «I dati auditel raccolti a quel tempo davano cifre consistenti, una grossa fetta di share guardava il programma. L’incidenza in termini di opinione pubblica era sicuramente interessante e rilevante». A parte l’italiano zoppicante (una grossa fetta di share?), il concetto è chiaro: Biscardi lo guardavano in tantissimi e l’opinione pubblica veniva di conseguenza pesantemente condizionata. Bene. Faccio una domanda: Zelig lo guardano in molti? E allora c’è da chiedersi se quando l’assessore Cangini sostiene di scrivere una lettera al presidente dell’Onu ci sia qualcuno che gli crede davvero. Rinfreschiamo la memoria ad Auricchio (e, intanto che ci siamo, anche a Narducci). C’è una sentenza relativa alla trasmissione di Biscardi in cui praticamente lo si autorizza a dire qualsiasi tipo di fregnaccia, visto che «la credibilità oggettiva della trasmissione è riconosciuta assai bassa». E allora, perché dovremmo accusare Moggi di influenzare una trasmissione il cui basso profilo è certificato? Poi, visto che da un carabiniere ci sarebbe da aspettarsi sempre dichiarazioni affidabili, vediamo un po’ che share aveva nel 2005 Biscardi. C’è un interessante articolo di Aldo Grasso, datato 24/1/2005 (quindi proprio a metà stagione) in cui viene riportato lo share medio delle prime 14 trasmissioni: 4,15%. Questa sarebbe la “grossa fetta di share”? Tanto per fare un esempio, la recente trasmissione “Il più grande”, unanimemente considerata un flop, ha raccolto il 6,76% di share. E invece il 4% di Biscardi sarebbe una “grossa fetta”? Ma smettiamo di raccontarci le favole! Stiamo parlando di quattro gatti che, stando a quanto definito da una sentenza, assistevano ad una trasmissione consapevoli che i contenuti del programma non erano credibili!
In conclusione, dovremmo forse essere contenti per l’andamento di questo processo, che sta dimostrando di giorno in giorno l’insensatezza delle accuse mosse alla vecchia dirigenza juventina. Ma l’idea che un colonnello dei Carabinieri, coadiuvato da un Pubblico Ministero, vada di fronte ad un giudice a raccontare di un’associazione a delinquere in cui l’appoggio dei mass-media si riduceva a qualche telefonata a Biscardi e i premi agli associati erano magliette e panettoni è molto più tragica che comica. D’accordo che siamo a carnevale, ma un po’ di ritegno sarebbe comunque apprezzabile.
http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/...glio.asp?id=591