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L’incultura del sospetto...

Post n°2221 pubblicato il 09 Agosto 2010 da nadir63l
 


di P. CICCONOFRI

Immagine IPB

«L’ansia di vittoria, divenuta incontenibile, ha fatto saltare ogni regola di correttezza formale. A quella sostanziale doveva provvedere chi allo scontro era estraneo, ma il nuovo clima ha finito per non risparmiare nessuno. In un paese predisposto al sospetto e non senza ragione visto l’intrecciarsi di scandalosi avvenimenti, è bastato poco per travolgere anche i non belligeranti».

Questa è una frase estrapolata dall’introduzione del libro “sono morto in una notte di luglio” scritto da Bergamo e Miliani che introduce una piacevole lettura fatta di ricordi di un uomo di sport che ripercorre i momenti più significativi della sua carriera e la sua vita fino all’avvento di calciopoli.

La mano dell’uomo non è «ancora in grado di cancellare la verità» scrive Bergamo, anche se la forza di calciopoli sembra rafforzata ad arte dai media.
Il calcio aveva già fornito segnali che preannunciavano quello che poi sarebbe successo, solo che è esploso nel momento in cui si è ritenuto opportuno far saltare determinati equilibri. Questa potrebbe essere una massima valida per tante situazioni: quella del calcolo e dell’opportunismo, del potere e della forza di colpire con la certezza di non sbagliare il bersaglio.

«Il circolo mediatico» montato ad arte, finisce per travolgere il calcio, «non piace accettare – scrive Bergamo- che i mezzi di informazione possono indirizzare le opinioni in senso voluto»], ma la conferma di quanto vera può essere questa affermazione, la possiamo riscontrare in tutti quei tifosi juventini, vittime proprio della manipolazione dei media, a cui abitualmente ci rivolgiamo per far capire la verità, verità che molto spesso non viene riconosciuta.

Bergamo ricorda con particolare emozione l’incontro con Gianni Agnelli, l’Avvocato; ne esalta l’umiltà, un uomo che dietro l’immagine pubblica si mostra con le passioni del vivere quotidiano.
«All’avvocato interessava sapere se in campo i suoi giocatori mi rendevano la vita difficile e quali fossero i più ostici…giocatori juventini che lui amava come fossero suoi figli». Questione di “stile” -scrive Bergamo- per un incontro che rimarrà come uno dei «più indimenticabili» della sua carriera.
Chiude il capitolo dedicato all’incontro con l’avvocato, con questa frase «..un uomo non si misura tanto da quello che è stato ma piuttosto dai ricordi che ha lasciato» e tutti noi juventini ne comprendiamo il significato, oggi più che mai.

Parlando di Juventini, mi ha colpito, proprio alla fine del libro, nella parte dedicata ai “ritagli” ed ai ricordi, la lettera che l’ex fischietto scrive a Gaetano Scirea alla conclusione della sua carriera agonistica: «l’unica che ho scritto e scriverò in questo senso». Una lettera di apprezzamento per le qualità tecnico-tattiche del campione che ha espresso la migliore interpretazione del “libero” e per la correttezza sempre avuta nei suoi confronti. Un orgoglio bianconero non solo per noi tifosi, ma per tutti quelli con cui è entrato in contatto.

Nella sua esperienza da fischietto, che Bergamo definisce da «esportazione», c’è un altro ricordo legato ad un altro juventino per eccellenza, quello di Platini. Scrive l’ex designatore: «Negli spogliatoi fui gratificato da uno dei più bei gesti di tutta la mia vita sportiva. Platinì capitano della nazionale francese, mi consegnò la sua maglia intrisa di sudore dicendomi che avrebbe avuto piacere se l’avessi conservata tra i miei ricordi». Quella stessa maglia Bergamo la portò con se nel 2005, in occasione della Confederetion Cup, ed in tribuna d’onore la fece autografare ad un Platinì commosso.

Ricorda inoltre il trasferimento diZavarov dalla Dinamo Kiev alla Juventus, con contratto firmato nella sua casa, proprio dopo che Boniperti -sorprendendolo- lo chiamò per aiutarlo a trovare un posto sicuro, al riparo dalla stampa dove poter concludere l’affare.

Nella sue esperienze di arbitro internazionale, riscopriamo quanto abbiamo avuto modo di appurare anche direttamente in altre circostanze, con questa frase che da sola rende chiaramente l'idea:
«fuori dai nostri confini, all’interno dei quali l’intrallazzo è abituale costume di vita, l’onestà morale ha un peso..».

Nonostante «l’incultura del sospetto» e le «soluzioni all’italiana», le gratificazioni sono arrivate a P. Bergamo direttamente dai risultati sul campo, sia come arbitro che come designatore. Ricorda con orgoglio, il record di presenze internazionali «record irripetibili nella storia dell’AIA» -come tiene a precisare- durante il suo mandato a servizio dell'Associazione italiana arbitri.

Ho voluto con queste poche righe, mettere in evidenza, oltre che l’aspetto prettamente legato alla Juventus, il lato umano di un uomo e un professionista che non si è mai arreso e non ha mai accettato un’ingiustizia. Legato ai suoi ricordi, alle sue origini, che cerca giustizia senza perdere vista il legame che da sempre lo avvicina al mondo del calcio.

«Gli opportunisti dell’amicizia», quelli che nei momenti felici erano «amici di Paolo» gli hanno voltato le spalle, lo hanno lasciato solo ferendo prima l’uomo e dopo il professionista.
Spesso dimentichiamo proprio che dietro alla figura di un professionista, strumentalizzata, offesa e prestata, come in calciopoli, al gioco dell’accusa c’è un uomo che ha dedicato la sua vita alle sue passioni.

E proprio a quell’uomo voglio dedicare un ulteriore ringraziamento,
perché proprio quando il calcio sembra essere solo un business, mi ha ricordato che rimane una passione e che i ricordi ne sono la tangibile testimonianza.

http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/...glio.asp?id=985

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