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« QUAGLIARELLA E' IN SEDE...La quinta essenza..... »

AGNELLI: "La Triade ha portato efficienza e rinnovamento. Ci aspettiamo la revoca dello scudetto dell'Inter"

Post n°2360 pubblicato il 28 Agosto 2010 da nadir63l
 

Il presidente attacca su Calciopoli: "Se giuridicamente sarà dimostrata la correttezza della società nei vari procedimenti che sono ancora aperti, sicuramente valuteremo l'azione revocatoria e la riassegnazione dei titoli".
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

Andrea Agnelli ha rilasciato ai microfoni di Sky la sua prima intervista da Presidente della Juventus. Un'intervista a tutto campo, tra passato, presente e futuro:

Cosa significa chiamarsi Agnelli ed essere presidente della Juventus: avere la strada spianata o avere una responsabilità in più?
«Credo che chiamarsi Agnelli significhi poter beneficiare di un accreditamento verso il sistema più rapido di quanto non sarebbe se non mi chiamassi Agnelli. Detto questo il mondo del calcio è un mondo che ti giudica poi molto rapidamente e quello che rileva saranno sempre i risultati che di domenica in domenica la squadra otterrà».

Che sensazione ha provato quando, dopo la sua nomina a presidente, ha letto o ascoltato la frase “nel nome del padre”?
«Sinceramente la frase nel nome del padre non l'ho sentita… Mi fa piacere però ricordare che per me c’è una distinzione da fare, perché mio padre era un personaggio di riferimento, un grandissimo professionista, e io ho sempre ricevuto tantissime manifestazioni di stima verso di lui. Ma per me è sempre stato solo mio padre».

Qual è il suo primo ricordo legato alla Juve?
«Per il primo ricordo legato alla Juventus torniamo nell'82, quindi la mia memoria calcistica comincia da lì, infatti ho dei ricordi anche del mondiale: sono abbastanza fortunato perché già mi ricordo due vittorie ai Mondiali. Andammo a Villar Perosa, dove la squadra era in ritiro e mi venne chiesto vicino a chi mi volevo sedere. D'istinto risposi: vorrei sedermi vicino a Paolo Rossi che era l'eroe del Mondiale. Quindi mi ricordo di questo pranzo che abbiamo avuto a Villar Perosa, io che mangiavo in silenzio vicino all'eroe del Mondiale e questo è il mio primo ricordo juventino».

Suo padre è diventato presidente a 23 anni, assumendosi la responsabilità di risollevare un club che non riusciva più a vincere. Anche lei ha deciso di dedicarsi alla Juventus in un momento difficile per la squadra: non ha paura di "bruciarsi"?
«Credo che i contesti di riferimento siano estremamente diversi, in questo momento è difficile fare un'analogia. Noi stiamo vivendo come famiglia un momento di profonde trasformazioni, dove diverse persone di noi hanno un ruolo di responsabilità sia interne che verso il mondo esterno. In primis non posso che pensare a mio cugino John, ad Alessandro Nasi o a Lapo. Quindi siamo una generazione di trentenni che - visto il contesto in cui ci siamo trovati - ha dovuto assumersi delle responsabilità molto importanti. Sono consapevole del fatto che il mondo del calcio è un mondo che va molto veloce e procura il rischio di bruciarsi, però l'unione e la compattezza che abbiamo in famiglia fa sì che questo rischio possa essere attenuato perché tutte le decisioni vengono quasi sempre condivise».

Ne aveva mai parlato con suo padre di un possibile futuro da presidente?
«No, devo dire no».

In cosa vorrebbe imitarlo?
«Imitarlo è una parola difficile. Credo che lui ci abbia dato e mi abbia dato personalmente dei valori importanti, che sono la disciplina, il senso del dovere e il raggiungimento degli obiettivi che ci si è prefissati, quindi questi sono i valori che professionalmente mi ha trasmesso. Vorrei cercare assolutamente di guardare a questi valori che dovrebbero aiutarmi nel compiere le scelte che devo compiere. Poi imitarlo… è difficile dirlo».

Con quale giocatore Andrea Agnelli ragazzo, tifoso, identificava l'idea di Juventus?
«Se penso a con quale giocatore identificare la Juventus, penso a quando ero già un po' più grande, quindi verso i 16, 17, 18 anni quando ho cominciato a seguire la squadra in maniera autonoma e già c'era Alessandro Del Piero, quindi credo che da subito, forse per una ragione di coetaneità ho pensato ad Alessandro come il giocatore che rappresentasse la Juventus».

Quindi adesso? La scelta sembra abbastanza facile…
«Adesso certamente, lui oggi ha una storia ventennale all'interno della Juventus e lui la Juventus la rappresenta. Oggi però, anche in funzione del ruolo che ricopro, io devo pensare alla squadra tutta quindi quando io penso alla Juventus non penso al singolo ma devo per forza pensare al gruppo».

Per anni è stato molto vicino alla Juve della Triade: che cosa pensa di portarsi dietro di quella esperienza nel suo modo di interpretare il ruolo di presidente?
«Devo andare a cercare di interpretare quelle che sono state le loro competenze professionali, io credo che loro abbiano vissuto un momento di profonde trasformazioni del mondo del calcio e abbiano avuto un'enorme capacità d'innovazione, quindi sicuramente cercare di replicare la capacità d'innovazione e, al contempo, un'efficienza nel rispondere a qualsiasi esigenza. Quindi dico: efficienza e rinnovamento».

Perché negli ultimi anni aveva disertato lo stadio, ad esclusione della partita di addio di Pavel Nedved?
«La Juventus è anche una società quotata e quindi viene demandato ai manager di gestirla. In quel momento particolare io ho pensato che la mia figura potesse essere anche ingombrante per loro, visto quello che è stato il mio trascorso e quindi per metterli nelle migliori condizioni di poter lavorare la scelta è stata quella di non essere presente».

Sempre rimanendo tifoso, però...
«Sempre da tifoso però grazie anche a voi ho avuto modo di seguire la squadra sempre molto da vicino...»

Cosa l'ha spinta a dire sì, quando è stato chiamato da suo cugino John?
«Con John noi abbiamo un rapporto e un confronto continuo e costante perché noi cerchiamo di ragionare su tutte le varie problematiche delle partecipate di Exor. Quindi noi ci vediamo regolarmente per discutere di questa o quella società, di questo o quel manager, di questo o quel problema a cui andiamo incontro. Quando la situazione della Juventus ha iniziato a precipitare l'anno scorso abbiamo anche incominciato a parlare di quale sarebbe stato il miglior assetto per la Juventus per la stagione 2010/2011. Nel fare questi ragionamenti assieme abbiamo condiviso che il miglior modo era quello di prendere un posizione diretta come famiglia e quindi, essendoci le condizioni per poter far bene, abbiamo poi deciso che io mi assumessi la responsabilità diretta».

Come finirà la vicenda dell'esposto che la Juve ha fatto alla FIGC per chiedere parità di trattamento su Calciopoli? E lei cosa si auspica?
«L'esposto che abbiamo presentato è molto dettagliato e a nostro giudizio fondato. Quindi non chiede parità di trattamento ma è un esposto molto preciso sulla revoca di uno scudetto. Da questo punto di vista noi ci aspettiamo, poichè crediamo che sia fondato, una risposta sicuramente entro breve, in breve tempo, e siamo fiduciosi, vista la motivazione che abbiamo portato avanti, di avere un risultato positivo».

Dunque punta a riavere i due scudetti o uno dei due scudetti?
«Diciamo che questa è una storia un po' più complessa, un po' più complicata. Dovremmo valutare i vari aspetti ma se giuridicamente sarà dimostrata la correttezza della società nei vari procedimenti che sono ancora aperti, sicuramente valuteremo l'azione revocatoria e la riassegnazione dei titoli».

Dopo la risposta di John Elkann e dopo la sua, Moratti ha detto che quando ha parlato di rubare le partite non ha mai fatto il nome della Juventus. Controreplica?
«No, io credo che il mio pensiero sulle parole di Moratti l’ho già espresso e lo ribadisco, sono state parole totalmente inutili».

Sente ancora Moggi e Giraudo? Le hanno dato dei consigli? Moggi ha detto che sarebbe disponibile...
«Moggi nel periodo che ha lavorato da noi e anche prima, era sicuramente uno dei più grandi operatori a livello continentale del mercato. Noi oggi abbiamo fatto una scelta precisa che è quella di Marotta. Quindi Marotta è la persona che è pienamente responsabile ed opera per noi, io mi sento costantemente con Marotta. Per quanto riguarda il dottor Giraudo è diverso perché io sono cresciuto con lui, è più di un amico come ho avuto modo di dire anche in altre occasioni, è come un secondo padre e quindi gli affetti vanno sempre sopra tutto. Ma le scelte sono prese in totale autonomia da noi, da me da Marotta e da Blanc».

Più presidente o più tifoso? Come si concilia la razionalità e la gestione aziendale di una squadra di calcio con la passione?
«Diciamo che non si conciliano, sono due momenti distinti. Uno è durante la partita quando viene chiesto anche ai giocatori di mostrare rabbia agonistica in campo, di conseguenza il tifoso si comporta in tribuna. Quando la partita è finita, prendendo l'esempio che dà il rugby del terzo tempo, i giocatori dovrebbero bere una birra assieme e così dovrebbero fare i tifosi. Quindi durante la partita c'è tantissima tensione e rabbia agonistica e voglia di prevalere sull'avversario dopodiché entra in funzione quello che è il manager e che deve ragionare in base alle esigenze della società».

È vero che qui in sede dai suoi collaboratori si fa chiamare solo Andrea?
«Qui in sede io quando ero anche più giovane ho lavorato per una serie di mesi e molte di queste persone sono ancora qua quindi il rapporto sicuramente con alcuni è molto amichevole. C'è chi mi chiama solo Andrea, è vero, però è chiaro a tutti che io oggi sono il presidente della Juventus».

Primo bilancio dopo 3 mesi di lavoro in questo ufficio: che mondo del calcio ha trovato?
«Un mondo del calcio che forse mi è anche venuto un po' incontro perché sta vivendo un momento di trasformazione sia a livello di regolamentazione Uefa sia a livello di regolamentazione per quanto riguarda l'Italia quindi l'accordo collettivo che è scaduto. Quindi un momento di trasformazione e poterle dare un bilancio dopo 3 mesi è sicuramente prematuro perché il tempo è troppo breve...sicuramente per noi ci sono delle opportunità per far sì che il mondo del calcio migliori e il nostro obiettivo è di essere trainanti in questo percorso».

E invece che Juve ha trovato e qual è la prima cosa che ha cambiato?
«La prima cosa che abbiamo cambiato è sicuramente stata la parte tecnica, la parte sportiva, ma questo l'avete visto tutti quanti. Uscivamo da una stagione... io ho smesso a un certo punto di contare i vari record negativi della storia della Juventus che abbiamo raggiunto l'anno scorso. Quindi il primo reparto in cui siamo intervenuti in maniera importante è stata la parte tecnica. Il tutto nasce però dalla scelta d'inserire in squadra una pedina che io considero fondamentale, estremamente importante, quella di Marotta, da lì poi sono discese tutta una serie di decisioni che conoscete e tra l'altro siamo ancora a lavori in corso in questo momento».

Qual è il vero obiettivo di questa stagione?
«L'obiettivo vero in questa stagione è di trovare una squadra che riacquisisca mentalità sportiva e mentalità vincente, perchè è soltanto vincendo che si può tornare a vincere, quindi bisogna incominciare a vincere una partita, poi due partite e cercare di vincere se possibile una competizione».

La battaglia sui contratti a rendimento: dove vuole arrivare?
«Abbiamo un tavolo aperto, abbiamo già avuto due incontri a Palazzo Chigi col sottosegretario Crimi, che io stimo molto, e in questo momento c'è un'opera di mediazione da parte di Crimi su quello che è un momento di trasformazione del calcio. Quello che noi vorremmo come Lega, a questo punto, è di rivedere la cornice di riferimento dei contratti con i singoli giocatori e quindi di darci maggiore libertà, in modo tale che ai risultati aziendali corrispondano anche i risultati di quelli che sono i trattamenti economici dei giocatori. Di pari passo c'è quella che è una posizione persa che va riacquistata presso la Federazione, quindi abbiamo tante situazioni aperte e sono fiducioso che nei prossimi mesi potranno essere risolte».

Ma i giocatori sono pronti a questo genere di cambiamento?
«No, i giocatori in questo momento non sono pronti anche perché molti di questi sono quelli più anziani e vivono con il contratto precedente, noi siamo sicuramente molto orgogliosi che il primo contratto aperto sia stato quello di Marco Motta, lui è un ragazzo giovane, ha deciso di accettare certe condizioni che sono modificate rispetto all'impalcatura del contratto precedente ma sicuramente quello che vogliamo fare non è trasformare completamente l'impalcatura di un contratto collettivo, l'obiettivo deve essere un contratto collettivo nella consapevolezza però che oggi parliamo di giocatori di serie A con un salario medio di 700 mila euro. Parliamo insomma di gente che può anche permettersi di dare in cambio qualcosa. In altri contesti con questo genere di stipendi questo accade».

Cosa ne pensa del fair play finanziario che sta imponendo l'Uefa sotto la presidenza Platini?
«È un giudizio che in questo momento deve essere ancora sospeso poiché il documento è ancora in bozza, quindi non abbiamo ancora un documento definitivo per dare un giudizio su quello che sarà il regolamento del fair play finanziario. Noi siamo assolutamente d'accordo con quella che l'impostazione del presidente del Uefa, anche lì di riuscire a dare dei criteri logici in termini di investimenti e di obbligazioni. Noi abbiamo problemi sia a livello europeo che a livello nazionale, se pensiamo alle squadre che non riescono a iscriversi ai vari campionati di competenza perché mancano questi criteri. Il fair play finanziario dovrebbe riportare questi parametri a un livello di equilibrio in modo tale da evitare situazioni di fallimenti delle varie società. Quindi lo vediamo sicuramente con buon favore».

Della precedente gestione è rimasto poco: nuovo direttore generale, nuovo allenatore, rivoluzione in tutti i settori. Perché i cambiamenti sono stati così radicali? Sembra il 1994…
«Noi, come le dicevo prima, siamo usciti da un'annata particolarmente negativa e quindi c'era bisogno di'intervenire alla radice. Le analogie sono soltanto il momento di profondo cambiamento: oggi a noi quello che rileva è semplicemente di guardare al futuro, al domani e quindi di andare a ricostruire una società, una squadra, una Juventus che sia in grado di rispettare la sua tradizione».

Perché ha preferito Del Neri ad altri allenatori, come Rafa Benitez?
«Ci sono tantissimi giocatori e nei mesi precedenti ho letto di tantissimi allenatori che sono stati accostati alla panchina della Juventus. La prima scelta è stata Marotta, io lo ribadisco, per me Marotta rimane centrale nelle decisioni in ambito tecnico e sportivo. Quando è arrivato Marotta abbiamo fatto una riflessione: Del Neri è per noi il migliore allenatore che potremmo avere in questo momento e quindi la scelta è ricaduta su di lui».

Che cosa può dare ancora Del Piero alla Juventus?
«Del Piero gioca davanti, gioca in attacco, quindi può ancora dare gol sperando che siano tanti».

Mercato con botti finali: Come lo giudica?
«Sul mercato noi abbiamo ancora qualche giorno, fin qui io lo giudico in maniera molto positiva, sia sul fronte delle entrate che sul fronte delle uscite. Sappiamo e siamo consapevoli che con una squadra che ha molti innesti nuovi dovremo andare a trovare un equilibrio sulla squadra. Sappiamo che quindi dovremo pazientare un po' per vedere del buon gioco, però abbiamo notevolmente abbassato l'età media, adesso siamo una delle squadre più giovani della serie A, abbiamo notevolmente abbassato il monte ingaggi e quindi questo è sicuramente positivo, adesso dobbiamo trovare il buon gioco».

Ormai per la Juve si può parlare di rivoluzione anche in campo?
«Ma io non parlerei di rivoluzione, siamo andati ad operare laddove si poteva migliorare sulla parte tecnico sportiva c'erano molti parametri sui quali potevamo migliorare. C'erano molti giocatori d'età avanzata e con salari alti, abbiamo abbassato la media e abbiamo abbassato i salari. La società è lo specchio della squadra e la squadra è lo specchio della società, quindi s'interviene in un'unica maniera per portare la Juventus possibilmente ad esprimersi in maniera ottima sul campo da gioco».

Per la prima volta in assoluto le telecamere di Sky entreranno negli spogliatoi: che ambiente ci sarà quest’anno in quello della Juventus?
«Beh io spero che troverete giocatori con il sorriso perché se troverete giocatori con il sorriso vorrà dire che i risultati del campo staranno arrivando…»

Cos'era la Juve per suo padre?
«Amore e passione».

E per lei?
«Anche per me».

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