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Datemi il silenzio e sfiderò la notte...

Post n°2659 pubblicato il 25 Settembre 2010 da nadir63l
 

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Immagine IPB

di Mason

La strada per la grandezza passa attraverso il silenzio. Un eccellente aforisma di Nietsche, che se ne va a braccetto con il detto popolare can che abbaia non morde. E che insieme mirandosi allo specchio potrebbero benissimo riflettere l’eterno conflitto tra l’essere e l’apparire, tra forma e sostanza, tra fumo e arrosto.

La nobiltà della Vecchia Signora ed il sussiego con il quale ella insieme ai suoi tifosi ha sovente fatto ricorso al silenzio, nobile, sprezzante, capriccioso e di superiorità, ha sempre fatto parlare tutti. Il silenzio che fa parlare, un ossimoro in senso assoluto, che scatenava l’invidia del resto del mondo pallonaro, che non poteva che rimanere inerte di fronte ai successi di Madama e alla sua ostentata dignità di non volersi curare delle accuse biliose delle concorrenti. Nondimeno, recentemente, un silenzio che ha portato spesso i sostenitori della Juventus a chiedersi se una maggiore pervicacia ed aggressività nel difendere le proprie posizioni attraverso i mezzi di comunicazione, non avrebbe potuto arginare il fiume di rancore e mendacio sparso ad arte da quotidiani e televisioni nella primavera del 2006, alimentando il sentimento popolare così determinante per gli esiti della farsesca inquisizione sportiva di quella estate.

Forti dei trofei conquistati e del blasone ineguagliabile, i genitori della Torino bianconera orgogliosamente sedevano i propri figli davanti alla televisione e mostravano loro le interviste sui quotidiani di presidenti, giocatori e allenatori delle altre squadre, illustrando due piccioni con una fava l’aspetto ludico e quello pedagogico dei loro schiamazzi. Perché se è innegabile che da una parte lo spettacolo pareva degno del circo pur senza necessità di pagare il biglietto, e questo è talmente vero che negli ultimi quindici anni sul cafonesco botta e risposta quasi sempre sprovvisto di nerbo si sono poi costruite le fortune dei format di quasi tutte le trasmissioni televisive sportive, dall’altro l’occasione era propizia per mostrare il lato antisportivo e debole del modo di vivere le competizioni. L’accusa al posto dell’esame di coscienza, il chiacchiericcio al posto della competenza, l’invidia al posto della cultura del lavoro per soverchiare sul campo gli equilibri.

Alle caciare degli Agroppi, Cosmi ed esimi colleghi dalla discutibile signorilità faceva da contraltare la pacatezza dei Trapattoni, quando non persino in tempi di vacche magre la classe insuperabile di Dino Zoff. Esempi di serietà di cui del resto si rendevano protagonisti anche i calciatori, in testa quel Roberto Bettega che con silenzi e sorrisi e piccole battute svuotava (e svuota) di contenuti gli attacchi feroci quanto impalpabili dei nemici sportivi. E poi, naturalmente, dietro le quinte la famiglia Agnelli. La consistenza del dottor Umberto e la sottile ironia dell’Avvocato, senza clamori e quasi sussurrando, erano di una imponenza tali da annientare sul nascere ogni volgarità dei massimi rappresentanti delle altre compagini.

Non diversamente era accaduto fino al 2006, quando anche nel pieno delle frustrate villanie e piccolezze degli Zeman o Moratti di turno, la triade continuava a preferire la tecnica del silenzio-stampa per stemperare i momenti di maggiori tensioni, ed il frutto dei concreti risultati maturati sul rettangolo di gioco.

Poi un maledetto giorno qualcuno abbandonò di fatto i dirigenti tanto amati perché le dicerie, così dissero, avrebbero dovuto essere di competenza di altre sedi…e quello fu l’inizio e contemporaneamente la fine di una era. Non fu solo l’ignobile processo e la serie b, ma fu anche l’inversione e la vergogna di vedere crollati e sovvertiti quegli atteggiamenti silenziosi, dignitosi e superiori di un tempo. Come in una trasposizione orribile ed anche un po’ kitch delle favole dei piccini, fu la trasformazione da maestosi, eleganti e silenziosi cigni in brutti, sporchi e bercianti anatroccoli. Scomparve quella differenza di comportamenti che aveva elevato l’animo bianconero ben al di là del lignaggio di estrazione, i nuovi dirigenti si adattarono ben presto al copione comune, folkloristico ed ordinario di tutti gli altri. Il presidente che doveva ispirare la fiducia del nonno buono, dalla voce dell’orso Yoghi, parlava tutti i giorni, contraddicendosi e contraddicendo spesso allenatori o l’amministratore delegato. E proprio quell’ad, che tuttora ricopre il ruolo pur se nella sostanza ormai accantonato e designato ad abbandonare a brevissimo la carica, a piè sospinto, caricatura di un incrocio tra Mourinho, Narciso e l’ispettor Closeau, davanti a telecamere e sui giornali si cullava in ingiustificate e sperticate lodi verso la propria conduzione manageriale, degno del peggiore e più triste autoerotismo. Perduti da cotanto punto di riferimento, i giocatori non mancarono di salire sulla giostra di queste brutture, rilasciando costanti e nauseabonde interviste volte ora a proclamare grandeur di scudetto, ora a blaterare di cose vane, quando non, ahimè, contestare negli spogliatoi l’operato degli allenatori, mentre sempre in passato le gerarchie in casa bianconera era state rispettate ed onorate con professionalità.

I principini catapultati d’improvviso in mezzo ai guappi, ai furbi, agli ignoranti e ai poveri si smarriscono. Questo è accaduto alla tifoseria bianconera, che privata di ogni punto di riferimento ha cercato di rifugiarsi nelle chimere e nel passato, e di trovare sostegno in qualsiasi cosa che potesse luccicare, dimenticando che non è tutto oro quello che brilla e a volte si rischia di rimanere abbagliati da nient’altro che una proiezione di quello che non c’è più e si desidererebbe ancora. Qualcuno ha persino cercato di aggrapparsi ai carnefici, altri hanno rincorso chi ha dato lustro senza poter più apportare luce, altri si sono semplicemente smarriti. Qualcuno ha continuato lottare, e permettetemi di andarne fiero se ho avuto ed ho la fortuna e l’onore di incontrare sulla mia strada chi ha immediatamente colto in me questo spirito e mi ha voluto nella sua squadra.

Il principino viziato, smarrito nel doversela cavare da solo, può perdersi definitivamente, rinunciare al retaggio o vagare senza meta e senza decidersi. Oppure può crescere, imparare, maturare, e riconquistare la sua posizione con più forza e consapevolezza.
Tutto si può riconquistare: datemi il silenzio e sfiderò la notte. Il silenzio è d’oro. E nel silenzio si cammina spesso più speditamente che nel frastuono.

Il popolo bianconero tenda le orecchie verso le rive del Po e resti in ascolto. Da Milano e da Roma si rovesciano urla tra giocatori e allenatori, giocatori e giocatori, giocatori e giornalisti. Da Torino si percepiscono bisbigli. Da Milano e Roma si odono proclami, da Torino sembra di essere tornati ai tempi lungimiranti della cultura del lavoro, zitti e concentrati a costruire il futuro lasciando agli altri l’assemblaggio di torri d’avorio di parole. Da Milano si tracima di nullità, si ricamano pezze con le allusioni a reati altrui consapevoli di quelli in casa propria, mentre dalle pagine di quotidiani poco puliti, rosa, loro alleati, si invocano miserie per nascondere la polvere sotto il tappeto.
Da Torino, senza proclami, al calpestio dei ratti si oppone il calmo incedere dei passi eleganti.
Senza banditori urlanti ad acclamarlo, la partnership con il nemico rosa non è stata rinnovata. Mentre i massimi rappresentanti del popolo bianconero entrano ed escono dalle sedi istituzionali calcistiche senza raccontare le motivazioni delle loro visite e le loro richieste sempre più insistenti.

Mi piace questo silenzio.
Datemi il silenzio e sfiderò la notte. Una notte sempre più profonda, che sta per lasciare posto all’alba, perché questo, nel silenzio, non può che essere l’ordine naturale delle cose.


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