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Non chiudiamo gli occhi sul doping!

Post n°3392 pubblicato il 08 Dicembre 2010 da nadir63l
 

Immagine IPB

di L. Basso

Angels live forever!


Tra pochi giorni, a Santo Stefano, sarà il trentaquattresimo compleanno di Andrea Absolonova, una bellissima ex-campionessa di tuffi dalla piattaforma della Repubblica Ceca.
Molti forse la conosceranno con il nome d'arte di Lea de Mae, che assunse dopo essersi ritirata dalla carriera sportiva ed aver intrapreso quella di modella prima e di pornostar poi.
Nata nel 1976 a Praga, entrò presto nella nazionale di tuffi cecoslovacca e poi, dopo la divisione del paese, in quella ceca.
Nel 1998 Andrea si stava preparando per le Olimpiadi di Sidney; quel bellissimo angelo biondo capace di lanciarsi da una piattaforma alta come una casa di tre piani e volteggiare nell'aria prima di entrare nell'acqua avrebbe sicuramente fatto la sua figura.
Ma purtroppo certi giorni non va tutto come vuoi.
L'angelo sbaglia qualcosa nel suo volo; un colpo terribile alla schiena, un dolore inimmaginabile, l'acqua della piscina che si fa buia...
La diagnosi è impietosa: danni gravi alla spina dorsale.
Dopo una paralisi temporanea Andrea riacquista la mobilità, ma inizia a soffrire di dolori lancinanti alla schiena, che combatte con dosi massicce di antidolorifici sotto il controllo medico di un ospedale dove, per capire meglio ciò di cui stiamo parlando, una finestra su due è chiusa con un pezzo di cartone perchè i vetri sono rotti e non ci sono i soldi per cambiarli.
Ma un angelo non si arrende facilmente.
Andrea rimette il costume, si arrampica nuovamente su quella piattaforma a guardare l'acqua che l'aspetta là sotto.
L'appuntamento delle Olimpiadi di Atlanta è vicino, forse troppo vicino. Anche solo pensare di parteciparvi è una follia per tutti.
Per tutti, ma non per lei.
L'angelo riprende gli allenamenti, e presto dimostra di essere in linea con gli standard olimpici.
Ma sfortunatamente non siamo in un manga sportivo giapponese, questa è la vita reale, ed Andrea si scontra contro un altro ostacolo insormontabile. I dolori alla schiena la costringono sempre più nella spirale crudele dell'assuefazione da farmaci: i medici le somministrano ogni giorno antidolorifici potentissimi per calmare almeno un po' le fitte, pur sapendo che il giorno dopo si sarebbero ripresentate peggio di prima.
Andrea dice definitivamente addio alla carriera di tuffatrice.
Grazie alla sua bellezza intraprende subito quella di modella (aveva già posato per un calendario dove veniva ritratta, nuda, in una serie di tuffi dalla piattaforma) e poi, con il nome d'arte di Lea de Mae, fa il suo ingresso nell'industria nascente della pornografia est-europea, divenendo presto una stella di prima grandezza del genere hard.
Ma Andrea non ha ancora saldato i suoi debiti col destino.
I dolori alla schiena sono sempre più spesso accompagnati da un mal di testa lancinante, e quando la ragazza si sottopone ad un controllo, il risultato è di quelli da sentirsi mancare le gambe.
Nella sua testa, dietro a quel viso d'angelo, vive un demone spietato; Andrea è affetta da una rara forma di tumore al cervello.
La collega di lavoro Monica Sweetheart organizza una raccolta di fondi per pagare all'amica costosissime cure sperimentali, ma Andrea è ormai impegnata nel tuffo più terribile di tutta la sua carriera: precipita in un inferno buio di ricoveri in ospedali, di sofferenze indicibili, di apparenti miglioramenti.
Dopo un breve ma insopportabile calvario di febbri ed allucinazioni, gli occhi azzurri di Andrea si chiudono per sempre il 9 dicembre 2004.

La triste storia di Andrea non può essere disgiunta dalle storie ugualmente angoscianti di molti calciatori che, in epoche diverse, hanno frequentato il nostro Campionato.
E' fuori di dubbio, infatti, che alcune patologie come la SLA o rare forme tumorali abbiano, per così dire, una macabra predilezione per i calciatori: dati alla mano, infatti, l'insorgenza di queste malattie è statisticamente superiore di decine di volte tra i professionisti del pallone piuttosto che tra le altre categorie.
Addirittura, in alcuni casi, si può notare come la Bieca Mietitrice prenda di mira intere squadre: molti giocatori della Fiorentina degli anni '70 o dell'Inter del “mago” Herrera hanno lasciato anzitempo questo mondo a causa di patologie simili.
E già questo, da solo, obbligherebbe ogni persona sana di mente a farsi delle domande. E se non ogni persona, almeno chi fa (o dovrebbe fare) ricerche su queste morti.

I vertici del calcio italiano, invece, dopo essersi limitati per anni a negare la stessa esistenza di queste statistiche, solo ultimamente, e solo dopo l'esplosione di casi tragici come quello di Borgonovo, hanno deciso di “fare luce” su questi tristi eventi.
Già, fare luce. Che non sempre è sinonimo di “vederci chiaro”.
Come quando brancoliamo in una stanza buia alla ricerca di qualcosa, ed inaspettatamente sotto le nostre dita percepiamo l'interruttore; un clic e la luce inonda la stanza, abbagliando i nostri occhi e non facendoci più vedere nemmeno quel poco che prima percepivano i nostri occhi già abituati al buio.

Appurato infatti statisticamente che, dati alla mano, la SLA ed alcune patologie tumorali viaggiano a braccetto col calcio, a questo punto restava da trovare il collegamento, “l'arma del delitto”.
E qui -ovviamente- nella mente di tutti faceva capolino il fantasma del doping, quello che tutti hanno sempre pensato stesse dietro a tante, troppe morti, comprese quelle apparentemente estranee.
Macchè.
Le indagini hanno scoperto il mostro da sbattere in prima pagina. Anzi, due.
All'origine dei molti casi di malattie rare nel calcio ci sono, udite udite, i fertilizzanti usati per i campi. O, in alternativa, i traumi ripetuti subiti dai giocatori durante l'attività.

Allora... come molti amici del forum sanno, io faccio l'Amministratore di Condominio, non certo il medico. Ma non ho bisogno di essere un luminare della scienza per avere forti dubbi su entrambe queste teorie: se infatti alla base di queste brutte malattie ci fossero i fertilizzanti, è facile immaginare come i giardinieri dovrebbero essere tutti dei “dead men walking”, persone condannate a morte fin dal primo giorno di lavoro.
Consideriamo invece i traumi e microtraumi... in fondo tutti ricordiamo come anni di cazzotti hanno ridotto Cassius Clay, no? Ok, ma bisogna considerare che un calciatore subisce traumi totalmente differenti per tipo e per intensità, e che se proprio vogliamo crederci, allora tra i rugbisti non dovrebbe essercene più manco uno vivo.

Sempre da profano, invece, trovo molto più compatibili altre due teorie: innanzitutto è sotto gli occhi di tutti la correlazione “sospetta” tra le troppe morti nell'Inter di Herrera e le rivelazioni di Ferruccio Mazzola: Picchi, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale; Giusti, ucciso da un cancro al cervello come Andrea/Lea; Tagnin, morto di osteosarcoma; Bicicli, ucciso da un tumore al fegato...
O la macabra litania di nomi di nomi dei giocatori della Fiorentina degli anni '70: Saltutti, morto d'infarto; Ferrante, ucciso da un tumore alle tonsille; Longoni, terzino di quella squadra e dell'Inter di Herrera, morto dopo anni passati sulla sedia a rotelle per una vasculopatia cardiaca; Adriano Lombardi, distrutto dal morbo di Gehrig; Mimmo Caso, sopravvissuto ad un tumore al fegato; Antognoni, che è stato vicino alla morte per un'improvvisa crisi cardiaca; e Bruno Beatrice, andatosene a 39 anni dopo 30 mesi di agonia con la bava alla bocca, le gengive sanguinanti, pustole dappertutto e dolori lancinanti alle ossa che non se ne andavano via nemmeno con la morfina.

Ma purtroppo non è così: ogni volta che qualcuno mormora la parola “doping” tutti si affrettano a smentire, a negare, ad indignarsi.
Forse perché il bisogno di verità è sottomesso, come molte volte accade, alle leggi ferree del business.
O perché, nel caso delle vittime, pochi hanno il coraggio di fare un'ammissione che macchierebbe indelebilmente anche le loro carriere e le loro vittorie.

Ma non voglio con questo puntare il dito obbligatoriamente sulla malafede di alcuni medici/stregoni che propinano agli atleti sostanze miracolose per farli correre come cavalli per tutti i novanta minuti; per carità, questo purtroppo avviene e non lo nego di sicuro. Ma c'è un'altra pratica, purtroppo in uso in tutte le squadre di tutto il calcio professionistico, dove il confine tra buona e malafede, tra cura e sperimentazione è -ahimè- molto, molto sottile.

Giorno dopo giorno sentiamo parlare di “recuperi lampo” di questo o quel giocatore infortunato, e ci piace pensare all'immagine romantica del guerriero che prova dolore ma stringe i denti, si fa fare una fasciatura stretta e scende in campo ugualmente.
Bene, questo avviene. Nelle fiabe, forse.
Un calciatore infortunato è, in termini imprenditoriali, un grosso capitale immobilizzato. Un lusso che un'impresa non può permettersi.
E così, quando un giocatore è colpito da uno stiramento, una lussazione, un qualsiasi risentimento, ecco arrivare il medico sociale, novello sciamano del villaggio, che con i suoi preparati miracolosi lo rimette in campo a tempo di record, per la gioia dei tifosi e -soprattutto- del portafogli del suo presidente.

E questo avviene in tutte le squadre, ragazzi. Perchè se è vero, com'è vero, che gli uomini inviati alla Juve da Guarignello a seguito delle infamanti accuse di Mister “sono avanti di 20 anni” non trovarono traccia di EPO o di altre sostanze dopanti, le ragioni del cuore non ci devono far dimenticare che in quegli armadietti c'erano comunque medicinali così come in tutte le altre squadre.
Lo so, mi inerpico su un sentiero ripido e sottile come il filo di un rasoio; quale è, ragionevolmente, il confine che separa l'infame pratica di somministrare sostanze potenzialmente tossiche per ottenere prestazioni innaturali da un atleta, dal farlo per ottenere guarigioni in tempi miracolosi?
E ancora di più: dove finisce la missione medica di curare dolori ed alleviare sofferenze e dove invece comincia quella di recuperare giovani atleti infortunati in breve tempo ed a qualsiasi costo?

Io non lo so, così come non so se realmente gli antidolorifici possano essere sospettati di aver mietuto vittime innocenti a seguito del loro sovradosaggio. Non sono un medico, non sono uno scienziato. Non ho nè le competenze né gli studi per poterlo stabilire.
Ma è proprio questo il punto.
Io sono solo un Amministratore di Condominio che, tra un'assemblea e l'altra, ama scrivere su un forum sportivo. Ma penso che se io, semplice appassionato di sport, posso accorgermi di un nesso quantomeno sospetto tra la morte di una ragazza dell'Est europeo e quelle di giovani calciatori italiani, beh, credo che a maggior ragione i “dotti medici e sapienti” pagati per farlo, dovrebbero indagare in merito.
E invece nulla.

Perchè in ballo ci sono troppi interessi, troppo grandi. Più importanti, per il business, di una o due giovani vite che si spengono in un letto d'ospedale.
E, soprattutto,
c'è la complicità di noi appassionati, per i quali la maglia del cuore è, da sempre e per sempre, un simbolo di purezza cosmica. Già, a fare quelle cose sono sempre “gli altri” a prescindere.
Ripeto, io qui non parlo di DOPING, almeno nel senso stretto del termine. Ma se anche su queste “cure” che possono uccidere, noi tifosi preferiamo chiudere gli occhi e voltare la testa, beh, saremo tutti un po' complici di quelle morti.


“Angels live forever!” è anche il titolo del diario online degli ultimi giorni di vita di Andrea / Lea redatto da parte della sorella. Per quelli che sono in grado di leggere un inglese abbastanza elementare e vogliono saperne di più o anche solo lasciare un pensiero sul guestbook, l'indirizzo web è:
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