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Messaggi del 06/05/2010

Juve, vertice in sede tra Agnelli, Blanc e Sant'Albano...

Post n°1843 pubblicato il 06 Maggio 2010 da nadir63l
 

Si è discusso della questione allenatore. Benitez potrebbe ripensarci: il tecnico del Liverpool non entusiasta di approdare a Torino agli ordini di un dg. Prandelli, Spalletti e Allegri le alternative
TORINO, 6 maggio - Rafa Benitez potrebbe ripensarci. Secondo il quotidiano inglese "Sun" (ma non è il solo), infatti, il tecnico spagnolo del Liverpool non sarebbe per niente entusiasta di approdare a Torino agli ordini (formalmente) di un dg, sia pure molto prestigioso, come Beppe Marotta. In attesa dell'incontro decisivo tra il tecnico e il presidente del club inglese, la Juventus sta alla finestra, ma solo in apparenza, perchè da tempo si sta muovendo sul fronte degli altri allenatori e ha già incassato un sì di massima da Cesare Prandelli, un "ni" di Luciano Spalletti e un entusiastico "sono pronto" da Massimiliano Allegri, al quale è stato detto di tenersi pronto ma solo in una posizione defilata. È spuntato anche il nome di Del Neri, che in una grande squadra, la Roma, non ebbe fortuna e ha costruito la propria indubbia credibilità nelle squadre piccole o medie, dal Chievo al Palermo e alla stessa Sampdoria. Difficile però che il presidente blucerchiato lo lasci partire, dopo Marotta e qualche giocatore in odore di trasferimento a Torino, su tutti Pazzini, Poli e Palombo. E poi il club torinese ha deciso di puntare su un allenatore esperto sì, ma giovane anagraficamente e in grado di costruire un ciclo e una filosofia destinati a durare nel tempo. Il personaggio ad hoc lo avrebbe avuto, Didier Deschamps, che ha appena vinto il campionato in Francia con il Marsiglia, che ha interrotto anni di dominio incontrastato del Lione. Ma i dissapori sorti con Jean Claude Blanc che nel 2007 ne fanno escludere la candidatura.
 
VERTICE IN SEDE - La questione Benitez si concluderà, in un modo o nell'altro, questa settimana, dopo l'ultimatum doveroso che la società bianconera ha recapitato al tecnico spagnolo. I tempi ormai sono strettissimi e il tira e molla panchinaro rischia anche di condizionare pesantemente il mercato, perchè è in questo periodo che avvengono i contatti informali poi decisivi per le trattative vere e proprie dell'estate. Di questo si è parlato oggi in sede, durante il vertice tra Andrea Agnelli, Jean Claude Blanc e Carlo Sant'Albano, in rappresentanza di Exor. Zaccheroni ha invitato la Juventus a non fare rivoluzioni, ma è solo una questione di termini, perchè la squadra manca di almeno cinque pedine fondamentali, due terzini, un centrale difensivo, un esterno di centrocampo e un attaccante. Inoltre, il mercato in uscita dei bianconeri si presenta difficile quanto indispensabile. Piazzare gente come Zebina, Grygera, Melo, Camoranesi, Trezeguet, Giovinco, Grosso, non sarà semplice, per motivi diversi per ciascuno e lo stesso Buffon, per il suo valore aggiunto nello spogliatoio (oltrechè in campo, naturalmente) e presso gli sponsor, può solo essere ceduto a prezzi competitivi, cioè non un euro in meno di 25 milioni. Ma la Juventus ha assolutamente bisogno di monetizzare e conta di ricavare almeno 30 milioni, Buffon escluso, dalle cessioni. Lunedì (probabilmente già sabato) la telenovela-Benitez si concluderà con una fumata, bianca o nera, nel rispetto della storia della Juventus.

 
 
 

Terzo tempo....

Post n°1842 pubblicato il 06 Maggio 2010 da nadir63l
 

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Immagine IPB

di M. Lancieri (marcolanc)

Nel rugby è consuetudine terminare le partite con il “terzo tempo”, durante il quale le due squadre mettono una “pietra sopra” agli scontri, talvolta cruenti, avvenuti all’interno del match e si salutano sportivamente.
Anche nel calcio, sempre più frequentemente, alla partita fa seguito un “terzo tempo”, diverso da quello ideato nel rugby, ma pur sempre interessante. E così, al termine della finale di Coppa Italia, una piccola anticipazione di quanto sarebbe avvenuto al triplice fischio l’ha voluta dare “Er Pupone”, carezzando la caviglia del mai troppo amato Balotelli, e successivamente lo spettacolo è proseguito con un bel duello tra Taddei e il fresco subentrato Muntari. Di qui al parapiglia finale il passo è stato breve.
Come aveva chiesto l’eterno secondo Ranieri, la festa c’è stata: l’Inno di Mameli ha dato il benvenuto alle squadre che entravano in campo, mentre i fischi e gli insulti le hanno salutate durante l’uscita. In mezzo, novanta minuti (anzi, cento, tenendo conto del recupero) di botte da orbi, sceneggiate vergognose (nelle quali Materazzi riesce sempre ad essere protagonista) e un paio di tiri in porta.

Ora sentiamo qualche “opinionista” – termine che non ho mai ben compreso: un “opinionista” chi sarebbe? Forse qualcuno che ha opinioni? Allora era un “opinionista” anche un mio vecchio gatto, che andava matto per la carne tritata e non voleva neanche sentire l’odore delle crocchette – lamentarsi per la poca sportività dimostrata dagli sconfitti. Ma dov’è la novità?
Il calcio non è più uno sport. Aveva perso molti dei suoi valori alla fine degli anni ’80, quando alla poesia di Gigi Riva, tanto innamorato del suo Cagliari da rinunciare a squadre più blasonate e ricche, e Gaetano Scirea, che poteva pensare di togliersi la maglia bianconera solo per indossare quella azzurra della Nazionale, si erano sostituiti i compensi spropositati di giocatori sempre meno legati alla propria squadra. E allora, un poco per volta, lo sport si è trasformato in business.

Ma è inutile rimpiangere i “bei tempi” passati ed immaginare ciò che non è mai esistito: chi vinceva, allora come adesso, era ed è accompagnato da invidie ed antipatie. Chi perdeva, allora come adesso, difficilmente riconosceva e riconosce la superiorità tecnica degli avversari.
Il problema è un altro. Se negli anni ’70 il calcio era un “gioco” ricco, ma le società che ne facevano parte ragionavano in termini di risultati sportivi e non economici, ora le cose sono molto differenti. Per mettere in piedi una squadra vincente, occorrono grandi capitali. Ed effettuare importanti investimenti, anche per molti anni, non è una condizione sufficiente ad assicurare il successo finale. L’abbiamo visto fino al ribaltone del 2006 in casa Inter e lo vediamo ora nella Torino bianconera. In Italia, poi, abbiamo assistito per un lungo periodo ad un’anomalia, per la quale vinceva chi spendeva poco (la Juve) e perdeva chi spendeva tanto (l’Inter). Il motivo era sotto gli occhi di tutti: da una parte c’erano dirigenti fenomenali, sia sotto il profilo manageriale che sportivo, dall’altra regnava la confusione totale. Ma chi butta tanti soldi in una lotteria e non vede mai uscire il proprio numero, presto o tardi perde la pazienza.

È inutile raccontare per l’ennesima volta come sia stato possibile agli eterni perdenti trasformarsi d’incanto in pluridecorati campioni. Piuttosto, interessa notare come alle convinzioni di tanti giornalisti anti-juventini fautori della teoria secondo la quale oggi finalmente l’aria è pulita, faccia da contraltare un atteggiamento sempre più esplicitamente “rancoroso” dei giocatori che scendono in campo contro l’Inter. Mai, a mia memoria, mi era capitato di assistere ad una finale di un trofeo nazionale che negli ultimi 10 minuti si trasformasse in un’autentica caccia all’uomo. Sarebbe evidente anche ad un cieco che gli animi dei giocatori giallorossi erano esasperati. E non è una questione di “partire in panchina” o di nervosismo incomprensibile: la realtà, ben evidente, è che questi giocatori, a torto o a ragione, si sentono derubati.
Eppure, pochi giorni orsono, abbiamo visto l’ennesimo show dell’ultrà romanista Liguori, che baldanzoso sosteneva quanto sia bello il calcio attuale, nel quale tutti possono vincere. Effettivamente Liguori ha ragione: l’anno scorso vinceva Ibrahimovic. Ora vincono Milito ed Eto’o. L’anno prossimo potrebbe anche essere la volta di Totti e De Rossi: basterà che indossino una maglia nerazzurra.

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