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Messaggi del 05/06/2010

Intercettazioni, Paparesta ammette l’errore: "Il gol di Ibra era regolare"

Post n°1965 pubblicato il 05 Giugno 2010 da nadir63l
 

L’arbitro di Reggina­Juve a Pairetto: «E’ colpa dell’assistente».
L’ex designatore e Rosetti su Inter-Juve: «Toldo era da rosso. E Moratti si è lamentato».

Fonte: Tuttosport
© foto di Francesco Maisano

TRA le migliaia di intercet­tazioni ai raggi x della difesa di Luciano Moggiemergono altre due telefonate che mi­nano il sistema accusatorio dei pm. La prima, tra Papa­resta e Pairetto, ruota in­torno a Reggina-Juventus, partita chiave per Calciopoli: l’arbitro dà la sua versione dei fatti e ammette di aver sbagliato sul gol annullato a Ibra (dando la colpa all’assi­stente Copelli). Nella secon­da, invece, Rosetti e Pairet­to, commentando il pareggio 2-2 tra Inter e Juventus, con­cordano sull’errore di Rodo­monti, che non ha espulso ma soltanto ammonito Tol­do per il fallo su Zalayeta. E Moratti si lamenta pure: ma se l’Inter fosse rimasta in dieci forse il corso della par­tita sarebbe stato diverso.

Paparesta-Pairetto
Paparesta: «Gigi, sono Gianluca, ti disturbo?».
Pairetto: «No, figurati, sto andando al campo... Stai parlando con...».
Pap.: «Ho parlato con Cardona. Il qua­le mi ha detto “basta che contatti Di Mat­teo e gli fai fare una smentita”. Mi sem­bra una follia...».

Pai.: «Non è così facile...».
Pap.: «Anche perché già contattare Di Matteo è impossibile. Ho chiamato la segreteria della Rai e ho detto che ave­vo bisogno del suo numero. Mi hanno risposto che non me lo potevano dare, allora ho lasciato il mio. Aoggi non mi ha richiamato... Evidentemente si sente in difetto perché... Ho avuto la registrazio­ne, questo non ha detto “Paparesta mi ha detto del gol in fuorigioco o altro”. Ha detto “Questi sono gli episodi, gol annul­lato all’ultimo per fuorigioco, ho parlato anche con Paparesta...”. Non so quale reato ci possa essere...».

Pai.: «Che questo vada in televisione a riprendere un episodio vecchio...».
Pap.: «Io gliel’ho detto, credo che sia pure un po’ deleterio... Se riuscissi a parlare con Di Matteo, al limite gli farei scrivere due righe nel quale specificare che nel brevissimo incontro che abbia­mo avuto non abbiamo mai parlato del­la gara ...».

Pai.: «Che questo vada lì a dire...».
Pap.: «Veramente si cade nel ridicolo. Si torna su una cosa ormai chiusa. So­lo lui l’ha saputa e l’ha travisata...».

Pai.: «Fatti fare due righe....».
Pap.: «Se riuscirò a parlare. Oltre a questo... Credo che non ci sia assoluta­mente niente. Né penso che questo possa comportare una sospensione...».

Pai.: «Penso proprio di no...».
Pap.: «Altrimenti avrebbe dovuto man­dare un telegramma...».
Pai.: « Fatti fare due righe e magari se può dirlo anche in trasmissione...»
Pap.: «Giusto per chiudere. E’ incredi­bile... Anche perché poi le responsabi­lità mie in questa vicenda... Il fallo di ma­no, ero dalla parte opposta, come face­vo a vederlo».

Pai.: «Quello però era talmente eviden­te... ».
Pap.: «Io ero talmente dalla parte op­posta, non ho avuto neppure la sensa­zione. Vado contro ogni logica a farmi dare del male... Anche se ci fosse sta­to il dubbio...».
Pai.: «Invece lì era di tale evidenza».
Pap.: «Purtroppo chi l’ha visto ha det­to che aveva giudicato involontario. Non per scaricare, ma io che responsabilità ho. Poi il gol annullato in quella manie­ra... ».

Pai.: «In televisione si capiva che non ha mai alzato il fuorigioco».
Pap.: «Lì c’è stata una doppia possibi­lità... Sono andato una prima volta, m’ha detto “dovrebbe essere fuorigioco e fallo di mano”. Gli ho chiesto “sei sicu­ro?” Sono tornato dopo 20’’, “Gianluca sono sicuro, lo devi annullare”. A quel punto che fai, sono davvero mortifica­to... Proprio la sfortuna. Se c’è stato er­rore mio, è stato annullare il gol di Ibrahi­movic, ma li ho visti tutti e due a terra... Mancava 40 minuti, erano in 10 contro 11, ma figuriamoci, hai voglia quante azioni. Oh, non sono più entrati....».
Rosetti-Pairetto
Rosetti: «Gigi, hai visto la partita do­menica sera, è rosso quello?».
Pairetto: «E’ rosso netto, non si di­scute nemmeno. Io e Paolo abbiamo fatto una bella discussione su questo... Perché era giallo».

R.: «Ma cosa c’è da discutere?».
P.: «Io gli dicevo, “Paolo, è rosso...”. Mi ha chiamato ieri mattina per dirmi “l’ho rivisto, hai ragione tu”.

R.: «No, perché se no...».
P.: «Pensare che Moratti si è anche la­mentato... E’ un rigore ridicolo».
R.: «Appunto, ma ridicolo sul serio. La cosa incredibile è che tutti i commenti di­cevano che era giallo, che aveva fatto bene».

P.: «Questo è pazzesco, come non ca­piscono un c... di regolamento... Però ha arbitrato bene...».

R.: «Molto, molto...».
P.: «A prescindere dall’episodio che, a volte può non essere facile dal campo, l’emotività, hai già un rigore. Però que­sto va via... Quando va via così puoi so­lo dire rosso... Mai, mai nella vita. Però ha fatto una delle migliori partite della sua vita».

R.: «E’ vero, sono d’accordo».
 

 
 
 

MAROTTA: "Quasi fatta per Pepe...

Post n°1964 pubblicato il 05 Giugno 2010 da nadir63l
 

Palombo e Pazzini non giocheranno nella Juve. Resteranno in tanti"

Il direttore generale della Juventus, Beppe Marotta, dopo aver praticamente definito l'accordo per Simone Pepe, esterno offensivo dell'Udinese, parla ai microfoni di Sky Sport 24 delle voci di mercato e delle trattative bianconere attualmente in corso: "E' chiaro che nel pieno del calciomercato, l'accostamento di questo o quel giocatore alla Juventus come alle altre squadre è un fatto quotidiano. Avete fatto un elenco di trattative potenziali per tutte le società. Quindi non sto a smentire, nè sto a dire che si tratta di trattative per questo o quel giocatore. Il principio è che si deve indicare la strada da seguire mettendo i tasselli giusti per far sì che Delneri, quando inizia l'attività, possa avere una squadra il più possibile completa".

FIDUCIA DELL'AMBIENTE -“Il nostro primo dovere è ridare fiducia ad un ambiente che ha perso credibilità e quindi rafforzare la cultura sportiva e quindi l’attaccamento verso questi colori nobili. Il valore della rosa è eccelso, di grande livello. Poi, andremo ad intavolare trattative in base a quelle che sono le opportunità di mercato per mettere a disposizione del tecnico una squadra che permetta di scendere sempre in campo per vincere”.

DZEKO- “Ottimo giocatore, non credo lo scopriamo adesso, infatti ha addosso gli occhi dei maggiori club europei e questo dimostra il suo talento. Il costo di 40 milioni? Se gli acquirenti aumentano, aumenta la base d'asta. Se ci sono pochi interessi, il prezzo cala. Non smentisco nè congermo che trattiamo determinati giocatori”.

TREZEGUET E AMAURI- “
Trezeguet all’Atletico Madrid? Non c’è nessuna richiesta da per il giocatore. Amaurì? Ma io credo che in linea di massima tanti giocatori resteranno. Ripeto, non dobbiamo farci condizionare da quelle che sono state le prestazioni della stagione scorsa, perchè parliamo di giocatori comunque di altissimo livello, che possono esprimersi su dei livelli ancor maggiori rispetto al passato recente. E quindi è un dovere da parte nostra di non depauperare un patrimonio riconosciuto da tutti essere assolutamente di grande livello”.

RIBERY- “Non ho parlato di lui col Bayern. La valutazione del giocatore da parte del club tedesco per l'economia della squadra, al di là della sua assenza nella finale di Champions League, è molto importante e il rinnovo del contratto con i bavaresi è un modo chiaro per dire che Ribery resta lì”.

PAZZINI E PALOMBO- “
Palombo e Pazzini sono due ottimi giocatori, infatti sono nel gruppo dei Mondiali. Ma Garrone ha detto che la Samp non è un supermarket e io non prevedo che questi due giocatori faranno parte dell'organico 2010-2011 della Juventus
Non posso interferire nei rapporti che intercorrono tra Palombo e la Sampdoria che è la mia ex società, dove ho lasciato tanti ricordi
”.

PEPE, CANDREVA E MOTTA- “Per Pepe siamo in una fase di trattativa avviata, fase concreta e quasi finale ma l'ufficialità non possiamo darla. Motta e Candreva? Avviare colloqui è un fatto normalissimo nella fase calda della stagione“.

 
 
 

Dossier illegali, parla Tavaroli...

Post n°1963 pubblicato il 05 Giugno 2010 da nadir63l
 


"Io e Tronchetti, ecco la verità"
L'ex capo della security: "Il presidente Telecom sapeva tutto. Su suo ordine ho protetto Montezemolo e indagato su Afef, Moggi e De Benedetti. E' un codardo, non si è assunto le responsabilità per ciò che chiedeva"

MILANO - Un Giuliano Tavaroli un po' appesantito, ma muscoloso, con l'occhio limpido e la voce ferma, rompe il silenzio dopo il patteggiamento a quattro anni e due mesi: "Sì, ho letto ovviamente i nuovi verbali di Tronchetti Provera". Scuote la testa: "E l'ho anche visto in tv in un'intervista sdraiata di Fabio Fazio, a prendere le distanze da me, a dire che quasi manco mi conosceva".

Ma, scusi, Tavaroli, si è sentito offeso?
"A livello personale non m'importa, qua c'è un'offesa professionale. E posso consentire ai giornalisti e ai magistrati di scherzare, al mio datore di lavoro no. Tronchetti sa bene che mentre lavoravo per lui ho fatto conferenze alla Nato, e anche in decine di università, perché la nostra Security aziendale era un modello. Adesso, tentano di farci passare, attraverso i loro avvocati, come un'accozzaglia di manigoldi. E lui? Fa finta di niente".

Ma lei e il dottore che rapporti avevate?
"Lui sembra voler interpretare il ruolo del gran signore che ha avuto un maggiordomo un po' infingardo, faccia pure, Tronchetti. Perché in effetti mi sono occupato anche di questioni personali e familiari... "

E cioè?
"Bah, gli esempi sono tanti. Un Natale mi chiama perché le figlie, di ritorno da Saint Moritz, sono state controllate e fermate in frontiera, e io a mia volta chiamo e corro. A Pasqua, un'altra emergenza. Bisognava aiutare il figlio di un amico, un ragazzo con seri problemi, che doveva finire in comunità, ma andava in giro. Tronchetti e il padre avevano paura che potesse commettere delle stupidaggini, eccoci qua, siamo noi che ci attiviamo per farlo sorvegliare ventiquattr'ore su 24, meglio di una mamma. Cose normali, sacrosante, per carità, ma... ".

Ma nell'udienza preliminare, il dottore sostiene che vi vedevate poco, lo stretto indispensabile.
"Non ci vedevamo certo tutti i giorni, ma certo che ci sentivamo e, quando serviva, viaggiavamo anche insieme. E nei casi di emergenza era Tronchetti, o la sua segretaria personale, che mi chiamavano. Bastava chiedere alla mitica signora Longaretti come stavano le cose".

Anche con i tabulati telefonici si sarebbe potuto ricostruire la dinamica dei rapporti. È stato fatto?
"Non mi risulta, sarebbe stato davvero utile analizzarli per dimostrare quanto la Security vivesse "dentro" l'azienda e per l'azienda lavorava. Come investigatore, mi chiedo come mai in Procura non siano state passate in rassegna nemmeno le mie mail, che raccontano giorno per giorno che cosa fosse, nella realtà e non nella fantasia, la sicurezza di Pirelli e Telecom, la nostra vera storia. Sin dall'inizio ho chiesto che fossero esaminati i nostri computer, erano la cartina di tornasole più chiara".

Anche questo non sarà stato fatto dai sostituti procuratori...
"Esatto, non mi risulta".

Ma si troveranno questi vostri computer che erano stati sequestrati?
"Spero di sì, specie se qualcuno vuole capire".

Ci aiuti a capire lei come funzionava. Per esempio, il dottore l'ha chiamata per proteggere qualche persona importante in difficoltà?
"Più d'una volta. Mi chiamò per il suo amico Luca Cordero di Montezemolo, quando dovevano eleggerlo presidente di Confindustria. Vado da Tronchetti e vedo uscire Cesare Romiti. Il quale, mi dicono, non voleva che Montezemolo si presentasse, e parlava di un verbale giudiziario degli anni Ottanta, una vecchia inchiesta di Torino".

Lei è sicuro di quello che sta dicendo?
"Per appurare la questione, mi muovo con il mio collaboratore Sasinini, operiamo sul pm di Biella o di Asti, comunque un magistrato vicino al procuratore Giancarlo Caselli. Sasinini chiama il pm e organizziamo a casa di Tronchetti un pranzo con Caselli".

C'è stato questo pranzo?
"Che c'è stato è sicuro, ma io non ho partecipato".

Risulta un'indagine vostra sull'ingegner Carlo De Benedetti. È sempre Tronchetti a ordinarle il report sulle utenze, soprattutto elettriche, delle case dell'ingegnere, per sapere quanto tempo passa all'estero?
"Eh, si sa che in vari momenti tra i due non correva buon sangue".

È proprio vero che stavate aiutando l'Inter di Moratti contro Luciano Moggi?
"La pratica Ladroni, come la chiamavamo noi, riguarda le indagini sui rapporti tra la Juventus e gli arbitri. Volete sapere a quando risale? Al 2002... Succede che un arbitro bergamasco, ammiratore e amico di Giacinto Facchetti, anche lui bergamasco, un giorno scoppia e gli racconta i retroscena di quella che sarà Calciopoli. All'Inter vanno in fibrillazione, si spiegano alcune espulsioni, alcuni rigori assurdi e così Tronchetti consiglia a Moratti di chiamarmi".

Siete andati dalla magistratura?
"Era quello che volevo, ma la situazione è complessa e do a Moratti l'unico suggerimento possibile, e cioè portare Facchetti, come fonte confidenziale, dai carabinieri. Può parlare, resterà anonimo, l'indagine comincerà".

All'Inter che dicono?
"Tentennano, preferiscono non esporre Facchetti, forse hanno paura, io non posso intervenire più di tanto. Moratti mi dice che ha capito come stanno le cose e ne soffre, è preoccupatissimo, ma non vuole distruggere il calcio italiano. Allora che cosa possiamo fare? Si prepara un documento, che finisce sui tavoli dei sostituti procuratori Francesco Greco e Ilda Boccassini. E l'arbitro, convocato, va in procura, ma non è così facile come sembra... Fa scena muta. L'inchiesta Calciopoli non parte quindi da Milano, com'era possibile, ma partirà qualche anno dopo, a Napoli".

Davanti al gup Mariolina Panasiti s'è molto parlato dei dossier sull'ex sindaco di Telecom Rosalba Casiraghi.
"In una riunione con Carlo Buora, Tronchetti e Rocco di Torre Padula si fa il punto su come la stampa parla dell'azienda. Non bene, ci sentiamo sotto tiro e c'è il sospetto che sia la Casiraghi a soffiare le informazioni ai giornalisti. Nasce così la decisione di capire meglio".

Glielo consegnate fisicamente il dossier?
"A lui bastava quello che riferivo io. Un solo dossier legge di sicuro, quello relativo alla cognata, la signora Soriani, la seconda moglie del fratello, della quale durante l'interrogatorio davanti alla Panasiti, dice di non ricordarsi nemmeno il cognome... ".

Lei adesso è uscito dal processo Telecom e ha patteggiato la condanna per truffa e associazione per delinquere. Si sente uno sconfitto?
"No, e nemmeno un capro espiatorio. Mi sento di avere pagato i miei debiti e i miei errori, altri non l'hanno fatto. Io e la mia famiglia sì, e a caro prezzo. Ieri a scuola, mia figlia, di sette anni, si sente dire da un amichetto: "Tuo papà ha fatto delle cose brutte". Ma questo è inaccettabile, perché non ho fatto nulla di brutto, se non proteggere un'azienda, le sue strutture, i suoi uomini. Sono finito in un'inchiesta che non è arrivata alla verità e mi sa che il marasma non è ancora finito, perché comincia il processo per rito ordinario, quello che vede Emanuele Cipriani, il titolare dell'agenzia di investigazioni accusata dei dossieraggi illegali, come principale imputato. Immagino che lui mi chiamerà a testimoniare in aula, a settembre. E, come testimone, ho l'obbligo di dire la verità, e non posso nemmeno avvalermi della facoltà di non rispondere".

Lei, dunque, spera di ricevere finalmente le domande giuste? Sia il gip Gennari che il gup Panasiti, rimandando gli atti alla procura, hanno chiesto di indagare di più...
"Se lo dicono loro... Io sono stato un maresciallo dei carabinieri, sezione antiterrorismo, e la mia carriera successiva nasce dalla strada, non dalle raccomandazioni della politica. Quando mi sono congedato, sono stato chiamato da un cacciatore di teste a lavorare per Italtel e quando entro in Pirelli, il primo aprile del 1996, Cipriani è già lì. Lavorava sotto il manager Sola. Io, Cipriani e Marco Mancini non siamo dunque "tre amici al bar" che cercano di creare una combriccola a danno di Pirelli. Non ho portato via un euro, se molti credono che taccio perché ho un tesoretto all'estero, sbagliano. Tronchetti non mi ha coperto d'oro per non parlare e non sono stato zitto, è stato lo stesso gip Gennari a dire che ho collaborato. Non ho nulla di più dei miei stipendi. Ho il mio lavoro, un curriculum di tutto rispetto che hanno provato a infangare per salvare il presidente".

Il quale si è costituito parte civile contro di lei.
"Sì, lui e Afef. Ma siamo seri, che cosa volete che me ne importasse di indagare sui familiari di Afef? Tronchetti è un codardo, non ha avuto il coraggio di prendersi le sue responsabilità sui report che ci chiedeva, ha preferito offendere la dignità dei professionisti al suo servizio".

Ma lei e Cipriani siete amici o no?
"Sono amico di Mancini e ho un rapporto di conoscenza con Cipriani, punto e basta. Quando stavo in Italtel non mi sono mai servito dell'agenzia di Cipriani. Lo rincontro a Firenze tra il 78 e il 79. Lui faceva il funzionario di banca, ma fremeva per fare l'investigatore. Il suo idolo era Mancini, che lavorava per i servizi. Cipriani fa domanda per entrare nel Sisde, ma non ce la fa. Apre allora un'agenzia di investigazioni. Le nostre frequentazioni sono diverse. Per intenderci, io l'oratorio e gli scout, lui i figli di papà... ".

Ora siete grandi e, all'apice delle carriere, siete incappati nella legge.
"Già e quando scoppia l'inchiesta, passano sei mesi in cui non succede nulla. Io lavoro in Romania, poi a gennaio mi chiama Tronchetti Provera, che preme per riavermi in azienda in Italia. Facciamo una riunione con il capo del personale Gustavo Bracco e il capo del legale Francesco Chiappetta e lo stesso Tronchetti. Pensano di ripristinare, sempre con me a capo, un servizio più limitato di Security. Sempre a gennaio, c'è un altro incontro con Tronchetti, ed è presente anche il funzionario Valente. Il presidente si mostra preoccupato perché, mi dice, Cipriani ha consegnato alla Procura la password del dvd, e cioè la chiave del "forziere" che conteneva tutti i dossier della Polis d'Istinto. E là esistono anche due o tre pratiche che fanno paura a Tronchetti Provera, e lui stesso mi cita alcuni file sui politici, Fassino e D'Alema, che sono citati in Oak Fund, e Aldo Brancher".

E che cosa pensate di fare?
"Le ipotesi sono tante, ma in realtà l'azienda si paralizza. Si muove solo dopo la procura, e quando sa di non poter agire diversamente. E a me cambiano le carte sul tavolo. A giugno 2006 vengo licenziato, mi buttano a mare, prendono le distanze. Da gennaio a settembre 2006 mi cucinano e a settembre vado in galera. Un anno, di cui otto mesi e 13 giorni in isolamento. Del resto Tronchetti Provera conosce bene il metodo per far fuori qualcuno, quando arriva in Pirelli mandato da Mediobanca. Riesce a dare l'ultima spallata a Leopoldo Pirelli, ai tempi di Tangentopoli, quando lui e i manager vanno in procura. Indicativo sarà il discorso che Alberto Pirelli fa alla commemorazione del padre".

Ma, secondo lei, l'inchiesta milanese ha mai puntato a Tronchetti?
"Forse all'inizio, ma non so... Tronchetti mese dopo mese contava sempre di meno sullo scacchiere degli affari. Anzi, mentre Tronchetti tratta l'uscita di scena con il banchiere Giovanni Bazoli e la vendita di Telecom è ormai considerata cosa fatta, l'inchiesta finisce, puf".

Ma Tronchetti perché avrebbe avuto bisogno di lei per contattare chicchessia?
"Sì, so che dice così, ma è falso. Ovvio che poteva avere contatti con chiunque, ma è anche vero che c'era gente come D'Alema e Tremonti che non ci tenevano a vederlo".

E lei che cosa fa?
"Sono io che gli ho fatto fare la pace con D'Alema, per il tramite di Lucia Annunziata, e lo stesso con Tremonti, attraverso l'ex ufficiale della finanza Marco Milanese, che io conoscevo e che lavora con lui, ora è onorevole. Tronchetti confonde i contatti formali con quelli sostanziali. Per quelli formali c'era Perissich e Rocco di Torre Padula. Per gli altri, serviva il fido Tavaroli, ora rinnegato".

Lei dà del falso a Tronchetti, che invece fa l'anima bella, perché ha mentito in altre occasioni?
"Per esempio quando dice che le indagini su Oak Fund sono del 2005, invece sono nate nel 2001, dopo l'acquisto di Telecom dalla cordata di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Voleva sapere a chi erano andati parte dei soldi versati per l'acquisto di Telecom. Si pensava a una parte politica, la sinistra, a cui Tronchetti dava fastidio".

Fastidio?
"Sì, era entrato con i piedi nel piatto in Telecom, appetito da tanti. Voleva fare l'imprenditore indipendente e questo può comportare dei rischi. Ora infatti è sceso a patti con la politica, è nei ranghi, è diventato manovrabile come tanti, tanti altri. Forse è quello che volevano, farlo tornare a più miti consigli. Era una minaccia al potere, non era il potere. Ma di mezzo ci sono finito io, con la mia famiglia".

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/06/0..._verit-4588366/

 
 
 

     

 

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