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Messaggi del 21/01/2011

BUFFON: "Non partiamo battuti. Siamo un'ottima squadra che può diventare grande.

Post n°3722 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

 Con Storari rapporto molto buono. Del Piero futuro Juve"
© foto di Alberto Fornasari

Alle 19:30, come programmato, Sky Sport ha mandato in onda la lunghissima intervista realizzata da Federico Ferri a Gianluigi Buffon. Ecco la trascrizione integrale, riportata sul sito ufficiale bianconero:

Bentornato Gigi. Qual è stata la tua prima sensazione quando hai rimesso i guanti e sei rientrato in porta?
Quando ho rimesso i guanti era circa un mese fa, dunque ancora prima di poter disputare la prima partita. Sicuramente c’è stata un po’ di emozione, anche se mi allenavo ancora lontano da Vinovo, ero spesso all’Isokinetic. Il fatto di indossare i guanti era una piccola tappa che avevo raggiunto, che avevo conseguito, e che mi dava fiducia e speranza.

Hai mai avuto paura? Paura di non poter rientrare, di non essere più quello di prima, magari guardando ai rischi che comportava un intervento come quello che hai subito…
Più che paura io ho sempre avuto rispetto di tutti gli infortuni che ho avuto. E ne ho avuti anche parecchi… Come dico sempre, quando una persona ha avuto la possibilità di svolgere un lavoro come il mio è giusto che paghi dei dazi e io penso di averne pagati da quel punto di vista. Però sono fatalista e penso che se una cosa capita, se un problema c’è, si possa risolvere. Sennò non sarebbe un problema.

Mi dici come hai vissuto i giorni della fisioterapia, del lavoro in palestra dopo l’intervento?
Li ho vissuti cercando più che altro di non sovraccaricare le strutture nervose, in questo caso la testa. È inevitabile che stare fuori per sei, sette mesi - per uno come me che è abituato a essere sempre sollecitato, sempre protagonista - non è facile. L’ho vissuta forte dell’esperienza che avevo maturato prima del Mondiale 2006, quando mi ero infortunato alla spalla ed ero stato fuori cinque mesi. In quel caso avevo fatto il recupero sempre insieme alla squadra, stavo sempre con i ragazzi, e devo dire che a livello nervoso avevo sofferto maggiormente. È inevitabile che stando sempre insieme a loro, sentivo sempre parlare delle partite, di quello che accadeva e purtroppo io continuavo a stare fuori e a non poter essere protagonista come loro. Questa cosa l’avevo vissuta male.

Per questo stavolta sei stato in disparte?
Si, stavolta l’ho gestita in maniera diversa e sono arrivato in maniera più serena e più tranquilla all’appuntamento con il ritorno in campo, alla partita.

Che Juve hai lasciato a maggio e che Juve hai ritrovato a gennaio?
La Juventus di maggio è stata la Juventus che indubbiamente ha fallito ogni tipo di obiettivo. Una Juventus che ha deluso sotto tutti i punti di vista perché poi le ultime partite sono state veramente uno strazio per chi aveva un vago ricordo, anche solo vago, della Juventus vera. Io penso che quello sia stato inevitabilmente il nostro punto più basso.

E quella di oggi che Juventus è?
Questa è una Juventus che è costruita con tanti giocatori giovani, con moltissimi italiani, alcuni campioni, alcuni ottimi giocatori, altri ragazzi che stanno cercando la consacrazione, per cui è un mix di cose che potrebbero fare sì che, se si lavora nella maniera giusta e si inanellano delle situazioni anche fortuite, poi si possa disputare una grande stagione come lo è stato fino a tre, quattro domeniche fa, prima di perdere quelle due partite di fila. Adesso finalmente con il Bari ci siamo ripresi e speriamo di continuare quel cammino.

Come ti poni di fronte ai giudizi dati sugli obiettivi che può raggiungere la Juventus? Scudetto, zona Champions o…
Penso che sia innegabile dire che ci siano squadre o ci sono due squadre che probabilmente partono più avvantaggiate rispetto a noi, questo lo sappiamo tutti. È chiaro che poi con questo non bisogna fasciarsi la testa e neppure pensare di partire già sconfitti. Una squadra come la nostra deve sempre disputare ogni partita, sempre ogni torneo con la consapevolezza di essere un’ottima squadra che può diventare grande. Però l’importante è non toccare i minimi storici dell’anno scorso. A questo ci tengo molto.

Qual è la favorita per lo scudetto?
La favorita? Per me la squadra più forte è l’Inter. In assoluto. Però la favorita è il Milan perché è partita meglio dei nerazzurri e perché secondo me l’Inter è stata falcidiata per tre o quattro mesi da troppi infortuni.

Tu hai detto: in questo periodo molti hanno parlato di me, ma io sono stato zitto. Allora vorrei riportarti quello che è stato detto, che abbiamo detto, su di te e chiederti la tua versione. Comincio da: “Buffon era arrabbiato perché Storari è stato preso prima che si facesse male, dunque sa che la società voleva venderlo”. Vero o falso?
Falsissimo. Con la massima serenità lo posso dire. Io mi ero visto ancora a giugno con il nuovo direttore Marotta per sapere che tipo di prospettive avevo e se era intenzione da parte della società di continuare con me, lui mi aveva assicurato che saremmo andati avanti e anche la società avrebbe avuto piacere che io mantenessi il mio ruolo nella Juve. Poi è chiaro che nel momento in cui mi sono fatto male, è normale che anche loro dovessero prendere un portiere.

Vado avanti: “Buffon l’ha presa molto male perché non è stato confermato il preparatore dei portieri, e suo personale, Alessandro Nista”.
No, diciamo che in linea di massima credo sia più che normale che ci sia questo tipo di presa di posizione da parte della società, nel momento in cui arriva un allenatore nuovo come Del Neri con il suo staff. Poi le modalità fanno il resto. Però, ripeto, quello è un diritto che una società ha.

Ancora: “I rapporti con la società sono freddi, Buffon non è più al centro del progetto del club, come per la precedente dirigenza”.
Queste sono cose che dovete chiedere alla società, io per quello che mi riguarda ho parlato con Andrea Agnelli e con il direttore Marotta, ho parlato spesso con il mister e sinceramente mi sembra di avere avvertito una certa fiducia nei miei confronti. Una certa importanza.

Non senti questa freddezza nei rapporti?
No, rapporti freddi no. Sinceramente sento dire questa cosa spesso anche per quanto riguarda il mister ma io con il mister ho parlato spessissimo, anzi spesso ci scherziamo anche… Se ci fosse un rapporto freddo non avrei neppure voglia di parlare con una persona, è innegabile.

L’ultima: “Buffon guadagna troppo, la società lo deve vendere”.
Cosa posso dire io? Questo è un altro discorso da fare con la società. Io non posso dare una risposta. Non so se questo può essere un problema o no. Sicuramente penso che i calciatori siano fortunati perché guadagniamo tanto, d’altra parte credo che ci sono certi giocatori per i quali è giusto e normale guadagnare certe cifre.

Hai ricevuto una testimonianza d’affetto straordinaria dei tifosi al momento del tuo rientro in campo: che cosa significa per te?
È stato uno dei momenti più belli e più toccanti da quando sono alla Juventus, in dieci anni di Juve. Alla fine erano sette mesi che ero completamente fuori e non sai mai quale può essere la reazione del tifoso che ti rivede. È chiaro che la dimostrazione che c’è stata, di amore incondizionato nei miei confronti da parte del pubblico, è stata un qualcosa che non può fare rimanere insensibili. Questo è poco ma sicuro.

Domenica tutto lo stadio ha tributato un’ovazione a Marco Storari, che ti ha sostituito in questo periodo, e tu ti sei associato a questo applauso. Che rapporto c’è tra voi?
Molto buono, perché è un ragazzo con il quale si sta bene, si parla, si lavora, si scherza, si ride, per cui in linea di massima credo che anche lui abbia caratterialmente delle peculiarità simili alle mie. Del resto in 17 anni di calcio penso di essere andato d’accordo con quasi tutti i miei colleghi.

Cosa consigli a Storari? Di andare o di restare alla Juve?
Marco deve fare quello che ritiene più opportuno. È grande abbastanza per potere sapere cosa fare. Parlandoci in questi giorni, è chiaro che anche lui ha ribadito che è stato felicissimo di essere stato qua sei mesi, di avere fatto benissimo il suo lavoro come ha fatto, di avere creato con l’ambiente e con i tifosi un ottimo rapporto, però giustamente è un ragazzo ambizioso, un ragazzo che probabilmente adesso che ha 33/34 anni si sente nel pieno della sua maturità e magari non vorrebbe fermarsi proprio ora. Questo sono secondo me delle motivazioni più che giustificabili. Però è anche vero che, sai, la Juve è sempre la Juve. E a lasciarla fai sempre fatica.

Del Neri ha chiarito il senso di quelle sue frasi su di te e su Storari di un mese fa. Ti chiedo che cosa hai pensato quando le hai sentite quelle parole e se hai parlato con lui dopo quella conferenza.
Io le parole non le avevo sentite, devo essere sincero. Chiaramente mi avevano avvertito il giorno dopo in ottantamila persone… È chiaro che non ti può fare piacere quando su un giornale, o su due o su tre vengono riportate a caratteri cubitali certe notizie, però devo essere sincero che il giorno dopo il mister mi ha subito chiamato negli spogliatoi e mi ha spiegato la motivazione di certe sue frasi e del fatto che chiaramente anche a voi giornalisti faceva comodo riportarle in una certa maniera per creare una certa situazione. Penso che sia stato anche un gesto di rispetto nei confronti di Storari e sia stata una cosa giusta dirlo. Io non ho mai giocato perché qualcuno mi ha regalato qualcosa o per debiti di riconoscenza. Io ho sempre giocato perché in linea di massima ho sempre dato un contributo importante alla mia squadra quando sono stato bene e anche quando sono stato un po’ meno bene. Nel momento in cui non sono in condizione di dare un ottimo contributo, è giusto che giochi qualcun altro.

Sei diventato capitano della Nazionale praticamente mentre eri sul lettino della sala operatoria: ti senti di dovere qualcosa adesso a Prandelli?
Sicuramente di ringraziarlo, è il minimo. Soprattutto in determinati momenti nei quali uno è in difficoltà fisica come lo ero io – e anche mentale e psicologica perché non è stata una passeggiata di salute l’intervento che ho avuto - il fatto di sapere che c’è una persona, ovvero il ct della Nazionale, che si esprime in maniera entusiastica nei tuoi confronti, è una cosa che ti dà forza, ti dà morale, ti dà ancora più voglia di potere recuperare il prima possibile perché sai che ti stanno aspettando e perché sai che ci sono ancora per qualche anno, mi auguro, degli obiettivi importantissimi per i quali vale la pena di rimettersi in piedi e andare a lottare. Probabilmente ho capito lì che il mio ciclo con la Nazionale non si era ancora concluso e c’era ancora grande fiducia nei miei confronti e grandi aspettative. Quando ci sono grandi aspettative nei miei confronti mi piace rispondere “presente”.

Fra pochi giorni compirai 33 anni. Senti che per te è iniziato un secondo tempo della tua carriera, come se l’infortunio avesse fatto un po’ da spartiacque?
Ma, secondo tempo… Io ho fatto diversi tempi, secondo me, nella mia carriera. Perché inevitabilmente già il fatto di essere venuto dal Parma alla Juve, dieci anni fa, era già un secondo tempo. A Parma ero l’astro nascente, ero il ragazzo genio e sregolatezza che sicuramente aveva già fatto cose strabilianti, alla Juve invece dovevo trovare la consacrazione in una grandissima squadra, in una grandissima realtà, e tutto questo è accaduto. Poi è arrivata la vittoria ai Mondiali del 2006, la serie B dopo un mese, tornare in serie A, la rinascita della Juve, il fatto di avere compiuto trent’anni, poi l’infortunio, adesso i 33 anni… La mia carriera è stata scandita da diverse tappe molto importanti.

Fino a quando vuoi giocare?
Voglio giocare fino a quando sono in Nazionale, questo è poco ma sicuro, e se in Nazionale riesco a starci per più di due anni – magari se riuscissi ad arrivare al prossimo Mondiale – e se poi non fossi più convocato potrei anche pensare di smettere di lì a breve. Ma sicuramente la Nazionale detterà in maniera importante i miei tempi.

C’è qualcosa che hai riscoperto, intendo in senso positivo, in questi mesi di vita diversa, lontano dai campi, con le domeniche senza calcio?
Una grande paura che ha una persona come noi, impegnata giornalmente con intensità, è quella di smettere un giorno di essere così sotto pressione e di dire “chissà se a casa riuscirò a condurre una vita normale, come una persona normale, con mia moglie, i miei figli…”. Questa era una paura che sinceramente avevo anche io. Devo dire che io questa vicenda l’ho affrontata con curiosità, e alla fine mi sono detto che la famiglia che con mia moglie abbiamo costituito… il fatto di avere scelto una donna come lei… si sta rivelando una scelta giusta e azzeccata perché anche quando stiamo tanto insieme non ci annoiamo, si va d’accordo. Questo è molto importante.

Dunque la famiglia è stata molto importante in questi mesi: Alena, i tuoi genitori…
Sì, sono stati grandi. Perché è inutile negarlo, quando hai determinate problematiche, quando sei toccato al cuore, nell’orgoglio, ti rifugi sempre dalle persone delle quali hai una fiducia illimitata e che sai che non ti tradiranno mai. Come i genitori, le sorelle, la moglie, i figli e quei due o tre amici che ho.

Secondo te Del Piero la prossima stagione dovrebbe giocare ancora nella Juventus?
Penso che alla fine Ale giocherà ancora con noi e più che altro avrà sempre un ruolo importante per noi. Il suo ruolo se ci penso è in campo, perché risulta ancora decisivo con le sue giocate, ma anche fuori dal campo, anche solo per insegnare ai giovani che arrivano alla Juve o ai nuovi che cos’è la Juve, cosa trasmettere a questi ragazzi perché alla fine anche io quando sono arrivato qua dieci anni fa se non ci fossero stati esempi come Antonio Conte, Ciro Ferrara, come Paolo Montero, dai quali potevi attingere qualcosa di importante e unico sul mondo Juve, sarebbe stato più difficile il mio inserimento. Invece grazie a queste persone che avevano alle spalle ormai anni e anni di Juve, è stato molto più semplice.

Tu e Del Piero vi sentite un po’ come dei panda in via d’estinzione: siete gli ultimi rimasti tra i campioni del mondo che hanno deciso di restare in B, siete le ultime bandiere…
Dei panda sicuro perché restiamo nel mondo Fiat… Però sicuramente credo che fra me, Del Piero e altri casi come Totti o Materazzi all’Inter, o Zanetti, insomma ci sono tantissimi giocatori che hanno fatto e stanno facendo la storia dei propri club. È chiaro che ormai da un po’ di tempo a questa parte senti la gente che spesso dice che le bandiere non esistono più ma questo non è vero. Le bandiere secondo me ci sono. Poi alcune volte è questo calcio business che fa sì che non ci possano più essere. Ma alcune volte non perché dipenda solamente dai calciatori, ma dalla volontà di tante persone, compresa la società. Per cui non è detto che il fatto che non ci siano bandiere dipenda solo dal giocatore. Io penso che dipenda dal calcio in toto che è cambiato.

E questo varrà anche per te?
No, mi auguro di no. Mi auguro di poter continuare per tutta la mia carriera alla Juve.

L’anno prossimo Buffon giocherà nella Juventus?
Non vedo perché no. Credo proprio di sì, nel senso che a oggi le premesse per continuare ci sono tutte, anche perché ho giocato solo due partite, fatemene fare almeno altre quindici per avere un po’ più di certezza. Questo è quello che mi auguro, ecco. Poi siamo sotto questo cielo e basta avere pazienza. Ma penso che le possibilità ci siano.

 
 
 

Fuori tempo… per Massimo..

Post n°3721 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

 dal blog filo spinato di alvaro moretti

Attendiamo fiduciosi, ma i segnali sono scoraggianti: l’inchiesta su Calciopoli Bis è partita con mesi di ritardo (Abete conteggia diversamente dalla Juventus, Agnelli per questo s’è assai arrabbiato), sotto Natale. Ma l’abbozzo è stato quasi un rigurgito, se ci pensate bene: sentito Paolo Bergamo grazie alla sua personale disponibilità a dare un contributo di verità a 360°, dopo le ottusangole prospettive di ricerca dimostrate dai “segugi” federali nel 2006; audito Pierluigi Pairetto nientemeno che a Torino, fuori sede e con diaria da trasferta, il 28 dicembre, tra Natale e Capodanno. E poi? Niente, se non la lettera di convocazione a Moggi come fosse un tesserato e non il “non tesserato” della sentenza della Corte Coni del 2008 (caso sim svizzere). Avevamo cominciato il conto alla rovescia, scandito da Abete proprio a fine 2010: si chiude entro la fine della stagione, e quei tempi non ci stavano bene se si trattava di far emergere che anche l’Inter - nonostante le assoluzioni dell’ex indagato Carraro - telefonava, parlava, contattava, cachemirava ad aprirsi un varco nella Can, con Nucini, cavallo di Troia, un po’ reticente e un po’ scordello quando si tratta di posti di lavoro procacciati e schede gettate al vento e poi riemerse nella memoria. Per sentire Massimo Moratti, anche se si accelerasse ora, si è fuori tempo se quello a cui stiamo assistendo - oltre alle solite lungaggini - è solo una revisione parziale di Calciopoli. Nel frattempo Palazzi è in rotta prolungata con Abete, vede il 30 giugno prossimo come capolinea della sua vicenda di procuratore federale e l’orologio attivato a fine 2010 continua a correre inesorabile. Siamo fuori tempo… per Massimo. E per una giustizia giusta, come dimostra anche la grottesca vicenda della radiazione che nessuno sa se, come e quando attivare nei confronti di Luciano Moggi, dopo ben 54 mesi di pena scontata sui 60 comminati quando si pensava fosse solo lui a parlare con i designatori e si ignorava - nonostante le testimonianze - che anche tutti gli altri si davano da fare.

 
 
 

Juventus, Barzagli ha firmato...

Post n°3720 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

Fonte: Tmw
© foto di Giacomo Morini

La Juventus ha raggiunto l'accordo col Wolfsburg per l'acquisto del difensore Andrea Barzagli (29). Secondo indiscrezioni raccolte da TuttoMercatoWeb, l'agente del calciatore è appena atterrato in Italia col contratto firmato. Il difensore – che raggiungerà i suoi nuovi compagni la prossima settimana – è ancora in ritiro col Wolfsburg. Al club tedesco andranno 500mila euro.

 
 
 

"Pavel Nedved. La mia vita normale. Eppure eccezionale"

Post n°3719 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

Immagine IPB

di G. Fiorito

Vi è mai capitato di guardarvi negli occhi? Non allo specchio, intendo. Riuscire a guardarvi negli occhi, come se non appartenessero a voi.

E' il 31 maggio 2009. A Torino si gioca una Juventus Lazio apparentemente senza storia. Invece è l'ultima partita di Nedved. Da giocatore. Pavel alza lo sguardo e vede i suoi occhi proiettati su tutti i tabelloni dello stadio. Gioca con entusiasmo, di più, con leggerezza, con euforia, perché tutti i momenti più belli e significativi della sua vita e della sua carriera li ha vissuti così. Con una semplicità che ha dello straordinario.

A partire dai primi calci tirati a Skalnà, il piccolo villaggio che gli ha dato i natali nei pressi di Cheb, nella ex Cecoslovacchia. Pavel rivede se stesso come un bambino felice e vivace. Libero, nonostante le restrizioni del regime. Al suo fianco il padre e il nonno. Due rocce. Intorno la campagna e tutto un mondo in trasformazione. Che quel ragazzino biondo abbia qualcosa di più è una cosa che salta subito agli occhi e Pavel comincia il suo cammino, attraverso tappe che lo porteranno sempre più lontano da casa, a trovare altre case. In luoghi diversi e tempi diversi. Con persone diverse. Eccetto Ivana, la ragazza di Cheb conosciuta a Skalnà che gli resterà vicina per sempre.

Subito via, a 14 anni. TJ Skoda Plzen, la prima squadra vera, i primi allenatori veri, Josef Zaloudek e Jiri Lopata. Luoghi e persone che lasceranno un segno profondo nella sua vita. Quando ho iniziato a leggere questo libro, credevo di trovarci dentro semplicità e schiettezza. L'immagine che avevo di Pavel Nedved era quella di un ragazzo semplice. Da quello che avevo letto di lui conoscevo un poco la sua biografia e sapevo della sua dedizione totale al calcio. Agli allenamenti soprattutto. Ai quali da sempre e anche adesso, come confessa nel libro, si sottopone con ritmi serrati e che non abbandona nemmeno nei periodi di vacanza. Eppure la semplicità e la schiettezza che ho trovato in queste pagine mi hanno sorpreso lo stesso. Perché non così trasparenti da isolarlo dal mondo, da mettere a tacere i rumori della storia. Pavel si descrive come un uomo timido e riservato. Dedito al lavoro e alla famiglia. Ma i suoi occhi si sono posati dovunque ha compiuto le sue esperienze di uomo e di calciatore, in una crescita costante che nelle ultime pagine del libro gli fa dire senza presunzione che ciò che oggi ha da dare è il frutto della sua esperienza. Tra le pagine fitte di ricordi e avvenimenti avvertiamo un respiro vivace, curioso di vivere e interpretare la realtà che intorno a lui va mutando. Qualità che a dire il vero oggi la critica rimprovera persino a molti sceneggiatori italiani, fermi in una fissità emozionale che relega il contesto storico nell'ambientazione e nei costumi. Pavel vive il cambiamento che porterà la sua nazione alla Rivoluzione di Velluto, il passaggio a una fase democratica, in prima persona. Sa dei fatti di Praga. Vede scindersi il suo paese in una divisione che considera malinconicamente tra cechi e slovacchi. Consapevole delle opportunità che accendono un futuro nuovo e diverso per lui e per il suo paese. In un equilibrio perfetto tra la stasi apparente degli affetti familiari e della campagna e il coraggio di affrontare tutte le possibilità di un divenire che lo porterà lontano. Credo sia questa la sintesi affascinante e il segreto di Pavel. Alimentare il coraggio con la determinazione e la voglia di lavorare e mettersi in gioco con una costanza meticolosa. Perché il talento non basta.

Chiamato a Praga per il servizio di leva, Nedved entra nel Dukla Praga, non prima di aver militato nella formazione giovanile di serie C del Tabor, dove venivano spediti i giovani per fare esperienza. Ricompaiono le dure trasferte nel freddo, ma ben presto l'allenatore Jelinek lo chiama in prima squadra e Zdenek Lehoda lo dirotta allo Sparta Praga. Ogni volta una sfida. Contro il parere del padre che lo avrebbe voluto ancora un anno in una formazione minore per crescere anche fisicamente, Nedved decide di provarci. Ma mentre l'euforia della città e le sue distrazioni rendono difficile l'inserimento di molti coetanei, Pavel preferisce i ritmi bassi, come ci racconta, il silenzio della natura e iniziare una vita insieme con Ivana, la compagna di sempre. Alla quale riserva queste parole: a Praga è diventata una donna molto prima che io diventassi un uomo.

L'esperienza dello Sparta Praga sarà il trampolino di lancio vero e proprio per Pavel. Giocherà con Jiri Nemec, Josef Chovanec, Mikal Bilek, vincerà lo scudetto e approderà alla nazionale, come afferma orgogliosamente, senza la trafila delle giovanili. Una nazionale particolare, la neonata ceca.

Con la nazionale Nedved disputa gli europei d'Inghilterra del 1996. E' un’esperienza felice. Vissuta in stato di grazia. Uno di quei momenti della vita nei quali tutto collabora a realizzare i sogni. Questo mi ha colpito di questo libro. Che la vita di Nedved sia stata condotta sui binari della semplicità, del raziocinio, dell'impegno, del sacrificio e che a un certo punto ogni cosa abbia assunto i contorni sfumati del sogno che diventa realtà.

Raccontando gli europei dalla parte della sua nazionale, Nedved confessa che a ogni partita i magazzinieri facevano le valigie e preparavano tutto per il ritorno in patria, per scaramanzia. Sconfitta l'Italia per 2 a 1 (con una rete di Pavel), i cechi perdono per 2 a 0 con la Germania. Nedved salta la partita dei quarti, vinta per 1 a 0 con il Portogallo di Figo, a causa di quella che definisce senza mezzi termini la sua maledizione: la somma di ammonizioni che determina un turno di squalifica. Ma ricorda il pallonetto di Poborsky, l'azzardo, il momento magico e irrazionale, segno proprio di quello stato di grazia che viveva insieme ai suoi compagni durante quei giorni, nei quali il tempo sembra svincolarsi dalla logica, gli istanti possono dilatarsi nell'eternità e i minuti ridursi all'attimo di un sospiro. Difficile invece il ricordo dell'infortunio causato a Figo, nel novembre 2007, che qualcuno definì addirittura volontario.

In semifinale la nazionale di Nedved elimina ai calci di rigore la Francia di Zidane, con il quale, pur incrociandosi spesso le vite e i talenti, non giocherà mai. L'ultimo atto rivede i cechi contro la Germania, protagonista dell'eliminazione sofferta degli inglesi, i rivali storici, i quali avevano coniato uno slogan suggestivo per l'europeo casalingo: Footbal si coming home. La finale andrà ai tedeschi, grazie a Bierhoff, giocatore capace di entrare a partita iniziata e ribaltare il risultato, fino a segnare nei primi minuti dei supplementari il golden gol.

Stupisce la vena poetica di Pavel, che rievoca i versi dell'inno della sua terra e il suo sottile senso dell'ironia, quando per chiarirci le idee su quello che pensa dei rapporti dei calciatori con il sesso, ci spiega che da quell'europeo si portò via non solo la medaglia d'argento, ma sua figlia Ivana, della quale la moglie era rimasta incinta. Un'altro avvenimento importante è figlio di quegli europei. La Lazio vuole Nedved, che si trasferisce a Roma, grazie a Zeman e a Cragnotti.
L'esperienza romana è rimasta nel cuore di Pavel e confesso che come juventina provo un certo disagio, ma fa parte della sua vita ed è giusto così. La mia è una storia di calcio e amore per le maglie che ho indossato. Forse per questo a pagina 83 ci racconta un bell'episodio vissuto con Andrea Agnelli e alcuni tifosi juventini che li avevano inseguiti sull'autostrada fino a un autogrill per poterli incontrare. Con la Lazio Pavel vince una Coppa delle Coppe, segnando uno dei suoi gol più belli, una Supercoppa Europea, una Coppa Italia e uno Scudetto. Quello che non mi piace ricordare, quello perso dalla Juventus nell'acquitrino di Perugia. Vedendo alternarsi sulla panchina Zeman, Zoff e Eriksson. Del primo descrive la cura maniacale della preparazione atletica e dei dettagli. Di Zoff parla come di un uomo di campo, concreto e intelligente. Di Eriksson sottolinea la profonda calma con la quale sa gestire lo spogliatoio. Intanto nasce il coro”Nedved cuore d’acciaio” e anche il figlio Pavelino. Anche il derby romano merita le attenzioni di Pavel, che ne ricorda il calore particolare, mentre ha parole dure contro chi si rende autore di violenze gratuite e insensate. Toccante il ricordo di Giovanni Polo II, che riuscì a incontrare. Della Coppa Uefa persa con l’Inter, suggestivo il ricordo di Ronaldo e del vento mosso dalla sua corsa potente.

Tuttavia all’orizzonte si annuncia l’ultima tappa della vita agonistica di Pavel: la Juventus. Ammetto di aver letto l’autobiografia di Pavel d’un fiato, ma non per lo stile essenziale che volta le pagine, soprattutto perché ero ansiosa di leggervi la natura di un rapporto che per noi tifosi bianconeri è sempre stato speciale. Pavel esce dal libro come abbiamo imparato a conoscerlo. Caparbio, grintoso, un personaggio che ha fatto della disciplina e dell’umiltà le sue armi per conquistarci dentro e fuori dal campo. Ma la nostra storia è speciale non meno di Pavel. Ancora di più nel segmento del quale Nedved è stato uno dei più illustri protagonisti.

Inizia a parlare della Juve in un capitolo dal titolo “Sassolini”, partendo dal doping, che è proprio tutto il contrario di quello che la sua vita d’atleta ha rappresentato per lo sport. Il riferimento è facile da cogliere, alle accuse che a quella Juve vennero mosse anche nei tribunali. Pavel arriva a Torino desideroso di inserirsi nella squadra che può portarlo al vertice della carriera di un calciatore. La moglie all’inizio è scettica e stenta ad ambientarsi, ma si vedono venire incontro l’amicizia di una persona veramente straordinaria. Presa casa nel Parco della Mandria, si ritrovano in cucina, entrato dall’ingresso secondario, nientemeno che Umberto Agnelli, che insieme alla moglie Allegra e al figlio Andrea saranno sempre presenti nella vita dei Nedved. Specialmente adesso, che per la prima volta Pavel subisce i segni di una crisi di gioco, di un appannamento che lo fa assomigliare a un fantomatico fratello meno bravo. Lippi però riesce a risolvere tutto, con una nuova sfida che Pavel accetterà, con tutti i rischi. Il cambio di ruolo, da esterno sinistro a vertice superiore di un rombo che ha alle spalle Davids e Conte e al vertice basso Tacchinardi. Il confronto con Zidane, in un avvicinamento pericoloso al suo gioco. Che esalta le caratteristiche di velocità di Nedved, la sua capacità di superare l’avversario, le possibilità di tiro in porta. Ben sapendo che gli esigentissimi tifosi bianconeri pretendono qualcosa di più: capacità di leadership e classe. Carisma, forse. Come era stato per Zidane e per tutti i grandi giocatori che hanno vestito la maglia della Juventus. Merito di Lippi, definito un duro che sa quello che vuole, poco diplomatico anche con la stampa, per difendere la squadra e tracciare i confini. Tutto quello che dice Pavel nelle ultime pagine di questo libro fa vibrare d’emozione. Fa rivivere momenti esaltanti e di sconforto che saranno per sempre suoi e anche nostri. Ma fa anche molto pensare alle condizioni attuali della Juventus. Nella quale non c’è più quel clima di serena calma, di sicurezza composta che ti faceva sentire al sicuro. La Juventus era insieme una famiglia, un’azienda e una squadra. I calciatori rappresentavano una sintesi perfetta di forza e classe. Un armonia difficile da realizzare un’altra volta. Arriva lo scudetto del 5 maggio 2002 ed è bello leggerlo raccontato da Pavel, questa volta. Ancora più bello il racconto della Champions League del 2006, della quale la finale persa rappresenta l’incubo di Pavel. Quella finale negata a causa di un’altra somma di cartellini gialli. E però dentro quei giorni ci sono tante partite vissute con il cuore in gola. Il Manchester, il Barcellona, il Real Madrid. Lo scontro più bello della Juve di tutti i tempi, probabilmente. Milionari contro operai. Ma, ci dice Pavel, quella Juve era operaia per scelta, non perché non avesse nei ranghi campioni assoluti dalla classe cristallina.

A parziale ricompensa c’è per Nedved il Pallone d’Oro, che ancora oggi scambierebbe volentieri con la vittoria finale.

Arriva Capello. Uno che chiede tutto perché capace di dare tutto. Eravamo forti e sapevamo di esserlo. Parlo delle due stagioni di Capello come se fossero una sola perché fatico a trattenere la mia amarezza per quello che è successo e la rabbia per quello che a mio giudizio ci è stato tolto. Pavel è molto chiaro riguardo alla fretta con la quale sono andate le cose in quella estate del 2006, mentre tanti bianconeri si rendevano autori di una vittoria mondiale. Come lo è anche nel tracciare le motivazioni di chi ha accompagnato la Juventus nel momento più buio della sua storia e di chi invece ha messo al primo posto le esigenze della carriera. Dovevo rimettere le cose al loro posto, dovevo riportare la Juventus dove è giusto che stesse. In seria A, a giocarsi scudetti e trofei. Poi due stagioni di assestamento e una lenta regressione.

Rieccoci al 31 maggio 2009. Avrebbe potuto giocare un altro anno almeno. Ha un bel dire Pavel che ha voluto smettere perché ha capito di non poter dare più tutto come era sempre stato. Mourinho gli promette la Champions. Con l’Inter. Pavel dice di no. … c’era un ottimo motivo per rinunciare… Il rispetto. Amo troppo la Juventus e i suoi tifosi e non sarebbe stato bello andare a giocare nella squadra antagonista per eccellenza, in quella che della nostra rovina sportiva aveva fatto la sua fortuna. Non è un discorso da tifoso, è un ideale sportivo vero, come credo di essere… Loro(l’inter) hanno vinto la champions… io mi sono tenuto la dignità e l’amore degli juventini.

Oggi Pavel è nel cda della Juventus, dove lo ha voluto Andrea. Credo che sia il posto migliore per lui, ma soprattutto per la Juventus e per gli juventini.

http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/...lio.asp?id=1351

 
 
 

MOGGI su Libero: "Vi spiego perché nessuno ha il coraggio di radiarmi"

Post n°3718 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

Fonte: di Luciano Moggi per "Libero"

La recente richiesta di un parere da parte della Figc all’Alta Corte del Coni sulla mia presunta radiazione, rappresenta l’ennesima stucchevole ed infondata iniziativa con la quale si cerca, disperatamente, di salvare ilpessimo ed illegittimo operato della giustizia sportiva del 2006. Dal processo di Napoli sta emergendo che non solo non ho mai condizionato alcuna scelta arbitrale, ma che, anzi, non ero certo io quel dirigente che si accomodava nello spogliatoio del direttore di gara o invitava a ritirare regali nella propria sede sociale o disponeva pedinamenti ed intercettazioni illegittime. Dunque,invece di prendere atto responsabilmente di tutto ciò e cercare, davvero, di fare chiarezza, in via Allegri sono terrorizzati dal mio fantasma che evidentemente turba i loro sonni e da mesi, senza successo e con comiche polemiche interne, rincorrono un cavillo degno di un Azzeccagarbugli per assicurarsi che io non possa tornare, ammesso che ne abbia davvero voglia ed intenzione, nel calcio. Sistema ridicolo Mentre il sistema calcio in Italia è sull’orlo del fallimento, sportivo e finanziario, mentre emerge che ben avrebbero dovuto condannare altri per aver violato le norme federali, per la Figc l’“affaire Moggi” rappre - senta la priorità! È come se si volesse combattere la mafia sanzionando i divieti di sosta: mentre io al massimo posso aver parcheggiato in doppia fila, altri commettevano stragi (sportive, s’intende), eppure sono tutti ancora lì e nessuno ritiene di condannarli comemeriterebbero. In tutto questo, Abete, preoccupato dal dover lui stesso, in prima persona, assumere decisioni su di me che lo esporrebbero immediatamente ad azioni giudiziarie, chiede un parere ad un organo estraneo alla Figc, l’Alta Corte del Coni, appunto, per sapere se fa bene a “prendere atto” del - le sentenze della propria giustizia sportiva. Siamo al paradosso, è come se il preside di una scuola chiedesse al Ministro dell’Istruzione se è giusto che accetti il voto dato da un professore ad un alunno della sua scuola... è ovvio! Ancora una volta hanno tentato una furbata ma l’hanno gestita in modo maldestro e goffo. Avrebbero semmaidovuto chiedere alConi se fosse giusto radiare Moggi (e, per esempio, non Preziosi che pure versa nella medesime condizioni ma gode di una speciale immunità, anzi impunità), benché nelle pur severissime sentenze sportive del 2006 non vi fosse questo provvedimento. Invece, il presidente della Federazione chiede di sapere se è conforme ai principi dell’ordinamento sportivo la propria “presa d’atto” riguardo ad un recente parere di un suo organo giudicante, che s’ è inventato, con sorprendente creatività, la mia automatica radiazione, della quale tuttavia, misteriosamente, la stessa Figc per 4 anni non si era occupata. Questa paradossale vicenda non mi preoccupa affatto a livello personale, molto, invece, come appassionato di calcio. È avvilente che la classe dirigente federale impieghi energie ed economie (in parte pubbliche, cioè soldi che provengono dai cittadini) non per risolvere problemi, ma per rincorrere fantasmi con pervicace accanimento. Si insiste su teoremi sgangherati come se nulla di nuovo fosse emerso dal processo. Quando si smetterà di dar credito a chi vuol nascondere la verità? Duello milanese Ora il campionato. L’Inter ha faticato parecchio per battere il Cesena. I punti di differenza dal Milan sono ora sei (tre potenziali). Suona la grancassa il tifo nerazzurro (secondo un sondaggio il 70% vede l’Inter favorita per lo scudetto). La squadra di Leo giocava con i titolari (Materazzi e Castellazzi a parte) ma ha rischiato grosso. Pesano sul risultato l’espulsione affrettata di Giaccherini e un rigore negato che ha fatto infuriare patron Campedelli. Dovrebbe saperlo: i rigori contro l’Inter sono rari e Moratti sul punto è un professionista del silenzio. In altri tempi, invece, parlava eccome. Qualcosa sulla Coppa Italia. Ranieri ha vinto il derby e non ha perso tempo nell’imbastire la prima polemica: perché i quarti con la Juve si giocano a Torino? Segnale evidente che tiene molto alla Coppa, come i bianconeri del resto, in cerca di consolazioni per riscattare un campionato ancora poco appagante.

 
 
 

La Rai ci ha visto giusto!

Post n°3717 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

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Immagine IPB

All’inizio del campionato, la Rai, appoggiata dall’AIA, decide di eliminare la moviola in campo, riportando solo gli episodi più eclatanti ed eliminando la coda polemica dei commenti degli ospiti in studio. In teoria poteva essere una buona idea, nei fatti si è rivelata un mezzo ulteriore di strumentalizzazione, perché gli episodi da mostrare e i commenti vengono sapientemente selezionati...

Guardando con attenzione quello che sta succedendo sui campi, la Rai ci ha visto giusto, perché è una fortuna non dover tutte le sante giornate di campionato, confermare una vittoria dubbia e l’errore arbitrale che renderebbe ancora più chiara l’idea che quei dubbi, quelle incertezze, quella “sudditanza psicologica” non è scomparsa, anzi….

Anche gli Sconcerti (la Juve non ha campioni), i Pistocchi (Krasic è un simulatore) e tutti gli altri “giornalisti sportivi” hanno trovato un ruolo ben preciso, mai come ora che sta emergendo l'amara realtà: le loro chiacchiere da bar ( o come le volete chiamare), distolgono l’attenzione nel momento opportuno, indirizzano le opinioni e finiscono per rappresentare la cultura sportiva italiana, quella dello zero assoluto.

Quanta ipocrisia in giro….

http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/...lio.asp?id=1350


 
 
 

Juve, anche Chelsea e Real Madrid su Neymar

Post n°3716 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

Mission impossible, o quasi. Così potrebbe parafrasarsi la riuscita della trattativa che dovrebbe portare il giovane attaccante brasiliano del Santos, Neymar, 19 anni, alla Juventus la prossima stagione. Il giocatore infatti ha una clausola rescissoria molto alta per un giocatore della sua età, circa 40 milioni di euro, cifra improponibile per i bianconeri, che d'altra parte, trovano anche difficoltà a trattare con il Santos, che non sembra avere intenzione di cedere la giovane promessa. La Juventus spera di trovare un accordo almeno con il  padre del giocatore, che detiene una parte del cartellino del figlio, grazie anche ai buoni uffici di Pelè, molto amico del padre del calciatore, e in buoni rapporti con la Juve e il presidente Agnelli. Il  club bianconero deve però guardarsi da club che potrebbero arrivare al giocatore anche in questa finestra di mercato, in virtù delle loro risorse economiche. In questo senso squadre come Chelsea e Real Madrid partono nettamente in vantaggio sulla Juve nella corsa a Neymar.

 
 
 

KRASIC AL CORSPORT: "SOGNO LA JUVE DA QUANDO AVEVO 11 ANNI"

Post n°3715 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

© foto di MASCOLO/PHOTOVIEWS

Milos Krasic è diventato per tutti i bianconeri la "Freccia Serba" conquistandosi la stima e l'affetto di compagni e tifosi grazie al suo impegno, alla sua classe, alla sua velocità e al suo amore per la Juventus. Milos ha scelto Il Corriere dello Sport per svelare un piccolo retroscena di mercato.

Milos Krasic, quando ha sognato per la prima volta la Juventus?

A undici anni, quando diventò la squa­dra di Vladimir Jugovic, il calciatore serbo che ha vinto più di tutti. Per noi ragazzini era un idolo, anche se io avevo un debole per Predrag Mijatovic.

Il Vojodina è un trampolino per la gloria: approdo in prima squadra, debutto nelle nazionali giovanili, la fascia di capitano, le sirene russe. E in mezzo – storia che pochi conoscono – uno stage al Milan.

Avevo sedici anni, fu un’esperienza bel­lissima. Con me c’era Milan Stepanov che adesso gioca in Turchia. Ci allenavamo con la Primavera di Tassotti e spiavamo i gran­di campioni rossoneri: Shevchenko, Gattu­so, Rui Costa...

Dicono che il Milan allacciò una trattati­va attraverso Franco Baresi, ma il Vojodi­na chiese troppo e finì tutto in bolle di sa­pone.

Non so, a noi avevano detto che era uno stage e non un provino, perciò non ci era­vamo fatti illusioni. Ci bastava respirare l’atmosfera di Milanello, assorbire metodi di lavoro che ignoravamo.

Il Manchester City ha insistito fino al­l’ultimo…

Volevo solo la Juve.

Stankovic le chiedeva di andare all’In­ter…

Non so dire, sinceramente, se il club ne­razzurro avesse inoltrato un’offerta concre­ta, ma non sarebbe cambiato nulla: la mia scelta era fatta. Con Dejan si scherzava sul mio futuro, ma accanto alle battute c’erano i consigli: mi ha aiutato a capire l’importan­za e la bellezza del campionato italiano.

Pavel Nedved: un paragone ingombran­te?

Ieri un grande campione, oggi un diri­gente sempre vicino alla squadra: non pos­so dire io se gli somiglio davvero, mi onora il fatto che abbia voluto dedicarmi belle pa­role.

La corsa: la sua caratteristica, la sua do­te migliore, la sua forza…

Ma non sono solo veloce: un po’ della creatività tipica dei calciatori serbi ce l’ho anch’io.

Sa che a Torino la sua maglia è la più venduta do­po quelle di Buffon e Del Piero?
 

Lo scopro ora, ne sono orgoglioso. Rin­grazio i tifosi che mi vogliono così bene e ringrazio i compagni che mi hanno accolto benissimo, permettendomi di ambientar­mi in fretta.

Ma questa Juve può vincere anche subito?

Inutile fare proclami, dobbiamo andare avanti passo dopo passo e fare i conti alla fine. Certo nulla è perduto: guardate la classifica, siamo tutti lì...  

Avrebbe potuto utilizzarla per innescare Edin Dzeko, invece…

Ha scelto il City, peccato perché è un grande calciatore: basta guardare il valore dei club che l’hanno cercato per compren­derne le qualità.

 
 
 

BUFFON A SKY SPORT - "VOGLIO TERMINARE LA CARRIERA ALLA JUVE"

Post n°3714 pubblicato il 21 Gennaio 2011 da nadir63l
 

 
© foto di Alberto Fornasari

Tifosi bianconeri non prendete appuntamenti per le 19 e 30 di stasera. Gianluigi Buffon sarà protagonista di un'intervista di Federico Ferri che andrà in onda su Sky Sport. Intanto, potete leggere qualche sua dichiarazione, molto importante, che il portierone ha rilasciato: "La dimostrazione che c'e stata d'amore incondizionato nei miei confronti da parte del pubblico è qualcosa che non può far rimanere.insensibili. Quando ci sono grandi aspettative nei miei confronti mi piace spesso rispondere presente. Mi auguro di poter continuare tutta la mia carriera qui alla Juve. Rapporti freddi col mister? Ho parlato spesso e volentieri con lui e si scherza anche. I calciatori guadagnano tanto? Penso ci siano determinati giocatori che è giusto che guadagnino certe cifre".

 
 
 

     

 

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