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Messaggi del 27/12/2011

Il pentito e le interpretazioni...

Post n°5630 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da nadir63l
 

Immagine IPB

Il famoso pentito di calciopoli atteso dalla scorsa estate ha, nei giorni precedenti il Natale ed attraverso un’intervista al
Corriere dello Sport , rilasciato delle gravi dichiarazioni sull’indagine del Colonnello Auricchio. Nessuna novità sui contenuti intuibili e trapelati (a proposito, perché nessuno si è mosso prima?) dalle molte indiscrezioni che hanno accompagnato la fase finale del processo calciopoli, ma il fatto che arrivino da uno degli investigatori della squadra di Auricchio aggiunge nuove certezze ad una vicenda che rimane sempre più “sporca” .

Le reazioni alla “confessione” hanno seguito i modi e gli scopi che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi cinque anni.
Dalle dichiarazioni di
Lepore abbiamo l’ennesima conferma: l’inchiesta è stata sempre indirizzata per raggiungere un unico obiettivo. Come interpretare altrimenti queste affermazioni?

- “Sapevo che la Juve era sotto inchiesta, ma anche che qualcuno voleva tirare in ballo altre squadre”. Chi?
- “Quando chiedevo lumi sull’Inter, perché sentivo lamentele sull’inesistenza di intercettazioni relative a questa squadra, i miei colleghi mi rispondevano sempre che non c’erano elementi a sostegno di quelle voci". Oggi che le ha ascoltate pensa ancora che non c’erano elementi utili?
- “Gli elementi a disposizione dell’inchiesta erano quelli e basta, mentre gli altri avevano poca consistenza dal punto di vista penale”. Ed ora che ha visto che non erano solo quelli?
- “I miei colleghi hanno sempre detto che tutto ciò che non è stato giudicato, non poteva dare corso a nessun atto processuale. Abbiamo visto che non è vero, allora cosa facciamo ora?

Ma la parte più sorprendente è quella che riguarda la fuga di notizie ed a chi addebitarla. A Tal proposito dichiara l’ex procuratore di Napoli: “Non si tratta di persone al nostro interno, perché quando c’è un processo vengono coinvolti tanti altri soggetti non strettamente collegati al pool di magistrati. Ci sono cancellieri, commessi, uomini della polizia giudiziaria, poi c’è il passaggio dall’ufficio del Gip a quello successivo, per cui basta una piccola uscita di notizie e si brucia l’indagine.”
E’ particolarmente attento alla questione, non è la prima volta che la tira in ballo cercando di sviare i sospetti.
Quello che sarebbe interessante sapere è che ruolo ha avuto Lepore in calciopoli (da protagonista sicuramente) e perché nessuno ha mai provato a fare chiarezza anche per questo aspetto.

Conclude il suo intervento sull’argomento dicendo che “si potrebbe aprire una nuova istruttoria”, ma “servirebbero altre intercettazioni che giustifichino l’inizio dell’azione penale”, sempre che “ i fatti in questione non siano talmente indietro nel tempo da risultare ormai prescritti.“
Cosa non hanno fatto (e cosa stanno ancora facendo) per non dover giudicare gli attori della farsa…

Anche la
gazzetta dello sport riprende la notizia con un editoriale del Direttore Monti: “Seguiremo con molta attenzione gli sviluppi di questa vicenda, pronti a raccogliere e consegnare ai lettori la voce di ogni testimone significativo. Purché, come è regola della casa, abbia un nome e un cognome . Sono garantisti in questo caso; non invitati al tavolo della confessione sono alla ricerca di un’identità per giustificare un eventuale interesse… Ma una bella analisi con la ricostruzione dei fatti così come realmente appaiono oggi, a quando? Lo stesso direttore scrive di un’inchiesta, quella di calciopoli, con “poche, faticose certezze”… .
Che le regole della gazzetta siano cosa seria lo sanno bene anche i loro lettori visto
l’andamento disastroso che ha visto il giornale rosa perdere quasi il 13% delle copie in un anno.

Replica anche il colonnello
Auricchio sempre dalle pagine della gazzetta: "Non ritengo sia necessario rispondere a dichiarazioni anonime che, fra l’altro, non corrispondono al vero. Servirebbe solo ad alimentare un’eco mediatica di fatti su cui la giustizia sia ordinaria, in primogrado, sia sportiva, in via definitiva, ha già giudicato".
Anche Auricchio non sa chi è l’anonimo pentito che ha rilasciato queste dichiarazioni? Magari qualcuno ci crede pure…
Il Colonnello prima o poi dovrà rispondere (speriamo) sull’accaduto, visto che Dondarini e Della Valle hanno già presentato un esposto a cui seguirà quello di Pieri e Moggi, fatti proprio per avere chiarezza…

Ma la prese di posizione più forte è quella di
Petrucci che per tutta risposta annuncia un nuovo tavolo della pace per chiudere calciopoli. Alla faccia della giustizia, della verità e dei valori dello sport: dopo aver firmato l’incompetenza adesso vuol guardare avanti firmando chissà cosa …

Chiediamoci perchè, in mezzo a tanta subdola ipocrisia, nessuno vuole sapere qualcosa di più da questo “pentito”...
L’intervista non sembra attualissima ma riproposta a distanza di qualche mese. Voci erano già circolate la scorsa estate, quando forse qualcuno troppo sicuro dell’assoluzione, le aveva usate solo come avvertimento...
Perché quindi è stata pubblicata solo oggi? Non sembra difficile intuirlo…

Il “pentito” parla di “cenette”: «Mi hanno raccontato di alcune cenette: Auricchio, Arcangioli, Narducci, anche altri personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli. In qualche caso, mi sono chiesto che importanza poteva avere andare a mangiare con Narducci. Sono andati a cena a Napoli, di fronte al Vesuvio, a Castel dell’Ovo. . . da Zi’ Teresa. E non c’erano solo gli investigatori», ma non fa nomi. Perché? Chi ha partecipato a quegli incontri? Cerca protezione da qualcuno per aggiungere dettagli e presentarsi in qualche procura, o fa parte di una precisa strategia che man mano sarà sempre più chiara?

Poi “anonimo”… ma è così difficile identificarlo?

http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/...lio.asp?id=2038


 
 
 

Moncalvo: I Magifici "12", Galdi, La Copertura Dall'alto, le cenette....

Post n°5629 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da nadir63l
 

MILANO, 27 dicembre 2011 - La clamorosa intervista di Edmondo Pinna, pubblicata sul “Corriere dello Sport” di venerdì sicuramente la prima di una serie di prossime puntate - apre nuovi scenari sul retrobottega delle indagini, condotte in una sola direzione, riguardanti “Farsopoli”. Pinna ha intervistato uno dei “magnifici dodici” del gruppo di investigazione. Finalmente, per gli amanti della verità, arriva una importante conferma di come tali indagini sono state fatte. È un racconto da brividi poiché, se questi sono i metodi di investigazione, chissà quanti innocenti sono in galera o sono stati condannati, quanti malfattori gongolano, e quanti colpevoli di reati ben più gravi, importanti e dannosi di quelli di “Farsopoli”, l’hanno fatta franca.

Primo dato. In via dei Selci a Roma, sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, una delle strutture che in genere conduce le indagini più delicate di tutta Italia, lavorano 60 investigatori. Per lunghissimo tempo, nell’arco di qualche anno, dodici di questi uomini - un quinto dell’intero organico -, cioè ufficiali, sottufficiali e agenti di polizia giudiziaria sono stati destinati a occuparsi di “Farsopoli”. Nel paese certo c’erano indagini ben più importanti da svolgere. Ad esempio, nel 2006, quella sullo “strano” spoglio delle schede che a tarda notte aveva capovolto, per poche migliaia di voti, il risultato delle elezioni politiche consegnando a Romano Prodi il governo della nazione. Ma evidentemente il “capo” politico dei carabinieri, cioè il ministro della Difesa Arturo Parisi, molto amico di Prodi, portò una ventata di “aria nuova” agli alti comandi di viale Romania. Un’aria che scese giù per li rami fino ad arrivare ai gradi inferiori. Il problema più rilevante, dunque, è questo: chi ha fatto in modo, e dato ordine, che quell’inchiesta diventasse prioritaria e assorbisse così tante energie di uomini e mezzi? Tale scelta ovviamente non va attribuita ai carabinieri, ma - oltre al superiore livello politico - anche ai magistrati di Napoli che avevano ordinato un certo tipo di inchiesta agli uomini in divisa.

I magnifici 12
C’è un secondo aspetto. La “filiera” al vertice dei “magnifici 12 investigatori della squadra Off-side”era composta, in ordine gerarchico decrescente, dal tenente colonnello Giovanni Arcangioli, il maggiore Attilio Auricchio, e infine il maresciallo capo Michele Di Laroni, braccio destro di Auricchio. Furono questi ultimi due a dare all’inchiesta in nome in codice “Off-side”. Un giornalista della “Gazzetta”, Maurizio Galdi, inviato in pianta stabile al processo di Napoli, scrisse: «Off-side perché il desiderio è di mettere in fuorigioco l’intero sistema calcio. Sono gli unici a sapere ciò che sta succedendo, per due anni vivranno nell’ombra, mimetizzandosi». Tanta enfasi e tali tinte eroiche su Auricchio e Di Laroni forse erano dovute al fatto che il maresciallo fece addirittura ricorso contro una multa presa dal giornalista. Dato che si scoprì che il reporter era, fin dall’inizio delle indagini, un collaboratore dei carabinieri. E quindi non si trovava nelle migliori condizioni di obiettività per scrivere su quel tema. Anche se, di certo, riceveva soffiate unidirezionali per dar corpo a un certo tipo di teorema accusatorio. Ma su di lui, né l’Ordine dei Giornalisti, né la direzione del suo giornale, ha mosso un dito...

Copertura dall’alto
Dall’intervista dell’investigato re “indignato”, e col voltastomaco, protagonista del racconto al “Corriere dello Sport”, emergono altri dati preoccupanti: quando viene avviata un’inchiesta, che ha una forte “copertura dall’alto”, poi accade che a prendere il sopravvento siano due o tre elementi della squadra investigativa che condizionano il lavoro di tutti e, valendosi del loro grado, ne possono combinare di tutti i colori raccogliendo materiale che poi determina processi falsati. Bastano un paio di inquirenti in mala fede e si arriva a tutto tranne che alla la ricerca della verità, badando solo a compiacere la direttiva arrivata, oppure a procurare vantaggi a coloro cui fa gioco quell’indagine.
C’è ad esempio, la notizia di incrinature al vertice: il responsabile delle indagini, Arcangioli, ha firmato solo la prima informativa dei carabinieri e non la seconda, quella sul Milan. Dimostrando che non condivideva il lavoro di Auricchio e Di Laroni e non si voleva assumere la responsabilità delle loro “conclusioni”. Ma allora perché è rimasto al suo posto? Arcangioli arrivò “ai ferri corti” con Auricchio: considerava giustamente inopportuno andare avanti con un’indagine che non portava risultati, che appariva debole e senza riscontri, nonostante impegnasse una buona parte dell’orga nico della caserma. Com’è possibile che, nonostante l’aperta dissociazione del suo superiore, Auricchio poté continuare le indagini “a modo suo”? Su quali “protezioni” poteva contare? Andiamo avanti. «Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un tavolo», e ognuno parlava dei risultati dello spicchio di indagini o intercettazioni a lui affidate, dice l’investigatore intervistato. «Le telefonate dell’In ter? Che ci stavano si sapeva...». Si faceva il punto, ma alla fine erano «Auricchio e Di Laroni che decidevano cosa mettere o non mettere nell’informativa». A loro completa discrezione... Ogni telefonata intercettata veniva inserita nel brogliaccio e, per capirne la rilevanza prima di trascriverla o meno, si indicavano tre “baffetti rossi” col pennarello accanto ad essa, se era considerata importante. Come mai molte di queste telefonate con i baffetti rossi non sono finite nell’inchiesta? «Evidentemente non ci dovevano andare (….). So soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, ’sto mattone..». E Auricchio e Di Laroni hanno evitato di mettere molti mattoni... Ecco spiegato perché certe intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, anche se le telefonate «c’erano perché ci sono le registrazioni». Ma di spiegazione ce n’è un’altra, inquietante: «La cosa un po’ anomala è il server delle intercettazioni. È in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura: “Guarda, la “Postazione 15” qui non funziona, che è successo?”. “Vabbé adesso controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse...”». Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio? «Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni...». E ancora: è tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo? «Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde». Questo fa pensare che c’erano altre orecchie in ascolto, magari in un palazzo di Milano. E quando sentivano certe cose, o si accorgevano dei numeri di appartenenza di chi stava chiamando o rispondendo, staccavano il server e impedivano anche ai carabinieri di registrare...

Orecchie tese
Insomma, intercettazioni selezionate e pre-selezionate. Sia alla fonte, in origine, straccando il server. Sia dopo, evitando di farle trascrivere. Con una ulteriore appendice molto italiana o napoletana, a detta dell’intervistato: cenette a Napoli, da “Zi’ Teresa”, con Auricchio e Arcangioli con uno dei pm dell’inchiesta. L’investigatore non fa il nome dell’ex pm Beatrice, che già si era smarcato dichiarando che fino al 2009, prima di passare ad altro incarico, non conosceva quelle telefonate ritrovate dalla difesa di Moggi. Sugli “altri personaggi” delle cenette, il “Corriere dello Sport” ci darà certo ragguagli. Così come il bravissimo Pinna (mi raccomando, occhio a non parlare al telefono...) ci dirà quanti caffè presero insieme Auricchio e Baldini, per esempio, perché i numeri che hanno dato nelle loro risposte in aula non combacia. A questo punto - come da anni afferma .... «solo una “indagine sull’indagine” potrà cercare di dare le risposte a molte domande su tanti fatti poco chiari e chiariti, anche perché chi dovrebbe fare informazione cercando la verità e facendo indagine si è invece accontentato di chiedere ad Auricchio, dopo la sentenza, se avesse “stappato lo champagne?”. Buchi rosa e buchi neri, ma da oggi un po’ meno neri».

Moncalvo su Libero


 
 
 

     

 

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