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HIROSHIMA

Post n°3 pubblicato il 12 Agosto 2006 da lade.blog
 

Quel mattino prima delle sei era già così chiaro e così caldo che si
preannunciava una giornata di forte canicola. Qualche istante dopo,
risuonò una sirena: la suoneria di un minuto annunciava la presenza di
aerei nemici, ma indicava anche agli abitanti di Hiroshima, con la sua
brevità, che si trattava di un pericolo di scarsa entità. Perché quella
sirena suonava ogni giorno, sempre alla stessa ora, quando l'aereo
meteorologico americano si avvicinava alla città.

Hiroshima aveva una
forma a ventaglio: la città era costruita su sei isole, separate dai
sette rami dell'estuario che si allargavano verso l'esterno a partire
dal fiume Ota. I suoi quartieri abitativi e commerciali si estendevano
su oltre sei chilometri quadrati al centro del perimetro urbano. Là
risiedevano i tre quarti degli abitanti. Numerosi programmi di
evacuazione avevano già ridotto notevolmente la popolazione, che era
passata da 380.000 anime prima della guerra a circa 245.000. Le
fabbriche e i quartieri residenziali, come pure i sobborghi popolari,
si trovavano al di là dei limiti della città. A sud erano stati
costruiti l'aeroporto, le banchine e il porto sul mare Interno,
punteggiato da una manciata di isole (1). Una cortina di montagne
racchiude l'orizzonte sugli altri tre lati del delta del fiume.

La
mattina era di nuovo calma, tranquilla. Non si sentiva alcun rumore di
aerei. Allora, ad un tratto, il cielo fu squarciato da un lampo
luminoso, giallo e brillante come diecimila soli. Nessuno ricorda di
aver inteso il minimo rumore a Hiroshima, quando è scoppiata la bomba.
Ma un pescatore che remava sulla sua barca, nei pressi di Tsuzu, nel
mare Interno, vide il bagliore e udì un'esplosione terrificante. Si
trovava a trentadue chilometri di distanza da Hiroshima e, secondo lui,
il rumore fu molto più assordante di quando i B29 avevano bombardato
Twakuni, una città distante solo otto chilometri.

Una nube di polvere
cominciò a innalzarsi al di sopra della città, oscurando il cielo come
un crepuscolo. Alcuni soldati uscirono da una trincea, in un fiume di
sangue, che scorreva dalla loro testa, dal petto, sulla schiena. Erano
muti, storditi. Una visione da incubo. I volti completamente bruciati,
le orbite vuote, il liquido degli occhi fusi che colava sulle guance.
Certamente stavano guardando verso il cielo, al momento
dell'esplosione. La bocca non era più che una ferita rigonfia e coperta
di pus...
Alcune case erano in fiamme. Dal cielo cominciarono a
piovere gocce d'acqua grandi come biglie. Erano gocce d'umidità
condensata che cadevano dal gigantesco fungo di fumo, di polvere e di
frammenti di fissione nucleare che si innalzava già per diversi
chilometri al di sopra di Hiroshima. Le gocce erano troppo grosse per
essere normali gocce di pioggia. Qualcuno si mise a gridare: "Gli
americani ci bombardano di benzina. Vogliono bruciarci vivi!" Ma
naturalmente erano gocce d'acqua, e mentre cadevano il vento prese a
soffiare sempre più forte, forse alimentato dal formidabile risucchio
d'aria provocato dalla città in fiamme. Alcuni alberi enormi furono
abbattuti; altri, meno grandi, sradicati e proiettati nell'aria, in cui
volteggiavano, in una sorta di imbuto di uragano folle, le macerie
della città: tegole di tetti, porte e finestre di case, indumenti,
tappeti...

Dei 245.000 abitanti di Hiroshima, quasi 100.000 erano
morti o erano stati mortalmente feriti all'istante dell'esplosione.
Altri 100.000 erano feriti. Almeno diecimila di quei feriti, che erano
ancora capaci di muoversi, si incamminarono verso l'ospedale principale
della città. Ma l'ospedale non era in grado di accogliere un'invasione
simile. Dei centocinquanta medici di Hiroshima, sessantacinque erano
morti sul colpo, tutti gli altri erano feriti. Delle 1.780 infermiere,
1.654 avevano incontrato la morte o erano troppo gravemente ferite per
poter lavorare. I pazienti arrivavano trascinandosi in qualche modo e
si sistemavano un po' ovunque - rannicchiati o distesi a terra nelle
sale d'attesa, i corridoi, i laboratori, le corsie, le scale, il
porticato d'ingresso e sotto il portone, e anche nel cortile, e poi
ancora fuori, a perdita d'occhio, fra le strade ridotte a macerie... I
feriti meno gravi si prendevano cura dei mutilati.
Intere famiglie di
persone dal volto sfigurato si aiutavano a vicenda. Alcuni feriti
piangevano, molti vomitavano. Alcuni avevano le sopracciglia bruciate e
la pelle penzolava a brandelli dal volto e dalle mani. Altri, per il
dolore, avevano le braccia sollevate, come se sostenessero un peso fra
le mani. Se si prendeva un ferito per mano, la pelle si staccava a
brandelli, come si sfila un guanto...
Molti erano nudi o coperti di
stracci. Le ferite, gialle, diventavano rosse, gonfie, la pelle si
scollava. Poi cominciavano a suppurare, esalando un odore nauseabondo.
Su alcuni corpi nudi, le ferite avevano disegnato il contorno degli
indumenti scomparsi. Sulla pelle di alcune donne - poiché il bianco
rifletteva il calore della bomba, mentre il nero lo assorbiva e lo
veicolava verso la pelle - si vedeva il disegno a fiori del kimono.
Quasi tutti i feriti avanzavano come sonnambuli, la testa dritta, in
silenzio, lo sguardo vacuo.

Tutte le vittime che avevano subito
ustioni e gli effetti dell'impatto della bomba avevano assorbito
radiazioni mortali. I raggi radioattivi distruggevano le cellule,
provocavano la degenerazione del nucleo e spezzavano le membrane
cellulari. Chi non era morto sul colpo, e non era stato neppure ferito,
si ammalò dopo pochissimo tempo - accusando nausea, violente emicranie,
diarrea, febbre. Sintomi che duravano parecchi giorni. La seconda fase
cominciò dieci o quindici giorni dopo la bomba. Prima cominciarono a
cadere i capelli, poi venivano la diarrea e una febbre altissima, fino
a 41 gradi.

Dai venticinque a trenta giorni dopo l'esplosione,
comparirono le prime malattie del sangue: sanguinamento delle gengive,
crollo drammatico dei globuli bianchi, scoppio dei vasi sanguigni della
pelle e delle mucose. La diminuzione dei globuli bianchi riduceva la
resistenza alle infezioni; la minima ferita impiegava lunghe settimane
prima di guarire; si sviluppavano infezioni della gola e della bocca.
Alla fine della seconda fase - se i pazienti erano ancora vivi -
insorgeva l'anemia (il calo dei globuli rossi). In questa fase, molti
malati morivano di infezioni polmonari.
Tutti coloro che si erano
imposti un certo periodo di riposo dopo l'esplosione avevano meno
probabilità di ammalarsi rispetto a chi si era mostrato più attivo. I
capelli grigi cadevano di rado. Ma il sistema riproduttivo fu colpito
per sempre: gli uomini diventarono sterili, tutte le donne incinte
abortirono, tutte le donne in età fertile si accorsero che si era
bloccato il loro ciclo mestruale...

I primi scienziati giapponesi che
giunsero qualche settimana dopo l'esplosione notarono che il lampo
della bomba aveva mangiato il colore del cemento. In certi punti, la
bomba aveva lasciato segni corrispondenti alle ombre degli oggetti
illuminati dal suo bagliore. Per esempio, gli esperti avevano trovato
un'ombra permanente proiettata dalla torre della Camera di commercio
sul tetto del palazzo. Si trovarono anche i contorni di corpi umani sui
muri, come i negativi di rullini fotografici. Al centro
dell'esplosione, sul ponte che si trova vicino al Museo delle scienze,
un uomo e il suo carretto erano stati immortalati in un'ombra così
precisa da indicare che nel momento in cui l'esplosione aveva
letteralmente disintegrato entrambi, l'uomo stava per frustare il
cavallo...


John Hersey*
Fonte:www.sagarana.it
http://www.sagarana.
it/rivista/numero22/saggio4.html
Gennaio 2006

*** Inviato via e-mail da Simone Bilotta il 07/08/2006 ***

 
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