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LA STORIA DI MATA E GRIFONE

Post n°315 pubblicato il 12 Settembre 2011 da tignalucida

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ore ha una sua particolare dimensione nel contesto di quelle che sono le iniziative e le manifestazioni del Ferragosto Messinese e tra queste significativa è la sfilata su due grandi cavalli, per le strade della citta, dei giganti mitici fondatori Mata e Grifone, che fa da prologo alla suggestiva processione della "Vara" il 15 Agosto. Mata e' una nobile fanciulla e Grifone il saraceno venuto per depredare e saccheggiare. Oltre ad essere bellissima, Mata e' intelligente, dotata di un carattere forte e deciso. La sua fede nel cristianesimo e' incrollabile, tutti i tentativi del Grifo per conquistarla e sottometterla risultano vani. La risolutezza e la determinazione di questa fanciulla dai modi gentili conquistano il saraceno a tal punto che, la crudelta che fino ad allora era stata il vanto delle sue scorrerie, lascia il posto ad atteggiamenti piu indulgenti e pacifici. Il Grifo e' talmente affascinato, ammaliato dalle grazie di Mata che decide di convertirsi alla fede cristiana; e' ora un cavaliere dedito al trionfo della giustizia, in difesa dei deboli e degli oppressi. Mata e Grifone sono finalmente insieme in questo nobile proposito, decidono di stabilirsi in questa parte dell'Isola fondando la citta di Messina... cosi la leggenda.In alto il Cristo regge sul palmo della mano la Madonna Assunta in Cielo e gli Angeli festosi girano intorno al Sole e alla Luna in un tripudio di voci acclamanti la SS. Vergine protettrice di questa cristianissima città. Migliaia di fedeli, a piedi nudi, trainano a braccia il grande carro che poggia sull'asfalto senza ruote. Ad ogni strattone corrisponde un W Maria che commuove e, nel vedere tanta genuina partecipazione e la fede così intensa che i messinesi hanno per la Madonna, riempie il cuore di gioia. Fuochi di Mezzanotte - FERRAGOSTO MESSINESE Tra favola e realtà: La Fata Morgana "Ruggero il Normanno invitato dai messinesi a rompere gli indugi e venire a liberare Messina e la Sicilia dalla dominazione musulmana, un giorno passeggiava solitario su una spiaggia della Calabria e, rimirando la costa siciliana studiava come aver ragione degli arabi che sapeva ben agguerriti e numerosi, mentre al suo servizio poteva contare solo su uno sparuto nucleo di cavalieri e navi. Era così intento a meditare, quando gli parve di udire una marziale musica di guerra, intramezzata di lamenti e sospiri di schiavi, da imprecazioni pagane e il tutto circonfuso da un meraviglioso odore di zagare in fiore. Lì, nei pressi, sostava un eremita e a lui Ruggero si rivolse per chiedere notizie di quel fatto così misterioso. L'eremita allungò il braccio e gli indicò la costa siciliana. "Lì, gli aranci sono in fiore, lì c'è musica e lamenti perché lì ballano i saraceni e piangono i cristiani in schiavitù!" Ruggero il normanno rimase silenzioso... d'un tratto, il mare ribollì. Un cerchio di spuma apparve alla superficie e da essa sporse la testa una bellissima fata, la Fata Morgana che... sul fondo del mare ha il suo più bello e antico palazzo... "Che pensi, oh Ruggero? -gli gridò Morgana- Salta sul mio cocchio ed in breve ti porterò in Sicilia! "Ma il conte le rispose: "Grazie Morgana. Ma io vado alla guerra sul mio cavallo e con le mie navi e non sopra il tuo cocchio fatato..." Allora la fata agitò tre volte la sua verga magica nell'aria e in acqua lanciò tre sassi bianchi. In quel punto, magicamente, sorsero subito case e palazzi, strade e ville, e meravigliosamente tutta la Sicilia apparve così vicina da poter essere toccata con le mani. Guarda la mia potenza! - disse ancora la fata - Eccoti la Sicilia! Sali sul mio cocchio ed io ti porterò colà". Ruggero però rifiutò ancora una volta. "Non con l'inganno io libererò la Sicilia dal paganesimo. Essa me la dara' Cristo Nostro Signore..." Al nome santo di Cristo la fata agitò ancora la sua bacchetta magica nell'aria e i castelli, le strade e le ville di prima sparirono di colpo, mentre lei stessa svaniva lestamente assieme al suo cocchio fatato e ai cavalli bianchi azzurro crinIL FENOMENO DELLA FATA MORGANA In alcuni giorni tersi di una limpidezza straordinaria la costa calabra sembra tanto vicina che le case, le strade e le persone si possono quasi toccare con le mani... Gli oggetti appaiono come sospesi in aria, con dimensioni e forme mutevoli: il fenomeno è dovuto alle variazioni della densità dell'aria prodotta da elevati gradienti di temperatura in vicinanza del suolo e alla conseguente variazione dell'indice di rifrazioUna grave carestia nel 1603 affliggeva il popolo messinese, malattie e desolazione flagellavano la città, la mancanza di cibo rendeva la situazione drammatica, senza possibilità di soluzione. Il Senato messinese decise di bloccare tutte le navi che transitavano nello Stretto allo scopo di dirottare a Messina quelle cariche di derrate alimentari. Il capitano di una grande nave che trasportava grano ebbe sentore di questa grave carestia che affliggeva Messina così, per evitare il sequestro, decise all'ultimo di invertire la rotta ma una tempesta glielo impedì e, per evitare il naufragio nei gorghi di Scilla e Cariddi, dovette riparare nel Porto di Messina. La popolazione si ritrovò miracolosamente un carico cospicuo di grano che permise di risolvere in massima parte la grave carestia che l'affliggeva. La fantasia popolare ha poi arricchito di particolari questi fatti: l'intervento divino, infatti, ha permesso la salvezza del popolo messinese. Per ricordare l'evento, ogni anno, nel giorno del Corpus Domini, viene portato in processione un Vascelluzzo d'argento, addobbato di spighe di grano, finemente cesellato dai F.lli Juvara nel 1698, conservato nel Tesoro del Duomo. ne. Ancora oggi, attraversando lo Stretto di Messina con la nave traghetto, non si può fare a meno di pensare a Ulisse e a tutte le difficoltà che dovette affrontare per poter ritornare a Itaca. La maga Circe lo aveva avvertito dei pericoli che lo attendevano al passaggio tra gli scogli e i vortici dei paurosi mostri Scilla e Cariddi. Sullo sfondo dello Stretto di Messina il calco ricostruttivo del gruppo di Scilla rinvenuto nella grotta della Villa di Tiberio a Sperlonga in provincia di Latina e ricostruito da 7000 frammenti. SCILLA, la mostruosa figlia di Ecate, legata all'oltretomba e alla luna, attendeva Ulisse e i suoi compagni sulla costa calabra con ululati disumani, emergendo dal mare simile a una gigantesca piovra con sei colli, dodici braccia e una bocca serrata dai denti, mentre CARIDDI si celava in una grotta della costa messinese, all'altezza dell'odierno rione di Ganzirri e minacciava i navigatori gorgogliando e creando mulinelli per inghiottire le imbarcazioni di passaggio. Molti compagni di Ulisse vennero trascinati negli abissi e divorati nei gorghi di Cariddi, l'eroe, però, riusci ad approdare sulla "Terra del Sole" nelle vicinanze di Taormina dove pascolavano le greggi del dio Elio. Qui, alle falde dell'Etna, Ulisse per sfamarsi infranse un terribile tabù facendo macellare un gran numero di buoi sacri al dio. La collera degli dei si abbatté su Ulisse che dovette nuovamente sfidare il mare tumultuoso tra Scilla e Cariddi; questa volta nessun uomo sopravvisse, ad eccezione dell'eroe omerico che naufrago, aggrappato ai legni spezzati dell'imbarcazione sarà sospinto verso l'isola di Calipso. iti".

 
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Post n°313 pubblicato il 09 Settembre 2011 da tignalucida

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stretto di messina

Post n°312 pubblicato il 04 Settembre 2011 da tignalucida

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CRONOLOGIA SOMMARIA DELLA SCOZIA DEL PERIODO DI WILLIAM WALLACE CUORE IMPAVIDO BREVEHEART

Post n°309 pubblicato il 29 Agosto 2011 da tignalucida

xxCRONOLOGIA SOMMARIA DELLA SCOZIA 843 - Kennet MacAlpin re del Galloway e poi degli Scoti diventa anche re dei Pitti. 945 - Malcolm I acquista lo Strathclyde 1018 - Malcolm II riceve il Lothian, finora parte della Northumbria 1040 - Usurpazione di Macbeth (Maelbeatha) 1057 - Muore Macbeth : Malcolm III Canmore 1067 - Malcolm Canmore sposa Margherita, sorella dell'AEtheling Eadgar 1072 - Guglielmo il Conquistatore invade la Scozia e fa suo vassallo Malcolm (trattato di Abernethy) 1093 - Muore Malcolm Canmore : usurpazione di Donald Bane 1097 - Guglielmo il Rubicondo mette sul trono Eadgar figlio di Malcolm Canmore e Margherita 1100 - Matilda, figlia di Malcolm Canmore, sposa Enrico I 1107 - Muore Eadgar : Alessandro I - David succede allo Strathclyde 1124 - Muore Alessandro I : David di Huntingdon 1138 - Battaglia dello Stendardo 1153 - Muore David : Malcolm IV che sottomette il Galloway e le coste occidentali 1165 - Muore Malcolm IV: Guglielmo il Leone 1174 - Guglielmo il Leone accetta l'alta sovranità inglese (convenzione di Falaise) 1185 - Enrico II affida il Galloway alla Scozia 1188 - I sei vescovadi scozzesi dipendenti direttamente dalla Santa Sede 1214 - Muore Guglielmo il Leone : Alessandro I I 1232 - Prima fissazione del confine fra Inghilterra e Scozia 1249 - Muore Alessandro II: Alessandro III 1251 - Alessandro III sposa Margherita, figlia di Enrico III 1263 - Ultima invasione norvegese respinta (battaglia di Largs) 1266 - Magnus IV di Norvegia cede alla Scozia Man e le Ebridi tenendosi le Orcadi e Shetland 1281 - Margherita figlia di Alessandro III sposa Eric di Norvegia 1286 - Muore Alessandro III 1290 - Muore Margherita, « fanciulla di Norvegia » 1291 - Arbitrato di Edoardo I per la successione al trono 1292 - Giovanni Baliol re di Scozia 12 95-6 - Detronizzazione di Giovanni Baliol - Conquista della Scozia 1297 - Inizio della rivolta di Wallace - Battaglia del ponte di Stirling o di Cambuskenneth 1298 - Battaglia di Falkirk : Wallace sconfitto 1299 - Conquista del castello di Caerlaverock - Pretese papali di alta sovranità 1303 - Battaglia di Roslin : sconfitta inglese 1303-4 - Riconquista inglese della Scozia 1305 - Supplizio di Wallace - Ordinamento del governo scozzese 1306 - Roberto VIII Bruce coronato a Scone re di Scozia - Viene sconfitto a Methven 1307 - Gli Inglesi sconfitti a London Hill 1314 - Battaglia del Bannockburn 1323 - Vittoria scozzese a Byland 1326 - I borghesi compaiono nel Parlamento scozzese (parlamento di Cambuskenneth) 1328 - L' Inghilterra riconosce l'indipendenza della Scozia (trattato di Northampton) 1329 - Muore Roberto Bruce : Davide II Bruce 1332 - Vittoria dei feudatari inglesi « diseredati » sugli Scozzesi a Dupplin 1333 - Vittoria inglese a Halidon Hill 1346 - Vittoria inglese a Neville's Cross 1357 - Trattato di Berwick 1371 - Muore Davide I I Bruce : Roberto I I « the Steward » 1513 - Giacomo IV battuto a Flodden 1603 - Giacomo VI Stuart succede al trono inglese 1707 - Unione della Scozia con l'Inghilterra.

 
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LA VERA STORIA DI WILLIAM WALLACE BREVEHEART CUORE IMPAVIDO

Post n°308 pubblicato il 29 Agosto 2011 da tignalucida

William Wallace (Elderslie 1270 - Londra 1305) - Eroe nazionale scozzese. Nella lotta contro gli inglesi che avevano deciso di occupare la Scozia, il poco più che venticinquenne Wallace, divenne improvvisamente il capo della rivolta nazionale, tentando di organizzare lo stato e di consolidare la spinta indipendentistica. Dopo un'impari lotta con le truppe di Re Edoardo I, catturato con il tradimento, finì tragicamente impiccato a Westminster. Ma la sua figura assurse nei secoli seguenti a simbolo della libertà scozzese e divenne protagonista di saghe e ballate popolari.

Nel 1296 Edoardo I era stato costretto ad abbandonare le impopolari imprese in Francia per volgersi - con una sua prima campagna- con tutte le forze del regno contro la Scozia, nemica vicina quindi nemica per tutti gli Inglesi. Come guerra di difesa nazionale la guerra contro la Scozia non suscitava proteste come le imprese sul continente: la minaccia alle province del nord accomunava gli Inglesi al Re che voleva imporre la sua supremazia alla Scozia. Così, dal grave, imperdonabile errore di aver provocato il sorgere d'una ostilità scozzese contro l'Inghilterra, e quindi di questa contro quella, separando così per secoli due nazioni conterranee che avrebbero potuto ben prima fondersi insieme, derivò almeno il beneficio d'un accordo tattico fra Re e paese. Dopo questa prima vittoriosa campagna del 1296 (dove sconfisse gli Scozzesi e ne depose il re, John Baliol), ottenuto il giuramento di tanti nobili, Edoardo I credeva d'aver la Scozia in pugno, e mentre teneva prigioniero il disgraziato Baliol, aveva imposto al regno settentrionale un guardiano nella persona d'un grande feudatario di antica stirpe normanna, Giovanni di Warenne conte del Surrey, che lo aveva aiutato efficacemente nelle campagne del Galles e della Scozia. Ma era uomo vecchio e neghittoso, e lasciò le cose in mano ad alti funzionari inglesi: Guglielmo di Ormsby, nominato giustiziere di Scozia, e Ugo di Cressingham, tesoriere. Naturalmente, cominciò una serie di soprusi, di vessazioni burocratiche - il modo più sicuro di provocare un'insurrezione. Ma ad essa mancavano capi : i grandi nobili scozzesi erano in esilio; gli altri, impegnati dal giuramento di fedeltà, non osavano muoversi.

Sorse allora, dalle schiere della minore nobiltà, il corifeo della riscossa nazionale, GUGLIELMO WALLACE (o Walleys o Wallas). Era un piccolo proprietario delle Basse Terre occidentali, poco più che venticinquenne, probabilmente di origine normanna poi, si pretese che parlasse gaelico e portasse l'abito scozzese. E ben difficile formulare un giudizio sul carattere e sul patriottismo di Wallace - uno scampaforche, un assassino crudele secondo i cronisti inglesi; secondo gli Scozzesi e secondo il suo poeta, Harry il Cieco, un eroe generoso, gigantesco, di forza incredibile, che fendeva i nemici dalla testa ai piedi con un sol colpo di spada. È il solito destino storico degli eroi nazionali - filibustieri e ribelli secondo la nazione dominante, santi combattenti agli occhi degli oppressi. Si narra che soldati inglesi avessero offesa (o uccisa) una donna che egli amava e perciò egli assaltasse la guarnigione di Lanark con pochi seguaci, e ammazzasse Sir Guglielmo di Hazelrig, sceriffo inglese. Si gettò alla macchia, nella primavera del 1297, e gradualmente tutti gli sbandati, i malcontenti, gli inquieti si riunirono intorno a lui. La sua tattica offensiva, la guerriglia, attacchi di sorpresa, imprese leggendarie ora in fuga ora all'offensiva, Wallace incuté tale terrore che al suo avvicinarsi a Scone, il giustiziere Ormsby scappò in Inghilterra. Il vescovo palatino di Durham cercò di affrontarlo, e venne volto in fuga. Poi, il guardiano Warenne si decise a muoversi, chiamò sotto le armi gli uomini a nord dellaTrent e mosse contro i ribelli con 300 uomini a cavallo e 40 mila pedoni. Intanto Wallace aveva proclamato di combattere in nome del re Baliol tenuto prigioniero, e a lui si era unito anche lo sfortunato difensore di Berwick, Guglielmo signore di Douglas, forse di una famiglia fiamminga che aveva larga parentela e sparsi domini in Scozia. Chi restava in posizione equivoca era il nipote del competitore di Baliol, Roberto Bruce : suo padre aveva combattuto a fianco di Edoardo I contro Baliol nel 1295 e ora viveva contento nei feudi inglesi della famiglia, mentre Roberto teneva i domini scozzesi della madre come conte di Carrick. Ma rimaneva incerto : un po' perché non voleva combattere a favore del Baliol, un po' perché la gente di Annandale (il dominio scozzese del padre) rifiutava di seguirlo. L'esercito inglese, comandato da Sir Henry Percy, nipote di Warenne, giunse rapidamente a Irvine, incutendo terrore ai ribelli non ancora ben organizzati. Molti dei nobili che si erano uniti a loro chiesero perdono e giurarono fedeltà a Edoardo I - tra essi, Roberto Bruce e Guglielmo Douglas. Intanto Wallace, con la gente più umile e più decisa che accorreva a lui dalle Basse Terre settentrionali, cacciava gli Inglesi da Perth, Stirling Bridge, Lanark. L'esercito regio, ora guidato da Warenne e dal tesoriere Cressingham, procedette verso il ponte sulla Forth, dominata dal castello di Stirling, chiave della Scozia ché eretto dove finisce l'estuario e si restringe il fiume che divide le Basse Terre del sud dalle regioni del nord. Naturalmente le forze di Wallace erano quasi tutte a piedi (180 cavalieri e qualche migliaio di fanti) : gli Scozzesi, tra le loro montagne, non erano abituati ai cavalli : e così si ha uno dei primi casi di fanterie armate di picche o di asce contro i cavalieri feudali, abituati a considerare i pedoni come marmaglia da disperdere. Le ripetute sconfitte della cavalleria, alla lunga, faranno capir qualcosa anche ai militari (mai famosi per intelligenza e preveggenza) e indurranno Edoardo I e suo nipote a portare sulla fanteria il peso delle future battaglie. Wallace prese posizione sulle piccole elevazioni che comandavano l'ansa del fiume e gli assicuravano una via di ritirata verso le montagne. L'armata inglese, sicura per il numero e per i cavalieri pesanti, cominciò a passare il ponte; quando fu passata metà dell'armata, Wallace lanciò un contingente a conquistare la testa del ponte e attaccò di fronte le forze già sulla sua riva. Confusione, strage : Cressingham restò ucciso, Warenne scappò fino a Berwick (Settembre 1297). La Scozia rimase libera, Wallace prese il titolo di "guardiano del regno" in nome di Baliol, occupò tutti i castelli, anche quello di Berwick, sconfinò in Inghilterra devastando il Northumberland e il Cumberland, con crudeltà spietata, coadiuvato dai nobili scozzesi settentrionali che tentarono anche di prendere Carlisle. Edoardo I tornò in Inghilterra nel Marzo 1298, assetato di vendetta. Convocò un Parlamento a York, i nobili gli diedero pieno appoggio : un mese dopo, si radunava un esercito di quasi 3000 uomini a cavallo (per metà mercenari, per metà signori e dipendenti inglesi) oltre a un numero imprecisato di soldati. La scarsità di viveri nel paese devastato, l'indisciplina dei contingenti gallesi minacciarono il successo. Ma Wallace commise l'errore di attendere e accettare battaglia anziché temporeggiare, pur non avendo che un numero trascurabile di armati pesanti. I due eserciti si affrontarono a Falkirk (Luglio 1298). Wallace dispose le sue forze in quattro masse (schiltron) di picchieri, che tenendo le picche inclinate in avanti e col calcio piantato in terra, offrivano un ostacolo insuperabile alla cavalleria pesante; pochi arcieri difendevano gli approcci. La fronte era protetta da un marese, le spalle dal terreno elevato e boscoso. - Non aveva che pochi cavalieri, e la fanteria contro gli armati a cavallo doveva tenersi sulla difensiva. Le prime « battaglie » o squadre inglesi che tentarono attacchi alle ali, si infransero contro i picchieri. Ma Edoardo I, prima di ordinare la carica generale, mise in disordine gli schiltrons col tiro accelerato dei suoi arcieri iniziando così, su larga scala, l'impiego tattico sistematico di questa armi che solo dalla metà del Duecento (pare) era stata introdotta negli eserciti inglesi. L'attacco della cavalleria pesante infranse facilmente le ultime resistenze. Wallace fuggì sui monti, poi in Francia, cercando aiuti da Filippo il Bello e perfino dalla Norvegia. Fu l'ultima battaglia dell'indipendenza scozzese fino al Bannockburn. Da allora in poi, ammaestrati dell'esperienza, gli Scozzesi fuggiranno di fronte all'invasione, portando con sé armenti e provviste su per le montagne, e i corpi inglesi troppo numerosi, continuamente tormentati da rapide incursioni, non potranno sostentarsi nel deserto. Ogni tentativo di conquista integrale fallirà e quindi anche ogni tentativo di occupazione parziale perché il paese era ormai unito nell'odio contro l'Inghilterra. Già la vittoria di Falkirk fu (come tante strepitose vittorie) assolutamente inutile. Edoardo I avanzò fino a Stirling, inviò contingenti ad occupare Perth e S. Andrea; ma intanto, nel sud-ovest, divampava la rivolta del nipote del Competitore, Roberto VIII Bruce. Il Re dovette retrocedere, Bruce fuggì : ma i viveri erano scarsi, le truppe stanche, le diserzioni numerose. A Carlisle anche i baroni dichiararono di non poter continuare, date le perdite e le spese. Edoardo I li lasciò andare di malagrazia, si trattenne nel nord fino al Natale 1298, imprecando contro la defezione dei nobili alla quale dava la colpa della vittoria mancata. Quando fu partito, non restò in mano inglese che la Scozia del sud, e minacciata da torme di patrioti. Ma intanto Filippo il Bello, dopo un molle tentativo di far liberare Baliol, si era accordato con Edoardo I senza curarsi dei suoi alleati scozzesi, anzi imprigionando per qualche tempo Wallace che si era rivolto a lui. Nel 1299 Re Edoardo I, impegnato nelle solite liti coi baroni per infrazioni alle Carte e alla Conferma, non poté far nulla. Gli Scozzesi, lasciati in asso dalla Francia, cercavano un altro appoggio : messi scozzesi, e forse lo stesso Wallace andarono a Roma e decisero Bonifacio VIII (che già nel 1298 aveva tentato di intervenire consigliando a Edoardo I moderazione) a un passo in favore della Scozia, suggerendogli di rivendicare quella supremazia papale su di essa che derivava dalla dipendenza diretta da Roma delle diocesi scozzesi, le quali avevano sempre vittoriosamente rifiutato di sottostare all'arcivescovo di York. Un papa come Bonifacio VIII non poteva lasciarsi sfuggire una occasione per estendere il suo potere, e nella Scozia avrebbe avuto un appoggio per ricattare eventualmente tanto Francia che Inghilterra se avessero tentato di sottrarsi alle imposizioni pontificie. Già Nicolò IV aveva rifiutato di appoggiare le pretese di sovranità sulla Scozia di Edoardo I; nel 1298 Bonifacio VIII aveva privatamente ammonito Edoardo I di non ascoltare la sua ambizione e di non dar noia ai vicini. Ora, nel Luglio 1299, gli diresse una lettera protestando contro sequestri e incarceramenti a danno del clero scozzese, accusandolo nettamente di prepotenza, asserendo che la Scozia non era mai stata feudo della Corona inglese, che l'omaggio del 1292 era stato estorto approfittando della situazione, che le imprese inglesi erano ingiuste, che solo alla Santa Sede spettava l'alta sovranità sulla Scozia. Intanto il Re tentava di radunare un esercito per un altro tentativo, e tuttavia continuava, con tipica ostinazione di cattivo politico, a non voler mantenere le promesse fatte ai suoi sudditi. I nobili scozzesi cominciavano a sostenere la causa nazionale, dando la reggenza del regno a Giovanni Comyn il Rosso e Giovanni Comyn conte di Buchan, figlio il primo, l'altro parente di quel Comyn che nel 1291 si era presentato fra i competitori al trono. Solo nella primavera del 1300, concedendo gli Articuli super Cartas, Edoardo I ottenne i mezzi per un'altra campagna : un tentativo di sottomettere almeno il sud-ovest che riuscì soltanto a conquistare un castello secondario. Durante questa impresa, giunse l'arcivescovo Winchelsea, latore della dichiarazione del Papa. Naturalmente Edoardo I s'infuriò : riunì un Parlamento a Lincoln per aver l'appoggio di tutti contro il Papa, come farà di lì a poco anche Filippo il Bello. I baroni, dato che erano d'accordo col Re nell'odio contro gli Scozzesi e che una lettera non costava nulla, inviarono al Papa una protesta, respingendo ogni giurisdizione pontificia in questioni temporali. La campagna del 1300 si concluse con una tregua : ma Edoardo I, incaparbito, cominciò a rendersi conto che per sottomettere la Scozia non bastava una delle solite campagne feudali di breve durata. Non abbandonò il nord, e intanto sfogò lo spirito letichino con una ponderosa controdeduzione alla dichiarazione del Papa, nella quale riprendeva la questione scozzese dai tempi preistorici, sciorinando come fatti accertati tutte le frottole di Goffredo di Monmouth e degli autori di altri Brut : il troiano Bruto aveva conquistata l'isola allora abitata da giganti, l'aveva divisa fra i tre figli ma riservando al maggiore la dignità regia; e poi Arturo sovrano anche della Scozia; e così via, in una girandola di fatti e fiabe, di documenti e falsificazioni. Questa lettera fu trasmessa dal Papa ai messi scozzesi : uno di essi rispose brevemente impugnando di falso la protesta di Edoardo I; poi dalla Scozia venne inviata una lunghissima replica alle pretese inglesi, riaffermando che la Scozia era un allodio pontificio e battendo il Re sul terreno pseudo storico da lui scelto : i giuristi scozzesi sostenevano che la Scozia doveva il nome alla figlia d'un Faraone, che gli Scoti avevano cacciato Bruto, e così via. Ma la questione si fermò lì perché Bonifacio VIII si impelagò nella lite con Filippo il Bello, e d'altronde gli Scozzesi riuscirono benissimo da soli a bloccare l'incauto Re inglese. Nemmeno la campagna del 1301 ottenne risultati. Nel 1302 nuova tregua, mentre procedevano le trattative con la Francia che porteranno, l'anno dopo, alla restituzione della Guascogna e ai matrimoni franco-inglesi. La pacificazione col secolare nemico diede al Re modo di usare tutte le forze del regno contro la Scozia, anche perché si era andata esaurendo l'opposizione nobiliare. Abbiamo già accennato alla politica, ormai tradizionale, di ridurre i grandi possessi nelle mani di parenti del Re. Essa fece in questi anni, più per fortuna che per abilità, passi giganteschi. I feudi principali, dai quali era partita l'opposizione contro Enrico III e contro Edoardo I, erano ora, direttamente o indirettamente, dominati dal Re. ( Quelli de conti di Gloucester erano in mano a un genero di Edoardo I; anche l'erede di Bohun e della contea di Hereford sposò una sua figlia; Bigod rinunciò all'ereditarietà del Norfolk che così, nel 1306, ricadrà alla corona e verrà poi dato a un figlio di Edoardo I. Edmondo il Gobbo morì nel 1300 senza eredi e la Cornovaglia tornò alla Corona. Di lì a poco, l'erede dei conti del Surrey sposerà una nipote del Re. Tommaso di Lancaster, figlio di suo fratello Edmondo, aveva tre feudi imposrtantissimi (Lancaster, Derby, Leicester) e aggiungerà as essi, per matrimonio, anche quelli di Lincoln e Salisbury. Almarico di Valenza, uno dei Lusignano, cugino del Re, aveva la contea di Pembroke). Quanto ai prelati, l'Arcivescovo non proseguì nell'opposizione ché il Papa non poteva più appoggiarlo. Approfittando di questo, Edoardo I sequestrò anche il palatinato di Durham e (più tardi) le terre dell'arcivescovo di York, in modo da aver aperta la strada verso nord. Secondo lui la colpa degli insuccessi scozzesi era dei nobili e dei prelati, stanchi di fatiche e spese inutili, più saggi di lui nel vedere che era impossibile sottomettere la Scozia appunto perché troppo povera e poco abitata. E continuò a insistere nella vana impresa fino alla sua morte, profondendo forze e denaro, preparando quel malcontento che scoppierà contro suo figlio (Edoardo II) in un'altra crisi costituzionale. Non riusciva a staccarsi dal nord. Alla fine del 1302 mandò forze a svernare a Edimburgo, sotto Giovanni di Segrave, che lasciò sorprendere e volgere in fuga l'esercito presso Roslin, al principio del 1303. Ma intanto Edoardo I aveva radunato un grosso esercito con il denaro ottenuto per mezzo della Carta mercatoria, e avanzò senza incontrare resistenza notevole verso l'estremità settentrionale della Scozia. Tutti i nobili si affrettarono a sottomettersi, primo il reggente Comyn il Rosso. Solo Wallace preferì la vita randagia dello sbandato, pur non rinunciando a organizzare gruppi di ribelli. Alla fine del 1304 il Re poteva illudersi, un'altra volta, di aver sottomessa la Scozia. Ma in un paese in sommossa da anni, tra un popolo animato ormai da odio instancabile e sorretto dalla gente della montagna, sempre pronta alle redditizie incursioni, l'omaggio dei nobili significava meno che altrove. Wallace trovava aderenti senza paura, decisi a lottare, ma le speranze scozzesi furono troncate dal tradimento d'un amico che fece cadere Wallace nelle mani di Edoardo I. Sperava di salvarsi, dato che mai aveva giurato fedeltà al Re. Ma questi era sempre pronto ad abbandonare quella legalità alla quale si appellava così spesso e volentieri finché gli faceva comodo, e impiantò una infame parodia di processo, accusando Wallace di tutte le crudeltà possibili e impossibili, e lo fece morire della morte crudele d'un traditore, infine impiccato a Westminster (1305). Poi Edoardo, tornò a rivestire la toga del sapiente legislatore. Col consiglio del vescovo di Glasgow, di Roberto Bruce e di Giovanni Mowbray aveva fissato di convocare 10 Scozzesi insieme a 20 suoi consiglieri per riordinare la Scozia. L'ordinanza che venne emessa fu ispirata dagli stessi criteri adottati per il Galles - senza tener conto della differenza fra i due paesi, della lunga lotta che aveva confermate le caratteristiche nazionali scozzesi. Fino a un certo punto, le misure non furono tiranniche. La Scozia restava amministrativamente separata, sotto Giovanni di Bretagna conte di Richmond, cugino e luogotenente del Re. Venivano stabiliti quattro dipartimenti giudiziari per le quattro diverse regioni scozzesi (Galloway, Lothian, Basse Terre a nord del Forth, Alte Terre) e l'organizzazione in contee ma lasciando le antiche divisioni di contee e spesso gli sceriffi ereditari. Ma si proibivano « le costumanze degli Scoti e dei Gallesi » (tutto il diritto indigeno delle Alte Terre sul quale si basava la costituzione dei clans); si confermavano le leggi del re Davide e degli altri Re scozzesi, ma solo in ciò che non urtasse « Dio e la ragione » - cioè le idee dei funzionari reali. Poi il Re si volse a vendicare la lunga opposizione. L'arcivescovo Winchelsea fece la sua ultima prova di forza nel 1305, riuscendo a evitare che venisse promulgata una legge che proibiva al clero di esportare denaro - la stessa disposizione che aveva condotto al conflitto fra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, ormai risolto contro la tesi papale : in quello stesso anno, diveniva papa Bertrando di Goth, vescovo guascone, supino ai voleri del suo Re, Filippo il Bello, e del suo superiore feudale, Edoardo I. - Cominciava la servitù avignonese. Clemente V cominciò subito a mostrare di che stoffa fosse fatto, inchinandosi alla volontà di Edoardo I e liberandolo dal giuramento di rispettare la Conferma del 1297 e le promesse successive. Edoardo I, spergiuro come i suoi predecessori, approfittò tuttavia con maggiore prudenza del turpe permesso. Si limitò, per il momento, a revocare alcuni disafforestamenti; ma sfruttò l'appoggio del Papa in tutti i modi. Tornò a sequestrare i beni del vescovo di Durham, fece sospendere l'arcivescovo Winchelsea, e pagò il Papa concedendogli le rendite di Canterbury e dandogli mano libera nell'esazione delle decime. Naturalmente questo disgustò il paese e un Parlamento del 1307 progettò uno statuto De asportatis religiosorum nello stesso spirito del provvedimento fallito del 1305. Fu il Re a impedire la promulgazione della legge antipapale. Ma questo Parlamento era stato radunato di nuovo nel nord, a Carlisle, perché la bella ordinanza per il riordinamento della Scozia era stata subito seguita da una nuova insurrezione. Questa volta, non aveva per esponente un Re debole e inetto come Baliol né un masnadiero coraggioso e tenace come Wallace : ma un nobile ambizioso e ambiguo, dotato però di coraggio instancabile e di grande abilità. Roberto Bruce, il nipote del Competitore, che già aveva i possessi della madre (Carrick) nel 1204 aveva ereditato anche quelli del padre (Annandale), così riunendo i più grossi feudi del sud-ovest scozzese. Aveva tenuto atteggiamento equivoco fino ad allora, sembrando appoggiare la politica di Edoardo I, probabilmente perché attendeva che il ricordo dell'esule re Baliol fosse spento del tutto con la rinuncia di lui al trono e col nuovo ordinamento della Scozia. Non vi era ormai altro competitore possibile che Comyn il Rosso il quale si era mostrato più supino al volere del Re inglese che non Bruce, il quale già nel 1204 si era segretamente alleato con l'infaticabile patriota Lamberton, vescovo di S. Andrea, partigiano di Wallace. Con Lamberton, Bruce era sicuro dell'appoggio del clero scozzese che temeva di cadere sotto il primato dell'arcivescovo di York e di venir sostituito da prelati ligi all' Inghilterra. Forse qualche spia rivelò l'accordo a Edoardo I; certo, al principio del 1306 Bruce non si sentì più sicuro e fuggì nello Annandale. Lì, a Dumfries, nel chiostro dei Frati Minori, trovò Comyn il Rosso e gli chiese di unirsi a lui per liberare la Scozia. Sorse una lite (può darsi che fosse stato Comyn a svelare al Re l'accordo con Lamberton) e Bruce tirò una coltellata al pericoloso rivale, che si rifugiò in chiesa mentre Bruce tornava sconvolto tra i suoi seguaci e confessava ad essi che dubitava di aver ucciso Comyn. Un tal Kirkpatrick gli replicò : « Dubitate? I mak sikkar, mi assicurerò ». Entrò e finì Comyn sui gradini dell'altare. Per Bruce non vi era più scampo : o re o traditore. Si rifugiò in un suo castello, chiamò la popolazione a rivolta. Il vescovo di Glasgow (tradendo il sesto giuramento di fedeltà a Edoardo I) e Lamberton (membro del governo eduardiano) lo appoggiarono e lo fecero incoronare (25 Marzo 1306) re di Scozia a Scone, per mano della contessa di Buchan, sorella del conte di Fife al quale spettava il diritto ereditario di imporre la corona al re di Scozia . (il diritto discendeva alla casa di Fife dall'antenato Macduff che aveva coadiuvato Malcolm contro l'usurpatore Machbeth. La contessa di Bucham, caduta poi nelle mani di Edoardo I, verrà punita chiudendola in una gabbia di legno sulle mura di Berwick, esposta alla vista di tutti i passanti). Il castello di carta della dominazione inglese cadeva un'altra volta. Edoardo I infuriato abbandonò ogni progetto di pacificazione, chiamò a raccolta tutte le sue forze contro il piccolo regno imperterrito. I due vescovi vennero deposti, Bruce scomunicato dal Papa ligio ai voleri del Re. Il Parlamento inglese votò fondi per la buona causa. Venne inviato a nord Amalrico di Valenza, nuovo guardiano di Scozia, con ordini di repressione spietata, mentre il Re, più lentamente, si portava a Carlisle. Bruce, attaccato a Methven, si dovette rifugiare nelle Alte Terre e poi in un'isoletta lungo la costa irlandese. Molti suoi parenti e seguaci, i due vescovi caddero in mani inglesi. Edoardo I procedette con brutale severità i fratelli di Bruce, il conte di Atholl, altri nobili patrioti vennero impiccati; le donne e i preti imprigionati. La repressione fece divampare più forte la rivolta. Nella primavera del 1307 Bruce rientrò in Scozia, vendicò a London Hill presso Ayr la sconfitta di Methven, batté il conte di Pembroke. Intanto Edoardo I, prima di partire da Londra, aveva armato cavaliere il figlio facendogli giurare eterna guerra alla Scozia. Le leve si adunarono a Carlisle al principio dell'estate e il Re, ormai greve di vecchiezza (aveva 69 anni), volle guidarle in persona allo sterminio. La sete di vendetta lo teneva in piedi sull'orlo della tomba. Si mise a cavallo; dopo poche miglia dovette fermarsi a riposare. Il giorno dopo, si sforzò ancora, rimontò a cavallo - ma ancora si stancò presto. Tentò ancora, disperato contro la vita che gli fuggiva, e ancora si dovette fermare, passare su un letto il resto del giorno e la notte. La mattina dopo, mentre lo aiutavano a mettersi seduto per mangiare, si arrovesciò morto fra le braccia dei serventi. Era il 7 Luglio 1307. Tutto gli era riuscito - ma la Scozia, afferrata un momento, gli era sempre sfuggita di mano, e l'impresa restava come pesante eredità al figlio. Ma Edoardo II si stancò presto. Ricevette l'omaggio dei nobili scozzesi che non avevano ancora accettato Bruce come re, avanzò verso nord un po' a caso, poi se ne tornò verso Londra. La guerra, lasciata a forze sparse e capi inetti, languì; Bruce acquistò successivamente terreno, i magnati scozzesi si fecero all'idea di un re venuto dai loro ranghi. Vi erano ancora, inconciliabili, tribù montanare indipendenti : sono anni leggendari di colpi di mano, di prodigi eroici. Ma la causa nazionale progrediva. L'opposizione non trovava appoggio nell'Inghilterra, governata da un Re incapace e sconvolta da lotte civili. I luogotenenti inglesi cambiavano continuamente, i castelli sfuggivano alle loro mani. Nel 1310 Edoardo II, per distrarre l'attenzione dalla sua politica interna, tentò un'altra grande spedizione. Avanzò fino a Linlithgow, mandò forze fino a Perth : Bruce, ancora troppo debole, si ritirò e Edoardo II tornò senza aver concluso nulla. Tormentato dai gravi contrasti interni fin dal suo esordio, nel 1322 l'opposizione divenne più forte. Nel 1327 il Parlamento inglese lo depose, con la scusa che era incapace di governare e che aveva lasciato in mano d'altri il governo del regno, incurante degli interessi dello Stato. Venne imprigionato nel castello di Berkeley e quindi assassinato. ------------------------------

 
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CRONOLOGIA DELLA MAFIA SICILIANA

Post n°307 pubblicato il 25 Agosto 2011 da tignalucida

RIINABenvenuti nella sezione del mio sito dove oso parlare di mafia e di “Cosa Nostra”, che oltre al pc e ai suoi componenti, mi è sempre interessata la storia, di questa grande famiglia, o meglio grande organizzazione chiamata mafia. Credo che ogni mafioso o uomo d’onore abbia una sua storia o un origine, e ognuno di loro è legato a una singola famiglia che a forza di faide sanguinose con altre famiglie si contendono illeciti traffici, dagli stupefacenti alle estorsioni, dalla prostituzione al grosso giro d’affari sugli appalti lavorativi. Qui di seguito vorrei mostrarvi la cronologia della mafia, le origini, l’ascesa al potere delle famiglie corleonesi.

CRONOLOGIA DELLA MAFIA QUESTO E’ SOLO UNA BREVE E SINTETICA CRONOLOGIA DELLA STORIA DELLA MAFIA, SE VUOI LA CRONOLOGIA APPROFONDITA SCARICA IL FILE PDF CHE APPROFONDISCE LA SOTRIA DELLA MAFIA, IO L’HO LETTO E’ MOLTO INTERESSANTE CRONOLOGIA COMPLETA DELLA MAFIA © Copyright Sergioz80 COSA NOSTRA CRONOLOGIA LE FOTO DEI MAFIOSI TORNA ALLA HOME 1812 Il parlamento siciliano abolisce la feudalità. 1820 Squadre di contadini e popolani armati partecipano in Sicilia ai moti rivoluzionari 1838 Un magistrato di Trapani denuncia l’esistenza di “fratellanze” con finalità criminali. 1860 Spedizione dei “Mille”; le squadre di contadini vengono sciolte da Garibaldi dopo la conquista di Palermo,a Napoli Liborio Romano assolda i camorristi per mantenere l’ordine pubblico in attesa dell’entrata di Garibaldi in città 1861 Denunce sulla precarietà della pubblica sicurezza in Sicilia e sulla scarsa collaborazione della popolazione con giudici e poliziotti 1865 Per la prima volta il termine “mafia” viene utilizzato da un prefetto ( Carmine Dell’Aglio ) in un rapporto ufficiale. 1866 In settembre Palermo viene invasa da squadre di armati provenienti dai comuni vicini che restano padroni della città per una settimana. 1867 Una commissione parlamentare d’inchiesta indaga sui moti di Palermo. 1871 Il procuratore generale di Palermo spicca un mandato di cattura contro il questore, accusato di aver inserito mafiosi in politica, il questore si da alla latitanza e successivamente viene assolto in istruttoria 1874 All’inaugurazione dell’anno giudiziario il procuratore generale di Palermo denuncia apertamente il potere e le sue collusioni con le classi dirigenti locali 1875 A novembre una commissioni d’inchiesta parlamentare svolge un’approfondita indagine in Sicilia raccogliendo numerose e circostanziate testimonianze sulla diffusione del fenomeno mafioso. 1876 Un’inchiesta sulla Sicilia e la mafia viene condotta da Leopoldo Fianchetti, Sidney Sonnino, e Enea Cavalieri 1877 La polizia denuncia per la prima volta due cosche mafiose presenti a Palermo e Agrigento composte da potentati del luogo e politici 1878 La corte d’assise di Palermo processa alcuni aderenti alla cosca degli “Stoppaglieli” e ne condanna due all’ergastolo ; il processo, annullato dalla cassazione è ripetuto a Catanzaro, conclude con una totale e generale assoluzione; per sfuggire alle indagini, alcuni mafiosi si rifugiano negli Stati Uniti, dove inizieranno una nuova vita criminale ampliando la già sostanziosa colonia di siciliani la presenti. 1880 Negli Usa si costituiscono bande criminali a base etnica ( irlandesi, ebrei, italiani) dedite all’estorsione e al controllo del gioco d’azzardo e alla prostituzione. 1883 A Palermo si conclude un grande processo alla famiglia degli Amoroso, conclusosi con numerose condanne. 1885 Il tribunale di Agrigento processa e condanna gli aderenti alla “Fratellanza” di Favara 1891 A New Orleans è ucciso il capo della polizia: undici italiani ( tutti di Palermo), sospettati di appartenere alla mafia e sospettati del delitto, vengono linciati dalla fola dopo essere stati assolti in tribunale 1893 Il 1° febbraio viene assassinato Emanuele Norarbartolo, ex direttore del Banco di Sicilia 1899 A Milano si apre il processo contro i mafiosi accusati dell’uccisione di Notarbartolo: emergono gravi indizi contro l’On Raffaele Palizzolo quale mandante del delitto( primo parlamentare accusato formalmente di appartenere alla mafia) 1901 Da una inchiesta della Regia Commissione emerge che la mafia ha in Sicilia oltre 3.000 adepti. 1902 La corte d’assise di Bologna Condanna l’on Palizzolo, ma il processo viene annullato dalla Cassazione. 1903 L’on Palizzolo è assolto anche dalla Corte d’assise di Firenze e rientra a Palermo accolto come un eroe. 1909 Joe Petrosino poliziotto italo-americano viene ucciso a Palermo, ero giunto in Sicilia per indagare sulla “Mano Nera” (mafia americana) 1916 Cesare Mori, comandante del servizio di squadriglie mobili per le province di Agrigento e Caltanisetta, cattura decine di banditi e criminali appartenenti alla mafia. 1925 Inizia la campagna di repressione voluta da Mussolini e attuata dal prefetto Mori. 1929 Termina l’azione del prefetto Mori mirata alla repressione del fenomeno mafioso, in quattro anni circa 300 presunti mafiosi sono arrestati e molti condannati 1929 Il 14 febbraio 1929 a Chicago, Alfonso Capone ordina il massacro di numerosi mafiosi a lui contrari ed appartenenti ad altre famiglie 1930 Alfonso Capone diviene il capo incontrastato della mafia americana 1931 Tra le famiglie Masseria e Maranzano scoppia la guerra per il controlllo dl crimine a New York, dalla parte del vincente Maranzano si schiererà Lucky Luciano, di origine siciliana, e Vito Genovese di origine napoletana; alla fine del 1931 Maranzano viene ucciso 1932 Lucky Luciano viene arrestato. 1936 Lucky Luciano viene condannato a una pena da trenta a sessanta anni di carcere. 1943 Il movimento indipendentista sostenuto dalla mafia aiuta gli americani nello sbarco del 9-10 luglio. 1945 I separatisti siciliani iniziano la lotta armata e assoldano il bandito Salvatore Giuliano con l’aiuto dei servizi segreti Usa. 1946 La mafia uccide numerosi sindacalisti e politici di sinistra oltre che contadini e molti militari 1946 Lucky Luciano viene scarcerato per motivi di salute negli Usa, rientra in Italia, nel frattempo alla Sicilia viene concesso lo statuto di autonomistico. 1947 A Portella delle Ginestre il bandito Salvatore Giuliano spara sui manifestanti 1950 Salvatore Giuliano viene trovato morto 1954 Gaspare Pisciotta viene avvelenato in carcere , secondo la tesi più credibile fu lui a tradire ed uccidere Giuliano 1957 Gran vertice di mafiosi siciliani e americani all’Hotel des Palmes di Palermo, riunione per trattare il traffico di stupefacenti e dell’organizzazione di “Cosa Nostra” in Sicilia. 1962 Nasce la Commissione parlamentare Antimafia 1962 Per la prima volta un grosso esponente della mafia statunitense , Joe Valichi, collabora con le autorità e rivela la struttura di “Cosa Nostra” 1963 Scoppia la prima guerra di mafia in Sicilia, e l’episodio principale è la strage di Ciaculli. 1965-1970 La ’ndrangheta controlla gli appalti per la costruzione dell’autostrada del sole in Calabria 1970 A Palermo scompare il giornalista dell’ ORA di Palermo, il suo corpo non verrà mai ritrovato. 1971 A Palermo il procuratore della Repubblica Pietro Scaglione viene assassinato. 1974 A Milano viene arrestato il capo dei Corleonesi Luciano Liggio 1974-1975 Guerra in Calabria tra le cosche che fanno capo ai De Stefano e ai Tripodo. 1977-1981 Raffaele Tutolo detiene il predomino della camorra e stringe più forti legami con la mafia per il traffico delle sigarette e della droga 1977 Uccisi in Sicilia il colonnello dei carabinieri Russo ed un suo amico Filippo Costa 1978 Viene ucciso dalla mafia Peppino Impastato militante di Democrazia Proletaria 1979 In Sicilia vengono uccisi il capo della squadra mobile Boris Giuliano e il giudice Cesare Terranova 1980 Vengono uccisi in Sicilia, il presidente della Regione Piersanti Mattarella,, il capitano dei carabinieri Basile e il giudice Gaetano Costa 1981 Inizia una seconda guerra di mafia, i corleonesi di Liggio e Riina prendono il comando di Cosa Nostra in Sicilia. 1982 Uccisione dell’on Pio L a Torre deputato del PCI e il gen Dalla Chiesa Prefetto di Palermo, nell’agguato al gen rimane uccisa anche la giovane moglie 1983 Viene ucciso il Giudice Rocco Chinnici, consigliere istruttore di Palermo, nell’attentato muore il suo autista e il portiere dello stabile dove abitava il giudice 1987 Si conclude a Palermo il primo maxiprocesso a Cosa Nostra siciliana con pesanti condanne 1988 A Canicatti il giudice Antonino Saetta e il figlio vengono uccisi dalle cosche mafiose di Agrigento 1989 In Calabria viene ucciso il democristiano Ludovico Ligato ex presidente delle Ferrovie dello Stato 1990 Il giovane giudice Rosario Livatino viene ucciso a Canicattì 1991 A Palermo viene ucciso l’imprenditore Libero Grassi che si era rifiutato di pagare il “pizzo” alla mafia 1991 In Calabria viene ucciso Antonio Scopelliti procuratore generale della Cassazzione 1992 Terribile sequenza di omicidi, Salvo Lima, democristiano e uomo di Andreotti viene freddato in pieno centro. Giovanni Falcone a Capaci e Paolo Borsellino in via d’Amelio a Palermo vengono assassinati a distanza di soli 57 giorni l’uno dall’altro. 1993 Viene arrestato Totò Riina, bombe vengono fatte esplodere a Firenze , Milano e Roma provocando la morte di 9 persone. La procura di Palermo ottiene dal Senato l’autorizzazione a procedere contro il senatore Giulio Andreotti, per concorso in associazione mafiosa. 1995 Inizia a Palermo il processo al senatore a vita Andreotti. 1996 Giovanni Brusca viene arrestato. 1997 La mafia è silente 1998 La mafia è silente 1999 La mafia è silente 2000 La mafia è silente 2001 La mafia è silente 2002 La mafia è silente

 
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REGOLE DELLA MAFIA SICILIANA

Post n°305 pubblicato il 22 Agosto 2011 da tignalucida

XNella sentenza si descrive l'organizzazione di Cosa Nostra, secondo le testimonianze di Buscetta. Tra le molte leggi non scritte che regolano il comportamento mafioso, vi è anche l'obbligo di dire sempre la verità allorché si parla fra “uomini d'onore” di questioni comuni. La vita di Cosa Nostra (la parola mafia è un termine letterario che non viene mai usato dagli aderenti a questa organizzazione criminale) è disciplinata da regole rigide non scritte ma tramandate oralmente, che ne regolamentano l'organizzazione e il funzionamento ("nessuno troverà mai elenchi di appartenenza a Cosa Nostra, né attestati di alcun tipo, né ricevute di pagamento di quote sociali"), e così riassumibili, sulla base di quanto emerge dal lungo interrogatorio del Buscetta. - La cellula primaria è costituita dalla "famiglia", una struttura a base territoriale, che controlla una zona della città o un intero centro abitato da cui prende il nome (famiglia di Porta Nuova, famiglia di Villabate e così via). - La famiglia è composta da "uomini d'onore" o "soldati" coordinati, per ogni gruppo di dieci, da un "capodecina" ed è governata da un capo di nomina elettiva, chiamato anche "rappresentante", il quale è assistito da un "vice capo" e da uno o più "consiglieri". Qualora eventi contingenti impediscano o rendano poco opportuna la normale elezione del capo da parte dei membri della famiglia, la "commissione" provvede alla nomina di "reggenti" che gestiranno pro tempore la famiglia fino allo svolgimento delle normali elezioni. Ad esempio, ha ricordato Buscetta, la turbolenta "famiglia" di Corso dei Mille è stata diretta a lungo dal reggente Francesco Di Noto fino alla sua uccisione (avvenuta il 9.6.1981); alla sua morte è divenuto rappresentante della famiglia Filippo Marchese. Analogamente, a seguito dell'uccisione di Stefano Bontate, rappresentante della famiglia di S. Maria di Gesù, la commissione nominava reggenti Pietro Lo Iacono e Giovanbattista Pullarà, mentre a seguito dell'uccisione di Salvatore Inzerillo, capo della famiglia di Passo di Rigano, veniva nominato reggente Salvatore Buscemi; così, dopo la scomparsa di Giuseppe Inzerillo, padre di Salvatore e capo della famiglia di Uditore, veniva nominato reggente Bonura Francesco ed analogamente, dopo l'espulsione da Cosa Nostra di Gaetano Badalamenti, capo della famiglia di Cinisi, veniva nominato reggente Antonino Badalamenti, cugino del vecchio capo. - L'attività delle famiglie è coordinata da un organismo collegiale, denominato "commissione" o "cupola", di cui fanno parte i "capi-mandamento" e, cioè, i rappresentanti di tre o più famiglie territorialmente contigue. Generalmente, il "capo mandamento" è anche il capo di una delle famiglie, ma, per garantire obiettività nella rappresentanza degli interessi del "mandamento" ed evitare un pericoloso accentramento di poteri nella stessa persona, talora è accaduto che la carica di "capo mandamento" fosse distinta da quella di "rappresentante" di una famiglia. - La commissione è presieduta da uno dei capi-mandamento: in origine, forse per accentuarne la sua qualità di primus inter pares, lo stesso veniva chiamato "segretario" mentre, adesso, è denominato "capo". La commissione ha una sfera d'azione, grosso modo, provinciale ed ha il compito di assicurare il rispetto delle regole di Cosa Nostra all'interno di ciascuna famiglia e, soprattutto, di comporre le vertenze fra le famiglie. - Da tempo (le cognizioni del Buscetta datano dagli inizi degli anni '50) le strutture mafiose sono insediate in ogni provincia della Sicilia, ad eccezione (almeno fino ad un certo periodo) di quelle di Messina e di Siracusa. - La mafia palermitana ha esercitato, pur in mancanza di un organismo di coordinamento, una sorta di supremazia su quella delle altre province, nel senso che queste ultime si adeguavano alle linee di tendenza della prima. - In tempi più recenti, ed anche in conseguenza del disegno egemonico prefissosi dai Corleonesi, è sorto un organismo segretissimo, denominato "interprovinciale", che ha il compito di regolare gli affari riguardanti gli interessi di più province. - Non meno minuziose sono le regole che disciplinano l' "arruolamento" degli "uomini d'onore" ed i loro doveri di comportamento. I requisiti richiesti per l'arruolamento sono: salde doti di coraggio e di spietatezza (si ricordi che Leonardo Vitale divenne "uomo d'onore" dopo avere ucciso un uomo); una situazione familiare trasparente (secondo quel concetto di "onore" tipicamente siciliano, su cui tanto si è scritto e detto) e, soprattutto, assoluta mancanza di vincoli di parentela con "sbirri". La prova di coraggio ovviamente non è richiesta per quei personaggi che rappresentano, secondo un'efficace espressione di Salvatore Contorno, la "faccia pulita" della mafia e cioè professionisti, pubblici amministratori, imprenditori che non vengono impiegati generalmente in azioni criminali ma prestano utilissima opera di fiancheggiamento e di copertura in attività apparentemente lecite. Il soggetto in possesso di questi requisiti viene cautamente avvicinato per sondare la sua disponibilità a far parte di un'associazione avente lo scopo di "proteggere i deboli ed eliminare le soverchierie". Ottenutone l'assenso, il neofita viene condotto in un luogo defilato dove, alla presenza di almeno tre uomini della famiglia di cui andrà a far parte, si svolge la cerimonia del giuramento di fedeltà a Cosa Nostra. Egli prende fra le mani un'immagine sacra, la imbratta con il sangue sgorgato da un dito che gli viene punto, quindi le dà fuoco e la palleggia fra le mani fino al totale spegnimento della stessa, ripetendo la formula del giuramento che si conclude con la frase: "Le mie carni debbono bruciare come questa santina se non manterrò fede al giuramento". Lo status di "uomo d'onore", una volta acquisito, cessa soltanto con la morte; il mafioso, quali che possano essere le vicende della sua vita, e dovunque risieda in Italia o all'estero, rimane sempre tale. Proprio a causa di queste rigide regole Antonino Rotolo era inviso a Stefano Bontate (oltre che per la sua stretta amicizia con Giuseppe Calò), essendo cognato di un vigile urbano; e lo stesso Buscetta veniva espulso dalla mafia per avere avuto una vita familiare troppo disordinata e, soprattutto, per avere divorziato dalla moglie. Pare, comunque, che adesso, a detta del Buscetta, a causa della degenerazione di Cosa Nostra, i criteri di arruolamento siano più larghi e che non si vada più tanto per il sottile nella scelta dei nuovi adepti. L' "uomo d'onore", dopo avere prestato giuramento, comincia a conoscere i segreti di Cosa Nostra e ad entrare in contatto con gli altri associati. Soltanto i Corleonesi e la famiglia di Resuttana non hanno mai fatto conoscere ufficialmente i nomi dei propri membri ai capi delle altre famiglie, mentre era prassi che, prima che un nuovo adepto prestasse giuramento, se ne informassero i capi famiglia, anche per accertare eventuali motivi ostativi al suo ingresso in Cosa Nostra. In ogni caso, le conoscenze del singolo "uomo d'onore" sui fatti di Cosa Nostra dipendono essenzialmente dal grado che lo stesso riveste nell'organizzazione, nel senso che più elevata è la carica rivestita maggiori sono le probabilità di venire a conoscenza di fatti di rilievo e di entrare in contatto con "uomini d'onore" di altre famiglie. Ogni "uomo d'onore" è tenuto a rispettare la "consegna del silenzio": non può svelare ad estranei la sua appartenenza alla mafia, né, tanto meno, i segreti di Cosa Nostra; è, forse, questa la regola più ferrea di Cosa Nostra, quella che ha permesso all'organizzazione di restare impermeabile alle indagini giudiziarie e la cui violazione è punita quasi sempre con la morte. All'interno dell'organizzazione, poi, la loquacità non è apprezzata: la circolazione delle notizie è ridotta al minimo indispensabile e l' "uomo d'onore" deve astenersi dal fare troppe domande, perché ciò è segno di disdicevole curiosità ed induce in sospetto l'interlocutore. Quando gli "uomini d'onore" parlano tra loro, però, di fatti attinenti a Cosa Nostra hanno l'obbligo assoluto di dire la verità e, per tale motivo, è buona regola, quando si tratta con "uomini d'onore" di diverse famiglie, farsi assistere da un terzo consociato che possa confermare il contenuto della conversazione. Chi non dice la verità viene chiamato "tragediaturi" e subisce severe sanzioni che vanno dalla espulsione (in tal caso si dice che l' "uomo d'onore è posato") alla morte. Così, attraverso le regole del silenzio e dell'obbligo di dire la verità, vi è la certezza che la circolazione delle notizie sia limitata all'essenziale e, allo stesso tempo, che le notizie riferite siano vere. Questi concetti sono di importanza fondamentale per valutare le dichiarazioni rese da "uomini d'onore" e, cioè, da membri di Cosa Nostra e per interpretarne atteggiamenti e discorsi. Se non si prende atto della esistenza di questo vero e proprio "codice" che regola la circolazione delle notizie all'interno di "Cosa Nostra" non si riuscirà mai a comprendere come mai bastino pochissime parole e perfino un gesto, perché uomini d'onore si intendano perfettamente tra di loro. Così, ad esempio, se due uomini d'onore sono fermati dalla polizia a bordo di un'autovettura nella quale viene rinvenuta un'arma, basterà un impercettibile cenno d'intesa fra i due, perché uno di essi si accolli la paternità dell'arma e le conseguenti responsabilità, salvando l'altro. E così, se si apprende da un altro uomo d'onore che in una determinata località Tizio è "combinato" (e, cioè, fa parte di Cosa Nostra), questo è più che sufficiente perché si abbia la certezza assoluta che, in qualsiasi evenienza ed in qualsiasi momento di emergenza, ci si potrà rivolgere a Tizio, il quale presterà tutta l'assistenza necessaria. [...] Proprio in ossequio a queste regole di comportamento sia Buscetta sia Contorno, come si vedrà, hanno posto una cura esasperata nell'indicare come "uomini d'onore" soltanto i personaggi dei quali conoscevano con certezza l'appartenenza a Cosa Nostra, e cioè soltanto coloro che avevano avuto presentati come "uomini d'onore" e coloro che avevano avuto indicati come tali da altri uomini d'onore, anche se personalmente essi non li avevano mai incontrati. Anche la "presentazione" di un uomo d'onore è puntualmente regolamentata dal codice di Cosa Nostra allo scopo di evitare che nei contatti fra i membri dell'organizzazione si possano inserire estranei. E' escluso, infatti, che un "uomo d'onore" si possa presentare da solo, come tale, ad un altro membro di Cosa Nostra, poiché, in tal modo, nessuno dei due avrebbe la sicurezza di parlare effettivamente con un "uomo d'onore". Occorre, invece, l'intervento di un terzo membro dell'organizzazione che li conosca entrambi come "uomini d'onore" e che li presenti tra loro in termini che diano l'assoluta certezza ad entrambi dell'appartenenza a Cosa Nostra dell'interlocutore. E, così, come ha spiegato Contorno, è sufficiente che l'uno venga presentato all'altro, con la frase "Chistu è a stissa cosa", (questo è la stessa cosa), perché si abbia la certezza che l'altro sia appartenente a Cosa Nostra. Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è quella che sancisce il divieto per l'uomo di trasmigrare da una famiglia all'altra. Questa regola, però, riferisce Buscetta, non è stata più rigidamente osservata dopo le vicende della "guerra di mafia" che hanno segnato l'inizio dell'imbastardimento di Cosa Nostra: infatti, Salvatore Montalto, che era il vice di Salvatore Inzerillo (ucciso nella guerra di mafia) nella "famiglia" di Passo di Rigano, è stato nominato, proprio come premio per il suo tradimento, rappresentante della "famiglia" di Villabate. Il mafioso, come si è accennato, non cessa mai di esserlo quali che siano le vicende della sua vita. L'arresto e la detenzione non solo non spezzano i vincoli con Cosa Nostra ma, anzi, attivano quell'indiscussa solidarietà che lega gli appartenenti alla mafia: infatti gli "uomini d'onore" in condizioni finanziarie disagiate ed i loro familiari vengono aiutati e sostenuti, durante la detenzione, dalla "famiglia" di appartenenza; e spesso non si tratta di aiuto finanziario di poco conto, se si considera che, come è notorio, "l'uomo d'onore rifiuta il vitto del Governo" e, cioè, il cibo fornito dall'amministrazione carceraria, per quel senso di distacco e di disprezzo generalizzato che la mafia nutre verso lo Stato. Unica conseguenza della detenzione, qualora a patirla sia un capo famiglia, è che questi, per tutta la durata della carcerazione, viene sostituito dal suo vice in tutte le decisioni, dato che, per la sua situazione contingente, non può essere in possesso di tutti gli elementi necessari per valutare adeguatamente una determinata situazione e prendere, quindi, una decisione ponderata. Il capo, comunque, continuando a mantenere i suoi collegamenti col mondo esterno, è sempre in grado di far sapere al suo vice il proprio punto di vista, che però non è vincolante, e, cessata la detenzione, ha il diritto di pretendere che il suo vice gli renda conto delle decisioni adottate. Durante la detenzione è buona norma, anche se non assoluta, che l'uomo d'onore raggiunto da gravi elementi di reità non simuli la pazzia nel tentativo di sfuggire ad una condanna: un siffatto atteggiamento è indicativo della incapacità di assumersi le proprie responsabilità. Adesso, però, sembra che questa regola non sia più seguita, e, comunque, che non venga in qualche modo sanzionata, ove si consideri che sono numerosi gli esempi di detenuti sicuramente uomini d'onore, che hanno simulato la pazzia (vedi in questo procedimento gli esempi di Giorgio Aglieri, Gerlando Alberti, Tommaso Spadaro, Antonino Marchese, Gaspare Mutolo, Vincenzo Sinagra "Tempesta"). Tutto ciò, a parere di Buscetta, è un ulteriore sintomo della degenerazione degli antichi princìpi di Cosa Nostra. Anche il modello di comportamento in carcere dell'uomo d'onore, descritto da Buscetta, è radicalmente mutato negli ultimi tempi. Ricorda infatti Tommaso Buscetta che in carcere gli "uomini d'onore" dovevano accantonare ogni contrasto ed evitare atteggiamenti di aperta rivolta nei confronti dell'autorità carceraria. Al riguardo, cita il suo stesso esempio: si era trovato a convivere all'Ucciardone, per tre anni, con Giuseppe Sirchia, vice di Cavataio ed autore materiale dell'omicidio di Bernardo Diana, il quale era vice del suo grande amico, Stefano Bontate; ma, benché non nutrisse sentimenti di simpatia nei confronti del suo compagno di detenzione, lo aveva trattato senza animosità, invitandolo perfino al pranzo natalizio. Questa norma, però, non è più rispettata, come si evince dal fatto che Pietro Marchese, uomo d'onore della famiglia di Ciaculli, è stato ucciso il 25.2.1982 proprio all'interno dell'Ucciardone, su mandato della "commissione", da altri detenuti. Unica deroga al principio della indissolubilità del legame con Cosa Nostra è la espulsione dell'uomo d'onore, decretata dal "capo famiglia" o, nei casi più gravi, dalla "commissione" a seguito di gravi violazioni del codice di Cosa Nostra, e che non di rado prelude all'uccisione del reo. L'uomo d'onore espulso, nel lessico mafioso, è "posato". Ma neanche l'espulsione fa cessare del tutto il vincolo di appartenenza all'organizzazione, in quanto produce soltanto un effetto sospensivo che può risolversi anche con la reintegrazione dell'uomo d'onore. Pertanto l'espulso continua ad essere obbligato all'osservanza delle regole di Cosa Nostra. Lo stesso Buscetta, a causa delle sue movimentate vicende familiari, era stato "posato" dal suo capo famiglia Giuseppe Calò, il quale poi gli aveva detto di non tenere conto di quella sanzione ed anzi gli aveva proposto di passare alle sue dirette dipendenze. Anche Gaetano Badalamenti, nel 1978, benché fosse capo di Cosa Nostra, era stato espulso dalla "commissione", per motivi definiti gravissimi, su cui però Buscetta non ha saputo (o voluto) dire nulla. L'uomo d'onore posato non può trattenere rapporti con altri membri di Cosa Nostra, i quali sono tenuti addirittura a non rivolgergli la parola. E proprio basandosi su questa regola, Buscetta si era mostrato piuttosto scettico sulla possibilità che il Badalamenti, benché "posato", fosse coinvolto nel traffico di stupefacenti con altri uomini d'onore; sennonché, venuto a conoscenza delle prove obiettive acquisite dall'ufficio, si è dovuto ricredere ed ha commentato che "veramente il danaro ha corrotto tutto e tutti". Anche la vicenda della espulsione di Buscetta da parte di Calò appare nebulosa. Il Buscetta, infatti, aveva avuto comunicata la sua espulsione addirittura da Gaetano Badalamenti e durante la detenzione non aveva ricevuto, come d'uso per i "posati", alcun aiuto finanziario da parte della sua "famiglia"; per contro il suo capo famiglia Pippo Calò lo aveva esortato a non tenere conto di quanto andava dicendo quel "tragediaturi" di Badalamenti e si era scusato per la mancanza di aiuto finanziario, assumendo che non era stato informato; aveva notato inoltre che in carcere gli altri uomini d'onore intrattenevano con lui normali rapporti, come se nulla fosse accaduto. Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è l'assoluto divieto per l'"uomo d'onore" di fare ricorso alla giustizia statuale. Unica eccezione, secondo il Buscetta, riguarda i furti di veicoli, che possono essere denunziati alla polizia giudiziaria per evitare che l'uomo d'onore, titolare del veicolo rubato, possa venire coinvolto in eventuali fatti illeciti commessi con l'uso dello stesso; naturalmente, può essere denunciato soltanto il fatto obiettivo del furto, ma non l'autore. Del divieto di denunciare i furti, vi è in atti un riscontro persino umoristico riguardante il capo della "commissione", Michele Greco. Carla De Marie, titolare di una boutique a Saint Vincent, era solita fornire alla moglie di Michele Greco capi di abbigliamento che spediva a Palermo, tramite servizio ferroviario, regolarmente assicurati contro il furto. Una volta, il pacco era stato sottratto ad opera di ignoti durante il trasporto, e la De Maria aveva più volte richiesto telefonicamente alla signora Greco di denunciare il furto, essendo ciò indispensabile perché la compagnia assicuratrice rifondesse il danno. Ebbene, la moglie di Michele Greco, dopo di avere reiteratamente fatto presente alla De Marie che il marito non aveva tempo per recarsi alla polizia per presentare la denunzia, aveva preferito pagare i capi di abbigliamento, nonostante che non li avesse mai ricevuti.

 
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SALVATORE RIINA DETTO TOTņ U CURTU BOSS DEI CORLEONESI

Post n°304 pubblicato il 22 Agosto 2011 da tignalucida

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Salvatore Riina detto "Totò u curtu", nacque a Corleone il 16 novembre 1930. A soli diciannove anni uccise un coetaneo in una rissa. Dopo aver scontato sei anni, ritornò al paese, diventando il luogotenente della banda di Liggio, impegnata ad eliminare il predominio di Michele Navarra sulla cosca della zona. Fu arrestato nel dicembre del 1963 e, dopo alcuni anni di reclusione trascorsi all'Ucciardone di Palermo, fu assolto prima a Catanzaro, nel processo dei 114 e poi nel giugno 1969, al processo di Bari. Inviato al soggiorno obbligato, si diede alla latitanza e diresse le operazioni nella strage di viale Lazio. Preso il posto di Liggio finito in carcere, condusse i corleonesi negli anni Ottanta e Novanta alla realizzazione d'immensi profitti, prima con il contrabbando e poi con la droga e gli appalti pubblici. Oltre a conquistare il predominio all'interno di Cosa Nostra, sterminando il superboss di Cosa Nostra Stefano Bontade e i suoi fedelissimi, Riina lanciò una pesante sfida allo Stato, eliminando numerosi rappresentanti delle istituzioni e della magistratura e valenti uomini delle forze dell'ordine. Trascorse ventitre anni di latitanza, in assoluta libertà e per lo più a Palermo, nonostante le tracce lasciate dal matrimonio nell'aprile del 1974 con Antonietta Bagarella e dai battesimi dei suoi quattro figli. Fu arrestato dagli uomini del ROS dei Carabinieri il 15 gennaio 1993. Già condannato con sentenza passata in giudicato dalla Corte di cassazione a due ergastoli, a lui vengono anche attribuiti tutti gli omicidi eccellenti decisi da Cosa Nostra negli ultimi decenni. Attualmente è imputato in tutti i più importanti processi per mafia in corso nel nostro paese, a partire da quelli per le stragi in cui persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino. Fino al luglio del 1997 Riina è stato rinchiuso nel supercarcere dell'Asinara, in Sardegna: in seguito è stato trasferito al carcere di Marino del Tronto ad Ascoli dove, fino alla decisione di ieri della Corte d'Assise d'Appello, era sottoposto al carcere duro previsto per chi commette reati di mafia (art. 41 bis).

Lunedì 12 marzo 2001, due notizie si sono incrociate in un brutto pomeriggio per l'antimafia: hanno tolto l'«isolamento» a Totò Riina e le scorte fisse ai magistrati più esposti. Diverse le motivazioni, provvedimenti distinti. Ma con segnali e coincidenze che inquietano. Nel carcere «duro» di Ascoli Piceno il capo dei capi di Cosa Nostra è tornato «a vita comune» perché, dopo un tira e molla con i giudici di Palermo, la Cassazione ha imposto la scelta indicando «i principi di diritto» alla corte di Appello. E a Palermo, in applicazione della «circolare Bianco (l'attuale ministro dell'interno)», il prefetto ha soppresso i servizi di tutela fissa davanti alle abitazioni di pubblici ministeri e giudici impegnati in processi ed inchieste contro i boss sostituendoli con «pattuglie mobili» che perlustreranno le aree interessate controllando gli edifici. Dopo una mattina di allarmi, tutti i sostituti della Direzione distrettuale antimafia si erano riuniti alle quattro del pomeriggio nell'ufficio del procuratore della Repubblica Piero Grasso per discutere il provvedimento della prefettura. Ad un tratto una telefonata ha fatto rimbalzare nel bunker del secondo piano del palazzo di giustizia la decisione presa poco prima dalla corte di Appello. «Riina non è più in isolamento», ha ripetuto Grasso amareggiato ai suoi vice come Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, a magistrati di «trincea» come Gaetano Paci o Antonio Ingroia. E il malumore è cresciuto, nonostante il procuratore abbia poi ridimensionato la portata del provvedimento: «Non appena sarà definitivo un nuovo ergastolo, Riina non vedrà più nessuno». Probabilmente bisognerà attendere la conferma in Cassazione della pena a vita inflitta a Riina e al resto della «cupola» per le stragi (del 1993) di Milano, Firenze e Roma. Ma non basta per placare la rabbia del presidente dell'antimafia Giuseppe Lumia, pronto ad esprimere «una reazione di sconcerto»: «Riina non è un delinquente comune. Anche ai criminali efferati vanno date le garanzie, ma ai capimafia va applicato un sistema più severo». Un modo per rilanciare una proposta inattuata: «Necessario un "doppio binario" perché la mafia tende a distruggere la nostra democrazia». Non è tuttavia la prima volta che il boss arrestato nel gennaio del '93 esce dalla cella del «41 bis» per passare l'ora d'aria insieme con altri detenuti. È già accaduto nell'estate del '99 quando per un provvedimento simile Riina passeggiò per mesi con un marocchino finito in carcere per reati comuni. Già allora esplosero polemiche. Come quelle di ieri, respinte da Mario Grillo, il penalista vittorioso e convinto, codice alla mano, che «la pena accessoria dell' "isolamento" non può durare oltre i tre anni». Una tesi bocciata in corte di Appello nei mesi scorsi. Di qui il ricorso in Cassazione dove la sesta sezione penale gli ha dato ragione rinviando tutto a Palermo con l'indicazione dei «principi». Una scelta «tecnica» criticata dal magistrato che indagò sulla strage di Capaci Luca Tescaroli, oggi a Roma: «Viviamo in un Paese senza memoria. L'ammorbidimento del carcere duro era proprio la richiesta di Riina. Così, riprenderà a parlare con l'esterno, mentre si indicano i magistrati come possibili obiettivi di attentati».

 
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DELITTI FATTI DALLA MAFIA

Post n°303 pubblicato il 22 Agosto 2011 da tignalucida

padre pino puglisipio la torre ( a sinistra)falcone-borsellinofalcone e la moglie giovanna morvilloe regole della mafia siciliana ] [ Falcone: vi spiego cos'è la mafia ] [ Boss mafiosi ] [ Il boss Totò Riina ] [ La Magistratura e la mafia ] [ Ingroia: la lotta alla mafia oggi ] [ Gladio in Sicilia ] [ De Gennaro: un grande poliziotto ] 8/10/1998: ucciso il sindacalista Domenico Geraci. 15/9/1993: ucciso padre Pino Puglisi, parroco della chiesa di San Gaetano a Brancaccio (quartiere di Palermo). 27/7/1993: a Roma, un’autobomba esplode nel piazzale antistante il vicariato, dietro la basilica di San Giovanni in Laterano. Poco dopo un’altra autobomba esplode davanti alla chiesa del Velabro. Lo stesso giorno a Milano, un’autobomba parcheggiata in via Palestro provoca cinque morti: quattro vigili urbani accorsi sul posto e un extracomunitario che dormiva su una panchina. 27/5/1993: a Firenze, esplode un’autobomba in via dei Georgofili, cinque morti. 14/5/1993: a Roma, esplode un’autobomba in via Fauro al passaggio dell’auto con a bordo il conduttore televisivo Maurizio Costanzo. 8/1/1993: a Barcellona (Messina) viene ucciso Beppe Alfano, giornalista del quotidiano "La Sicilia". 19/7/1992, ore 13:45: strage di via D'Amelio (Palermo), muoiono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna poliziotto ad aver perso la vita in un attentato della mafia. 23/5/1992, ore 17:58: strage di Capaci (sull'autostrada Palermo-Punta Raisi), muoiono Giovanni Falcone, già magistrato a Palermo, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, superstite l'agente Giuseppe Costanza che viaggiava sull'automobile guidata da Falcone. 29/8/1991: ucciso Libero Grassi, imprenditore che rifiuta di pagare il pizzo agli esattori della mafia. 9/8/1991: cade in un agguato Antonio Scopelliti, sostituto procuratore in Cassazione. Da lì a poco avrebbe dovuto sostenere l'accusa nel primo maxi-processo a Cosa nostra. 21/9/1990: Rosario Livatino, 38 anni, sostituto procuratore della repubblica presso il tribunale di Agrigento, ucciso sulla strada a scorrimento veloce Caltanissetta-Porto Empedocle. 19/6/1989: sulla scogliera dell’Addaura (Palermo) viene trovato un ordigno destinato a Giovanni Falcone, la cui villa delle vacanze si trova poco distante. 27/9/1988: a Trapani Mauro Rostagno, giornalista e sociologo. 25/9/1988: lungo la strada che porta da Canicattì a Palermo vengono assassinati il presidente di Corte d'Appello di Palermo Antonino Saetta e il figlio Stefano. Aveva condannato in appello i capimafia Michele e Salvatore Greco per l'attentato a Rocco Chinnici ed i killer del capitano Emanuele Basile, scandalosamente assolti in primo grado (ma il processo era stato annullato dalla cassazione), si apprestava a presiedere l'appello del maxiprocesso. 14/1/1988: a Palermo assassinato Natale Mondo, l’agente di polizia sopravvissuto all’agguato in cui avevano perso la vita Cassarà e Antiochia. 12/1/1988: ucciso Giuseppe Insalaco, sindaco di Palermo per pochi mesi, avversario politico di Lima e Ciancimino, aveva apertamente denunciato i condizionamenti dei vari comitati d'affari sul comune. 5/8/1985: Antonino Cassarà, vicequestore di Palermo e l’agente di polizia Roberto Antiochia. 28/7/1985: Beppe Montana, capo della squadra catturandi della polizia di Palermo. 2/4/1985: Barbara Asta e i suoi due bimbi Giuseppe e Salvatore muoiono al posto del giudice Carlo Palermo, bersaglio dell'attentato lungo il tratto stradale Pizzolungo-Trapani. 2/12/1984: Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia, viene ucciso appena uscito dal manicomio dove era stato rinchiuso. 5/1/1984: a Catania, Giuseppe Fava, fondatore del settimanale "I Siciliani". 29/7/1983: autobomba di via Pipitone Federico (Palermo) muoiono il capo dell’ufficio istruzione del tribunale Rocco Chinnici, due carabinieri della scorta e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi. 13/6/1983: Monreale (Palermo). Assassinato il capitano dei carabinieri Mario D'Aleo, comandante della locale compagnia. Con lui cadono l’appuntato Bonmarito e il carabiniere Marici. D’Aleo aveva preso il posto del cap. Basile. 25/1/1983: Giangiacomo Ciaccio Montalto, giudice di Trapani. 3/9/1982: Palermo. Strage di via Carini. Uccisi il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo, l'autista che li seguiva sull'auto di servizio. 16/6/1982: agguato al furgone che stava trasportando Alfio Ferlito dal carcere di Enna a quello di Trapani. Oltre al boss catanese, muoiono tre carabinieri di scorta e l’autista del mezzo. 30/4/1982: Pio La Torre, segretario del P.C.I. siciliano e il suo autista Rocco Di Salvo. Il giorno dopo il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa è nominato prefetto di Palermo. 6/8/1980: Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo. Aveva appena firmato sessanta ordini di cattura contro altrettanti mafiosi, dopo che i suoi sostituti si erano rifiutati di farlo. 4/5/1980: a Monreale (Palermo) il capitano dei carabinieri Emanuele Basile. 6/1/1980: il presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella, politico della sinistra democristiana. 25/9/1979: a Palermo il giudice istruttore Cesare Terranova e il suo autista, il maresciallo di polizia Lenin Mancuso. 21/7/1979: Boris Giorgio Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo. 12/7/1979: a Milano viene ucciso Giorgio Ambrosoli, avvocato liquidatore dell'impero economico di Michele Sindona, il giorno dopo averne presentato la documentazione. 26/1/1979: a Palermo ucciso il cronista del Giornale di Sicilia Mario Francese. 9/5/1978: Giuseppe Impastato, militante antimafia. E’ stato il boss Tano Badalamenti ad ordinarne l’eliminazione per le accuse che gli rivolgeva dai microfoni di una radio locale. 20/8/1977: il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e l'insegnante Filippo Costa vengono uccisi mentre passeggiano nei boschi della Ficuzza. 5/5/1971: Pietro Scaglione, procuratore della repubblica di Palermo e il suo autista Antonino Lo Russo. Per la prima volta nel dopoguerra la mafia colpisce un tutore della legge. 16/9/1970: Mauro De Mauro, redattore del quotidiano "L'Ora", rapito a Palermo e mai più ritrovato. 30/6/1963: strage di Ciaculli. Una “giulietta” carica di tritolo uccide sette tra poliziotti, carabinieri e artificieri. 30/3/1960: ucciso il commissario Cataldo Tandoy (provincia di Agrigento). 1944/1966: lotta per l'occupazione delle terre contro la mafia che spalleggia gli agrari, muoiono 38 sindacalisti, uccisi da campieri, guardaspalle e boss emergenti (6/8/1944 Andrea Raja, 7/6/1945 Nunzio Passafiume, 4/1/1947 Accursio Miraglia, 10/3/1948 Placido Rizzotto, 6/3/1955 Salvatore Carnevale, 20/7/1960 Paolo Bongiorno, 24/3/1966 Carmelo Battaglia). 1/5/1947: massacro di Portella della Ginestra (collina vicino Palermo), la banda Giuliano apre il fuoco su una folla di contadini che celebra la festa del lavoro: 11 morti e 56 feriti. 2/9/1943: a Quarto Mulino di San Giuseppe Jato, Salvatore Giuliano, un contadino dedito alla borsa nera, uccide il

 
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OMICIDIO DI MEREDITH

Post n°302 pubblicato il 19 Agosto 2011 da tignalucida

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E' sempre parzialmente avvolta nel mistero la morte di Meredith Kercher, la studentessa inglese di 22 anni, trovata morta in un'abitazione a poche centinaia di metri dal centro storico di Perugia con una profonda ferita alla gola. Gli investigatori non escludono alcuna ipotesi. La pista privilegiata è che la ragazza sia stata uccisa dai suoi ex amici: Amanda Knox, Raffaele Sollecito, Patrick Lumumba e, su tutti, Rudy Hermann Guede. E' stata trovata infatti nella sua camera con la porta chiusa a chiave. Era sul letto, coperta da un piumone. Con la maglietta alzata e il seno scoperto, gli altri indumenti indosso. L’universitaria era arrivata a Perugia nell'Agosto scorso nell'ambito del programma Erasmus e frequentava l'Università italiana. Viveva in una palazzina con intorno una sorta di giardino che finisce in una scarpata, con una strada piuttosto trafficata sull'altro lato. Con la giovane abitavano altre due studentesse italiane. Dagli accertamenti della polizia è emerso che nessuna ha passato la scorsa notte in casa. A trovare il corpo della straniera sono stati, intorno alle 13,00 gli agenti della polizia postale. Il telefonino della giovane era stato recuperato nel giardino di una casa poco distante ed è stato proprio il cellulare a portare gli investigatori nell'appartamento. In mattinata infatti, alla Questura di Perugia una persona, sembra un'anziana, aveva denunciato di aver ricevuto ieri sera una telefonata di minacce. La stessa, poi, ha riferito di aver trovato nel giardino della sua abitazione il telefonino. Nella palazzina la polizia postale ha trovato due amiche appena rientrate che sembra non si fossero accorte di niente. Gli agenti hanno notato alcune tracce di sangue in bagno e quindi individuato il corpo della giovane. La squadra mobile di Perugia - diretta dal Marco Chiacchera - e la polizia scientifica della Questura hanno avviato le indagini. Sembra che tracce di sangue siano state trovate sulla finestra rotta e su un fazzoletto vicino a una ringhiera che delimita la strada sovrastante, oltre che nella camera della vittima. Nessun segno di effrazione evidente è stato invece individuato sulla porta d'ingresso. In serata è comunque giunta da Roma una squadra Ert, Esperti in rilievo tracce, della polizia per approfondire gli accertamenti ancora in corso.

 
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ELENCO VITTIME DELLA STRAGE DI BOLOGNA

Post n°301 pubblicato il 19 Agosto 2011 da tignalucida

X• Antonella Ceci, anni 19 • Angela Marino, anni 23 • Leo Luca Marino, anni 24 • Domenica Marino, anni 26 • Errica Frigerio In Diomede Fresa, anni 57 • Vito Diomede Fresa, anni 62 • Cesare Francesco Diomede Fresa, anni 14 • Anna Maria Bosio In Mauri, anni 28 • Carlo Mauri, anni 32 • Luca Mauri, anni 6 • Eckhardt Mader, anni 14 • Margret Rohrs In Mader, anni 39 • Kai Mader, anni 8 • Sonia Burri, anni 7 • Patrizia Messineo, anni 18 • Silvana Serravalli In Barbera, anni 34 • Manuela Gallon, anni 11 • Natalia Agostini In Gallon, anni 40 • Marina Antonella Trolese, anni 16 • Anna Maria Salvagnini In Trolese, anni 51 • Roberto De Marchi, anni 21 • Elisabetta Manea Ved. De Marchi, anni 60 • Eleonora Geraci In Vaccaro, anni 46 • Vittorio Vaccaro, anni 24 • Velia Carli In Lauro, anni 50 • Salvatore Lauro, anni 57 • Paolo Zecchi, anni 23 • Viviana Bugamelli In Zecchi, anni 23 • Catherine Helen Mitchell, anni 22 • John Andrew Kolpinski, anni 22 • Angela Fresu, anni 3 • Maria Fresu, anni 24 • Loredana Molina In Sacrati, anni 44 • Angelica Tarsi, anni 72 • Katia Bertasi, anni 34 • Mirella Fornasari, anni 36 • Euridia Bergianti, anni 49 • Nilla Natali, anni 25 • Franca Dall'olio, anni 20 • Rita Verde, anni 23 • Flavia Casadei, anni 18 • Giuseppe Patruno, anni 18 • Rossella Marceddu, anni 19 • Davide Caprioli, anni 20 • Vito Ales, anni 20 • Iwao Sekiguchi, anni 20 • Brigitte Drouhard, anni 21 • Roberto Procelli, anni 21 • Mauro Alganon, anni 22 • Maria Angela Marangon, anni 22 • Verdiana Bivona, anni 22 • Francesco Gomez Martinez, anni 23 • Mauro Di Vittorio, anni 24 • Sergio Secci, anni 24 • Roberto Gaiola, anni 25 • Angelo Priore, anni 26 • Onofrio Zappala', anni 27 • Pio Carmine Remollino, anni 31 • Gaetano Roda, anni 31 • Antonino Di Paola, anni 32 • Mirco Castellaro, anni 33 • Nazzareno Basso, anni 33 • Vincenzo Petteni, anni 34 • Salvatore Seminara, anni 34 • Carla Gozzi, anni 36 • Umberto Lugli, anni 38 • Fausto Venturi, anni 38 • Argeo Bonora, anni 42 • Francesco Betti, anni 44 • Mario Sica, anni 44 • Pier Francesco Laurenti, anni 44 • Paolino Bianchi, anni 50 • Vincenzina Sala In Zanetti, anni 50 • Berta Ebner, anni 50 • Vincenzo Lanconelli, anni 51 • Lina Ferretti In Mannocci, anni 53 • Romeo Ruozi, anni 54 • Amorveno Marzagalli, anni 54 • Antonio Francesco Lascala, anni 56 • Rosina Barbaro In Montani, anni 58 • Irene Breton In Boudouban, anni 61 • Pietro Galassi, anni 66 • Lidia Olla In Cardillo, anni 67 • Maria Idria Avati, anni 80 • Antonio Montanari, anni 86 [Indietro]

 
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LA STRAGE DI BOLOGNA

Post n°300 pubblicato il 19 Agosto 2011 da tignalucida

xxxLa strage di Bologna è certamente uno degli atti terroristici più odiosi e gravi avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra e, a oggi, non si è ancora trovato un responsabile certo. Il solito mistero all’Italiana! Questa la cronaca: il 2 agosto 1980, alle ore 10,25, una bomba esplose nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. Lo scoppio fu violentissimo, provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d'aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell'azienda di ristorazione “Cigar” e di circa 30 metri di pensilina. L'esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Il soffio arroventato prodotto da una miscela di tritolo e T4 tranciò i destini di persone provenienti da 50 città diverse italiane e straniere. Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti. (testimonianze di Biacchesi e da "Il giorno") La violenza colpì alla cieca cancellando a casaccio vite, sogni, speranze. Maria Fresu si trovava nella sala della bomba con la figlia Angela di tre anni. Stavano partendo con due amiche per una breve vacanza sul lago di Garda. Il cadavere martoriato della piccola, la più giovane delle vittime, venne ritrovato subito. Solo il 29 dicembre furono riconosciuti i resti della madre. Marina Trolese, 16 anni, venne ricoverata all'ospedale Maggiore, il corpo devastato dalle ustioni. Con la sorella Chiara, 15 anni, era in partenza per l'Inghilterra. Le avevano accompagnate il fratello Andrea, e la madre Anna Maria Salvagnini. Il corpo di quest'ultima venne ritrovato dopo ore di scavo tra le macerie. Andrea e Chiara portano ancora sul fisico e nell'anima i segni dello scoppio. Marina morì dieci giorni dopo l'esplosione tra atroci sofferenze. Torquato Secci, impiegato alla Snia di Terni, venne informato dalla telefonata di un amico del figlio Sergio, Ferruccio, che si trovava a Verona. Sergio lo aveva informato che a causa del ritardo del treno sul quale viaggiava, proveniente dalla Toscana, aveva perso una coincidenza a Bologna e aveva dovuto aspettare il treno successivo. Poi non ne aveva più saputo nulla. Solo il giorno successivo, telefonando all'Ufficio assistenza del Comune di Bologna, Secci scoprì che suo figlio era ricoverato al reparto Rianimazione dell'ospedale Maggiore. "Mi venne incontro un giovane medico, che con molta calma cercò di prepararmi alla visione che da lì a poco mi avrebbe fatto inorridire", ha scritto Secci, "la visione era talmente brutale e agghiacciante che mi lasciò senza fiato. Solo dopo un po' mi ripresi e riuscii a dire solo poche e incoraggianti parole accolte da Sergio con l'evidente, espressa consapevolezza di chi, purtroppo, teme di non poter subire le conseguenze di tutte le menomazioni e lacerazioni che tanto erano evidenti sul suo corpo". Nel 1981 Torquato Secci diventò presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage. La città si trasformò in una gigantesca macchina di soccorso e assistenza per le vittime, i sopravvissuti e i loro parenti. I vigili del fuoco dirottarono sulla stazione un autobus, il numero 37, che si trasformò in un carro funebre. E' lì che vennero deposti e coperti da lenzuola bianche i primi corpi estratti dalle macerie. Alle 17,30, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero all'aeroporto di Borgo Panigale e si precipitò all'ospedale Maggiore dove era stata allestita una delle tre camere mortuarie. Per poche ore era circolata l'ipotesi che la strage fosse stata provocata dall'esplosione di una caldaia ma, quando il presidente arrivò a Bologna, era già stato trovato il cratere provocato da una bomba. Incontrando i giornalisti Pertini non nascose lo sgomento: "Signori, non ho parole" disse, "siamo di fronte all'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia". Ancora prima dei funerali, fissati per il 6 agosto, si svolsero manifestazioni in Piazza Maggiore a testimonianza delle immediate reazioni della città. Il giorno fissato per la cerimonia funebre nella basilica di San Petronio, si mescolano in piazza rabbia e dolore. Solo 7 vittime ebbero il funerale di stato. Il 17 agosto "l'Espresso" uscì con un numero speciale sulla strage. In copertina un quadro a cui Guttuso ha dato lo stesso titolo che Francisco Goya aveva scelto per uno dei suoi 16 Capricci: "Il sonno della ragione genera mostri". Guttuso ha solo aggiunto una data: 2 agosto 1980. Cominciò una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana e ancora oggi non si è certi di essere arrivati alla verità.

 
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L'OMICIDIO DI WILMA MONTESI

Post n°299 pubblicato il 14 Agosto 2011 da tignalucida

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Sabato 11 aprile 1953, vigilia di Pasqua. Il cadavere di Wilma Montesi, una bella ragazza romana, viene trovato sulla spiaggia di Torvajanica, una località balneare non distante da Roma. Il corpo non presenta segni di violenza ed è completamente vestito (se non fosse per la mancanza di un reggicalze, delle calze e delle scarpe). Le cause della morte non sono chiare: l’autopsia parla, genericamente – e quindi sollevando mille sospetti - di una sincope dovuta ad un pediluvio. Il ritrovamento - anche se diversi interrogativi restano senza risposta - sembra essere destinato ad una rapida archiviazione: un semplice malore, un incidente, forse un suicidio. Ma se l’incidente sembra poco credibile, per il suicidio c’è da tener conto che la ragazza non aveva motivi apparenti per desiderare la morte. Di famiglia modesta, ma tranquilla, Wilma Montesi era fidanzata e stava preparandosi al matrimonio. Testimoni raccontano di aver visto la ragazza sul trenino che collega Roma ad Ostia, un’altra località balneare, ma distante alcuni chilometri da Torvajanica. Difficile spiegare come il cadavere della ragazza abbia percorso quella distanza. La spiegazione che tentano gli investigatori - anche questa piuttosto alambiccata – parla di un gioco di correnti marine. E non fa altro che alimentare altri sospetti. Trascorrono alcuni mesi, la vicenda è quasi dimenticata quando un piccolo settimanale scandalistico, Attualità, diretto da un oscuro giornalista, Silvano Muto, il 6 ottobre 1953 riporta a galla, in forma generica, un intrico di sospetti e di accuse che in primavera, attorno al mistero di Torvajanica, aveva attraversato le redazioni di diversi quotidiani, senza mai trovare lo sbocco della pubblicazione. Si trattava, infatti, solo di voci create ad arte: Wilma Montesi sarebbe morta, forse per overdose di droga, forse per un semplice malore, durante un’orgia, in una villa del marchese Ugo Montagna, alla quale avrebbe preso parte il musicista Piero Piccioni, figlio di un importante notabile democristiano, il già ministro degli Esteri Attilio Piccioni, destinato ad ereditare da Alcide De Gasperi la leadership della Democrazia Cristiana, il più importante partito di governo. Da questo momento il caso Montesi non è più un caso giudiziario, ma diventa un affare politico: dietro la morte della ragazza si scatena la più grande faida mediatico-politica per la conquista del potere interno alla DC. Gli sviluppi della vicenda sono quanto mai intricati, anche perché sulla scena, a sostegno delle tesi accusatorie di Muto, spunta una donna: è Anna Maria Moneta Caglio, detta (per il suo lungo collo) Il Cigno Nero, ex amante, delusa, del marchese Montagna. La donna conferma: nella villa di Capocotta – che è vicina a luogo dove il corpo della Montesi è stato ritrovato – si svolgevano festini. Montagna e Piccioni – spaventati dal malore della giovane donna - si sono disfatti del corpo di Wilma, abbandonandolo – forse ancora vivo – sulla spiaggia di Torvajanica. Lo scandalo assume dimensioni gigantesche e anche il questore di Roma, Saverio Polito, viene accusato di aver cercato di insabbiare tutto, per questioni, ovviamente, politiche. Il caso Montesi – sul quale la stampa italiana, divisa per appartenenza politica, seppe dare il peggio di sé - si trascinerà per oltre quattro anni. Fino al 27 maggio 1957, quando il Tribunale di Venezia manderà assolti con formula piena Piccioni, Montagna, Polito e altri nove imputati minori, rinviati a giudizio nel giugno 1955. Ancora oggi la morte di Wilma Montesi resta un mistero.

 
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I DELITTI DI ALLEGHE

Post n°298 pubblicato il 14 Agosto 2011 da tignalucida

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Una catena di delitti cominciata nel 1933 e a cui una sentenza della Cassazione metterà il sigillo finale solo nel 1964. Nell’arco di questi 31 anni si dipanano i misteri di Alleghe, resi celebri da un bel libro scritto dal giornalista e scrittore Sergio Saviane. Cinque omicidi ambientati sulle rive del lago omonimo, in un paesino in provincia di Belluno ai piedi delle Dolomiti, maturati in una stretta cerchia di persone, saldamente legati l’uno agli altri e che avvengono in un clima di paura e di omertà. Nel corso degli anni, proprio per il mistero che circonda questi omicidi, ma soprattutto per la ferrea omertà che li protegge, il chiacchericcio dei paesani vicini comincia addirittura a cambiare il nome del paesino: da Alleghe in Montelepre, con un chiaro riferimento al paese siciliano del bandito Giuliano. Oggi il lavoro di Saviane - anticipato da un articolo che lo stesso scrisse per Il Lavoro Illustrato nell’aprile del 1952 che gettava luce proprio su quei delitti - sarebbe considerato giornalismo investigativo. All’epoca, invece, gli valse solo una condanna a otto mesi di reclusione per il reato di diffamazione in un processo intentatogli dagli stessi assassini. Il marcio che muove le mani degli assassini (un’intera famiglia di albergatori con un complice esterno) nasce da un peccato di gioventù della proprietaria dell’Albergo Centrale di Alleghe, Elvira Riva: un figlio subito dato in affidamento. La donna sposa Fiore Da Tos, uomo autoritario, che mai le perdonerà quel figlio innaturale, ma che da lei avrà altri due figli, Aldo e Adelina che sposerà Pietro De Biasio. La famiglia in nero è questa. Quando il figlio della colpa arriverà ad Alleghe per pretendere la sua parte di eredità comincia la saga degli orrori.Trattandosi di delitti così lontani nel tempo (siamo nel 1933), è possibile che non tutto oggi sia chiaro, anche perché i tre processi svoltisi negli anni Sessanta non tutto hanno chiarito. Saviane è convinto che l’eliminazione del figlio innaturale di Elvira (fatto a pezzi) sia all’origine di un altro delitto: l’eliminazione, il 9 maggio 1933, della cameriera dell’albergo, Emma De Ventura, che forse quel primo omicidio aveva scoperto, trovata sgozzata da un rasoio, ma la cui morte viene subito archiviata come suicidio. Sette mesi appena e un nuovo fatto di sangue macchia la traquillità di Alleghe. Questa volta la vittima è Carolina Finazzer, trovata morta nel lago, freschissima sposa di Aldo Da Tos dal quale probabilmente aveva ricevuto qualche confessione di troppo. Anche per Carolina scattano tutte le coperture: suicidio. Di anni da questo momento ne trascorrono 13. Siamo al 18 novembre 1946: vittime i coniugi Del Monego, altri due che forse sapevano, uccisi a colpi di pistola. Poi il silenzio. Fino a quando un giuornalista impiccione non decide di andare a mettere il naso in quella catena di delitti. Lo fermano con l’intimazione di una condanna per diffamazione. Ma è proprio sull’onda di quell’articolo di giornale che l’inchiesta sui delitti di Alleghe comincia, superando reverenze ed omertà grazie all’impegno di due carabinieri, Domenico Uda ed Ezio Cesca, investigatori di razza, di quelli di una volta che non aspettano il “pentito” di turno per sviluppare un’indagine. L’8 giugno 1960, al termine di un processo durato sei mesi, la Corte di Assise di Belluno condanna Adelina e Aldo Da Tos e Pietro De Biasio all’ergastolo per l’uccisione di Carolina Finazzer e dei coniugi Luigia De Toni e Luigi Del Monego. Per l’assassinio dei Del Monego viene condannato anche Giuseppe Gasperini, uno sbandato ex-partigiano, a trent’anni di reclusione. Nessuna condanna invece per l’omicidio di Emma De Ventura. Il delitto è caduto in prescrizione. Né per quello del figlio illegittimo di Elvira, nel frattempo morta di morte naturale come il padre-padrone Fiore Da Tos. Il processo d’Appello a Venezia (1962) e quello in Cassazione (1964) confermano la sentenza di primo grado.

 
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divulghiamo la notizia facciamo cinque domande al presidente della repubblica napolitano.

Post n°297 pubblicato il 16 Luglio 2011 da tignalucida

Cinque Domande

le  domande sono perchè a firmato il lodo alfano ecc...

 
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BORLEY LA CASA PIł INFESTATA DELLA GRAN BRETAGNA

Post n°294 pubblicato il 15 Luglio 2011 da tignalucida

cBORLEY LA CASA PIU' INFESTATA D'INGHILTERRA La casa di Borley, in Inghilterra, nota come "la casa più infestata d' Inghilterra". Si tratta di una vecchia casa canonica, oggi bruciata dopo un misterioso incendio avvenuto nel 1939: Nel 1862 il reverendo Herny Dawson Ellis Bull si trasferì a Borley con la famiglia, non badando alle terrificanti voci che già giravano su questa casa: si parlava di fantasmi di un monaco, di una suora, e di una carrozza fantasma con il cocchiere senza testa che infestavano la villa. Ma Bull non badò a questo. Fino a quando non iniziarono a manifestarsi i primi fenomeni: daprima con oggetti che si muovevano da soli, in seguito in vere e proprie apparizioni spettrali; di una suora a capo chino e di una carrozza che girava intorno alla casa di notte, a volte senza conducente e in altri casi con un cocchiere senza testa. Una sera, la figlia del proprietario, vide, vicino al suo letto, la figura di un monaco alto vestito di nero. Fu solo allora che vendettero la casa ad un altro reverendo, Guy Smith, che nulla sapeva dell'influsso negativo della casa e vi andò a vivere con i familiari. Ma anche per lui gli eventi non cessarono anzi, Smith allora decise di contattare Harry Price (uno dei più famosi cacciatori di fantasmi). Quest'ultimo si dedicò ai fenomeni in questo luogo per ben 10 anni, dal 1929 al 1939. Ma a nulla valse l' esperienza di Price: egli stesso assistette, impotente, a fenomeni di piccoli oggetti che svolazzavano, chiavi che cadevano da sole dalle serrature e, una volta, di un candeliere di vetro rosso che si schiantò contro una scala andando in mille pezzi. Si tentò con una seduta spiritica nella "stanza blu", una camera, al secondo piano, caratterizzata da una grande intensità di fenomeni e altrettante apparizioni spettrali. La casa fu occupata dal reverendo Lionel Foyster, di 51 anni, dalla moglie, Marianne, di trent'anni più giovane di lui, e dalla figlia, Adelaide. I fenomeni di Borley non si fecero attendere: Marianne vide un uomo pallido in vestaglia che dalla cima delle scale la chiamava, oggetti che svolazzavano per la casa (come un martello ed una maniglia, che finirono per colpirla e ferirla). La casa fu abbandonata nel 1935: l'unico a ritornarci più volte fu Price, che nel 1936 l'affittò e si trasferì con una squadra di ben 20 collaboratori, per condurre alcuni esperimenti. Successe di tutto apparizioni, oggetti che volavano contro Price e i suoi uomini e anche continui incendi che venivano puntualmente spenti dal ghost hunter e i suoi collaboratori. In una sedute spiritiche nella casa: il 28 marzo 1938, la medium Helen Glanville fu avvertita da uno spirito maschile, presentatosi come Sunex Amurex, che la casa sarebbe bruciata quella notte. Si sbagliava, ma di soli 11 mesi: l'incendio si sviluppò la notte del 27 febbraio 1939, Price e i suoi uomini avevano lasciato la casa da circa 2 mesi, ma si era promesso di ritornarci al più presto. Quella notte gli abitanti del villaggio corsero a tentare di salvare una giovane donna che si trovava al piano superiore mentre la casa bruciava. Ma nella casa non c'era nessuno e, domato l'incendio, non fu ritrovato alcun corpo. Attualmente non rimane praticamente nulla della casa, ma ancora oggi il caso di Borley è considerato tra i più spaventosi e i più attendibili. Lo stesso Harry Price, grande studioso di fantasmi, abile ghost hunter e famoso nello smascherare casi di burle o di fantasmi "finti", considerava la tenuta di Borley, la casa più infestata di tutta l'Inghilterra.

 
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