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Mali estremi, estremi rimedi

Post n°18 pubblicato il 10 Aprile 2007 da lunarossa.1974

Un lamento funebre, che a detta di molti non aveva motivo di esserci, si era contrattato, avevamo dato quel che ci avevano chiesto: nessuno aveva spiegato che quel negoziare, riguardava soltanto la libertà di Mastrogiacomo, nessuno aveva dichiarato che si negoziava per le entrambi liberazioni.

Poteva essere sottinteso la duplice liberazione, per un popolo che fonda la vita su dei credo, su delle regoli civili e morali: abbiamo dimenticato che dall’altra parte v’erano uomini assolutamente incapaci di comprendere e onorare talune regole sottointese, regole sancite da una civiltà evoluta.

Non mi piace la rabbia che fuoriesce dalle pagine di molti giornali: in qualche modo offendono le migliaia di morti sconosciute. Infinite teste, rotolate sulla sabbia, senza nome, e senza volto.

Comprendo lo sfogo del giornalista  e dello stesso Strada, il primo forse un dolore nato dai sensi di colpa, il secondo un dolore diverso, tradito dalle persone che lui quotidianamente aiuta, salva, opera con le sue stesse mani: di certo simili entrambi allo sfogo di una madre che piange il proprio figlio vittima di un pirata della strada. Un dolore che viaggia sulle righe di un giornale, lungo i fili del telefono, a suon di digitazioni nervose: comprensibili, giustificabili, ammissibili.

I talebani, noti per la loro furia assassina ci fanno paura, rabbia: eppure ogni volta c’illudiamo che anche loro abbiano un limite, un confine che mai potrebbero valicare. Talebani terroristi, tuona qualcuno, scoprendo l’acqua calda.

Resta il fatto, che in un conflitto non c’è posto per l’individualità, non possiamo schierarci su questa morte si, su l’altra no.

I reportage son pericolosi, ti pagano bene, ma rischi di non raccogliere i frutti dell’impresa, se decidi di addentrarti, sai perfettamente che rischi di morire.

Così l’autista, così l’interprete, così Strada: resto fredda, appellandomi alla logica della guerra.

Uomini in trincea, uomini al fronte, un fronte lontano dalla civiltà e le sue regole sottintese.

Bieco sentimentalismo che s’infiltra in parlamento, un velo di finta meraviglia attraversa le cupole del potere.

Perdiamo tempo a dipingere un  drappo nero irriverente, che discorda atrocemente con le quotidiane stragi d’innocenti.

Si è marciato a pasqua contro la pena di morte: non è forse la stessa guerra una pena di morte? La lama di un boia dal viso invisibile?

Perdiamo tempo, perdiamo vite umane, ostinandoci a mascherare il vero volto di una realtà che fatica a restare celata sotto i nostri finti buonismi.

Potremmo far cessare quest’orda di barbari in qualsiasi momento.

Facendo cessare il business che alimenta la stessa guerra. Non parlo di sole armi, o di petrolio, o dell’oppio e qualsivoglia.

La nostra stessa indignazione produce ricavo.

Cosa accadrebbe se v’invitassi tutti, dalla Val D’Aosta, alla Sicilia, ad invadere Roma, riempire le sue strade con i nostri sacchi a pelo, restarci fin quando la nostra Nazione non esca dal conflitto: dovesse durare un mese, due, tre.

Immobilizzando la città, immobilizzeremo il sistema, bloccheremo la produzione: fermi gli uffici, ferme le fabbriche, collasserebbe l’economia.

Dubito che davanti una tale emergenza, qualcuno non decidesse di ascoltarci concretamente.

Ma ci vuole coraggio ad uscire dalla quotidianità: alienarsi dalla propria vita.

L’intera Europa, son certa ambisce ad uscire da questa guerra inutile, aspettano soltanto che qualcuno entri in pista per primo.

Estremi nei rimedi, come nei mali.

 

 

 

 
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