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« Maghi....Fine di una storia »

Ti affidiamo un bambino

Post n°44 pubblicato il 14 Settembre 2008 da magnum.3
 
Tag: bambini

Ve lo avevo detto, che ne avrei parlato. Il quadro che ruota attorno alle adozioni non sarebbe completo, se non comprendesse anche l' "affidamento". Da quando ho cominciato ad interessarmi del problema nel suo complesso, ho pensato per molto tempo, che questa pratica fosse da considerare tra le più nobili e belle. E tutto sommato, lo penso ancora. Ammiro molto, chi riesce a portarla avanti. Dopo aver visto almeno un episodio da vicino, io non riuscirei a fare una cosa così.
I due miei amici di cui voglio raccontarvi l'esperienza, li chiameremo Manuela e Corrado.

*   *   *

Tutto cominciò un sabato pomeriggio. Come accadeva ogni week end, i due se ne erano andati nella loro casa di campagna. Erano molto affezionati, a quel posto: una piccola, deliziosa casetta, con un po' di giardino intorno che Corrado aveva costruito letteralmente da solo, quando aveva capito che se avesse aspettato di avere abbastanza denaro per farsela fare secondo la prassi consueta, quella dell'impiego di un'Impresa, probabilmente non sarebbe mai riuscito ad averla. Ed allora aveva deciso di rinunciare per un po' di tempo - un bel po' di tempo, bisogna dire, parecchio al di là delle sue previsioni - a vacanze, ferie e fine settimana al mare, per andare a scavare, realizzare fondamenta e cominciare poi a tirar su le mura.
Miope, distratto e fumatore di pipa com'era, perse occhiali ed oggetti da fumo in grande quantità, dentro i fori dei blocchetti, a beneficio degli archeologi futuri, che avrebbero certamente provveduto (provvederanno) ad estendere grossi tomi sui ritualismi sacrificali dei costruttori dell'ormai remoto ventesimo secolo. Poi, venne il giorno che la casa fu finita. E fu subito amore, di quelli che non finiscono più. Tutta la famiglia era felicissima di andarsene lassù, dopo una settimana di scuola e di lavoro. Tra l'altro, a due passi di distanza c'era la casa di amici fraterni, con i quali Corrado, Manuela e le loro figlie avevano una consuetudine di vita quotidiana.
La parte femminile dell'altra coppia, Medico Pediatra, ricopriva la carica di Direttrice della "Casa della Madre e del Fanciullo". Fu proprio lei che raccontò ai miei due amici di un bambino, Andrea, che il Tribunale dei Minori aveva ricoverato presso l'Istituto da alcuni mesi, dopo una vicenda davvero terribile. Andrea era figlio di una prostituta e di un suo ignoto cliente. I loro incontri avvenivano nella casa della donna, sotto l'occhio vigile del suo protettore che nel frattempo si applicava coscienziosamente all'esame dei programmi televisivi ed alla degustazione di vari liquori, mentre lei procacciva il pane a quello squallido simulacro di famiglia, col sudore della sua...fronte. Ma il suo meraviglioso compagno di vita non poteva veder limitata la sua libertà. Ed allora Andrea, da bravo bambino, stava seduto ai piedi del letto della madre, zitto, per non disturbare la concentrazione degli occasionali clienti. Solo nelle pause di lavoro della madre gli veniva permesso di giocare con le sue macchinine, sempre rigorosamente dentro le quattro mura di quella olezzante camera da letto. Ditelo, ai vostri figli, che ci sono al mondo dei bambini, e nemmeno così pochi, che vivono come Andrea.
Questo andazzo durò sin quando il bambino  compì i cinque anni. A quel punto non riusciva piùa stare fermo, come gli era stato imposto sino a quel momento, un po' con le buone, un po' con le cattive. Provava l'irresistibile bisogno di muoversi, Andrea, di correre, ed anche di fare chiasso. Queste sue necessità - strano, per un bambino di quell'età, vero? - portarono velocemente l'uomo di sua madre oltre un giustificatissimo limite di sopportazione. Per cui, questo fior di galantuomo prese un giorno Andrea per mano dicendogli che andavano a prendere delle caramelle. Invece lo portò al Tribunale Minorile. Spiegò ad un Assistente Sociale, che la sua donna, ma anche lui, non si sentivano più di accudire ad un bambino tanto colpevolmente irrequieto. L'Assistente tentò di convincerlo a rinunciare all'abbandono, anche con promesse di aiuto finanziario e blandizie. Ma il gentiluomo appariva irremovibile. I soldi, grazie alla sua donna erano l'ultima delle sue preoccupazioni. E per ciò che riguardava le blandizie, spiegò cortesemente alla Signora che gli stava davanti - peraltro, mi dicono, assai carina - quale sarebbe stata l'unica che avrebbe potuto convincerlo. Allora, l' A.S.  si arrese e portò l'uomo, assieme ad Andrea nello Studio del Presidente del Tribunale. Il bambino piangeva già disperato: non aveva mai conosciuto alcunchè di diverso dalla vita che gli era stata imposta sino a quel momento. E quindi pensava che quella fosse la vita, per definizione. E si chiedeva, stravolto, perchè le due persone alle quali aveva fatto riferimento sin dalla nascita, volessero abbandonarlo.
Il Presidente, per quanto col cuore piccolo come una nocciolina, tentò in tutti i modi che la sua esperienza gli suggeriva, di rimediare in qualche modo ad una situazione così terribile. Ma l'uomo non volle sentire ragioni. E ad un certo momento, semplicemente si alzò, dirigendosi verso la porta. Il Magistrato raccontò poi di un piccolino urlante, col visino coperto di lacrime, attaccato al pantalone destro di quella bestia che l'aveva portato sin lì, che continuava a camminare trascinandolo sul pavimento, dietro di sè.
Ci volle del bello e del buono per calmare Andrea, i cui occhi, tuttavia, restarono colmi di paura e di una tristezza infinita.
Il Tribunale decretò lo stato di adozione. Nell'attesa che le pratiche necessarie facessero il loro lunghissimo corso, il piccolo venne inviato all'Istituto, una sorta di orfanotrofio vero e proprio.
La Direttrice, fornita di un animo da Mamma meraviglioso, assieme alle sue Collaboratrici, fecero di tutto, per confortare Andrea. Ma il trauma era stato troppo violento: Andrea non familiarizzava, nè con gli adulti, nè con i piccoli. Trascorreva le sue giornate in uno stato di apatia totale, costantemente seduto in terra, in un angolo, senza comunicare minimamente. Sopratutto, rifiutava sistematicamente il cibo, per cui la Dottoressa Sabini (altro nome fittizio, naturalmente) cominciava ad essere seriamente preoccupata, dopo solo alcune settimane, per la  sopravvivenza stessa del piccolo.
Decise allora di ricorrere ad un tentativo non del tutto consueto. Previo il consenso del Magistrato, pensò di provare ad affidare Andrea ad una Famiglia già formata, per il tempo necessario per giungere all'adozione.
Quando fece la proposta a Manuela e Corrado, raccontando l'intera vicenda, i due reagirono d'istinto, senza neppure riflettere un solo momento: la loro risposta fu immediatamente affermativa. Per i due giorni successivi, prepararono adeguatamente le loro figlie, la più grande delle quali aveva undici anni. Concordarono con la loro amica che il piccolo sarebbe entrato nella loro famiglia il sabato, quando si fossero trovati tutti là, in campagna. Si auguravano tutti che un ambiente caldo, intimo, servisse per aiutare Andrea a sciogliere le proprie paure.
Il piccolo, sulle prime, reagì come di consueto: era abituato ad obbedire agli ordini che gli venivano impartiti in Istituto, per cui seguì Corrado, Manu e le bambine senza fare resistenza. Ma i suoi occhi erano opachi, terribilmente rassegnati e pieni, come sempre, di  quella infinita tristezza che aveva colpito chiunque avesse avuto contatti con lui, sin dal giorno di quella terribile scena in Tribunale. Le bambine provarono a riempirlo di coccole, ma senza alcun risultato. A volte Andrea sembrava cedere alle lacrime ma poi, in qualche modo, le ricacciava indietro, ciò che appariva, se possibile, ancora più tremendo.
Si era fatta l'ora di pranzo. La Famiglia si sedette attorno al tavolo rotondo, nella stanza che somigliava a quella di una baita, straordinariamente calda e confortevole. Manu riempì i piatti di tutti, con malloreddus dal profumo squisito. Andrea non toccò il cucchiaio. A turno, i cinque tentarono di convincerlo a mangiare, ma senza successo.
A quel punto avvenne una cosa straordinaria, simile quasi ad una favola. Corrado, Manu e le loro figlie si scambiarono un'occhiata ed, attraverso canali sconosciuti, concordarono una cosa, senza aprir bocca: da quel momento in poi Andrea venne ignorato, almeno apparentemente. Gli altri chiaccheravano, ridevano, si comportavano come una normalissima famiglia fa, se voglia dirsi tale, durante un week end. Naturalmente, cinque code dell'occhio tenevano sotto controllo il piccolo ospite. Per qualche minuto non accadde nulla. Andrea guardava gli altri di sottecchio, ma senza alcuna traccia di partecipazione. Poi scattò il pulsante magico: una manina afferrò il cucchiaio, lo immerse nel piatto e si portò la pasta alla bocca, prima timidamente, poi con crescente voracità. Lo guardarono tutti apertamente, sorridendo. Ed Andrea rispose al sorriso.
Quando il pranzo finì, tutta la famiglia andò a casa della Dottoressa Sabini a prendere il caffè, come di consueto. Per la verità, in quei fine settimana le due famiglie pranzavano sempre insieme. Ma per quel giorno era stato concordato che ognuna delle due lo facesse separatamente, ciascuna in casa propria, per porre le migliori premesse all'incontro.
La Dottoressa non poteva credere ai propri occhi. Malgrado tutta la sua esperienza, non aveva mai assistito ad una metamorfosi tanto repentina. Evidentemente Andrea aveva solo coperto se stesso sotto la paura, in attesa inconscia di un raggio di luce che intaccasse l'oscurità nella quale si sentiva immerso. Ed alla fine, quel raggio era arrivato sotto la coltre. E la speranza era rinata in lui.

(continua)




 
 
 
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Data di creazione: 26/10/2004
 

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