Ero piena di buone intenzioni, seriamente determinata a proseguire con le nostre fertili riflessioni in tema di gender studies, e invece stamattina venendo in ufficio ho avuto la cattiva sorte di ascoltare il trailer di Scusa ma ti chiamo amore.
Ora. Io sono romana. De Roma. In esilio da dieci anni ma tant’è. Comunque a Roma sono cresciuta, non troppo distante dalla zona di Ponte Milvio. Ce l’avete presente Ponte Milvio? Luogo suggestivo, a parte il progressivo infighettamento e la proliferazione di locali da happy hour che mi dà parecchio sui nervi, tenuto conto che quand’ero ragazzina si trattava di un ricettacolo di pendagli da forca e avanzi di galera. E quando te lo ricordi animato da quelle belle facce patibolari, fai sempre un po’ fatica a mandar giù il fatto che oggi le case te le vendono a 10.0000 cucuzze a metro quadro.
Ponte Milvio, che è un signor ponte romano con tutti i crismi e i suoi bei 17 secoli sul groppone, fino a qualche anno fa era essenzialmente noto al di fuori dei confini di Roma per una sola ragione. Per essere stato il luogo dove si concluse la battaglia omonima tra l’esercito di Massenzio a quello di Costantino, dopo un lungo estenuante conflitto iniziato giorni prima all’esterno dei confini della città, in amena località nota come Saxa Rubra.
Ora, tenuto conto che:
1. La vittoria di Costantino - strafatto dai postumi della celebre visione avuta nel corso della notte precedente in cui evidentemente non si era tenuto leggero con la coda alla vaccinara - segnò l’inizio della gloriosa ascesa del cristianesimo all’interno dell’impero;
2.Che la località di Saxa Rubra è oggi sede centrale di quel manipolo di indegni marchettari che gestisce la Rai;
mi domando: ma non era già sufficiente la concentrazione di patetiche sfighe sulle spalle di un unico luogo non peggiore di tanti altri? Perché ci si doveva mettere anche Federico Moccia - che Dio strafulmini tutta la sua maledetta genia di pennivendoli – e i suoi lucchetti dell’amore di merda?
Sopra Ponte Milvio, un centinaio di metri più a nord, passa un cavalcavia che da quarant’anni ha una specifica destinazione: serve per i graffiti degli innamorati. Da sempre, da che posso ricordare, sulle pareti di travertino della struttura che è di epoca fascista hanno scritto solo loro. Mai un Forza Roma-Lazio Merda. Mai. Amore in tutte le declinazioni. Nanni Moretti ci ha perfino girato alcune scene di Caro Diario. È il ponte di Corso Francia. Da quando Moccia è apparso nel mondo dell’editoria, probabilmente per l’influenza mefitica di Ponte Milvio e i suoi lucchetti che sono molto vicini, su quel ponte troneggia in permanenza la scritta prepotente: Tre metri sopra il cielo. Come se ci fosse solo lei. Come se prima della sua comparsa noi non sapessimo parlare d’amore. Come se sul tema avesse qualcosa da insegnarci con quella prosa da scuola elementare e lo spessore emotivo di una sogliola alla mugnaia.
Moccia s’è appropriato di uno dei pilastri della mia adolescenza, s’è preso il Ponte di Corso Francia e le sue dichiarazioni d’amore senza regole sintattiche o di convenienza, per sostituirle con la tirannia delle sue cagate da parterre della De Filippi. Moccia mi ha tolto qualcosa di mio, e non mi ha dato niente in cambio.
Per cui voglio solo che sappia questo.
Federico Moccia, io ti odio. Te, e quell’altro pisquano di Costantino.
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