Certe volte ho l'impressione che tutto l’amore silenzioso che riesco a esprimere per te non sposti di molto il corso delle tue giornate.
Io di questo non mi lamento. Che senso avrebbe pretendere una devozione forzata? Per cui in effetti non è con te che ce l’ho. E’ con me, dannazione. Con me. Che reagisco sempre con la ritirata ingloriosa, il ripiegamento mistico, il rispetto esasperato e alla fine con il silenzio delle cose, rientrando nello spazio che è il punto dove tutto si raccoglie smettendo di vibrare, il luogo che non è in nessun posto e dove non ci sono strade da percorrere. Il centro dove non sentiamo più nulla e dove nessuno riesce più a sapere niente di noi. L’assenza di perturbazioni.
Il punto è che solo io so quanto fascino perverso eserciti il grado zero del sentimento, e com’è difficile rientrare nella propria pelle quando hai goduto di quell’intensa intimità col ghiaccio. Ti ripeti che va fatto, perché è per questo che siamo qui, e che altrimenti tanto valeva donare la propria vita al signore e andare ad abitare un eremo. Ti dici che è questo il suono che fa l’amore, il segno che incide sulla pelle. Per cui in effetti torni, alla fine torni, fai all’indietro la strada per risalire alla superficie della vita come certi pendolari all’alba prendono il treno che li porta in città, arrancando lungo un binario con il bavero rialzato e le mani sprofondate nelle tasche per proteggersi dal freddo.
E’ bello anche questo. Scendere dal predellino, alla stazione, nel caos delle sette e mezza, col sole ormai alto abbastanza per riuscire a vedere la luce, e avvertire di nuovo che sono viva, e sufficientemente lucida per avere voglia di prendermi cura di me, fosse anche solo con un cappuccino bollente e una brioche.
Perché voi non so, ma a me una cappuccino e una brioche mi rimettono al mondo.