Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
 

Messaggi di Febbraio 2010

C'arisemo co' sto Kansas City

Post n°633 pubblicato il 28 Febbraio 2010 da middlemarch_g
 

Non posso dire di aver capito bene come siano andate le cose, però all'incirca mi pare che si tratti di questo: il Pdl del Lazio, dovendo consegnare la documentazione relativa ai candidati della lista provinciale di Roma, ha pensato bene di affidare l'incarico a un gigantesco sallucchione. Il quale, una volta giunto presso gli uffici elettorali preposti al deposito, s'è accorto di essersi scordato, nell'ordine, prima i lucidi dei simboli, e poi le accettazioni. Tutto questo due ore prima della scadenza. Che uno dice: ma prendersi un pochino per tempo, no? Farlo magari con un paio di giorni di anticipo sul termine ultimo non sembrava una buona idea? Macchè. Minuzie. Quisquilie. Nugae burocratiche. Voglio proprio vedere se non mi fanno entrare, amme. E infatti non l'hanno fatto entrare, perché quando finalmente gli è riuscito di presentarsi con tutto l'occorrente, s'erano fatte le 12 e 45 e il termine ultimo ormai era scaduto da tre quarti d'ora.

Ma la cosa che davvero sconcerta non è l'occorrenza, che può capitare a tutti. E' il contesto. Le parole che il sallucchione sceglie per giustificarsi. Gli scenari che evoca per dare un senso alle sue cazzate. E va ascoltato con le sue parole, quelle con cui spiega con grande serenità d'animo che, tra un recupero e l'altro, s'è fermato a mangiare con tutta tranquillità.

Bisogna ascoltarlo si. Bisogna ascoltarlo perché se lo fai con la dovuta cura ci metti un attimo a capire che il referente culturale unico della cialtroneria, la maschera del teatro dell'arte dell'italianità è sempre quella, e non c'è modo di strapparsela di dosso. Un dirigente politico giapponese che si fosse reso responsabile di una simile, epocale cazzata - e lasciamo perdere il fatto che un dirigente politico giapponese non si sarebbe mai messo in prossimità delle condizioni minime necessarie per compiere una simile, epocale cazzata - dopo aver offerto pubbliche scuse inclusive di una piena assunzione di responsabilità, se non proprio un seppuku in real time, come minimo avrebbe offerto agli elettori il suo ritiro in un pollaio alle pendici del Fujiama e la certezza di trascorrere il resto della vita attiva spalando sterco ovino. Un dirigente di partito italiano invece ha sempre pronta una sola spiegazione, che è poi una delle infinite varianti della Grande Madre di Tutte le Cazzate che ognuno di noi si porta nel sangue e si ciuccia col latte fin dalle tette delle mamma. Che all'incirca suona così:  A mme m'ha bloccato la scarlattina! Se anch'io da bimbo fossi stato trasferito nel Kansas City come Joe Di Maggio, mamy!

 

sordi

 
 
 

Che cazzo ci fa lui lì?

Post n°632 pubblicato il 26 Febbraio 2010 da middlemarch_g
 

Moltissimi anni fa ero una giovane borsista di belle speranze. Non che avessi un’alta opinione intellettuale di me, e per dirla tutta mi sentivo una merdina sotto diversi profili, ma siccome avevo la vocazione mistica per la ricerca ed ero una specie di suora laica dalle Belle Arti Culturali, avevo la strana, incrollabile certezza che le cose in qualche modo si sarebbero risolte e che il destino avrebbe trovato il trucco per provvedere a me in un modo o nell’altro consentendomi di vivere come volevo. Che all’incirca significava: rosicchiando sapere come un topo, con il naso nei manoscritti, e un portfolio di tessere di accesso alle più prestigiose biblioteche romane da portare in giro con la stessa protervia imbecille con cui altri ricorrono alle carte di credito. Mi andò male, e ancora oggi non sono convinta che si tratti della cosa peggiore che mi sia capitata nella vita.

Il docente con cui mi laureai, quello a cui davo una mano per i seminari e le sessioni - se ci ripenso, è inconcepibile  quanto fossi disposta a svendermi per il brivido di sentirmi chiamare professoressa in commissione d'esame - a quell’epoca era ancora un giovane assistente rampante con un talento spropositato per la divulgazione storica che negli anni successivi fece la sua fortuna. Poi, un bel momento, gli venne voglia di scrivere un romanzo monumentale e lo spedì ad Aldo Busi, il quale ne rimase entusiasta, lo introdusse con tutti gli onori in Mondadori, lo presentò nei salotti romani importanti, riuscì a promuoverlo a sufficienza da fargli vincere lo Strega (e fu il più giovane vincitore nella storia del premio dopo Ennio Flaiano) e lo lanciò nell’empireo degli intellettuali che contano, dove a tutt’oggi risiede trovandosi piuttosto a suo agio, essendo uno che in televisione riesce a dire cose intelligenti, sensate e perfino appassionanti. Il tutto in modo semplice e lineare. Che non è proprio una cosetta che si possa affermare di molti in senso estensivo, da quelle parti lì.

Insomma una sera d'estate di almeno vent’anni fa, il mio relatore mi chiese di accompagnarlo a una manifestazione estiva dedicata a sailcazzo cosa lungo il Tevere per presentare il libro, quello dello Strega, che era uscito da poco. Io lo feci con piacere, e alla fine si decise di andare a bere qualcosa con una compagnia di gente che mi intimoriva molto, e tra cui c’era appunto anche Busi. Che aveva un’aria mortalmente annoiata mentre sorseggiava una roba analcolica. Quando il mio relatore mi presentò come una sua collaboratrice, Busi alzò gli occhi su di me - oddio, alzò gli occhi forse è troppo. Diciamo che sollevò la testa a sufficienza per orientarsi verso la fonte del suono che aveva appena ascoltato. Onestamente dire che mi abbia guardato va un po’ oltre l’oggettiva ricostruzione dei fatti - e rivolto nella mia direzione mi chiese:

Cioè, anche lei lavora all’università?

E io, che sono da sempre una talebana della puntualizzazione atta a ridimensionarmi, risposi:

Per il momento no, non si può dire esattamente così. Però ambirei.

Al che lui fece un sospiro intenso e profondo con il quale credo intendesse significare tutto quello che c’era da dire sull’università italiana, e la misura in cui considerava patetica ogni ambizione orientata in quel senso. Del resto non posso dire che avesse torto. Né allora né oggi ne avevo una stima esagerata neppure io, e condividevo molte delle sue perplessità. Oltretutto lo ritengo un uomo intelligente e un grande scrittore, anche se non è tra i miei preferiti. E un uomo onesto anche, si. Intellettualmente ed emotivamente onesto. Un’altra cosa che non puoi dire di tanti.

Per cui in fondo ero quasi d’accordo. L’università italiana non è necessariamente il posto migliore dove scegliere di impiegare il meglio delle proprie risorse mentali, ammesso che uno ne abbia.

Certo, se devo dirla tutta, continua a sembrarmi una destinazione finale lievemente migliore dell’ Isola dei Famosi. Non di molto, e magari ancora non a lungo. Ma insomma, qualcosina di più, volendo, mi pare che se ne possa ricavare. Specie se in fondo uno non ha molte ambizioni. Chè se avevo ambizioni puntavo a fare l'amministratore delegato della Fiat. Altro che topo. 

 
 
 

Sono eletto da Dio e il telvoto mi fa una sega

Post n°631 pubblicato il 22 Febbraio 2010 da middlemarch_g
 

Mia nonna, questa nonna, è nata a Napoli nel 1911. Uso un presente letterario perché in effetti saranno almeno vent'anni che è morta, sei mesi esatti dopo la scomparsa del marito. Il che è particolarmente strano tenuto conto che per tutta la vita si scazzarono così furiosamente e in modo talmente pervasivo da suscitare seri dubbi sulla natura dei circostanze nel corso delle quali gli riuscì di concepire 4 figli. Che insomma, come minimo vuol dire che almeno 4 volte nella vita devono essere rimasti in prossimità l'uno dell'altro quel minimo richiesto dalla natura affinché questa potesse fare il suo corso. E se voi li aveste conosciuti, la cosa non avrebbe mancato di sorprendervi tanto quanto ancora oggi stupisce me.

E comunque. Era un donnino di poche pretese concettuali ma di sconfinate ambizioni sociali. Culturalmente risultava un po’ lacunosa. In compenso era del tutto priva di inibizioni nell‘esternare il suo pensiero, con il risultato di rendere pubbliche certe clamorose puttanate che ancora oggi allietano fino alle lacrime in nostri intimi ricordi familiari. A parte questo le piaceva fare vita da signora, ed era una qualità che le apparteneva intrinsecamente, per diritto di nascita. Ci sono persone che vengono al mondo con un'idea precisa della collocazione sociale che gli compete, e che cominciano a rivendicarla molto prima di averla raggiunta, o, al limite, anche molto dopo averla definitivamente persa. Lei era così: nasceva altoborghese negli intenti. Famiglia molto comme-il-faut, a partire dalle pretese per arrivare fino alle intime fibre della biancheria ricamata. Per quello che ne so, negli anni ‘40 una serie di sventure familiari avevano fatto di lei e delle sue otto sorelle l'immagine stessa della borghesia decaduta, quella che simulava benessere passeggiando lungo il Corso senza sapere dove trovare una pagnotta da mettere in tavola per la cena. Un genere molto letterario, a modo suo, anche se non credo ne fossero consapevoli. Poi crescendo - perché pare che le signorine M. fossero tutte delle gran belle ragazze - investirono con intelligenza nella borsa matrimoniale, per cui a partire dal dopoguerra la famiglia, trasferita pressoché in blocco a Roma, finì per raggiungere la posizione a cui puntava fin dall’inizio, e ad arrivare forse perfino un po’ più in alto di quello che aveva sperato.

Degli anni di Napoli nonna mi faceva spesso la cronaca delle serate a teatro da cui traeva un unico beneficio, che poi era anche la ragione che la motivava ad andare: vedere il Re e la Regina che con la straordinaria, leggiadra eleganza che è propria solo delle persone di rango, salutavano con rigida degnazione il pubblico in sala prima dell’inizio dello spettacolo. A settant’anni da quegli episodi dell’allestimento scenico non  ricordava granché. Ma i sovrani d’Italia quelli no, non se li è più dimenticati.

Perché mi torna in mente oggi? Perché ho letto quest’intervista qui sulla scia degli ultimi noti eventi. E già che c’ero ho dato anche un’occhiata alla biografia di questo irrecuperabile minchione che sta sovvertendo ogni pronostico di cialtroneria perfino in un paese noto per la generosità con cui applica il francescano talento dell’indulgenza.

E ancora una volta - ma devo averlo già scritto parlando del Principe di Piemonte e Venezia - mi sono ritrovata chiedermi: tenuto conto della misura in cui questa dinastia in generale, e il suo ultimo erede in particolare, rappresentano con efficacia mimetica la natura profonda dell’italianità - che è volgare, inconcludente, vacua, superficiale e trombona, furbetta e ignorante, incostante e talmente egoriferita da non contemplare nemmeno l’ipotesi di impegnarsi in occupazioni alternative all’esegesi del proprio regale ombelico - non è stupefacente che siamo riusciti a toglierci dai coglioni almeno sotto il profilo istituzionale?

Ad ogni buon conto però restiamo un filino sull’avviso, ok?
Perché gli italiani, tra le altre cose, sono anche piuttosto volubili. La difesa della Costituzione repubblicana visibilmente non è il primo dei loro interessi. E ripensarci può essere questione di un attimo. Specie dopo un simile, brillante piazzamento.

 
 
 

Per fortuna la fine dell'inverno è vicina

Post n°630 pubblicato il 16 Febbraio 2010 da middlemarch_g

E' solo che mi è presa un'ossessione, e io non sono mai stata una che procede in modo lineare. La linearità mi si addice come il tacco a stiletto alla Binetti. Io sono più una che se non viene folgorata sulla via di Damasco quattro o cinque volte al giorno con fulgide e dirompenti illuminazioni sulla natura del suo futuro, non riesce nemmeno a dare una logica minimale alle sue giornate.

Riassumendo: lavoro come uno schiavo nubiano addetto ai cessi della piramide di Giza, e nei tempi morti preparo l'ultimo esame della sessione che è schedulato per il 22 febbraio. Che poi sarebbe il prossimo lunedì.

Fino ad allora conto di resistere nell'ardimentosa impresa di trattenere il fiato per accrescere il grado della mia concentrazione - chè tra le altre cose sono anche una con una discreta capacità polmonare - dopodichè riprendo a respirare e torno da queste parti.

In the meanwhile non crediate che non vi pensi. Perchè non è così.

 
 
 

Aridatece Dallas

Post n°629 pubblicato il 08 Febbraio 2010 da middlemarch_g

Da una parte ti dicono che il pranzo sarà improntato a un’atmosfera distensiva. Dall’altro sottolineano che il tradizionale incontro familiare del lunedì verrà spostato di 24 ore per improrogabili impegni istituzionali del presidente.

Forse sarà vero, per carità. Ma se tuo padre comincia a invocare il legittimo impedimento anche solo per sedersi insieme a te di fronte a una lasagna, secondo me l’atmosfera tanto tanto distesa non deve essere.

berlusconi e famiglia

 
 
 

Great expectations

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.

Samuel Beckett

 

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