Creato da middlemarch_g il 24/01/2008
'Fallisci meglio' è il mio secondo nome
 

Messaggi di Ottobre 2011

Granpa(3) - Oh, mighty Aphrodite!

Post n°722 pubblicato il 13 Ottobre 2011 da middlemarch_g
 

Comunque in qualche modo si riprese. E tra l'altro si sposò. Prima di conoscere mia nonna però, si fidanzò per qualche tempo con una tipa che se ricordo bene si chiamava Miriam Besana. Ora molti di voi non se lo possono ricordare. Ma quelli nati prima del 1970 sanno che un milione di anni fa la Besana faceva gelati. Anzi, guardate che reperto storico ho recuperato: lo spot (lo spot! Ma cosa dico, è del '73! Si chiamava la réclame, santoiddio!) di Cochi e Renato.

Questa succosissima parte della storia putroppo la conosco poco. Mi piacerebbe parecchio avere dettagli glamour, ma la verità è che non so come cominciò e neppure esattamente perché finì. So solo che oggi potrei essere l'erede di una dinastia di gelatai, e invece la vita decide come le pare. L'unica cosa che so è che Miriam aveva i capelli rossi, e ho la vaga impressione che mi abbia fatto capire che era molto bella, ma non ne sono certa. La ragione per cui ho solo sensazioni impalpabili e lacunose su tutta questa faccenda, a differenza di tante altre che so di lui, è che mio nonno era nato agli inizi del XX secolo. Dal punto di vista dell'evoluzione del senso del pudore, non c'erano stati sensibili cambiamenti dai tempi di Gregorio VII e della lotta per le investiture. Per cui l'ipotesi che potesse lasciarsi andare a confidenze di quel tipo con me che lo conoscevo solo nella versione omerico patriarcale, era assolutamente da escludere. Infatti non lo fece. Mi accennò al fatto che tutto finì a causa di un equivoco, non certo perché a lui fosse passata. Ma non mi disse esattamente di quale natura. Mi resta incuneata da qualche parte l'idea magari illusoria - e di sicuro trasmessa con mezzi diversi dalle parole - che l'abbia molto desiderata, e negli anni successivi terribilmente rimpianta.

Anche perché poi sposò mia nonna. Non so bene in che anno ma credo tra il '35 e l'inizio della guerra. E con lei litigò per tutto il resto della vita. Negli ultimi anni - sono morti tutti e due intorno alle 80 cucuzze - finirono per amarsi per disperazione. Disperazione per essersi sfiancati tanto a lungo, in una sorta di reciproco onore delle armi. Una roba di culto da samurai giapponesi. Io non posso battere te, tu non puoi battere me, riconosciamo mutuamente la grandezza dell'avversario e deponiamo le katane. Anche perché mi sono fatto vecchio e mi sarei anche un po' rotto i coglioni. Devo dire la verità: li ho visti spessi preoccuparsi l'uno per l'altro e mostrare una costante e ferma devozione reciproca. Ma smettere di litigare, mai.

Una volta gli chiesi: cos'è stato per te l'amore? E lui mi disse, non ricordo le parole precise, ma una cosa che più o meno suonava così: l'amore è quando passi quarant'anni insieme. Ti guardi indietro, sono passati quarant'anni, e allora puoi dire a te stesso: ah, ecco, allora era amore. L'amore come elogio della resistenza. E siccome non ho più vent'anni, sia ben chiaro che non intendo prendere le distanze da queste parole. Sono vecchia abbastanza da avere capito che si tratta di un fenomeno piuttosto proteiforme, per cui non mi sogno nemmeno di criticare qualcuno che dice di averlo trovato, solo perché le modalità di recupero non si allineano al canzoniere petrarchesco. L'amore, quando è amore, è quella strana cosa che trova sempre la via. E se ti metti in testa di avere il diritto di criticarlo solo perché ti entra in casa con le scarpe coperte di fango, senza chiederti da dove è dovuto passare per ridursi in quello stato, vuol dire che tutto quello che ti meriti è un calcio nel culo.

 

aphrodite

 
 
 

Granpa(2) - A young adult

Post n°721 pubblicato il 13 Ottobre 2011 da middlemarch_g
 

Una volta  diventato maggiorenne, uscì dal collegio e decise che voleva diventare un pilota di aerei. Il fascismo era all'apice del suo potere di seduzione - avete presente la fase futurista in cui si presentava come un movimento visionario che avrebbe incendiato il mondo, prima di convertirsi, come qualsiasi altro gruppo politico nella storia di questo paese, nella solita conventicola di valvassori feudali arroccati nella difesa dei privilegi di casta? Ecco, quella - e lui non ha mai negato di averne subito il fascino. Una volta mi disse: per uno come me, che aveva moltissima voglia di arrivare, ma nessuna speranza di farsi strada nella vita perché povero in canna e senza quarti di nobiltà, il fascismo offriva una grande occasione per dimostrare il proprio valore. Che ad avere una vaga idea della stagnazione sociale dell'Italia negli anni '30, è difficile dargli torto.

Insomma si iscrisse al partito, si arruolò in Aeronautica, e da allievo ufficiale cominciò a studiare ingegneria. Fare il pilota gli piaceva da matti, per cui lo spedirono subito in Africa dove si divertì come un pazzo a pilotare certe trappole a manovella che non so bene nemmeno come riuscissero a stare su. Mi diceva: volavamo sempre in tre. Io, Ciano e Bruno Mussolini. Che magari era una cazzata. Magari no. In ogni caso so per certo che si sentiva fatto per il cielo. Me lo ricordo ancora come gli brillavano gli occhi a parlarne. L'unico inconveniente era che ogni volta che veniva giù, sbrindellava un carrello di atterraggio. Al terzo incidente il sergente furiere, incazzato come una biscia, lo mandò d'ufficio a fare una visita oculistica - viene abbastanza da ridere a pensare che fino a quel momento nessuno avesse ritenuto opportuno  fargliene una, ma erano altri tempi, e si vede che l'aviazione italiana disponeva di carrelli d'atterraggio in abbondanza - e insomma uscì fuori che era ipermetrope, per cui: via. Escluso dal servizio attivo, e riassegnato a incarichi d'ufficio. Credo sia stata una delle peggiori delusioni della sua vita. Studiare ingegneria non aveva più senso a quel punto, per cui passò a giurisprudenza, e si laureò in due anni prendendo quasi solo diciotto per ripicca. Siccome all'epoca era anche uno sbruffone, e i libretti universitari non avevano ancora la foto tessera che permettesse una sicura identificazione del candidato, si fece anche svariati esami al posto di suo fratello Guido, che era un fifone, per dimostrargli che non c'era niente di cui avere paura. Zio Guido me lo ricordo vagamente da anziano. Veniva a giocare a scacchi con nonno. In effetti dava l'idea di uno capace di farsi venire un ictus anche con un evento a bassa stimolazione corticale, però vai a sapere se perché aveva effettivamente un carattere pavido, o perché quando l'ho conosciuto io era ormai un vecchietto tremebondo. Insomma nonno andava a fare gli esami al posto suo. Certe volte studiava un po'. Certe altre nemmeno quello. Trenta non lo prendeva mai, ma insomma in qualche modo li passava, ed era contento così. 

Arrotolato nel sacrario della mia scrivania, conservo ancora il suo diploma di laurea in carta pergamena rilasciato all'Università di Napoli l'11 dicembre 1935, XIV dell'EF. Dice così: In nome di sua Maestà Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e volontà della nazione Re d'Italia, noi prof. Giunio Salvi, rettore magnifico della Regia Università di Napoli, veduti gli attestati degli studi del signor Gaetano R., veduto il risultato dell'esame generale da lui superato in questa R. Università il 10 novembre 1934 con voti ottantacinque/centodieci, gli conferiamo la laurea di dottore in Giurisprudenza. Non so bene perchè, ma la microstoria, quando la tieni in mano come capita a me ogni volta che srotolo la sua pergamena di laurea, mi commuove un po'. Le sbrodolature dei manuali sui grandi eventi le trovo sempre infettate da una retorica pipparola che mi annoia. Ma la piccola, piccolissima storia, quella delle persone che hanno amato, giocato e perduto cento o mille anni fa, mi commuove in modo molto attuale. Così come mi commuove ricordare che mi sono laureata nella stessa sessione invernale - novembre 1993 - cinquantanove anni quasi esatti dopo di lui. Ma ormai era troppo tardi perché potesse vedermi.

 

 
 
 

Vendetta divina

Post n°720 pubblicato il 12 Ottobre 2011 da middlemarch_g
 

Il governo battuto sull'approvazione del rendiconto dello Stato per un solo voto! E Scilipoti non era in aula!

Poi dice che non è importante conoscere le Sacre Scritture, dannati ascari infedeli, e invece la sanno molto più lunga di voi!

Scilipoti dà, e Scilipoti prende. Vegliate, perché non sapete né il giorno né l'ora.

E secondo me non è che manchi tantissimo.

 
 
 

Grandpa(1) - Oliver Twist 'ncopp' 'o Vesuvio

Post n°719 pubblicato il 10 Ottobre 2011 da middlemarch_g
 

grandpa(intro)

Mio nonno, a vederlo da fuori, era l'immagine sputata del self-made man. Ma non era sempre stato così.

La sua famiglia era originaria di Salerno. Lui, come usava a quei tempi di italiche e feconde fattrici, era il secondo o il terzo di cinquemila fratelli. Sua madre si chiamava Teresa, e suo padre, Riccardo, era maestro di musica. Quando voglio misurare la distanza di tempo che separa il nostro mondo da quello non troppo lontano dei vecchi che abbiamo conosciuto, mi viene spontaneo pensare soprattutto all'oceano delle reciproche distanze di contesto. All'epoca in cui mio nonno nasceva - era il 1911 - una famiglia con cinquemila figli poteva campare con l'unico stipendio del capofamiglia. Non solo. Quando il capofamiglia faceva un lavoro intellettuale di livello medio-alto come quello del mio bisononno, poteva perfino campare bene.

L'unica controindicazione consisteva nel fatto che il Welfare era ancora di là da venire, e se per caso si verificava qualcosa di imprevisto - una svolta brusca del destino, uno scivolone difficile da prevedere - in un lampo si poteva passare dal relativo benessere alla miseria più nera, declinata secondo certe derive sventurate che se volessi trovarne di simili al di fuori della mia famiglia, mi toccherebbe rileggere l'opera omnia di Dickens. Insomma, pensate a mio nonno come la Piccola Dorritt della costiera amalfitana.

Nel caso in questione la faccenda fu che mentre tutta la famiglia risiedeva a Palermo, dove il mio bisnonno aveva la cattedra d'arpa al conservatorio e dove mio nonno stesso era nato, sia lui che certo numero dei cinquemila figli, morirono di febbre spagnola. La bisnonna Teresa con il resto della famiglia dovette tornare in Campania, e privi di qualsiasi forma di sostentamento, sprofondarono tutti nella miseria più nera. Molti dei figli maschi finirono in collegio, collegio per nullatenenti, cioè paraformatorio; e mio nonno in particolare, con un paio dei cinquemila fratelli, fu costretto a passare diversi anni a Perugia. Di quell'esperienza, che io sappia, da adulto non parlò mai con nessuno, cosa per la quale non occorre scomodare Melanie Klein. Non credo sia stato un periodo molto felice.

Tuttavia per quell'epoca era già relativamente grande, credo avesse intorno ai 12 anni, e un po' per i diversi parametri di maturità, un po' il fatto che era il tipo capace di assumersi l'onere di un ruolo, non se ne lamentò mai. Tra l'altro per moltissimi anni dopo esserne uscito, continuò a mandare soldi a quell'istituto. Magari gli piaceva l'idea di contribuire a mettere il pane in tavola per tanti sfortunati come lui. La fame e il freddo sono quel genere di cose che contribuiscono parecchio a rendere perseveranti i ricordi.

oliver twist

 
 
 

Grampa(intro)

Post n°718 pubblicato il 10 Ottobre 2011 da middlemarch_g
 

I traslochi, si sa, hanno una dimensione metafisica. E' quella che si scatena quando, nell'ansia di evitare di trascinarti dietro un Annapurna di carte che sai per certo che non ti serviranno mai più nella vita, cominci a rovesciare cassetti e faldoni, e ti imbatti in tutta una serie di tracce e indizi della persona che eri in un lontano passato. E la verità è che nessuno fa mai volentieri il RIS di se stesso. Tuttavia in qualche modo bisogna fare ordine e ricostruire la propria fisionomia conciliando il passato in cui non ti riconosci con il presente di quello che sei. In caso contrario ti tocca la deriva cognitiva paranoide, e devi stare attentino perché passare da quella alla schizofrenia può essere questione di un attimo.

Mi sono imbattuta in mio nonno. Più esattamente, mio nonno mi è apparso nel quaderno con la fantasia scozzese a scacchi verdi e grigi che mi consegnò poco prima di morire più di vent'anni fa. Aveva un progetto, mio nonno, e ancora oggi non so dire esattamente se l'abbia realizzato.

Io invece ho capito che era ora di cominciare a raccontare la sua storia. Volevo farlo da tanto e poi metterla lassù in alto a destra, dove c'è il racconto della pastiera di mia nonna e del matrimonio di mio padre, perché lo so che con le radici tocca sempre fare i conti e non intendo sottrarmi alle mie responsabilità.

Solo che con mio nonno non posso cavarmela con un post. Sarebbe come voler comprimere un tonno intero in una scatola di sardine. Allora lo faccio a puntate, tanto il blog è mio e voglio vedere se qualcuno si oppone. In effetti sarebbe meglio se fosse una storia unica e potesse essere letta tutta insieme. Ma questo è un blog e ha i suoi limiti. Non è che qui possiamo fare miracoli.

Per cui mi sa che stavolta ci accontentiamo del romanzo d'appendice. 

 
 
 

Great expectations

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.

Samuel Beckett

 

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