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La dialettica dell'anima: pensiero e cuore in action

Post n°57 pubblicato il 08 Settembre 2013 da give_it_to_me
 

A che servono la capacità e la dialettica del pensiero se poi non trasformano i nostri convincimenti e di conseguenza i nostri comportamenti, se non ci rendono migliori e più versatili nel nostro agire quotidiano rispetto agli altri?

Siamo tutti perfettibili, migliorabili, anche quando ci riteniamo "migliori" (di altri). I giudizi sono sempre relativi, anche se ci piacciono tanto gli assoluti.

Quando il pensiero serve solo a categorizzare per assolvere se stessi, è un pensiero limitato, presto inservibile e sempre autoreferenziale. Può costruire cattedrali, opere letterarie, complessi sistemi di interpretazione della realtà, concettualizzazioni e teorie anche roboanti e sonore, ma saranno cattedrali nel deserto, sterili vestigia di un bisogno di auto-affermazione e riconoscimento non permeato di reciprocità, cacofonie fredde e sorde all'umana dimensione della relazione e della comprensione con altri esseri umani.

Se cerchiamo la logica in ogni cosa, ci intossichiamo di pensiero. E la bella favola dei folli, quella in cui alienati anormali (capaci di apprezzare la libertà, lo sguardo bello di un amico, il bacio di un vero amore, al punto da sentirne la nostalgia e la sete inestinguibile anche in mezzo a surrogati e compromessi a portata di mano nella società che ci vorrebbe tutti normalizzati) si incontrano, si riconoscono, si uniscono in una tribù sulla base di un patto di solidarietà e decidono di godere di ogni dono dell'esistenza, vivendo in armonia, felici e contenti, si riduce ad un altro inutile mitologico surrogato mentale, una droga autosomministrata senza nulla di autentico e reale, un'altra forma di castrazione della libertà di essere e di contenimento rigido della bellezza vitale.

L'incontro tra folli di minoranza nella società dell'omologazione non può essere precostituito, nè unilaterale, nè telepatico o muto. Altrimenti riproduce le forzature dell'alienazione. E si inceppa, per forza di cose, quando si interrompe la comunicazione libera, affettiva e senza pregiudizi da cui era scaturito il riconoscimento reciproco. Quando viene negata la legittimità del vissuto altrui o non comunicato il proprio. Quando viene negata la storia per non modificare il convincimento.

Ho imparato questo, in settimana. A caro prezzo, forse, essendomi vista rinnegare il riconoscimento da qualcuno che credevo anima affine e amico. E tutto per un errore che non ho compiuto deliberatamente e che ho faticato ad identificare per conto mio, devo ammetterlo. Quello che mi ha delusa, però, è stato accorgermi che le mie scuse non sono state prese in considerazione e che sono stata "liquidata" in modo drastico e anaffettivo, senza comprensione per la mia storia personale, senza considerazione per le mie qualità (fino a quel momento più che valorizzate), senza attenuanti generiche.

Come sempre l'orizzonte della relazione ritorna a rivelarsi carente, qui in chat soprattutto. A livello pratico, apparentemente di obiettivi, modi di porsi e di pensieri, ma in realtà molto sottile e profondo. Sempre troppo superficialmente ci si avvicina, si comunica e ci si ritira dal contatto in modo categorico e unilaterale, pensando di avere capito tutto e di poter liquidare l'altro con un click.

Bauman ci andrebbe a nozze! Siamo la società dei rapporti liquidi, delle relazioni instabili, anche se la virtualità farebbe scegliere un termine più informatico, qualcosa del tipo linguaggio AI (intelligenza artificiale): interazioni? connessioni?

Mi domando se la risposta, l'antidoto mi verrebbe da dire, a questo gelido asettico tessuto connettivo tra androidi più o meno anormali potrebbe essere trovata a livello esistenziale..nell'anima che in ogni essere umano può mettere insieme affetto e pensiero, cuore e mente, calore e logica in una comprensione di livello superiore, totale, più ampia, più filantropica e calda rispetto ai propri simili.

Un essere umano è sempre un essere umano. Non è un androide. E non può essere un monolite di pietra, se vuole dirsi umano. Per dirla con Terenzio "nihil humanum a me alienum puto" (tutto ciò che è umano mi riguarda, non mi può lasciare indifferente, non posso considerarlo altro da me).

Se accettiamo l'illogicità e la possibilità di errore negli altri, se tentiamo una sintesi tra la dialettica del pensiero e quella del cuore, forse anche rispetto alle nostre contraddizioni saremo più aperti e comprensivi.

Chissà.

 
 
 
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