ONE MAN TELENOVELA
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Post n°13 pubblicato il 11 Giugno 2007 da molinaro
Le utopie sono sempre state pericolosissime e tanti (troppi) sono stati i filosofi utopici: persino Platone può essere interpretato in questo senso, ma poi arriviamo a Tommaso Moro, Tommaso Campanella (forse Tommaso è un nome da utopista?) e ad architetti come Le Corbusier, e così via. Finché l’utopista è un giocherellone che si diverte a immaginare una vita perfetta (senza rendersi conto della contraddizione primaria già insita nel termine: una vita perfecta è prima di tutto una vita passata, finita, quindi è la morte) possiamo anche lasciarlo stare nel suo brodo. Immaginare un mondo perfetto è come la masturbazione, mentre vivere nel mondo imperfetto è come fare l’amore; se lui preferisce masturbarsi, cavoli suoi. Quando però l’utopia viene propagandata e usata dal potere per imporre un modello totalitario, allora non è più innocente: c’è un filo rosso che lega Platone a Hitler e Stalin (l’ha evidenziato Karl Popper). Insomma sì, l’utopia è pericolosissima. Nelle utopie spesso ci sono alcuni ingredienti comuni: abbondanza di merci e di beni, meccanismi sociali funzionalissimi, abolizione della proprietà, educazione comunitaria dei bambini, libero amore. Pare che per gli utopisti queste cose siano della stessa natura, da mettere nello stesso paniere. A me sembra che l’ultima, il libero amore, sia invece molto diversa. Per inciso, notiamo che è l’unica utopia che nessuna dittatura ha mai promesso. Vorrà ben dir qualcosa. Il fatto che gli utopisti mettessero il libero amore nel paniere con l’abbondanza di beni materiali (il paese di Cuccagna) secondo me dimostra che erano utopisti maschilisti, e il loro discorso assomigliava a un pane e figa per tutti. Ci sono stati anche utopisti più seri, forse, che hanno previsto un libero amore anche femminile. Però ancora in modo molto materiale, carnale, mentre l’amore è un cortocircuito di carne e spirito – le due cose insieme, sempre. A ogni amore partecipano i cieli, come scrissi in una poesia molti anni fa. Ma il problema è un altro: è che il libero amore, proprio in quanto libero, con l’utopia fa a pugni, e dunque inquadrarlo nel pericoloso schema dell’utopia è da mentecatti. Il libero amore è una cosa che nasce democraticamente dal basso, semplicemente facendolo. Infatti quel poco che esiste esiste così. Mica con i proclami. Libero amore è una ragazza di Genova che conosco, che nel festeggiare i suoi 18 anni ha constatato divertita: «Coi ragazzi ho fatto l’inverso del numero degli anni, ne ho avuti 81». E non ha perso il conto, perché ognuno ha avuto la sua importanza. Libero amore è un amico che sta dalle parti di Savona che dopo tanti discorsi e tante poesie sull’universalità dell’amore, sul profumo di tutte le donne e di tutte le città, si scopre geloso come un serpente e incapace di tollerare che la «sua» ragazza baci un altro, e però non ha più tutto un universo a dargli ragione come sarebbe successo cinquant’anni fa, e va pure in crisi. Libero amore è una ragazza lombarda che s’innamora di uomini e donne e lavora normalmente e non ha altri problemi che quelli che nascono dai sentimenti. Libero amore è quando chi critica le ragazze dai molti fidanzati viene considerato non più di moda, e succede così, spontaneamente, non perché qualcuno l’ha deciso. Libero amore è quando m’innamoro di una ragazza con tutti i suoi altri amori o quando lei s’innamora di me con tutti i miei altri amori. Libero amore è persino stare insieme solo in due, se oggi o sempre ci va bene così, ma senza pensare neppur lontanamente di fare una cosa più giusta di altre. Sono tutte faccende che nascono dalla quotidianità, dal basso. Lentamente, forse troppo lentamente, ma nascono. Fare discorsi utopici sul libero amore è invece contraddittorio, appunto, è voler normare e schematizzare ciò che non è normabile né schematizzabile: come si fa a dare una norma all’aggettivo «libero»? È la trappola dell’utopia. Dunque liberiamo il libero amore dall’utopia del libero amore. Non è un meccanismo che deve ben funzionare, il libero amore. È un casino, con tutti i suoi drammi. Ma è bellissimo! Ora, io ho parlato del libero amore perché sono notoriamente maniaco di questo, ma mi viene il ragionevole dubbio che il discorso valga anche per tutto il resto. Per la democrazia, per la libertà politica, per la libertà religiosa, per le scelte economiche, stilistiche, estetiche. Tutte queste cose se vengono imposte dall’alto cadono su di noi come una cappa di piombo, magari formalmente perfetta ma che ci soffoca e ci uccide. Se nascono lentamente dal basso, saranno sempre imperfette, conflittuali, ingarbugliate, ma vive, vere, con meravigliosi precari sprazzi di felicità (e non la tetra felicità perenne promessa/promossa dagli utopisti). Persino il mitico non fate la guerra fate l’amore è uno slogan troppo totalitario. Nella vita potrà capitare di far guerre, neppure le guerre si possono cancellare dall’alto, d’autorità: cercheremo di evitare le guerre, ecco tutto, nel nostro piccolo, dal basso. Ma non sempre ci riusciremo. Tantomeno riusciremo a far sempre l’amore. Io stamattina mi sa che non lo faccio: le due donne che ogni tanto gradiscono farlo meco sono lontane; un’altra non lo gradisce ormai più tanto; una che mi piace moltissimo mi ha detto di no, benché io non mi rassegni; con qualche altra ci sono sviluppi possibili ma per oggi un po’ astratti. Quindi anche non fate la guerra fate l’amore è un po’ una cazzata che, in fondo, nega il libero amore: ciò che è libero è precario, imperfetto, vagante, trepidante, ansioso, bello, inatteso, imprevedibile, fuggente, incompiuto, indefinibile – e soprattutto non potrà mai stare dietro un imperativo, perdipiù plurale, collettivo, come fate. Fatevi tutti una buona giornata, però! Ciao! |
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