ONE MAN TELENOVELA
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« Messaggio #111 | Calipso » |
Post n°113 pubblicato il 24 Settembre 2007 da molinaro
Una volta scrivevo molte lettere ai giornali. E me ne pubblicavano molte, anche più di cinquanta all’anno. Soprattutto su Stampa, Repubblica e Manifesto, e poi su Cuore e sul Vernacoliere, e occasionalmente altrove. Nell’immagine ne vedete una pubblicata su Cuore che creò un po’ di scompiglio, eufemisticamente parlando. [Molto dolorosa per me.] Sì, per una ventina d’anni (anche di più) almeno cinquanta lettere pubblicate all’anno, fa... mille lettere pubblicate? Sì, si potrebbe fare un libro, ma non so se sarebbe poi così interessante. Io non potrei curarlo, comunque, perché quasi tutte quelle lettere le ho perse: sono un pessimo conservatore delle mie cose, così come Avellaneda è una pessima incitatrice di vita (questa è una frase criptata che credo possa capire solo una persona al mondo, una persona che purtroppo non vedo da tanto). Bisognerebbe andare a spulciare negli archivi dei giornali o nelle biblioteche, con pazienza, giornale per giornale, una ventina di annate e più, e raccogliere le lettere. Se io fossi molto famoso, lo potrebbe fare un volenteroso studente per una tesi di laurea: «La componente grafomaniaca in Carlo Molinaro: una vita di lettere ai giornali. Consonanze e dissonanze con la produzione poetica. Alcuni appunti» (alcuni appunti fa sempre figo in fondo a un titolo, agli accademici fa venire un orgasmo). Ma non sono famoso, e niente tesi! Però è stato divertente scrivere quelle centinaia e centinaia di lettere su di tutto un po’. Una sul Vernacoliere, mi ricordo, era intitolata Viva le troie; una su La Stampa proponeva l’abolizione del sistema contributivo per le pensioni e l’assegnazione di mille euro al mese a chiunque avesse compiuto sessant’anni, indipendentemente da che cosa avesse fatto o versato nella vita: égalité almeno nella vecchiaia. E via farneticando! Oh, ma ogni tanto ne scrivo ancora, eh! Di meno, ma ne scrivo ancora. |
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La prima volta che ci innamorammo della stessa donna. Già: è poi diventato quasi un vizio, a vari livelli: c’è stata un po’ di condivisione. La genovese d’Oregina tu non te la sei fatta (pare) e io sì, ma per le altre direi che c’è stata una prevalenza di concretizzazioni tue. La madonnina bionda di quel paesello che è l’ultima propaggine delle Langhe meridionali, spartiacque fra la Bormida di Millesimo e la Bormida di Spigno, era persa per te; a me, seduti che eravamo in cima a un molo nel vento, disse no. L’altera fragile regina di crocette, di smalto a zone quadre e coste azzurre, è diventata la mia grande amica e ne sono felice, però mentre appena la corteggiavo già si stava mettendo con te. Gli occhi azzurri in cui mi sono smarrito questa primavera per anni t’hanno guardato mentre tu guardavi altre cose, concedendo a tratti un amore velato. Alla fine, nessuna è tua né mia: siamo distratti, Aure, e il tempo passa, passa con quella sua smorfia strana che non sai se ti sorride o ti prende per il culo. È così il tempo, fa lo stronzo, si volta in fretta, si volta prima che.