Un blog creato da molinaro il 04/06/2007

Carlo Molinaro

Pensieri sparsi, poesie e qualsiasi cosa

 
 
 
 
 
 

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« Un quarto di secoloElefante e tartaruga »

Briciole

Post n°241 pubblicato il 30 Gennaio 2008 da molinaro

Oggi ho pranzato a casa di un’amica e poi da lì ho preso l’autobus per andare a trovare mia figlia Lucia. Sull’autobus il mio sguardo si è incrociato con quello di una ragazza non bella, ma carica di una strana misteriosa forza che mi ha immediatamente costretto a guardarla. L’ho osservata e mi sono accorto che aveva gli occhi lucidi di pianto. Occhi azzurri con una raggiera di pagliuzze di molti colori diversi. Bionda d’un biondo che solo dopo un po’ ti accorgi che è biondo. Indossava un cappottino nero a doppio petto, due file di bottoni grandi di madreperla grigia. Calze con una fantasia grigioscura e stivali neri. Eppure non aveva l’aspetto di una che si veste di nero – questo è difficile da spiegare. Unghie un po’ lunghe ma non curate ad arte, mani tozze in cui tormentava un telefonino – però non scriveva né leggeva messaggi, né telefonava. Viso di chi non ha dormito da molto. Malinconica sì, d’un misto d’amore e rancore, come se si tenesse afferrata a qualcosa con una saldezza riluttante. Come chi vuole restare e nello stesso tempo andare via. Ci siamo guardati e abbiamo distolto lo sguardo alcune volte, poi ci siamo concessi di guardarci senza distogliere lo sguardo. L’umido luccicante dei suoi occhi mi ha contagiato, c’è stato un momento di comunione. Il suo viso aveva qualcosa d’impercettibilmente irregolare, era come sfuocato, sì, era come se ci fosse una differenza di campo fra lei e il resto della scena. Era a un metro da me ed era lontana molti orizzonti. Poi è scesa alla sua fermata, io ho continuato il viaggio fino al capolinea, in corso Vittorio.

Ho proseguito a piedi verso la casa di Lucia. Sono entrato a prendere un caffè nella caffetteria Lumière, ho pensato questa è una caffetteria-pasticceria dove devo portare Clara, perché è un buon posto, una canzone di Paolo Conte in sottofondo diceva cose pertinenti che però non ricordo più. La cameriera mi ha augurato buona giornata.

Il maglioncino rosa che ho preso per Lucia le è piaciuto molto. È anche merito di Claudia, è lei che girando per negozi mi ha insegnato a capire che cosa piace a questa e a quella ragazza. L’altro giorno mi ha consigliato una cosa per Chiara e ha indovinato. È uscito un po’ di sole in via Madama Cristina. Mi sono sentito preso. Mi sono sentito colmo. I pensieri non mi stavano più in testa. Ho camminato un po’ di più, per ricompormi.

Con Lucia siamo andati alla scuola materna statale (ne esiste ancora qualcuna) a prendere sua figlia e mia nipote, portando nel passeggino l’altro suo figlio e mio nipote. Lucia oggi ha compiuto venticinque anni. Mi ha detto che sono stati bellissimi questi venticinque anni, e che se morisse oggi avrebbe vissuto una splendida vita, che già basterebbe. Meglio viverne però ancora tanti altri, di anni, ha convenuto. Mia figlia e io facciamo spesso discorsi molto filosofici, fin da quando lei aveva tre anni. C’intendiamo bene.

Sapete, trent’anni fa sarei stato a recriminare per la faccenda della ragazza sull’autobus, sarei stato a far lagne sull’incomunicabilità, a ripetermi: ma perché non l’ho fermata, ma perché non le ho detto nemmeno una parola. Oggi, con più pacata e serena disperazione, so che, semplicemente, non è possibile. Non le ho detto nemmeno una parola perché non c’è nemmeno una parola da dire, perché non ci stanno tutte le vite dentro la vita, perché lo sguardo e il pensiero sono più vasti del tempo e dello spazio e dunque nelle giornate no, non ci entrano tutte le cose viste e pensate, tant’è che ormai è notte e io oggi non ho combinato quasi un cazzo.

E scrivo poesie per raccontare briciole, afferro quel poco che resta in mano, il tempo di abbracciarlo con lo sguardo, il tempo di saperlo o credere di saperlo, e poi lo devo lasciare andare, e spesso mi sento ridicolo come chi volesse svuotare l’oceano con un cucchiaino. A volte vorrei smettere. Cosa racconto a fare? È un esercizio velleitario, vano, forse vanesio e impudico, come qualcuno di tanto in tanto mi fa notare. Ma insomma è la cosa che mi viene. È quello che faccio io, è quel poco che riesco a fare. No, non posso smettere. E quindi... E quindi, come dice il Guccini, quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare: ho tante cose ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto. Buona notte!

Commenti al Post:
belle_gambe78
belle_gambe78 il 31/01/08 alle 08:43 via WEB
Qui da me sembra che sta per venir giù il cielo da quanto piove.. Bacio sperando che da te sia una splendida giornata. bLog Di SteLLa
 
bartelio
bartelio il 31/01/08 alle 11:02 via WEB
Bravo Carlo, non smettere di raccontare. E' un bel pezzo e io l'ho letto con vero piacere e questo mi basta. E ti ringrazio. Ciao :)
 
FrancescoP.Decleva
FrancescoP.Decleva il 31/01/08 alle 12:41 via WEB
"mi sento ridicolo come chi volesse svuotare l’oceano con un cucchiaino." penso sia un mdo di sentirsi abbastanza diffuso.. l'importante è continuare e magari facendosi aiutare nell'impresa titanica
 
prestami_il_nick
prestami_il_nick il 31/01/08 alle 15:42 via WEB
Tutto vero quello che dici sul "silenzio" dell'incontro,traspare perfettamente quanto siano inutili le parole ma...ma!perchè è diventato così difficile comunicare nella maniera più naturale (oltre che con gli occhi)che è attraverso l'uso della parola?...Magari poi scopri che con quella ragazzina ti scambi messaggi in pvt qui nel web e...non è ancora più triste?
 
 
molinaro
molinaro il 31/01/08 alle 16:02 via WEB
Non era una ragazzina (vedi come è carente il descrivere, il narrare?), poteva avere 25 ma anche 35 anni, difficile dirlo. Meno di 25 non credo. Improbabile che con lei mi scambi messaggi. Poi forse, al di là della difficoltà (o inutilità) generale di comunicare, c'è la mia timidezza. Quasi impossibile per me attaccare discorso con una sconosciuta sull'autobus. E me ne dispiace, perché so che qualche volta il discorso potrebbe esserci. Ma è difficilissimo per me. Un po' invidio quei ragazzotti che salgono e si mettono a motteggiare a destra e a manca. E non è una questione di età, a me non è mai riuscito, a nessuna età.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 01/02/08 alle 11:33 via WEB
forse sono della vecchia scuola, ma penso che alle volte uno sguardo, uno scambio di sguardi, possano più delle parole. forse la vicinanza e l'interesse che le hai comunicato con gli occhi sarebbero stati difficili da tradurre... forse. e credo che anche per tantissimi ragazzotti, magari spavaldi in compagnia degli amici, sarebbe difficile, da soli, far qualcosa di più in una situazione analoga...
almeno, in me di fronte a una persona triste scatta una specie di riserbo, la paura di disturbare, di intromettermi in un momento privato; lo sguardo allora è un po' come dire "ci sono, eh, se vuoi". nell'altro magari resta un po' di calore, che non è poco...

vado spesso al lumière a far colazione: è un posto molto carino, anche se - t'avverto - piuttosto caro ;)
 
 
molinaro
molinaro il 01/02/08 alle 12:10 via WEB
Sull'atteggiamento davanti alla tristezza sono d'accordo con te. Sugli incontri volanti, sulle brevi casuali intersezioni di vite lontane, a volte mi resta un poco di rimpianto, chi lo sa, forse è solo una specie di curiosità inappagata, come aprire un libro, leggere due o tre pagine che ti sembrano molto interessanti, e poi il libro te lo tolgono e non puoi leggere il resto. D'altronde il libro della vita non si legge mai per intero, ci sono storie di cinque minuti (l'incrocio di sguardi sul bus), storie di cinque giorni, di cinque mesi, di cinque anni, di cinquant'anni, ma forse è sempre solo un'incursione, un assaggio di qualcosa di infinitamente più vasto che rimane nascosto.
Al Lumière il caffè al banco è 80 centesimi (mentre già ci sono barucci del cazzo che fanno 85 e addirittura, orribilmente, 90), quindi almeno per un caffè va bene. Mangiarci, sì, è un po' più caro, mi sa, però, per una volta, si può anche fare. Bonjour!
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 01/02/08 alle 12:21 via WEB
Curiosamente, anche a me questa mattina è capitato di notare una ragazza sul tram veramente triste. Il viso sembrava un disegno di uno smiley triste. Mi sono chiesto cosa le potesse essere capitato. Cosa, in percentuale, renderà più tristi le persone? Marco
 
 
molinaro
molinaro il 01/02/08 alle 12:41 via WEB
Eh, di certo non si può fare un questionario sulla tristezza (anche se qualche settimanale popolare l’avrà magari fatto – sì, come quelle inchieste sulla sessualità dei giovani, che di volta in volta, con periodicità più o meno semestrale, riscoprono la gioia dell’astinenza oppure scopano tutto il giorno come ricci – bisogna pur scrivere qualcosa, su quei rotocalchi...): la gamma delle situazioni umane è infinitamente variegata. Nell’identica situazione «oggettiva» (se mai esiste l’oggettività) uno può essere allegro e l’altro triste. Sappiamo, è fin banale dirlo, che tutto è relativo: chi ha appena perso il lavoro e nello stesso giorno è stato lasciato dalla fidanzata e gli è morto il gatto, poniamo, potrebbe comunque sempre rallegrarsi di non avere un cancro o di non essere in un campo profughi del Darfur. Ma non credo che gli venga in mente. La questione è complessa. Hai guardato il video di We fuck the world che ho messo nella colonnina di destra?
 
   
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 01/02/08 alle 22:36 via WEB
Lo ho guardato. Ridendo castigat mores :-( Marco
 
     
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 04/02/08 alle 15:27 via WEB
Quanto sono belli questi momenti estemporanei che sei riuscito a trasmetterci con tanta efficacia. Peccato che la ragazza non possa leggerti :-))
 
     
molinaro
molinaro il 04/02/08 alle 22:57 via WEB
Alla ragazza parlerà qualcun altro, qualcuno più bravo di me. Io sono bravino, ma sì, via, un po', a scrivere qui, a raccontare; ma nel discorso diretto, personale, non sono poi così bravo a consolare, a rallegrare: perdo il dono della favella, resto muto e insensato.
 
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