CAPPUCCINO
A me non piace affatto
il cappuccino.
Quella specie di caffelatte scarso,
stitico, schiumoso, troppo caldo,
talvolta mi è indifferente,
talvolta mi fa quasi
un po' schifo - dipende dai giorni.
Se avessi in casa
una macchina cappuccinatrice
non la userei mai.
Proprio non m'interessa, il cappuccino.
Però mi piace tanto, tantissimo
prendere un cappuccino.
Mi piace entrare nel bar
e guardare il barista o la barista
e dire
un cappuccino
o
un cappuccino per favore
o
buongiorno! un cappuccino
o
ciao! un cappuccino, grazie
o in altri modi ancora,
dipende qual è il bar,
dipende da come mi guarda il barista,
da quanto m'intimidisce o invece
mi dà confidenza,
da come m'ispira
simpatia o antipatia.
Poi, soprattutto se è un bar che non frequento,
ci può essere la domanda:
vuole del cacao?
o
vuoi del cacao?
o
ci metto un po' di cacao?
o
cacao?
o in altri modi ancora,
a cui la mia risposta, abbastanza fissa,
è
no grazie.
Poi ha inizio
la preparazione del cappuccino
durante la quale osservo il barista
o la barista
oppure vago con lo sguardo nel locale
osservando le cose e le persone.
A questo punto ci sono molte variabili,
tutte affascinanti,
che sarebbe lungo e noioso elencare,
ne dico solo alcune:
attaccare un breve discorso
con il barista o la barista
o
contemplare la scollatura della barista
o
ascoltare un discorso ad alta voce
di altri avventori
traendone spunti sociologici
o
eccetera eccetera eccetera.
A volte vado a fare pipì
e in certi casi, anzi, è proprio questa la causa
del cappuccino, benché di solito
se il movente è una minzione
io prenda un caffè,
non so perché,
se a spingermi dentro è la pipì
non prendo un cappuccino ma un caffè:
il bar-per-pipì è una storia diversa
dal bar-con-cappuccino.
Nel caso della pipì
c'è un'altra variabile importante:
il cesso del bar.
Ce ne sono di tutti i tipi,
alcuni meravigliosi,
come quello della caffetteria Sofia
in via Berthollet
che si sale un'impervia rischiosa scaletta
fino a uno strano deserto ammezzato
con vecchi oggetti e polvere e mistero.
Poi arriva il cappuccino
e c'è un'altra cosa
possibile importante: il disegno
che certi baristi riescono a fare
versando la schiuma:
a forma di foglia o di cuore
o d'altro ancora.
Poi c'è accostare il cappuccino alle labbra
e qui la discriminante è
che non sia troppo caldo, che non bruci.
Quando ero più giovane
a volte dicevo
un cappuccino tiepido!
ma poi mi sono stancato
di quella faticosa prolissa allocuzione
che alterava la purezza del rituale:
adesso lascio che scelga il barista
la temperatura.
Di solito, per fortuna, non brucia;
se brucia, soffio un poco, un poco aspetto,
lo bevo lentamente.
Poi c'è, appunto, bere il cappuccino.
Questa è la cosa che mi piace di meno
e che meno m'interessa:
un sapore vale l'altro, io non li distinguo,
anche perché, come dicevo,
non mi piace il cappuccino.
Poi c'è il pagamento,
da un euro a un euro e trenta,
a parte qualche promozione a ottanta centesimi
e qualche ladro a un euro e cinquanta.
Pago con le monete
o con la banconota, aspettando
il resto e lo scontrino.
Prima di entrare nel bar
ho verificato, sempre, se ho con me il denaro,
perché sicuro non lo sono mai.
Poi ci sono i saluti,
che sono un'altra variabile importante:
una barista nuova di via San Donato
mi saluta spesso in un modo che
mi mette di buon umore
anche per più di un minuto e non è male.
E questo è quanto, riassumendo molto.
Non mi piace il cappuccino,
trovo del tutto insensato quello schizzo
di pseudocaffelatte,
ma mi piace tanto, tanto, tantissimo
prendere un cappuccino:
le volte che lo faccio divento
per un momento
un poco felice.