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Carlo Molinaro

Pensieri sparsi, poesie e qualsiasi cosa

 
 
 
 
 
 

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Messaggi del 11/09/2012

 

Dentro la neve

Post n°1132 pubblicato il 11 Settembre 2012 da molinaro
Foto di molinaro

DENTRO LA NEVE

C'erano una volta due ragazzini, una femmina e un maschio, che non chiameremo in nessun modo perché non ci è stato tramandato il loro nome.

Potevano avere tredici anni o quindici, ma se ne avessero avuti venti sarebbe stato lo stesso, e anche se ne avessero avuti sessanta o cento.

Entrambi amavano molto la neve che d'inverno scendeva sulla città.

Questo li rendeva diversi dalla maggior parte dei loro coetanei che, cinici e scafati e atteggiati già a grandi, dicevano che la neve in città fa schifo ed è un intralcio.

Loro invece appena nevicava si mettevano, per tutto il tempo che potevano, a contemplare affascinati la neve che scendeva.

Lo facevano a volte da una finestra, o da un balcone, altre volte in giro per le strade, sotto un porticato, o in un prato al parco, prendendo la neve in faccia.

Lo facevano ognuno per conto suo, perché non si conoscevano.

Ma un giorno il caso volle che fossero nello stesso prato dello stesso parco durante la stessa nevicata.

La ragazzina vide il ragazzino che guardava la neve e lo guardò. Il ragazzino si sentì guardato e guardò la ragazzina. Così si accorsero che entrambi guardavano la neve nello stesso modo. La ragazzina ebbe il coraggio di parlare e dunque si conobbero.

Dapprima fu la predilezione per la neve ad accomunarli. Poi si guardarono meglio e si piacquero e si innamorarono e si baciarono e fecero all'amore.

Si vedevano spesso con qualsiasi tempo, ma le nevicate erano per loro un appuntamento immancabile.

Appena cominciava a nevicare, lui la chiamava e andavano a vedere la neve insieme. Quasi sempre si tenevano per mano. Guardavano la neve e si guardavano fra loro. Erano piuttosto felici. Poi si baciavano e si raccontavano ogni cosa.

Non sapevano, però, che il loro modo di guardare la neve era diverso. Non potevano saperlo, perché lo sguardo affascinato era uguale. Però il modo era diverso.

La ragazzina guardava la neve e vedeva bene la forma dei fiocchi, le loro evoluzioni: talvolta ne adottava uno più vicino e ne seguiva la caduta fino a terra, se ci riusciva. Aveva vista acuta e quasi distingueva nei fiocchi il disegno dei cristalli di ghiaccio. E si beava di quel turbinare e di tutto quel bianco nell'aria e per terra.

Anche il ragazzino si beava del turbinare bianco nell'aria e per terra, ma dentro la neve, oltre la neve, vedeva chicchi di grandine, tempesta, folgori, uragano, vortici di nubi, ciclone, tempesta di mare, onde, bufera: un concerto immaginario - ma vero - di tutte le possibili forze della natura.

Una volta aveva confidato a un compagno di scuola questo suo modo di guardare, e il compagno l'aveva preso in giro: sei scemo, gli aveva detto, non c'è grandine nella neve, e poi la neve scende d'inverno e la grandine d'estate.

Da allora il ragazzino non aveva più raccontato a nessuno il suo modo di guardare, per non essere preso in giro.

Ma con la ragazzina adesso c'erano sempre più baci e più amore e più confidenza, e una sera, una sera che non nevicava, lui le raccontò.

Lei ci rimase male. Gli disse che allora non vedeva davvero la neve, vedeva tutte cose che erano nella sua testa. Che per vedere così, poteva anche tenere gli occhi chiusi. E che doveva essere molto infelice, perché nella nevicata cercava altre cose che non c'erano, e non si godeva il pieno del bianco nell'aria e per terra, perché lui non era lì ma altrove, in un posto della sua testa.

Lui ci rimase male che lei ci rimanesse male. Cercò di spiegarle che tutte quelle cose le vedeva nella nevicata, solo nella nevicata, e non gli riusciva affatto di vederle a occhi chiusi, gli riusciva solo nella nevicata, e se la godeva, la nevicata, ed era felice, e ogni nevicata era importantissima, e lui amava la neve come l'amava lei.

Ma qualcosa si ruppe fra loro. Lei gli disse che allora, forse, mentre faceva all'amore con lei, lui vedeva in lei anche tutte le altre ragazze che gli piacevano, così come vedeva grandine e onde e burrasche dentro la neve. Lui le rispose che le vedeva anche, certe volte, sì, tutte le ragazze, ma che amava molto lei, e lei gli piaceva molto e non era mai stato bene in vita sua come con lei.

Lei si rattristò e si lasciarono e non si baciarono più e non fecero più all'amore e non andarono più insieme a guardare la neve tenendosi per mano.

Per molti mesi e forse per anni a entrambi venne da piangere, perché erano innamorati e non si baciavano più, ed essere innamorato e non poter baciare è una cosa da piangere, una delle cose più da piangere che ci siano nel mondo.

Poi il ragazzino pensò che, se un giorno avesse trovato un'altra ragazzina innamorata di lui e della neve, non le avrebbe mai e poi mai confidato il suo modo di guardare.

Perché è meglio tenere qualche segreto e baciarsi e fare all'amore, piuttosto che dirsi tutto e perdersi. Ed ebbe altre donne e le amò, ma in ogni nevicata continuò a vedere anche lei, la ragazzina incontrata nel prato bianco. Continuò a vedere in ogni nevicata e in ogni donna anche lei, con nostalgia: perché i suoi occhi erano fatti così. Vedevano tante cose dentro la neve e dentro le donne. Ma si fece furbo e non lo disse mai più.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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