...E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Eugenio Montale
...e per tutti il dolore degli altri è dolore a metà.
Fabrizio de andrè
Ogni poeta s'è angosciato, meravigliato e ha goduto. L'ammirazione per un gran passo di poesia non va mai alla stupefacente abilità, ma alla novità della scoperta che contiene. Anche se proviamo un palpito di gioia a trovare un aggettivo accoppiato con riuscita a un sostantivo, che mai si videro insieme, non è stupore dell'eleganza della cosa, alla prontezza dell'ingegno, all'abilità tecnica del poeta che ci tocca, ma meraviglia alla nuova realtà portata in luce.
Dal "mestiere di vivere" di Cesare Pavese
Dimenticanza Mi distacco con fiato che diventa azzimo Lievita il disappunto, si dilata il disinganno Sono la freccia al centro, l’essenziale è. Il mio cuore carta pesta, un infuso di sensi La gente non è presenza, è un’ assenza ossuta Piccola e fragile, vaga come un cane randagio Viali alberati di inedia e viole del pensiero Fiori e altare, una preghiera che cola come cera Pensieri e perdite di memoria a caso Il vento, scala di un viandante: una piena Scendere e salire, correre e cadere Respirare memorie e canti Metri di tempo come un campo di grano Giallo, colore e atmosfera tersa Ho gettato la spugna, mentre cancellavo un ricordo. Eri in piedi come un viaggiatore ansante. Desideravi cogliermi come un fiore, in un abbraccio prendermi il tempo ti ha aspettato, ma una danza chiama La dimenticanza è l’oppio che si dà alla fame, mio caro amore.
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Una goccia sulla pelle Una goccia sulla pelle, la prima lacrima spesa male Una chiave per dimenticare un ricordo, spegnere un passo Ha piovuto sul mio balcone, la mia chitarra si è impolverata Ho mangiato un pasto da sola, ho visto la linea del mare disegnarsi Una lacrima sulla pelle, una goccia che si è persa Un passo acceso per chiudere a chiave una porta Ho imparato una canzone assonnata per ubriacarti Il rimpianto è un pasto solitario, il mare ne è il sigillo Come posso accattivarmi il tuo umore, darti tregua Come posso dedicarti la metrica di un canto Ti osserverei di nascosto mentre dormi La stagione è dell’inverno, ma il cuore ha il sale dell’estate. |
Noi due in silenzio Sono in piedi come un fenicottero eterno, mentre il mio pensiero improvvisa una danza La musica si insinua tra le pieghe della mia rabbia sorda, come lo spirito di un santo Il mio sentire muta come se chiudessi una finestra, il mattina si denuda della notte Il sole diventa invadente e la mia sete d’amore diventa naufragio in un deserto Le persiane gioco di luce, il mio umore gioco di parole, l’ombra diventa compagnia Il sogno lo immagino appena, il suono di un’ auto accesa è la mia invidia Anche l’odio ha una sua dimensione, sembra il vapore di una caffettiera Il sapore di una bibita, l’alcool con cui brucerei i miei fraintendimenti Mi muovo nella stanza come se non ci fossi più abituata: libertà Mi arrampico e vorrei improvvisarmi ladro di emozioni per una notte appena Ma la realtà è cruda ed il tempo non è un buon padrone Mi stai accanto in silenzio, una canzone, un pensiero ed un telefono spento Lontani nello spazio,come anni luce di assenza, nella mente uguali,come due pietre La campana è un graffio dolce, un tocco di fata, un trucco ben studiato Guardo fuori ed il mio cuore è punto da un pensiero: incomprensione Apro le braccia come se mi gettassi di peso, come a voler dire addio Sono forte come una roccia, un granito pesante che non si può scalfire Dentro un mondo che si muove come un fuso, un tramonto in un’alba Tasto bianco, tasto nero, corda e pizzico, canto e porta che sbatte di colpo. |
Miraggio Eravamo giovani, quando eravamo ancora sconosciuti e ci giocavamo il destino nelle piccole cose, ci bastava vivere e sapere di essere così vicini da non perdersi. Ricordo i fragili momenti che condividevamo in un’incoscienza oscena, una mancanza assoluta di cattiveria, nessuna emozione falsa, tutto era vero come un pugno nello stomaco. Eravamo miseri e grandi di cuore. Un miraggio le due rive: noi due. Mi sento sciocca e come un coccio di bottiglia mi adagio sulla strada. Ricordo come mi leggevi dentro ed io avevo una paura folle che tu capissi che mi tenevi chiusa nella tua mano, che riuscivi a dominare in un secondo la tempesta del mio cuore. Non sono mai stata docile, non ho mai saputo frenare il mio impulso vitale, non ho mai saputo stare ferma, ho sempre preferito andare avanti. Mi porgevi il bicchiere, il tuo, ogni volta che sapevi che ero lì per crollare come una torre di Babele. Strano, eri l’unico a togliermelo poco dopo per paura che mi ubriacassi. Mi guardavi negli occhi e ci leggevi tutto, ancora prima che io conoscessi qualsiasi sentimento che potesse nascere in me. Era impossibile strare nello stesso spazio vitale senza sfiorarci anche solo per un istante. Ballavamo, ballavamo tutta la notte come due pazzi, non smettevamo mai di girare e non ci importava degli altri, eravamo un cerchio perfetto. Ricordi quando siamo caduti come due coriandoli leggeri sul pavimento freddo e mi hai detto mentre mi stringevi: “ Rimaniamo così per sempre noi due, ti prego” Mi sono rialzata di scatto e ti ho snobbato, perché mi sentivo incatenata a te, troppo per me che sono come un soffio di scirocco. Mi hai trattenuta mille volte per un braccio ed io mi scioglievo come se il pegno fosse troppo carico di dubbi ed io incerta fino alla nausea. Giocavamo molto, eravamo due giocatori d’azzardo pericolosi, due funamboli smarriti da uno strambo sentimento. Non volevo allontanarti, volevo solo riprendere fiato dai miei errori e volevo che tu capissi, che sono come un lembo di seta che scivola tra le mani di un’ombra. Quando ci siamo svegliati dal sonno la vita ci aveva già imbruttiti, gli anni erano diventati rughe, qualcosa mi aveva avvelenato il cuore, un'aspide velenosa era diventata le mie labbra, le mie mani un cappio. Ero l'illusione perfetta, non hai avuto paura mai di me. Avevo paura io per te ed ho morso le mie labbra affinchè il veleno rimanesse mio, ti ho gridato, urlato di andare via, non avevi capito che ti amavo troppo per vederti morire tra le mie spire di miraggio. |
Nudi i miei piedi sul tesoro della terra: sabbia. A due passi un bacio: un'orma La barca, il relitto, la sagoma del ricordo Il mare sparpagliato come un vestito La pioggia spigolosa, ecco spilli dal cielo il mio viso che si contrae al contatto il cuore, un faro, la mente , un oblio Il treno sbuffa ciarliero, assomiglia al tuo umore il vento stropiccia il mio vestito, il mare i nostri sono ricordi di bambini, sottili come un passo agili come il tempo e ombra sulla terra potremmo essere due foglie d'autunno non due nervosi idealisti e oso dire" lo so" Mi manchi e sono come una pagina bianca per te Mi manchi da cinque stagioni appena La marea mi cerca, mentre va a ritroso Sento la musica a sonagli sullo sfondo della mia missione di donna. |
Non riesco a uscire dal bozzolo, spaccare le pareti dell’ovvietà. O il mio cuore diventa pietra o la pietra del mio cuore distrugge il resto. Un tamburo con cui annunciare una guerra di voci e ragioni contrarie. Nessun messaggio di fumo, solo un urlo secco. Eravamo nello specchio: il saggio e l’impudente. Io ero l’impudente, vestita di tutto punto, con una follia per misura. Lui il saggio, era in vantaggio di anni di studio, mica fesso. Gli spettatori erano tanti, la protagonista in differita io. Abbiamo gettato i dadi, lui mi ha accusata di essere inadatta al ruolo. Ci vorrebbero le valchirie per punirlo, non per mia difesa. L’umiliazione fa bene, almeno per rassettare l’amor proprio. Cosa me ne faccio dell’autostima, se non posso impiegarla bene. Mi ha propinato dodici parole contate e le ho contate. Le prime tre erano come frecce, le altre tre caramelle. Le penultime tre, un discorso trito, le ultime tre:colpita affondata. Avevo ragionato notti e notti, perso tempo per capire: non avevo capito. Sono andata via dal palcoscenico improvvisato e spoglio di repliche. Il saggio sul suo trono senza una parola, si è dimenticato della mia esistenza. Navigo contro corrente, come uno sciocco pesce. Pesante e goffo il risultato matematico. |
Scendo nel ventre della mia città, una danza di mani e gambe. Monumenti e auto come sfondo, il mare è un intruso acuto. Scivola tutto come un verme abituato a non essere visto. Incrocio uno sconosciuto e mi sembra interessante ed infreddolito. Capto discorsi come panini morsi a tratti, sento il profumo di un eco. Saluto chi conosco, un abbraccio e ci separiamo per andare oltre. Ad intermittenza arrivano l’odore del caffè, l’asfalto umido è un attore consumato. Cammino che sembro un guerriero e scarto un auto per miracolo: non si offende, non mi offendo, faccio un inchino e passo oltre. Ascolto Verdi e Puccini e vorrei andare a teatro, toccare il velluto rosso. Vorrei che si aprisse il sipario, qui in città, che tutto diventasse un coro. Qualcuno mi chiede un soldino, ma non c’è nessun pozzo di desideri. C’è solo la strada, che si è appena ripresa da un temporale: le foglie rapite dal fango. Vado in un luogo conosciuto e cominciamo la recita, la gestualità quotidiana. Scendo le scale di corsa, cerco un libro che nessuno trova. Povero autore, sacrificio inutile il tuo. Salgo le scale di corsa:ho dimenticato che non serve più. Mi passano volti, colori, ad intermittenza rosso, poi il verde… Non posso stare senza musica, mi si prosciuga l’anima e la gola. Saluto tutti con un po’di distrazione e cambio scena, senza cambiare abito. Corro, corro, perché sono in ritardo sul tempo che mi è concesso. Mi fermo di colpo, perché vengo rubata dal colore invadente del cielo. Le linee vorrei averle disegnate io, avrei pagato un buon prezzo, qualsiasi somma per essere così incredibilmente micidiale. La sirena di un’ambulanza mi butta a terra come un sasso. Allora smetto di pensare a quella sinfonia, quell’impasto di visioni. E’ tardi, debbo tornare ad essere più distratta… |
Raggiungerti
Vorrei armarmi di vento per raggiungerti, ma tu sparisci dietro l’angolo della ragione, mi insegui, eppure sono giorni lontana dal tuo ricordo.
Ricordo una notte in cui mi hai inseguito e non ho dimenticato, eravamo così vicini, un passo dalla sensazione più credibile, mi sono sciolta dal tua abbraccio per paura di cadere.
Un soffio erano le tue parole, il tuo cuore un fiume, avevo paura che tutto diventasse passato, che il tempo ci rendesse estranei.
Mi hai rapito in un angolo di grazia, la notte sembrava stoffa ferma, non c’era nulla di più immobile di noi. Amarti era come dire eternamente “Noi”, non ci divideva nulla, non ci univa nulla.
Ti ho rivisto ed il tempo non era mai passato…
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Post n°17 pubblicato il 03 Dicembre 2007 da myriamy74
» DISSOLVENZA NEL NERO « Sembra che la vita svanirà Testo metallica " fade to balck" |
una stanza rossa il fumo di una sigaretta accesa sale lento e disegna spirali il corpo di una donna che danza danza incredula e sfiora il muro il muro è rosso come il sangue lei ha i capelli sciolti lei ha il viso dolce e la musica mano che tocca il cuore e le vene lei è come il rosso velluto rosso ogni movimento è lento il sudore cola sul suo ventre fuori il mondo si insinua nelle pieghe del tempo un negro suona un'armonica a bocca e segna il tempo al ritmo della donna :non ha paura lei Lei, del suo viso dolce del suo essere come la neve che si scioglie su di un pugnale :su di un pugnale che ha tagliato della carne a cena perché la vita è violenta :ma lei è una donna saggia aspetta il suo uomo che a volte è rude ma lei ha modi di farfalla lo avvolge e non lo ammalia come una droga dolce e amara continua la sua danza tra il suo guardo duro e languido :tra la matassa di capelli morbidi, occhi stanchi lei è come una farfalla che sta appena nascendo alla vita: sta uscendo dal bozzolo.
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La pioggia scivola sulla pelle, come un brivido Scivola la mano sul pensiero che corre su di un filo Tutto si sgretola, tutto si scioglie Tutto diviene come cera calda.
Il vento soffia sulla pelle La pelle è un vetro morbido da sentire Rumore d’auto e sentire...
La voce diventa un vento che passa... La danza uno strano mormorio... Tutto sospeso, il respiro, il battito.
La vita è come una foglia Venature scivolano tra le mani.
Sei cinico come un vecchio canuto... Sei stanco di non sentirti carico abbastanza...
Il sonno, la veglia... mangiare, pensare e ridere... Non abbiamo forza, non abbiamo coraggio solo certezze di essere coccodrilli...
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Post n°6 pubblicato il 10 Novembre 2007 da myriamy74
I cento fili Sono qui a raccogliere intorno al dito i miei cento fili, intrecciarli per farne un ponte fra me ed il cielo. Credo che il mio primo filo sia nato dal mio primo sorriso. Io mi chiamo come la marea, il mio nome ha il sapore del mare e vorrei che qualcuno lo sentisse quel primitivo sorriso dato alla terra, il mio dare amore alla creatura chiamata madre. Mi sono corazzata per viaggiare meglio, sono come una mano tesa in attesa del calore della terra, al sapore della spiga fatta pane sul tavolo di ogni giorno, cotto al fuoco di un amore impensabile, mentre i miei capelli si perdono in un velo ed il ventre di una sposa. Sono seduta ed ho in mano un diamante e ci gioco con il pensiero e con le dita. Ho visto la strada avanzare, lì dove corrono gli altri novantanove fili, come un verso lunghissimo di scelte da fare primo o poi. Non posso stare troppo ferma, perché il cuore poi perde colpi ed io divento troppo assennata, si fermerebbero troppo tempo i sogni in un solo punto. Un pensiero viaggia e si ferma accanto al ventesimo filo, che è la mia età ormai trascorsa. Il ventesimo filo è la ragione più profonda, quella in cui io sono donna, madre futura anche io di creatura di carne, profumo di rosa negli anni che si inarcano e passano come un rosario liso, nel sentire spirito e carnalità come coscienza nuova. Ho un infuso per pregare e chiedo venia per tutti i pezzi di cuore che ho avuto tra le mani, io mistero , io perdono. Il decimo filo, mi parlava come la corda di un violino del rifiuto di mio padre di portarmi al mare, sulla spiaggia. Non c’è tempo oggi, per andare così lontano, io non so costruire castelli di sabbia, so solo far scivolare qualche granello in una clessidra. Le uniche parole conosciute erano “ portami al mare”. Perché non capisci sconosciuto alla mia pelle che lì mi sento davvero donna, tra il sale e lo specchio dolce e amaro. Sono troppo ribelle, sono come un vino che tarda ad essere rosso dentro un calice. Troppo stanca di aspettare un qualsiasi sciocco da poter salutare con un bacio. Vorrei essere una sirena, vestirmi e rivestirmi di mare e pioggia, il colore delle stagioni, gli unici colori, la nudità oscena di una foglia di autunno tra i capelli. Sono seduta e penso con le mani ferme e sincere. Ho il coraggio di sentirmi ridicola e tutto diventa come una massa informe di polvere su di un mobile…Ho deciso prendo la mia valigia e penso al filo che chiude il cerchio davvero, qualcuno che almeno una volta nella sua vita, ha riso di cuore di sé stesso… |
Inviato da: Bigmaxx
il 11/01/2009 alle 11:03
Inviato da: stefanovers
il 26/10/2008 alle 05:49
Inviato da: Giles2004
il 04/10/2008 alle 15:16
Inviato da: myriamy74
il 05/09/2008 alle 13:17
Inviato da: alain_10
il 05/09/2008 alle 11:42