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NO TAV
Premetto non amo gli antagonisti e gli anarchico insurrezionalisti,però dalla lettura di un libro mi è venuto un dubbio........... _____________________________________________________________________ Le luci di Argentera,Rivarossa ,Druento,Pianezza. Nel buio un cartello stradale indica la Valle di Susa. Decido all’istante di andarci. Chissà che sotto la rivolta indigeni contro l’altra velocità ferroviaria covi qualcosa di più antico. La valle è già devastata da quattro strade parallele,un’autostrada,una ferrovia internazionale e un elettrodotto a 380 mila volt. La rabbia è antica. Il dispetto dei valligiani sempre scavalcati da decisioni altrui,che nulla di buono hanno portato alla montagna. In un alberghetto di Bussoleno trovo la conferma prima ancora di salire a dormire. In bacheca c’è una lunga lettera di fra Dolcino - bruciato vivo 7 secoli prima - ai ribelli anti-Tav di oggi. Oltre che dall’uomo che capitanò nel Biellese una sanguinosa rivolta di montanari contro i vescovi e i signori della Bassa,la missiva è firmata da Margherita,la donna che morì con lui nelle fiamme. Leggo con trepidazione:”Cari valligiani ribelli,è con uno slancio del cuore che abbiamo deciso di scrivervi. Da secoli ci aggiriamo,stanchi e obliqui,sopra i fatti del mondo.....”, vediamo “montagne sventrate dall’arroganza del denaro,vallate affogate nel cemento...... genti rassegnate e chine. “Quel formicaio di uomini soli che ancora chiamate società ci ha tolto ogni gusto per le parole”, “ma la passione ci è tornata”vedendo “quelli stessi cantieri partigiani ripercorsi da donne,uomini e bambini ostili a un treno carico di sventure e difeso da mercenari in uniforme”. E ancora:”Il 31 ottobre al Seghino e l’8 dicembre 2005 a Venuas eravamo con voi,valligiani fieri e testardi. Ancora una volta,sulle montagne”. L’occupazione militare della valle sotto il governo Berlusconi è già diventata mitologia. Il giorno dopo passo alla Credenza,l’associazione dal nome più bello d’Italia. Non vuole dire “posto del cibo”,ma “della fiducia reciproca”. Il luogo della comunità,dove discutere le cose della valle. “Sono stati i manganelli della polizia a rilanciarla,nel 2005,”racconta Nicoletta Dosio,sesiana di Bussoleno,che ne è l’anima,”prima tra noi c’era solo silenzio”. Racconta che negli anni 90 la gente diceva ai ribelli “avete ragione”,ma si guardava dal sottoscrivere. Avevano sempre subìto :gli orrendi piloni sul fiume,la chiusura del polo ferroviario,la chiusura dei cotonifici di Felice Riva e la sua fuga con la cassaforte. “La sconfitta era talmente interiorizzata nell’anima dei montanari che pensavano fosse inutile combattere”. Poi arrivò la prima vittoria,contro il progetto di un secondo elettrodotto:fu sufficiente costruire una mobilitazione popolare insieme alla valli francesi. Era il 1992,e da allora il clima è cambiato. La gente cominciò a discutere,ma i giornali ignorarono la metamorfosi, dedicarono alla valle in fermento solo titolini invisibili a una colonna. Così l’opposizione dei locali sembrò un ostacolo irrilevante a chi aveva progettato la Tav senza discutere con la montagna. Non si doveva perder tempo a discutere con gli “zoticoni”,i “retrogradi”, i “localisti egoisti” e naturalmente “nullafacenti”. Non sapevano,a Roma,che in val di Susa erano tornati gli elfi. Così passarono il limite. Occuparono la valle con i carabinieri,misero blocchi stradali,sequestrarono le bandiere dei comitati di lotta,denunciarono i boscaioli per uso dell’accetta come “arma impropria”. Arrivarono al punto di bloccare un funerale per ispezionare il carro funebre. A quel punto si capì che la galleria della Tav riguardava tutti,e non solo i comitati. La vita dell’intera valle stava cambiando in peggio. “E’ così che siamo ridiventati collettività”mi dice Nicoletta. “Oggi si discute,ci si parla,ci si chiede del destino della montagna,delle sue risorse dimenticate per far spazio alla grande distribuzione” Qualcosa si muove nel mondo dei vinti. ____________________________________________________________________ Liberamente tratto da:”La leggenda dei monti naviganti” di Paolo Rumiz
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