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Post n°19 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da nannidelogu
In Patagonia In tutti questi tragici fatti Luigi Tozzi restò indenne, pensando piuttosto a lavorare e a portare avanti la sua numerosa famiglia e lottando, più che altro, contro le avversità del clima patagonico, "durante l'inverno, quando la neve arrivava a coprire tutta la casa e dovevamo stare rinchiusi per mesi - racconta una delle figlie - papà provvedeva a mungere le vacche e a nutrirci di solo latte e ci razionava un poco di frutta che teneva gelosamente conservata sotto il suo letto. In quei lunghi inverni ci raccontava con visibile commozione di un'isola lontana chiamata Sardegna in cui aveva lasciato la sua famiglia...e alla quale non poteva mai più tornare perché lo avrebbero fucilato...". Don Luis Tozzi Marras, così veniva chiamato in argentina, visse tutta la vita nella nostalgia della sua Sardegna e della sua amata mamma Mariannica, il cui ricordo e amor patrio trasmise ai figli e ai numerosi nipoti. Forse non si era dimenticato dell'esortazione di Grazia Deledda: ..."cola su mare, e cando in sa fiorida
Dal 1906 e sino al 1950 Luigi riuscì a tenere rapporti epistolari con la famiglia, e nei primi anni anche con la sua fidanzata sarda con la quale corrispondevano in rima:
Rezzìdu appo su tou cantu bellu ca in primu allegru no so'
Lettera spedita dalla fidanzata a Ti Luisi si podia che puzzone 'olare pero' no partit si no b'ando deo. (1906/7)
Poi le lettere non arrivarono più ... e si pensò fosse scomparso. Ma Luigia Tozzi una sua nipote (omonima proprio per ricordare lo zio partito in america...) non perse mai la speranza di riallacciare i contatti, e dopo vari tentativi andati a vuoto in questi ultimi cinquant'anni, finalmente, grazie alla tecnologia di Facebook e alla costante ricerca da parte di Nanni Delogu Tozzi, figlio di Luigia, il 29 dicembre 2010 alle ore 02,45 arriva questo messaggio di risposta ai tanti appelli; è un certo Jorge Sanatana Tozzi (un nipote di Luigi) che scrive: "hola mi abuelo se llamaba asi, era hijo de marianica marraz y su padre llevaba el mismo nombre, pero creemos que el llego a la argentina alrededor de 1905 era de un pueblo llamado scano montifierro de la provincia de gagliari, mi abuelo nacio en el a;o 1888, y hasta 1950 mantuvo comunicacion con su familia, espero tu respuesta un cordial saludo". La comunicazione si intensifica in un miscuglio di trepidazione e paura di perdere il contatto e si protrae ininterrottamente fino alle 06 del mattino seguente senza dormire per poi riprende la sera seguente ancora per tutta un'altra notte. E così per alcuni giorni. Indescrivibile l'emozione e la gioia, sia dei parenti argentini, sia di quelli sardi che appena venuti a sapere del contatto avvenuto e cercato per anni da entrambe le parti, iniziano ad agganciare e scambiare le amicizie attraverso Face book e Skype e da quel giorno non finiscono di raccontarsi le proprie storie anche in videoconferenza. Non solo i nipoti ma perfino le figlie superstiti di Luigi, avanti con l'età, si cimentano sul web per dare o ricevere notizie.
"Una bella notizia! - dice nanni delogu tozzi - alla fine ci sono riuscito a ritrovare i lontani parenti argentini! ho impiegato mesi ma grazie a face book ce l'ho fatta! Il 29 dicembre 2010 resterà memorabile. Zio Luigi partito giovanissimo per l'Argentina e del quale avevamo perso le tracce dal 1950 ora, dopo oltre 50 anni, lo abbiamo ritrovato, o meglio abbiamo ritrovato i suoi figli... E' un'emozione indescrivibile".IGL...
La speranza, mai venuta meno, di sua nipote Luisa si è avverata il 29 dicembre 2010. Si è realizzato così un sogno attesto 105 anni! "Il più bel regalo di natale" ha affermato Luigia; "il più bel giorno della mia vita" ha replicato Elena, sua cugina, una delle figlie di Luis! In Sardegna restano in vita soltanto due nipoti, Cicita e Luigia (entrambe ultra ottantenni) e in Argentina vivono ancora sei degli undici figli di Luis. Se non si è giunti in tempo per trovare lo zio d'america Luis, che è morto nel 1970, in compenso si è venuti in contatto con una miriade di cugini, nipoti e pronipoti disseminati tra la Sardegna, l'Argentina, il Cile ed il Perù. La ricostruzione dell'albero genealogico della famiglia Tozzi attualmente conta oltre 300 unità.
La fama di Don Luis diffusasi in tutta la Patagonia a partire dai primi '900, è giunta fino a noi grazie anche al riconoscimento da parte del governo argentino. Attualmente infatti quella casetta di Jaramillo è Casa museo ed è diventata il simbolo dell'imprenditoria italiana in quelle lontane terre della patagonia. Un cartello, posto dall'Amministrazione governativa, all'ingresso della casa, ricorda la figura e le qualità di Don Luigi tozzi Marras inmigrante de Cerdena - Italia - primier picapedrero y constructor - realizo varias obras - la ex comisaria - tumbas en el cemeterio historico local - trabaiaba con piedra de la zona tallada con punzon y martillo. Nanni Delogu La giornalista sarda Teresa Fantasia che cura una rubrica dedicata ai sardi in argentina per la Radio Genesis di Buenos Aires (http://www.radiogenesis970.com.ar/streaming/radioonline.html), ha tenuto il 23 gennaio 2011, una diretta radiofonica in collegamento con la Sardegna per raccontare la singolare storia di don Luis Tozzi Marras partito in America latina all'età di 16 anni e dove ha lasciato indelebile la sua impronta e il suo amore per la Sardegna. Questo articolo è stato pubblicato sul blog: Tottus in pari http://tottusinpari.blog.tiscali.it/2011/01/18/la-storia-di-luigi-tozzi-marras-emigrato-in-argentina-a-16-anni-primer-picapedrero-y-constructor-della-patagonia/ E sull'unione sarda on line: http://giornaleonline.unionesarda.it/US_sardi_NOT_03_novita.asp?IDNotizia=6962183&IDCategoria=26
---------------------------------------------------------------------------------------------------- Le foto a questi link Il naufragio del Sirio http://www.facebook.com/photo.php?fbid=182913715065828&set=a.182913698399163.45337.100000416031871 I TOZZI ARGENTINI RITROVATI http://www.facebook.com/album.php?id=100000416031871&aid=44435 Le nipoti sarde di Luis, Cicita e Luigia Tozzi con Nanni Delogu Tozzi autore delle ricerche http://www.facebook.com/photo.php?fbid=180819235275276&set=a.180818998608633.44351.100000416031871
album foto su: http://www.facebook.com/profile.php?id=100000416031871#!/profile.php?id=100000416031871&sk=photos
Bibliografia consultata: http://www.americacallsitaly.org/emigrazioni/mei.htm http://www.casanatalecabrini.com/pdf/la_vita_di_madre_cabrini.pdf http://ita.anarchopedia.org/Patagonia_Rebelde_del_1921/1922 http://anoipiace.wordpress.com/2010/11/18/ancora-su-patagonia-rebelde-di-osvaldo-bayer/ http://it.peacereporter.net/articolo/22177/+%93Patagonia+Rebelde%94 http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=5923&lang=it http://rcslibri.corriere.it/rizzoli/stella/immagini/foto/popup/sirio.htm
video http://www.youtube.com/watch?v=T0_zDYw6qEk http://www.youtube.com/watch?v=ZsacCH4nTgQ&feature=fvw http://www.youtube.com/watch?v=T0_zDYw6qEk&NR=1 http://www.betasom.it/forum/index.php?showtopic=32929 http://it.wikisource.org/wiki/Il_tragico_naufragio_della_nave_Sirio http://www.youtube.com/watch?v=2oDUD_rOYk0
fonti dirette per l'Italia, Luigia Tozzi (classe 1929), nipote; per l'Argentina, Elena Tozzi Gonzalez ( classe 1946) filgia |
Post n°18 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da nannidelogu
L'arrivo e la sistemazione in Patagonia Nella città di Santa Cruz, fu chiamato da jose r gonzalez, un vedovo che aveva otto figli, a costruirgli la casa. Erano gli anni dello sciopero degli operai e la situazione era molto critica. Luigi dovette nascondersi, per evitare di finire arrestato come tanti. jose r gonzalez lo tenne nascosto nei suoi terreni per circa nove mesi e così, come in una nuova gestazione, ebbe salva la vita per una seconda volta. Dopo che centinaia di operai dimostranti furono uccisi e lo sciopero generale si calmò, Luigi riprese il suo lavoro portando avanti gli impegni presi. Durante i lavori incontrò di nuovo la bella ragazza della pampa, Era Josefa, la figlia maggiore di Jose Gonzalez che oltre a pascolare le mucche con fare di mamma curava la casa e accudiva con affetto i fratellini piccoli. A Luis gli si sciolse quel cuore indurito dalla malinconia e terminata la costruzione con fare deciso chiese la mano di Josefa al padre Jose R Gonzalez. Questi rifiutò risolutamente anche perché quella figlia, la maggiore, per lui era la mano destra, accudiva la numerosa famiglia e non intendeva certo privarsene. Allora Luis molto fieramente, nottetempo, la rapì e i due scapparono via. Luis aveva 39 anni e Josefa 22. Dopo poco tempo, ottenuto il perdono del padre, che nonostante tutto aveva una grande stima di Luis, si sposarono. Ebbero undici figli a cui Luigi diede gli stessi nomi dei fratelli e delle sorelle lasciati in Sardegna. Luigi capì che era giunto il momento di fermarsi. Fissò la sua dimora nel minuscolo paesino di Jaramillo nella provincia di Santa Cruz. Un paesino poco più di 100 abitanti, che forse gli ricordava il suo paese natio. Lì si costruì la casa utilizzando la pietra locale secondo le tecniche imparate da suo padre maestro Ferdinando. Li visse per circa 40 anni dando un'impronta indelebile all'architettura di Jamarillo per le sue opere, dalle case al cimitero monumentale. Ebbe una vita povera ma dignitosa e seppe portare avanti l'intera famiglia con il suo lavoro sebbene conobbe periodi di miseria alternati a quelli di benessere. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Luigi però, come accennavo prima, riuscì ad attraversare indenne tutti periodi peggiori anche quelli della storia politica argentina come il massacro della Semana Tragica del 1919, in cui la polizia di Santa Cruz trattenne in stato di fermo i sindacalisti della "Sociedad Obrera", la maggioranza dei quali erano immigrati, pretendendone l'espulsione in nome della legge argentina (la cosiddetta "Legge di Residenza"). La Sociedad Obrera dichiarò allora lo sciopero in tutta la provincia per la liberazione dei compagni arrestati. Una volta riottenuta la libertà, il conflitto continuò per i miglioramenti salariali e per le condizioni di lavoro. Iniziò allora una estenuante negoziazione con i latifondisti che terminò con un insuccesso dei lavoratori a causa delle gravi discordanze esistenti tra anarchici, sindacalisti, socialisti e comunisti. Il governo di Hipólito Irigoyen inviò allora truppe dell'esercito, comandate dal tenente H. Benigno Varela (2 gennaio 1921), per porre fine allo sciopero. Gli eventi precipitarono quando entrarono in azione le forze paramilitari della "Liga Patriótica" e molti dirigenti sindacalisti furono arrestati. Ci fu lo sciopero generale a Santa Cruz. Il tenente Varela impose «la pena de fusilamiento per i braccianti e gli operai in sciopero. Il governo cileno, timoroso probabilmente che lo sciopero contagiasse anche i lavoratori e le lavoratrici cilenie, collaborò e fornì sostegno alle forze militari argentine nella repressione in atto. L'esercito argentino soffocò violentemente la rivolta, arrestando e fucilando molti lavoratorilavoratrici in maniera sommaria. In totale, circa 1500 tra operai, braccianti e sindacalisti morirono sotto i colpi delle "forze dell'ordine". "Cuando fusilan a los peones de campo, - racconta la figlia Elena -, papa le estaba construyendo la casa a jose r gonzalez un viudo con 8 hijos,e ste buen señor lo esconde en su campo, asi salvo su vida por segunda vez, ahi todavia era soltero, cuando le finaliza la construcion a jose r gonzalez, le pide la mano de su hija josefa, jose no acepta. aduce que es la mayor y su mano derecha (cuidaba a sus hermanos pequeños y se ocupaba de todo). Mi papa se la lleva con el o sea la rapimento, mi nonno jose gonzalez lo queria mucho a mi papa y le perdono. Venimos de familia buena, pobres y honrados GRAZIE A DIO". Queste vicende sono ben raccontate nel film di Héctor Olivera, La Patagonia Rebelde (1974), che descrive i tragici eventi di quel periodo.Da citare anche il libro, uscito nel 2010, "Patagonia Rebelde" di Osvaldo Bayer; un libro, come ci ricorda Alberto Prunetti curatore dell'edizione italiana pubblicata da Eleuthera, un tempo bruciato nelle piazze e oggi adottato in tutte le scuole della Patagonia. Il libro ricostruisce lo sciopero dei braccianti anarco-sindacalisti nella Patagonia argentina degli anni Venti. quello sciopero che tenne in scacco i latifondisti patagonici per due anni e si conclude tragicamente con la fucilazione dei 1500 lavoratori insorti per opera del colonnello Varela e del suo esercito.Dal 1880 al 1930, l'Argentina godette di una sempre maggiore prosperità e importanza grazie ad una economia volta all'esportazione, e la popolazione del paese aumentò di sette volte. Le forze conservatrici dominarono la politica argentina fino al 1916, quando i tradizionali rivali, i radicali, ottennero il controllo del governo. Nel 1930 l'esercito costrinse Hipólito Yrigoyen a lasciare il potere, portando ad un altro decennio di governo conservatore. I cambiamenti politici portarono nel 1946 alla presidenza di Juan Perón, (quello che secondo Peppino Canneddu e Gabriele Casula sarebbe stato, in realtà, tale Giovanni Piras di Mamoiada, inventatosi natali argentini per sfuggire alla coscrizione durante la prima guerra mondiale). Il tanto discusso Presidente cercò di dare più potere alla classe lavoratrice e aumentò notevolmente il numero di lavoratori sindacalizzati. Ebbe un occhio di riguardo agli immigrati sardi. La Revolución Libertadora del 1955 lo depose. Un altro periodo tragico, anche per le numerose vittime sarde, è quello che va dal 1976 al 1983 quando le forze armate detennero il potere per mezzo di una giunta autoincaricatasi del cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale; il governo militare represse l'opposizione, sia da parte dei gruppi di sinistra che dai peronisti, utilizzando metodi improntati all'illegalità dando inizio a quella che sarebbe passata alla storia come la Guerra Sporca: migliaia di dissidenti furono fatti scomparire. Nel periodo della dittatura 30.000 persone scomparvero creando il fenomeno dei desaparecidos. segue...
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Post n°17 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da nannidelogu
La storia di Luigi Tozzi inizia con il padre Ferdinando maestro scalpellino e costruttore che giunge a Scano Montiferro nella prima metà del 1800, ancor prima dell'unità di Italia, a seguito di un'impresa che doveva realizzare il primo acquedotto e la fontana monumentale al centro del paese, con finanziamento del governo piemontese, forse per interessamento di Vittorio Angius che con Scano aveva particolari rapporti di amicizia. Il contesto Sul finire del 1800 l'Italia attraversava una grave crisi economica e sociale: sono gli anni del tentativo coloniale in Africa con la sconfitta militare in Etiopia, gli scandali bancari, i "moti per il pane" e la repressione a cannonate. La giovane Grazia Deledda così si esprimeva: Dal 1876 alla Grande Guerra gli espatri sono oltre 14 milioni. Nei primi dieci anni la maggioranza parte verso l'Europa, dal 1886 prevalgono le Americhe, soprattutto quella meridionale (Argentina e Brasile) dove si dirige il 23% degli emigrati italiani: nel 1905 a Buenos Aires risiedono già 250 mila italiani; nella città di San Paolo su 260 mila abitanti circa metà (112.000) sono italiani. Per sfuggire ai controlli e alla coscrizione militare, i migranti partono senza passaporto. Tra la fine del 1800 e i primi del 1900, spinti dalla miseria e dalla speranza di un futuro migliore, ma vittime dell'ignoranza e dell'analfabetismo, molti emigrati italiani furono facili prede di sfruttatori, «la cui propaganda - con le parole dello scalabriniano Pietro Maldotti che al porto di Genova opera per sventare le trame degli agenti d'emigrazione - è implacabile e irrefrenabilmente scandalosa tanto da promettere ricchezze straordinarie e fortune colossali a quanti si dirigono in America, dove le strade sono coperte d'oro e si mangia a sazietà». ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Luigi (1889-1970), uno dei figli più giovani di Ferdinando, a 16 anni, già conoscitore del mestiere di scalpellino, spinto dalla miseria e attratto dalla propaganda implacabile che prometteva ricchezze straordinarie e fortune colossali a quanti si dirigevano in America, in segreto e con il suo migliore amico Palmerio, decise di partire in cerca di fortuna. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Edmondo De Amicis, a seguito dell'esperienza "sofferta" a bordo del Sirio, affrontò il tema dell'emigrazione con la sua opera letteraria "Sull'oceano". --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Nel tragico naufragio Luigi e il suo amico Palmerio si salvarono. Palmerio si salvò aggrappato alla sua valigia di cartone mentre Luigi perse tutto quel poco che aveva. Lo shock fu tale che Palmerio decise di rientrare a casa a rischio di subire la fucilazione e perciò non diede ascolto alle minacce dei traghettatori che lo volevano trattenere. Anche Luigi per lo spavento subito avrebbe voluto seguire l'amico e tornare indietro, ma fu assoggettato e persuaso dagli agenti d'emigrazione con la minaccia della fucilazione per diserzione ed emigrazione clandestina. Quindi gli amici si separarono e Luigi fu caricato su altra nave e spedito in America. Giurò allora che se avesse attraversato l'oceano sano e salvo non lo avrebbe riattraversato mai più, e così avvenne. Lo salutò con un bacio, una sconosciuta signora anche lei salvatasi dal naufragio. Un bacio benaugurale che lo accompagnerà per tutta la vita e che Luis non scorderà mai... Da Buenos Aires andò a lavorare al nord, a San Miguel de Tucumán, dove lavorò per la ristrutturazione della Casa de Tucumán, nota anche come Casita histórica de Tucumán o Casa de la Independencia, dove il 9 luglio 1816 il Congresso riunito dichiarò l'indipendenza dell'Argentina, dalla Spagna. Oggi è monumento nazionale. Dopo questa prima esperienza lavorativa, Luigi, girovagò, via via nel corso di due decenni, in tutto il territorio argentino, lavorando un po' ovunque. In tutti questi anni probabilmente andava anche alla ricerca di una pace interiore, di un adattamento dopo il grande impatto con un nuovo mondo e con tutto ciò che comporta lo sradicamento dal proprio ambiente di nascita. Dopo aver girato in lungo e in largo tutta l'Argentina, finì in Patagonia, dove già dal 1880, la "Conquista del deserto" soggiogò o sterminò le rimanenti tribù indigene della Pampa meridionale e della Patagonia, e dove c'era ancora bisogno di maggior manodopera.
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Post n°16 pubblicato il 28 Febbraio 2010 da nannidelogu
LA CHIESA DI CANCELLO ED ARNONE DEDICATA A MARIA SS. DELLE GRAZIE REGINA DI TUTTI I SANTI – SCAMBIO CULTURALE E RELIGIOSO CON SCANO MONTIFERRO (SARDEGNA)
giovedì (Facciata della chiesa – foto di Mattia Branco) (Immagine di Maria SS. Delle Grazie – foto di Tilde Maisto) (Un’antica immagine di Maria SS. delle Grazie, situata in una cappella a Lei dedicata) (Cappella dedicata alla Madonna sita in Via Roma – Cancello ed Arnone)
CENNI STORICI: Nel libro: Cancello ed Arnone (ossia della terra di Cancia e della terra di Lanio) scritto dalla prof.ssa Mariateresa Laudando, per volontà del Comune di Cancello ed Arnone, leggiamo quanto segue: La principessa Aloara, vedova del principe Pandolfo, soprannominato “Capa di ferro” reggeva il principato di Capua con suo figlio Landolfo circa gli anni del Signore 993 e fece privilegio di esenzione all’Arcivescovo Atenolfo facendogli successivamente costruire un Monastero il cui Abate fu S. Ademario, cittadino capuano. Di questo documento scrisse Pietro Diacono Cassinese e attualmente si trova nell’Archivio del Monastero di Aversa. In quel tempo, il suddetto Monasteror isultava essere unito a quello di Capua e per circa tre secoli quest’ultimo, fu un piccolo Ospizio con un Priore e due monaci per l’amministrazione forse dei beni esistenti nel territorio capuano. Successivamente, l’Abate di S. Lorenzo, avendo abbandonato il Monastero di Capua assegnò al Capitolo e Mensa Arcivescovile di quella città, invece dell’annuario tributo, ossia canone, che consisteva in “Singulos annos frumenti medamnos 24 et fabarum corbem”, 100 moggia di territorio “In terra Cantiae” e da allora la chiesa che si costruì in questa terra fu visitata sistematicamente dall’Arcivescovo di S. Lorenzo. Quasi certamente si tratta della chiesa di Cancello, quella che oggi va sotto il titolo di Maria Regina di tutti i Santi. Le visitazioni venivano scrupolosamente annotate e grazie a queste relazioni che oggi si conservano nell’Archivio Arcivescovile di Capua, molti fatti non chiari, vengono finalmente alla luce. Si riporta che quando iniziarono le visitazioni in detta chiesa, c’era l’usanza di entrarvi in processione, come si trova scritto nel Capitolo Metropolitano nella IV Feria delle rogazioni, e si aggiunge, “essendo tenuto detto Monastero di dare per ogni Canonico un picciol pane ed una picciola provatura, o sia mozza, in ricognizione del dominio del suolo di detto Monastero, le cui celle in case, cangiate al presente si veggono”. Questi documenti risultano essere importanissimi perchè da questi si evince che la mozzarella sia nata in terra Cancia, cioè a Cancello per opera di questi monaci, proprio come avvenne in Francia con il famoso Dom Perignon. La scoperta di questo importantissimo dettaglio è venuta alla luce per un caso fortuito, in quanto si cercavano notizie della Chiesa di Cancello. Purtroppo, per quanto riguarda questa, le frequentissime distruzioni, prima per le inondazioni del Volturno, (che attraversa il paese) poi a causa delle due guerre mondiali, hanno fatto si che le testimonianze della originaria struttura e delle opere che si conservano in ogni luogo di culto venissro a mancare del tutto. Però , da un documento Omnium sanctorum in Cancello, datato 1766 si ricavano le seguenti notizie: “Della Chiesa Parrocchiale di Cancello si leggono presso Michele Monaco le seguenti parole: Sub invocatione omnium sanctorum est Parochialis in Civitate, et in Villa Cancelli; e nella tassa Antica delle Decime: R.E. Omnium Sanctorum de Villa Cancelli in tarenis tribus. In questa Parrocchiale sotto il titolo di Tutti i Santi vi sono quattro Cappelle: una del Corpo di Cristo, l’altra della Vergine del Rosario, la terza delle Anime del Purgatorio , e la quarta, ch’è di juspadronato di Alfonso di Petrillo. Oltre all’enunciate Cappelle ve n’è anche una rurale nel medesimo distretto sotto il titolo di S. Maria delle Grazie. Nel distretto di questa Parrocchia vi sono altresì due semplici benefici: uno di S. Angelo, e l’altro sotto il titolo di S. Carlo. Il Parroco porta la cura di duecentonovantaquattro Anime”. Oggi è vivissimo in questa chiesa il culto della Madonna delle Grazie la cui festività ricorre il 2 luglio. In quel giorno nei tempi antichi, era d’usanza, sospendere tutti i lavori legati all’agricoltura e nello specifico la trebbiatura del grano. Successivamente per questioni economiche, il popolo preferì festeggiare la Madonna la seconda domenica di settembre, quando cioè in genere si riscuotono i proventi dei raccolti. In questa occasione è d’uso percorrere in processione “il miglio” portandosi fino ad una edicola votiva fuori l’abitato su una strada che porta verso la campagna.
ATTUALMENTE: Ai giorni nostri in onore di Maria SS. delle Grazie, Regina di tutti i Santi si organizzano due feste: - la prima il 2 luglio solo a carettere religioso, con Messe Solenni e Processione dei fedeli che fanno girare la Madonna per le principali strade cittadine, portandone l’immagine sulle spalle; - la seconda, solitamente intorno all’11 – 12 – 13 e 14 Settembre, in questa occasione si tratta di solenni festeggiamenti in onore della Madonna che unendo il sacro al profano danno vita ad una festa attesa dai cittadini come “LA FESTA DELLE FESTE”. UNA TIPICITA’ DI QUESTE DUE RICORRENZE SONO “I BATTENTI”
La sfilata dei “battenti”, che iniziano il loro percorso alle 4,30, percorrendo vari chilometri, raggiungono le strade del paese intorno alle 10,00, mentre nel pomeriggio, durante la solenne processione, portano la Madonna sulle spalle. Nel pellegrinaggio dei “battenti” è facile individuare episodi di una cultura contadina arcaica, vecchie tradizioni miste a riti religiosi. Bellissima festa, dunque, un connubuio perfetto tra: fede, religione, tradizioni e folklore. .-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-. Carissimi Amici, tale articolo nasce dalla richiesta di un lettore che mi scrive dalla Sardegna chiedendomi informazioni sulla nostra venerazione a Maria Regina di tutti i Santi, infatti dopo alcune informazioni egli mi scrive quanto segue: Grazie Sig.ra Matilde per la su disponibilità. (Scano) (festamanna) (Scano Montiferro chiesa parrocchiale) (Pedras Doloras) (Immagine Regina di tutti i Santi) |
Post n°15 pubblicato il 28 Dicembre 2009 da nannidelogu
Grazie per gli auguri che ricambio. La gioia del natale dia nuovo entusiasmo e la benedizione di Dio illumini il nuovo anno. Auguri Giuseppe c.
Bonu Nadale passade Babbos, mamas e fizos Dae Casteddu a Nugoro Bonu Nadale passade Cun allegria in chizos Ch’est su mezus tesoro De tota s’umanidade Babbos, mamas e fizos Tot’a cumbeniu issoro Torrent in cust’edade Isperanzias e disizos Dae Casteddu a Nugolo Semper in paghe istade Sena penas e fastizos Bos auguro dae coro. GF Rosa
Abbiamo visto la Luce del natale… E abbiamo gioito. Aterus Annos! Sinceri auguri. Dario
Che questo natale ti conceda la serenità di accettare le cose che non puoi cambiare, il coraggio di cambiare le cose che puoi cambiare e la saggezza di capire la differenza. (preghiera cherokee). Infiniti auguri Cenzina
“Vedendo in Lui alcuni aspetti umani, ma altri divini, la limitatezza dell’intelletto presa da ammirato stupore, non sa a che appigliarsi”. (Origene) Buon natale da Sebastiano.
Il signore disse: andate e benedite tutti i popoli della terra benedicendoli nel nome del padre e del Figlio e dello Spirito santo e così sia, a voi un augurio di buon natale Marco (maxicolor) e famiglia
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Post n°14 pubblicato il 02 Novembre 2009 da nannidelogu
Ciao Carletto, |
Post n°12 pubblicato il 17 Settembre 2009 da nannidelogu
da il Blog di Marco Boschini di Alex Zanotelli Non avrei mai immaginato che il paese di Francesco d’ Assisi (Patrono d’Italia) che ha cantato nelle sue Laudi la bellezza di “sorella acqua” diventasse la prima nazione in Europa a privatizzare l’acqua! Giorni fa abbiamo avuto l’ultimo tassello che porterà necessariamente alla privatizzazione dell’acqua. Il Consiglio dei Ministri, infatti, ha approvato il 9/09/2009 delle “Modifiche” all’articolo 23 bis della Legge 133/2008. Queste “Modifiche” sono inserite come articolo 15 in un Decreto legge per l’adempimento degli obblighi comunitari. Una prima parte di queste Modifiche riguardano gli affidamenti dei servizi pubblici locali, come gas, trasporti pubblici e rifiuti. Le vie ordinarie, così afferma il Decreto, di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica è l’affidamento degli stessi, attraverso gara, a società miste, il cui socio privato deve essere scelto attraverso gara, deve possedere non meno del 40% ed essere socio “industriale”. In poche parole questo vuol dire la fine delle gestioni attraverso SPA in house e della partecipazione maggioritaria degli enti locali nelle SPA quotate in borsa. Questo decreto è frutto dell’accordo tra il Ministro degli Affari Regionali, Fitto e il Ministro Calderoli. E questo grazie anche alla pressione di Confindustria per la quale in tempo di crisi, i servizi pubblici locali devono diventare fonte di guadagno. È la vittoria del mercato, della merce, del profitto. Cosa resta ormai di comune nei nostri Comuni? È la vittoria della politica delle privatizzazioni, oggi, portata avanti brillantemente dalla destra. A farne le spese è sorella acqua. Oggi l’acqua è il bene supremo che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici, sia per l’incremento demografico. Quella della privatizzazione dell’acqua è una scelta politica gravissima che sarà pagata a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese, ma soprattutto dagli impoveriti del mondo (in milioni di morti per sete!). Ancora più incredibile per me è che la gestione dell’acqua sia messa sullo stesso piano della gestione dei rifiuti! Questa è la mercificazione della politica! Siamo anni luce lontani dalla dichiarazione del Papa Benedetto XVI nella sua recente enciclica Caritas in veritate dove si afferma che l’”accesso all’acqua” è “diritto universale di tutti gli esseri umani senza distinzioni e discriminazioni”. Tutto questo è legato al “diritto primario della vita”. La gestione dell’acqua per il nostro Governo è assimilabile a quella dei rifiuti! Che vergogna! Non avrei mai pensato che la politica potesse diventare a tal punto il paladino dei potentati economico-finanziari. E’ la morte della politica! Per cui chiedo a tutti di:
Sarà solo partendo dal basso che salveremo l’acqua come bene comune, come diritto fondamentale umano e salveremo così anche la nostra democrazia. È in ballo la Vita perché l’Acqua è Vita!
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Post n°11 pubblicato il 06 Agosto 2009 da nannidelogu
Narat su dizzu chi non s’agatat rosa chena ispina e inveces non est beru. In sos montes de Sardigna naschet sa Rosa Ampiogna o ampionia, chi ultimamente amos postu a simbulu de sa terra nostra. Sa rosa ampiogna frorit in beranu, in sos meses de abrile e maggiu e tinghet, pro una vintina de dies, sas campagnas, de colore ruggiu. In medas logos li narant sa rosa ’e monte. Sigundu sos gregos sa Rosa ampiogna fuit s’unicu frore chi naschiat in sos oros de s’olimpu ei sos deos nde adduraint ammirados dae sa bellesa. Su nomene, comente nos contat Euripide, Ovidio e Plinio, derivat da Peone su fizu de Asclepio su deus de sa meighina. Sos contos sunt duos: su primu narat chi cando Ade fuit bistadu feridu a molte da Eracle, si fuit fattu meigare da Peone e sigomente sas feridas si fuint sanadas luego e bene, Asclepio, su babbu de Peone, inbidiosu e timinde de perdet sa fama, hait pensadu de occhire a Peone. Ma Ade l’hait salvadu tramudandelu in d’unu bellu frore, sa Peonia. S’ateru contu narat chi cando Latona fuit in sos dolores de su partu po fagher naschere Apollo e Artemide, haiat fattu tichirriare su meigu Peone chi li haiat dadu a buffare su suzzu de unu frore sena nomene chi creschiat in costas de s’Olimpu. Latona haiat partoridu, bene e sena dolores, duos fizos meddigos Apollo e Artemide. A chie li domandait comente haiat fattu a si liberare sena suffrire, issa rispondiat chi fuit bistadu grassias a su frore de Peone e pro riconnoschezia haiat dadu su nomene de Peone a su frore miraculosu. Ateras curiosidades Sa Peonia est semper bistada cunsiderada sa pranta de sos deos, capazza de che cazzare sos ispiritos malignos e imprenda contra s’Ammuntadore. Sos marineris la usaint contra sas malas temporadas. E contra sos ladrones beniant postos un’aghedda ’e frores in ue si aregollent sa crae de domo. Sos antigos naraint chi sas raighinas de sa rosa ampiogna teniant bonos remedios po curare su male cadoccu e su dolor ’e figadu; ei sos semenes, fattos a collanas beniant postas a sos pizzinnos contra su dolore ’e dentes. Su frore beniat finzamentas impreadu pro curare s’asima ei sa gutta. Qusta Rosa sena ispinas est su simbulu de Maria, gasi comete est cunsideradu in sos cantigos sacros. In sa Cina imperiale fuit su simbolu de sa gloria e, in tempos rezentes, su ex primu ministru Zhou Enlai, in sos primos annos ’70, l’hat seberada comente simbolu de sa Repubblica populare cinesa. Nois puru, pro sa bellesa chi tenet, l’hamos posta a simbulu de sa Sardigna!
PEONIA SELVATICA SARDA FAMIGLIA: PAEONIACEAE (= RANUNCULACEAE p.p.) SPECIE: Paeonia Mascula (L.) Miller (= P. Officinalis L. subsp. corallina (Retz.) Fiori e Paol.) NOME ITALIANO: Peonia, Peonia maschio NOME Scanese: Rosa Ampiogna Presente in Sardegna in tre sottospecie: subsp. Mascula, subsp. Coriacea (Boiss.) Malagarriga, e subsp. Russoi (Biv.) Cullen e Heywood. Recentemente la peonia in Sardegna è stata descritta come specie nuova (Paeonia morsii Cesca, Bernardo e Passalacqua), endemica di Sardegna. Proprietà medicinali della “Peonia officinalis” - Utilizzo farmaceutico: Impiegata un tempo per la produzione di sciroppi contro l'asma e la tosse, la peonia è una pianta velenosa se parti di essa vengono ingerite. I sintomi consistono in nausea, vomito e dolori addominali, congestione degli organi pelvici e debolezza. Può provocare l'aborto nelle donne gravide. Proprietà: emetiche, purganti, sedative. Utilizzo nella tradizione popolare sarda - Nella medicina popolare sarda, anche se non confermato ufficialmente, era riconosciuta la sua virtù narcotica. La pianta intera infatti era ritenuta antispasmodica ed antiepilettica. Il decotto di pianta veniva impiegato come antipiretico, antisterico e antiepilettico, mentre l’infuso di radice e fiore come cardiotonico e antitubercolare. - nell’artigianato, il fiore della peonia rappresenta un elemento decorativo floreale del tessuto e del ricamo sardo, infatti compare in tappeti (tappetos), copriletti (faunas), gonne (bunneddas), grembiuli (faldas), corpetti (colpetes), corsetti (imbustos), scialli (isciallos), trine e merletti dei letti (inghirialèttos) e bisacce (bertulas). - Uso Magico: la peonia era considerata pianta magica e impiegata nella medicina magica sarda. Infatti in alcune zone della Sardegna si chiama s’òrrosa ‘e kogas, rosa delle streghe (Barbagia meridionale), e frànka de tsirulìa,(artiglio di nibbio), ungra de tsurrulìu, (zampa di poiana), ossia di uccelli rapaci, associati a maghi e streghe; la protezione magica avverrebbe ad opera del colore rosso del fiore. - oggi è impiegata come pianta ornamentale da giardino.
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Post n°10 pubblicato il 04 Agosto 2009 da nannidelogu
S’incensu naschet in fromma de ‘uttios dae sa colza de zertas prantas orientales (sa Bolswellia e sa Balsamo dendron myrra) chi ‘enint sinnadas pro las fagher lagrimare. Dae sos sinnos ‘bessit una sustanzia pigulosa. Qustas prantas creschen in s’Asia e in s’Africa. Sas prus bonas sunt qussas de s’Arabia. In tempos antigos s’incensu fuit cunsideradu una prenda e costaiat meda caru, pro cussu a s’Arabia, chi lu ‘endiat, li naraint Arabia Felix . Sa paristoria narat chi Leucotea, fiza de sa reina Erimone, de cantu fuit bella finzas su Sole sinde fuit innamoradu. Toccat e una die, su Sole haiat dezisu de andare a la chilcare e l’haiat agattada in domo filande. Po la fagher campaniada si fuit tramudadu in sembianzas de sa mama. Posca, su Sole li haiat manivestadu s’amore, e haiant cominzadu a s’incuntrare d’ogni die a s’accua. Ma su segretu benit subitu a campu ca Clizia, sa ninfa innamorada de su Sole, bidindesi traitta, po dispettu lu haiat iscoviadu a tottu. Sos deos assora, po penitensia la tramudant in pranta de Elitropio (vaniglia) ei su babbu po li dare una punissione manna l’haiat fatta sutterrare bia sutta de unu muntone ’e crastos. Su Sole, disisperadu, a pustis de haer provadu, sena bi resultare, a la torrare a bida, haiat dezisu de la unghere cun d’unu profumu delicadu. Ma comente li frigait s’unghentu, su corpus si isfaghiat in abba e luego dae sa terra infusta na’ chi haiat cominzadu a ispuntare una pranta noa, s’abure de s’incensu. Su ‘e fagher fummentos cun s’incensu est semper bistada una manera pro si fagher amigos sos deos. Ma tenet puru atteros significados: unu fruttu de sa terra (s’incensu) tiat addurare sena fida sena haere su fogu. Diffatis cando ‘enit brusidu bogat tottu quddos fragos chi nos dat unu cunfortu e nos faghet bisionare su chelu. Diffatis est s’aria chi che faghet pigare a sos chelos sos fummos chi sunt sas pregadorias nostras o pro rendimentu de grassias accansadas o pro preguntas de azzudu,. Ma si no atteru in cussu momentu si c’andant cun su fummu quddos pensamentos malos chi poltamos in su coro.
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Post n°9 pubblicato il 20 Luglio 2009 da nannidelogu
Sant’albara naschida in Nicomedia (Turchia) in s'annu 273, non fuit romana (oe timis narret: no fuit italina) ma istranza, po’ cussu si narat “barbara”. Femina acculturada e umile. Cun su babbu Dioscuro, tra s’annu 286-287 sunt andados a bivere in sa idda de Scandriglia, in sa provincia de Rieti. Su babbu fuit amigu mannu de s’Imperadore Massimiano Erculeo. Cando ‘Albara si cunvetit a su cristianesimu, su babbu no lu podet sufrire. 'Alabra distruet tottu sos idolos chi agatat in domo e poi si che fuit in d’unu buscu. Ma su babbu l'agatat e la faghet inserrare in d’una turre. Ma in sa turre issa sighit a pregare pius de prima. Tando benit cunsignada a su prefetto Marcianu. Ma in su processu issa invece de rinunziare a sa fide cristiana invitat su babbu, su prefetto e tottu sos presentes a lassare sos idolos vanos e a si convertire a Zesu Cristu. Assora la turmantant, ma issa non cambiat idea e benit cundannada a morte. Tando su babbu e tottu esighit sa sentensia e, cun tottu sa furias, cun d’unu colpu de ispada che li segat sa conca: Fuit su battoro de Nadale de su 290. In cussu matessi mamentu unu lampu de fogu calat subra de su babbu iscazzandelu in fummu. Po’ cussu ancora oe Sant’Albara est invocada contra sa morte improvvisa, contra su fogu e, cando b'hat mala temporada, contra sos fulmines: Sant’Albara de sos campos Liberadenos dae tronos e da lampos! Sos ossos de Sant’albara s’agatant in sa cattedrale de Rieti. Sa devossione de questa marture est meda connotta in totta s’Italia, imbattida intempos de sos bizantinos in su seculu VI. Sant’Albara est sa Patrona de sos minadores, architettos, soldados, vigiles de su fogu e de sos moribundos. Sa festa liturgica est su 4 de nadale. In iscanu su lunis a pustis de s’Ascensione in campagna in d’una bella cresiedda in mesu de sas roccas e a vicinu a unu nuraghe. Nonnu meu, ti Salbadore Tozzi, chi fuit piccapedreri e ischiat manizzare sa bruvera po’ sa minas, fuit meda devotu de Santa ‘Alabra. Sa die de sa festa, non faghiat mai a mancu de si tramudare dae manzanu chitto e non mancait mai de andare a missa e a pustis si leaidi una bella imbriaghera, torraiat a domo a ser’a traddu cottu che Santu Lazzaru. Ma sa sua non fuit solu devossione a sa Santa. Su fattu chi d’ogni annu faghiat sa matessi cosa non fuit de badas. Non hat crefidu narret mai su poite, e nonna, ti Anna Cappai, femina attenta e cumprensiva no li narait mai nudda… ca issa za l’ischiat su poite. A pustis de tantu tempus chi nonnu fuit mortu m’happo fattu narrer su poite: nonnu, in su 1914 fuit unu giovanu de vintibattor’annos, e teniat tottu prontu po s’isposare cun nonna, cando tott’induna fuit bistadu tichiarriadu a partire a su fronte. “Tozzi Salvatore, classe 1990, è chiamato alle armi”!. In bidda lassat sa femina, pringia, e tottu sos affettos. Soldadeddu in sa guerra. Soldadeddos famidos, isculzos, prenso de pulighe e de pinnighe e chena munissiones… ma su nemigu non tepiat passare a qust’ala de su riu ( Isonzo o Piave?). Una die s’est agattadu in d’una battaglia manna con tottu sa compagnia. Colpos de artiglieria senza pasu, zente chi ‘olait in aria paris cun cratos e roccas. Sa terra, sutta de sos pes nudos, tremulait comente in d’unu terremotu. Un inferru sena iscampu! Isparos, boghes, prantos e lamentos de picciocos mutilados e muribundos… Sambene a rios… in dogni parte. Sos picciocos che ruiant che musca... A s’improvvisu unu dolore forte a sutta de sos benugros, “ohi”, faghet a tempus a narrer… chi luego, nonnu, che ruet a palas insegus dismaggiadu. Unu tir’e balla li haiat trappasadu ambas cambas… sa forza de sa balla ei su dolore che lu haiat bettadu a terra e tres o battor cumpanzos che li fuint ruttos a subra, ammuntandelu. A pustis de un’aghedd’e ora, cando sos bumbardamentos, sos isparos de sos fusiles ei sos iscoppios de sas bombas si fuint cagliados, ed fuit caladu su silenziu in tottu su campu, nonnu sind’abbizat, e chilcat de si liberare da quddu montone de cumpanzos chi portat supra. S’inde acchidat, bene comente hait potidu ca sas ancas no si moviant prusu, si murigat sos oggios po los pulire dae su pruene e dae su ludu, los abberit, s’abbaiat in ghiriu...: mortos i dogni parte e logu. Rios e poggios de sambene in tott’ue…, Brazzos e ancheddas ispravinadas in dogni parte. Ticchiriat calchi cumpanzu a boghe bassa, comente non esseret crefidu istrobbare o non si esseret fatti intendere dae su nemigu: “Anto’, Zua’, Pedru”… ma nissiunu rispondet. Ticchiariat prus a folte, “Zuà, Antò”, e nudda. Assora abboghinat a cantu podet “Zua’ Giommarì… Giommarì, Salbadore soe, rispondidemi po' s'ammore 'e Deus!” Ma nissiunu li podet rispondet francu su ‘entu chi fruschiat dae su monte, dae sa parte 'e su nemigu, dae quadd’ia de sa trincea, da qudd’ala de su riu. De sa compagnia (300 zovanos) non bin’ahiat adduradu manc’unu ‘iu, francu issu! Solu nonnu si fuit salvadu. Cun ambas cambas feridas, ma ‘iu. Podides cumprender s’assutu ei su disisperu! Fuit sa die de sa festa de Sant’Albara! Una die chi non s’est mai immentrigadu! Succursu a pustis de calchi die benit curadu e cungedadu. E cando fuit torradu a domo haiat agatadu sa fizza aggiai mannitedda chi mai haiat bidu e a pustis chi fuit sanadu dae sas feridas si fuit cogiadu. E gasie, dogni annu, po sa festa de Sant’Albara, non faghiat a mancu de fagher festa, a la faghiata a sa manera sua! Ogni annu beni chi torrait a bivere cuddu mamentu malu… e si lu biviat a sa sola… issu ebbia... con sos ammentos de cuddos zovanos cumpanzos perdidos in cussa guerra maladitta! Cumbattinde un’istranzu sena mancu ischire po ite!
Per non dimenticare: Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il nuovo fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro l'arco alpino dallo Stelvio al mare Adriatico e lo sforzo principale tendente allo sfondamento del fronte fu attuato nella regione della valli isontine, in direzione di Lubiana. Anche qui, dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di trincea simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi, fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine. Nei primi mesi di guerra l'Italia sferrò quattro offensive contro gli austro-ungarici ad est. Queste furono:
in quest'ultime le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, il che equivaleva a circa un quarto delle forze mobilitate. La Brigata "Sassari", una Unità dell’Esercito Italiano formata quasi interamente da sardi, caratterizzata da un forte senso di gruppo e un sentimento di appartenenza alla Sardegna, è nata il 1º marzo 1915, in due reggimenti, uno a Sinnai (Cagliari) e uno a Tempio Pausania, per la partecipazione alla “Prima Guerra Mondiale”. |
Post n°8 pubblicato il 20 Luglio 2009 da nannidelogu
Santa Sabina fuit una signora romana, muzere de su senatore Balentinu. Si fuit fatta cristiana grassias a sa teracca Terapia. Con issa andaiant a s’accua a sas catacumbas a chilcare sos cristianose a pregare cun issos. Ma cando Terapia fuit bistada iscoberta e bocchina a colpos de fuste, Sabina essit a craru e benit martirizzada issa puru. Fuit s’anno 120. Sas reliquias de sas duas martires si agatant in Roma in sa cresia de Santa Sabina in s’Aventinu, in su cunventu fundadu dae Santu Dominigu. In iscanu est sa protettora de sa cunfradia de su rosariu. Diffatisi sa santa fuit venerada dae Santu Domnigu e in Iscanu, a costazos de su a facca a su campanile de sa cresia manna, esistiat una cresiedda intutulada a issa finzas a sa mettade de su 1800 cando, pro illargare sa carrela de cresia, est bistada demulida. mancu male chi haiant pensadu se salvare s'istatua de sa Santa (de su ‘600, una de sas prus antigas de Iscanu) chi oe est in sa sagristia de su lettoriu de su rosariu, venerada umpare cun santu Dominigu, santa Caterina e Nostra Signora de su Rosariu. Ultimamamente però est bistada “maldestramente” restaurada. In Sardigna medas logos tenent su nomen sou. |
Post n°7 pubblicato il 17 Luglio 2009 da nannidelogu
Una ‘olta, in tempos antigos, nachi, in d’unu buscu de unu monte, creschiant tres albures noas. Una die na’ chi haiant cominzadu a chiestionare tra issas de sos disizzos chi teniant. Sa prima albure nachi haiat nadu: “aih za cheria diventare una cassia e de essere prena de prendas de oro e de prata, gasi za zente mi ammirat comente su posidu prus bellu”. Sa segunda albure haiat nadu: “aih deo inveces cheria diventare una nave forte e manna. Casi happo a poder portare signores, res e reinas peri sos mares de tottu su mundu”. Sa terza albure: "e deo invece che ria abbarrare innoghe, e crescere manna manna finas a toccare su chelu. Casi sa zente mi abbaidat e narat: biada a issa chi est a facca a Deus”. Toccat e una die arrivant tres omines a fagher linna. Un’omine si avvicinada a sa prima albure, si l’abbaidada bene e narat: “bell’albure. Linna ‘ona. Mi paret chi b’essit una bella cassia manna. La ‘endo a su mastr’e linna nessi po’ 200 iscudos”. E cominzat a serronare. S’albure totta contenta ca su disizzu chi teniat si fuit avverande. Un’atter’omine, a manos in chintu, s’abbaiat sa segunda albure: “beh, questa linna est forte po fagher naves. Mi paret chi nde la sego e la ‘endo a sos marineris chi mi l’hant a pagare bene”. E cominzat a segare. S’albure allegra che chigula ca su disizzu de diventare una nave si fuit avverande. A s’atter’omine li est toccada sa terza albure. Totta si l’isquadrat bene bene ma ancora no ischit ite nde fagher de sa linna. Poi narat: “beh, nde la etto e tottu , posca s’ahat a biere su e fagher”. E cominzat a serracare. S’albure seria e trista ca su disizzu sou de addurre in su monte, a cussu puntu fuit isvanidu. Cando sa linna de sa prima albure benit dada a su mastr’e linna, qustu nde faghet una mandigadolza pos sos animales. Podides comprendere su dispiaghere de s’albure chi creiat de diventare una cassia po arregoler s’oro. Sa linna de sa segunda albure l’haiant imprenda po fagher una barca de piscadores. S’isettu de diventare una nave manna, isvanidu! Sos truncos de sa terza albure che fuint finidos immentrigados in d’unu logu bugigosu. A passadu tantu tempus e tottu sos disizzos si fuint immentrigados, ecco chi una die arrivant un umine e una femina partoriente e si appozzant in d’una pinzetta. Naschet unu bellu pizzinnu e no teninde un’schiu po lu ninnare che lu ponent in qudda mandigadolza fatta dae sa linna de sa prima albure chi cun su passare de su tempus che fuit finida in sa pinzetta. In cussu mamentu s’albure s’accatat de haer accoltu sa prenda prus manna de tottu sos tempos! Passadu tantu tempus, un’aghedda de piscadores subra de una barca sunt in mesu de una tempesta. Uno de issos est dromminde. Sa barca est da unu mamentu a s’atteru po affundare. Sos omine nde abbizzand quddu chi fuit dromminde e luego issu ordinat a su entu e a su mare: “mudu, calmadi!” ei su entu ei su mare si cagliant. Assora sa linna de qudd’albure chi cheriat diventare una nave manna e forte po portare res e reinas, cunpredet chi quess’omine est su Re de sos res!
Infines una die arrivat un’omine a nde leare quddos truncos de sa terza albure. Unu truncu lu ficchit in terra in su curruru de unu monte, ei s’atteru truncu lu ponet subra sas palas de un’omine cundannadu a morte. Mentres lu portant dae corte in corte e peri sas carrelas, tottu lu frastimant. Cando imbattent a su montrigu, lu incravant a sa linna de s’albure e lu lassant morrere.
A a pustis de tres dies, cando su Sole si est presadu altu e risplendente in su chelu e allughet tottu su mundu de allegria, s’albure cumprendet cantu est bistada fortunata de haer connotu s’Amore de Deus: hat fattu de sa prima albure una cassia preziosa po’ cuntennere su mezzus tesoro; de sa segunda su portadore de su Criadore de su chelu; ei sa terza cumprendet asora chi, non solu est bistada a facca a Deus, ma chi da Deus est bistada abbrazzada. E issa l’hat appoderadu cando Gesus moriat crucificadu pro 'more nostru.
E dae assora quss’albure, comente haiat disizzadu dae piticca , benit ammirada dae tottus! Ei sa zente 'ogni 'olta chi l'abbaida pensant a s’Amore infinitu de Deus.
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Post n°6 pubblicato il 16 Luglio 2009 da nannidelogu
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Post n°5 pubblicato il 16 Luglio 2009 da nannidelogu
In d’unu documento cumpostu in s’annu 396 (De Laude Sanctorum, Cap.XI, in PL. XX, col.453) agatamos pro sa primma ‘olta mentovada comente Santa miracolosa, Bittoria. Bittoria fuit una bella pizinna romana, de mancu vinti annos, fizza de una famiglia cristiana, zente chi istait bene. Eugeniu, unu zovanu la cheriat isposare ma issa no lu cheriat. Diffatisi, cun Anatolia sa sorrasta, si fuit cunsagrada totta a Zesu Cristu a pustis chi si haiat bendidu sas prendas e dadu su inari a sos poberos. Ma Eugeniu, offesu cha non lui hiat crefidu, l’haiat fatta esiliare in sas campagnas de Trebula Mutuesca (oe Monteleone Sabina una idda in provincia de Rieti, in su Lazio – Sabina, in sa via salaria). S’esiliu fuit duradu pagu prus de tres annos. Eugeniu timiat de la denunziare a s’autoridade romana comente cristiana, ca si no sos benes de Bittoria beniant cunfiscados dae su guvernu, mentres Eugeniu la cheriat isposare po intrare in possessu de sos benes de ‘ittoria. In su logu de s’esiliu na’chi b’iat unu dragone chi faghiat morrer sa zente solu con s’alientu. Domizianu, mere de cussas terras, na’chi fuit andadu dae Bittoria pro la pregare de fagher calicuna cosa po’ liberare sa zente dae su dragu. E na’chi li haiat dadu pane e binu pro regalu. Ma issa hait rispostu: “e pro ite mi faghes qustas regalias No mi manca nudda ca su Signore mi dat tottu su chi mi bisonzat. Ma si lassades sos idolos e bos cunvertides a Zesu Cristu bos fatto ider comente custu dragone non bos hat a dare fastizu”. “narami cando che cazzas su dragu e deo ti assicuro chi tottu sos abitantes de Tremula si hant a fagher cristianos” li haiat rispostu Domizianu. “pusticrasa, comente cantat su puddu, happo andare a sa grutta de su dragu e, in nomen de Zesù Cristu, che lu cazzo” haiat rispostu Bittoria. E comente haiat prommissu a s’incrasa si fuit presentada a sa idda de Trebula. Domizianu cun tottu sa zente li andant incontru e tottu umpare ghiant a sa grutta de su dragu. Imbattidos a su logu a denati de sa grutta, Bittoria a bighe manna li ordinat: “in nomen de zesu Cristu essi fora dae questu logu. Dae onore a Deus e baediche addane. Baediche a bivere in ue no bat zente e ne cosas de sa zente. In ue su tribagladore no arat e in ue non s’intendet boghe de uomines”. Assora su dragu na’chi ne fuit bessidu che tiru ‘e balla dae sa grutta e tuccat a currere fuinde a cantu podiat comente chi esseret trubadu dae calicunu… Dae assora non s’est intesu e ne bidu prusu. Bittoria assora intrat in sa grutta sighida dae sa sente: “iscultade, in custu logu cherzo chi mi fettedas unu lettoriu e chi mi mandedas fizzas bostras” In pagu tempus una sessantina de ‘aggianas sighint sa fida ei sos insignamentos de Bittoria. A pustis de tre annos de esiliu, Eugeniu, istraccu de isettare la denunziat. Su guvernadore mandat su cummissariu Taliarcu. Qustu andadu da ‘Ittoria la obbrigat a adorare unu santicellu de sa dea Diana. Ma Bittoria si rifiutada. Assora Taliarcu, pustis de l’haer turmentada la occhit cu d’unu colpu de ispada. Totta sa idda de Tremula pro otto dies haiat fattu luttu mannu. Poi leadu su corpus de ‘Ittoria lu cumponent con unghentos profumados, l’imboligant in pannos de linu e de seda e l’interrant in sa grutta da ue c’haiat cazzadu su dragone. Dae assora na’chi fuint cominzados sos miraculos. E in tottu sa campagna de sa Sabina, in su tiburtinu e in su Sublacensu la devossione a santa ‘Ittoria non est mai mancada. Fuit martirizzada su 18 de nadale de su 253 e sa die de s’interru su 23 de su matessi mese. A pustis de calchi annu subra sa tumba bi haiant fattu una capella e posca una bella cresia chi si podet ammirare oe chi est oe. In mesu de sa cresia si podet biere ancora unu bellu puttu profundu cun s’abba miracolosa essida sa die de su martiriu de sa santa. Cun sas invasiones de sos saracenos, sas reliquias de sa Santa che las haiant leadas a su cunventu de Farfa, posca in ateros logos divressos (Subiaco, Bagnoregio, Pisoniano, ecc.). Su corpus de Santa Ittoria s’agattat in Subiaco, in sa cresia de Santa Iscolastica mentres sa conca est in Santa Grutta (Sacro Speco) de Santu Bendittu. In s’arcu de s’intrada, una pintura la presentat umpare cun Santu Beneittu. Sos sinnos iconograficos de S. 'Ittoria sunt sa pramma (martirio e vittoria) e s'ispada (strumento del martirio).
In Sardigna no s’ischit bene comente siat arribada sa devossione de questa santa. Ma cunsiderande chi sos padres benedettinos fuint meda devotos a issa, e chi sos Padres Camaldulesos, bennidos a Iscanu in tempos antigos, fuint de s'ordine de Santu Benedittu, est facile de pensare chi sian bistados issos a fagher connoschere questa Santa a sos sardos. Diffattisi medas logos e cresias in Sardigna hant su nomene de Santa Ittoria.
E i sos pizzinnos cantant ancora: Molia molia Santa ‘Ittoria Santa Mallena In domo anzena In domo mia Pane ‘e olia Pane ‘ orzata Sa ‘entre fatta.
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Post n°4 pubblicato il 16 Luglio 2009 da nannidelogu
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Post n°3 pubblicato il 16 Luglio 2009 da nannidelogu
Lo Zafferano il fiore degli dei (Crocus sativus) |
Post n°2 pubblicato il 16 Luglio 2009 da nannidelogu
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Post n°1 pubblicato il 13 Luglio 2009 da nannidelogu
Na chi una ‘olta unu pastore teniat unu cane ‘ezzu, ezzu meda meda. E gasie na chi li haiat presu duas lamas bezzas a sa coa e che l'haiat ispraggiadu. A passadu tempus... Fuit giustu su tempus de messare, e i su mere na chi fuit andadu a su laore. Cun issu bi fuit sa muzere e i su fizzigheddu. Sa muzzere nachi hait lassadu su pizzinnu in d'un'ale ‘e muru, in s'umbra, sutta un'albure manna de cherchu po poder azzuare su maridu a messare su trigu. Su mazzone e i su cane orettain dae addane. E a unu zertu puntu, singundu comente haian cuncordadu cun su cane, na chi haiat fattu unu brinchie, e lestru lestru, in mancu de cantu lu so nande, na chi affigat su pizzinnu a mossu e partit a fua a cara a su buscu. Sa mama cominzat a boghes a ticchierriare azzudu e i su maridu abboghinande a caru a su mazzone cominzat a li correre fattu. Ma su mazzone no fuit prus in logu. De su mazzone no si bidiat mancu sa coa. Isparidu in su buscu. Tott'in d'una ecco chi cumparit su cane a orulos malos e cominzat a currere fattu de su mazzone finzas chi li sighit. Li leat su pizzinnu e che lu ponet in pes de su mere e de sa muzere. Sa mama lestra si lu leat a pala e si l'apprensat tottu, pranghinde de allegria. Su mere abbaidande su cane nachi si fuit fattu piticu piticu e na chi fuit adduradu isfaltadu fattu dae sa brigonza po che haer cazzadu unu cane asi fidele. Leat sa bertula, nde ogat su cunizzolu, e dat una perra de tacchinu e unu prammu de sardizza a su cane. E nd'enit su tempus de carrasegare ei sa fizza manna de su mere na chi si tepiat cogiare. Su cane assora hait pensadu chi fuit arrivadu su tempus de torrrare su piaghere a su mazzone. Nachi fuit andadu a su buscu e li haiat nadu: Benit sa dominiga ei su mazzone ecco chi attopat a domo. Su cane lu faghet ‘intrare ma li narat a s'iscusia se de si cuare sutta ‘e sa mesa po' chi non l'esseren bidu sos invitados. Biat unu pagu de buggiu ei sos istranzos non si tian accatare de nudda. Su cane leat unu trozzu de petta arristida e unu fiascu de inu nieddu e che l'imbolat sutta 'e sa mesa. Sos invitatos l'han bidu e luego si ponent a che giagarare su cane, ma su mere na chi haiat nadu: Su cane na chi hait fattu a modu de che ‘ogare su mazzone e na chi l'haiat nadu: A mie m'han cumbidadu unu chiliru de inu chi mi ch'est ruttu tottu in caminu. A comare mia inveces una cicchera 'e gaffè chi chel'est ruttu tottu in su pè. (da una paristoria de s'Ucraina)
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I N D I C E
- Su contu de Santa Sabina
- Sas tres albures
- Sas Damas de Marzeddu (italiano)
- Su contu de Santa 'Ittoria
- Sa mendula
- Su tonforanu, su frore de sos Deos
- Su Contu de sa Rosa de chentu fozzas
- Su Cane 'eztu ei su mazzone
- Su contu de s'incensu
- Sa Rosa Ampiogna – la Peonia selvatica sarda (sardo e italiano)
Inviato da: sulcisnaturalmente
il 05/05/2013 alle 11:39
Inviato da: tattoosupplies888
il 08/09/2010 alle 04:28
Inviato da: rosadeicostanti
il 11/08/2009 alle 12:01
Inviato da: rosadeicostanti
il 06/08/2009 alle 01:24
Inviato da: rosadeicostanti
il 06/08/2009 alle 01:20