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Una cosa è certa: io, come molti altri, continueremo a raccontare. Userò la parola come un modo per condividere, per aggiustare il mondo, per capire. Sono nato, caro Presidente, in una terra meravigliosa e purtroppo devastata, la cui bellezza però continua a darmi forza per sognare la possi­bilità di una Italia diversa. Una Italia che può cambiare solo se il sud può cambiare. Lo giuro Presidente, anche a nome degli italiani che consider­ano i propri morti tutti coloro che sono caduti combattendo le organiz­zazioni criminali, che non ci sarà giorno in cui taceremo. Questo lo prometto. A voce alta.

 

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vento e soffione

Sono vento.
Sussurro primavere tra le ciocche.
Raggelo di candide sferzate.

Sono vento.
E tu albero forte.
Cadano le foglie, come muoiono le certezze.

Sono vento d'estate,
solletico al sale sulla pelle,
sollievo alla calura.

Sono vento
e il vento non mi piace.
Mi ci abituo, inseguendo una rondine.

 

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PRIMO GIORNO

Post n°131 pubblicato il 13 Settembre 2010 da nnsmettodsognare

ritornoascuola



E ancor ci dite piccoli?
Perchè ci ricordate le aste e il sillabario?
Son cose ormai passate! 
Venite un po' a guardare che libri grandi e grossi abbiamo da studiare!
Eppur ci dite piccoli!
I nostri fratellini, che sono in prima classe, si posson dir bambini.
Non fanno che malanni!
Ma noi, siamo in seconda e abbiamo già sette anni! 

 

Avevamo il grembiulino bianco e il fiocco rosso.
Blu per i maschi.

Portavamo da casa il secondo piatto nel gamellino di acciaio.
Se era frittata o carne, all'apertura il coperchio colava sul cibo tutta l'umidità rappresa.
Per primo mangiavamo ciò che le suore avevano in dono, nessuna tabella dietetica della ASL a quei tempi.
Ricordo ancora l'odore terribile del brodo che ci veniva servito con dei conchiglioni che forse sarebbero stati buoni se fatti ripieni e al forno, mentre serviti in quel modo lì assomigliavano ad una punizione.

Raccoglievamo le piccole olive nere che cadevano sul prato del giardino e i pinoli lungo il viale che conduceva all'uscita della scuola.
Nelle belle giornate primaverili, uscivamo in fila e in silenzio per la nostra passeggiata che comprendeva il giro nel cortile dell'azienda confinante con la scuola: la torrefazione di caffè Saicaf.
L'odore restava impregnato nelle narici per ore.
Ancora adesso per me il profumo del caffè tostato è odore di scuola.

Ci disponevamo in circolo tutti, ma proprio tutti, i giorni del mese di maggio e recitavamo rosari alla statua della madonnina del cortile.
Quest'attività non ci pesava particolarmente, almeno a me non infastidiva più di tanto.
Solo a volte avrei preferito star seduta.
Al termine delle preghiere, piegavamo i nostri fioretti scritti su foglietti stracciati e li infilavamo nella scatola di scarpe ai piedi della statuina.
Stavano lì, scaldati dal sole o inumiditi di rugiada, fino al 31 del mese delle spose, quando finivano in un grande braciere per essere bruciati.
Guardavamo il fumo dei buoni pensieri levarsi alto verso il cielo e sparire.
Chissà dove sono finiti tutti quei buoni pensieri, se si sono trasformati in buone azioni, se un angelo li ha soffiati via per gioco segnando inconsapevole il cammino di ognuno.

In quinta elementare eravamo soltanto due bambine.
Facevamo lezione insieme ad una decina di bambini di quarta e una dozzina di terza.
La maestra Patrizia, signorina dicevamo, era buona ma severa proprio come una mamma.
Dopo pranzo facevamo i compiti  in classe.
A turno ognuno di noi li faceva in piedi davanti alla finestra.
Non per castigo ma per farci assumere la responsabilità di essere vedetta e annunciare l'arrivo della macchina del papà di ...

Imparavamo canzoni in onore della madre superiora e preparavamo recite bellissime e molto curate per la festa della mamma.
A divertirci con la musica era la napoletana, bianca e cicciotta suor Candida, maestra di seconda e direttrice della scuola.
Il rancio lo preparava la piccola e timida suor Faustina, dalle cui mani noi bambine grandi ritiravamo il pentolone con cautela e lo portavamo, una mano tu, una mano io, giù dalle scale della casina delle suore fino alla mensa.
Per arrivarci passavamo davanti ai vetri della prima classe, oltre i quali la terribile suor Matilde correggeva pagine di aste e letterine, mentre la sua fida amica, la bacchetta di legno, rimaneva posata sulla cattedra.
Consegnavamo la pentola all'arcigna, ma solo nell'aspetto, suor Franceschina, maestra d'asilo.
Durante la mattina ella aveva insegnato ai bambini gli stessi identici giochi che avevamo fatto anche noi negli anni precedenti: arrotolare stelle filanti colorate e incollare i rotoli su un cartoncino, disponendoli in forme varie, disegnare cornicette di barche e fiorellini.

Non riuscivamo a fare a meno di guardare sempre in su, nel salone dei giochi dell'asilo, sognando di poter un giorno toccare quei bellissimi pupazzi esposti sulle mensole.
C'era un bambie di gomma che se ci penso mi viene voglia di comprarmene uno solo per il gusto di averlo finalmente tra le mani.

Le suore non erano male, molto attente ai bambini, simpatiche quasi sempre.
Ho pianto solo una volta per un abito da principessa troppo largo, tagliato malamente con le forbici perché, a sentir suor Matilde, intralciava il passaggio dei bambini durante la festa di Carnevale.
La maestra era una donna speciale, ne ho un dolce ricordo.

I giorni di scuola passavano veloci fino al momento in cui era di nuovo tempo di arrampicarci sui cuscini caricati in macchina in mezzo al resto dei bagagli e andare al mare di Chiatona.

Passeranno anche i vostri giorni in fretta bambini.
Il mare è lì ad aspettarci tutti.
Buona scuola!

 
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