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« Il rabdomante di regaliaddio »

Karma police

Post n°325 pubblicato il 13 Marzo 2007 da noteinblu
Foto di noteinblu

Certi avvenimenti, quando si verificano, portano con se una mare di emozioni, da gestire con la ragione o con l’istinto, con ciò che è giusto fare o con quello che si sente di dover fare. Non sono momenti facili quelli che riguardano i sentimenti e l’impossibilità di essere vicino ad una persona a cui si vuol bene, che sta vivendo un momento difficile e che sembra identificarti con la causa del suo presente fatto di nero, traboccante dalla tela della vita.
“è molto brutto ricevere il tuo silenzio, soprattutto credo di non meritarmelo. forse mi ritieni responsabile dei tuoi ultimi voti a scuola ma la colpa non è mia. io voglio solo starti vicino, darti quello che posso, sentire la tua voce e dirti che ti voglio bene. Non avercela con me per questo”
Questo il mio sms di ieri sera, dopo che il suo predecessore era passato nell’anonimato, sorte toccata anche alle parole ignare, della domenica pomeriggio. Giulia mi ha lasciato e scriverlo è molto più facile che fronteggiarlo.
La telefonata di sabato pomeriggio aveva lasciato un’immagine che credevo passeggera e, sicuramente, non così grave. Forse le parole non le avevo volute sentire, come spesso accade in questi casi, prendendole solo dal verso in cui avrebbero fatto più piacere al mio cuore.
La sua situazione instabile, isterica, trasmessa così bene da quell’interpretazione cattiva, offerta ai vari ragionamenti, arrivava dagli ultimi voti, inaspettati, di una terza superiore. Quindi la domenica, in cui proprio la voglia di chiamarla non si era fatta sentire almeno fino al pomeriggio, quando il pensiero di lei faceva breccia nella diga dell’orgoglio eretta in tutta fretta dopo quella telefonata della sera precedente. La piena l’aveva spazzata come fosse polvere da regalare al vento. Nessuna risposta.
Alla sera il mio indirizzarmi, come consuetudine, al fisso e la scoperta di iniziare a precipitare dalle nuvole, senza paracadute.
Giulia - “allora non hai capito niente?”
Me stesso – “scusa cosa dovevo capire?”
Giulia – “Ma cosa credevi che fosse solo una crisi passeggera?”
Tante domande che però portavano ad una risposta sola e che aveva preso a sovrastare tutto il resto del rumore del mondo.
Ero diventato un ospite sgradito, non invitato, che dispensava il tempo perso come noccioline e con solo bucce da lasciare sulla tavola.
Il nuovo vestito da responsabile delle pene di una ragazza di 16 anni che trae le proprie soddisfazioni dallo studio necessitava di tempo, per essere assimilata e fronteggiata, bilanciando il pensiero, combattuto tra logica e istinto.
Ma cosa avevo fatto se non volerle bene e cercare di vivere la nostra storia per come mi era possibile e nelle modalità obbligate del fine settimana?
Non riuscivo a vedere le mie responsabilità, non ci riesco nemmeno adesso.
Ho pensato che fosse più facile per lei lasciarmi trovando una ragione in più per incolparmi, sorvolando sulle sue responsabilità, trovando la strada più comoda per evitare la verità.
Allora ho iniziato a pensare a me e alle mie necessità.

Mercoledì sarà il suo compleanno.
Avevo pensato di farle una sorpresa raggiungendola a casa in macchina, la sera, prendendo un giorno di ferie a cavallo del giovedì, credendo di regalarle qualcosa di più dei pensieri collezionati nella borsina col fiocco.
Era triste a causa di quei 17 anni costretti fino a tardi a scuola, per via di uno spettacolo, da sola, a casa fino ad aspettare il sonno.
Non potevo mancare prima e non ho cambiato idea adesso.
Mercoledì sera, alle 20 sarò parcheggiato davanti a casa sua, aspettando il suo ritorno, che piova o che ci sia il sole, con la nebbia o con la neve, sarò li. Perché? Perché le voglio bene nonostante il modo in cui ha sentito di trattarmi, perché ne ho bisogno per non lasciare nulla in sospeso nella nostra storia, quella storia in cui ho creduto tanto ingannando la paura di tornare a soffrire un giorno.
Devo chiudere così perché altrimenti per me non sarà mia chiusa, non riesco a lasciare niente in sospeso, figuriamoci qualcosa di così importante per me.
Le ho rivelato la sorpresa che l’aspettava e di cui erano già a conoscenza i suoi genitori. Mi ha regalato un momento di silenzio, forse di sorpresa, sicuramente non un sorriso, quelli non mi appartengono più. Le ho spiegato le mie ragioni e, sicuramente per educazione più che per convinzione, è stata d’accordo.
Non m’interessa il suo bisogno adesso, penso a me, al mio modo più comodo di uscirne.

Ieri sera il colpo di scena.
Mentre durava la telefonata a Corinna, che forse riuscirò ad incontrare sul suolo di Mantova, si sovrapponeva quella di un numero sconosciuto.
Ero sulla strada per casa di Alex, un confronto prezioso e sempre gradito e così ho fatto qualche squillo di risposta appena riagganciato.
Già sdivanato e con il primo tempo di Fiorentina-Barcellona in corso il cellulare inizia ad illuminarsi e a preannunciare la soddisfazione immediata di quella curiosità temporanea.
Rispondo.
È il padre di Giulia.
Rimango un po’ sorpreso ma presto il papiro delle intenzioni viene spiegato sul tavolo. Mi descrive la situazione critica, emotivamente instabile della figlia ed esprime la sua ufficiale richiesta di non mettere in pratica le mie intenzioni.
Me lo chiede per favore e purtroppo devo negarglielo.
Per questa volta devo pensare a me stesso, essere un po’ egoista, come dice Nicola. Tendo sempre a comprendere gli altri, a giustificare e a cercare di trovare il compromesso quando è possibile, un punto d’incontro ma in certi casi non posso piegarmi.
Gli spiego tutto quello di cui pensavo fosse al corrente e che scopro, invece essere ancora avvolto nell’ignoranza. Ricompongo il puzzle per potergli mostrare la mia posizione in tutta la sua impressionante carica emotiva.
Se lei per prima ha deciso di pensare a se stessa io devo fare altrettante per soffrire il meno possibile. Lui continua a cercare di evitare alla figlia lo stress derivato da una situazione del genere.
Il ritorno a casa delle 20 e l’interrogazione del giorno dopo.
Se è così importante perchè allora non tenerla a casa dalla gita per permetterle l’interrogazione del giorno dopo con la possibilità di prepararsi meglio oppure di evitarle semplicemente l’interrogazione tenendola a casa.
Questo non glielo dico perché sono scelte che non mi competono e non conosco tutte le clausule. Ribadisco la mia presenza.
Padre: - “Per me rischi di fare un viaggio a vuoto e di dover tornare a casa”.
Me stesso: - “Io sarò li poi se non ci sarà la possibilità di un letto mi metterò a dormire in macchina”.
Chiedo solo dieci minuti del suo tempo e sembra la cosa più impossibile da realizzare. Forse ho più probabilità di farmi ricevere dal Papa, se mi ci metto d’impegno. In ogni caso, sono pronto a supportare il rischio delle mie scelte.
La telefonata inizia a diventare ripetitiva e, ormai, senza senso, vista l’impossibilità di cedere terreno da entrambe le parti.
Ci salutiamo.
Mi sono accorto che il mio modo di fare spinge le persone, prima o poi, a credere di dominare la situazione. Non mi ritengo un debole, caratterialmente, ho le mie idee e principi ma la mia disponibilità al confronto e all’essere in errore, all’uso della parola “scusa”, non porta al rispetto ma alla prevaricazione.
Sono costretto ad alzare la voce e a rispondere a tono alle provocazioni per rimarcare il mio territorio. L’interlocutore, a questo punto, tende a riconsiderare la mia posizione. Questo ho notato spesso e non la considero sia una bella cosa.

Avrei voluto scrivere della telefonata del signor Umberto, del Conad, che mi avrà a sedere davanti a lui sabato, per un colloquio e che ha dato un senso a quel sabato mattina passato con Giulia a distribuire curriculum, con lei che mi annotava su un foglietto tutti i posti a cui avevamo fatto visita.
Argomenti più importanti, purtroppo, non mancavano.

No Surprises

A heart that's full up like a landfill,
a job that slowly kills you,
bruises that won't heal
You were so tired, happy,
bring down the government,
they don't, they don't speak for her
I'll take the quiet life,
a handshake of carbon monoxide

No alarms and no surprises,
no alarms and no surprises
No alarms and no surprises
Silent, silent
This is my final fit, my final bellyache with
No alarms and no surprises,
no alarms and no surprises
No alarms and no surprises, please

Such a pretty house, such a pretty garden
No alarms and no surprises,
no alarms and no surprises
No alarms and no surprises, please

Radiohead 

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