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« la continua ricerca del limiteNon ci sono rimasto male »

tra il pomeriggio e la sera

Post n°351 pubblicato il 06 Aprile 2007 da noteinblu
Foto di noteinblu

il pomeriggio

Mi ritrovo scaraventato tra sifoni, radiatori, ceramica, gomiti e quant’altro ha da offrire il minimo indispensabile di un magazzino che si propone dedicato all’idraulica, o, in una veste più romantica, al lavoro del fontaniere.
Ieri mi ritrovavo sempre scaraventato in una bella giornata di sole con una buona uscita per la consegna che non poteva che farmi piacere, spinto su per la Montanara, verso Borgo Tossignano (BO).
Capita spesso di rispolverare ispirazioni che si credevano sopite in questi viaggi accompagnati dalla calma e dalla tranquillità, dove il rispetto del codice della strada lascia lo spazio per occuparsi dei propri pensieri.
Mettersi al volante senza la fretta di arrivare può essere molto rilassante.
La Montanara poi offre sempre un bacino di 26 anni di ricordi ed esperienze da cui lasciarsi investire, come tanti dare la precedenza non rispettati, ora da destra, ora da sinistra.
Non chiedono mai il permesso, arrivano e basta.
C’è l’asilo di Ponticelli (BO), dove con Tiziana abbiamo affrontato una lettura per i suoi piccoli ospiti, la strada che porta “da Gastone”, ambientazione dell’ultima cena-incontro con i vecchi compagni delle superiori, la sala prove del gruppo, la residenza di Silvia, su cui avevo sempre fantasticato, arroccata sulla collina, la casa-famiglia di fianco alla chiesa, dove avevo speso tutto quel servizio civile obbligato e il forno, qualche centinaia di metri più avanti.

Proprio da quel forno e dal suo ricordo ero stato raggiunto senza preavviso.
C’era ancora una cosa che dovevo fare, una cosa rimasta sopita, sepolta sotto la cenere, un’ispirazione a cui incredibilmente non avevo dato forma tangibile.
Una sorta di sasso che avrei voluto calciare ma che mi ero convinto a lasciare inerte e questa, per chi mi conosce, rappresenta una profonda anomalia nella mia filosofia del prendere la vita.
In occasione della scelta per il regalo dei 29 anni dell’Annalisa avevo colmato la lacuna dell’originalità proponendo una bella torta al cioccolato da regalare in società con Seba e Nicola.
Il periodo storico mi spinge a quei primi mesi del 2006, quando il lavoro di consegna bollette marciava ancora a pieno regime e la mia sfera emotiva si presentava sempre movimentata e indefinita.
Ogni porta era lasciata aperta, come nell’odierno presente.
La tratta del dovere mi portava ad affrontare un’andata/ritorno giornalieri su quella stessa strada e l’opportunità di fermarsi al forno, consigliato per qualità, lasciava solo l’imbarazzo della scelta.
Capitò così, dopo il nulla osta definitivo da tutte le parti coinvolte nel progetto, che varcai la soglia delimitata dalla porta a vetri con l’idea di tanta cioccolata da assicurare alla mia idea di regalo di compleanno. Dietro al bancone tre signore e una ragazza.
È inutile dire che la cioccolata dal quel momento scomparve dai meandri della mente come, d’altra parte, i lineamenti delle tre signore, lasciando risplendere solo la ragazza e il suo fare cortese.
Non riuscivo a trovare la forza e la sfrontatezza per fare qualcosa, e non si trattò solo del momento in se, dove l’imprevisto colpo di fulmine poteva consentire un periodo di assestamento, ma fu l’abitudine anche dei giorni a seguire.
Il desiderio di fermarmi in una di quelle andata/ritorno qualunque era ricorrente ma si scontrava contro la logica delle solite convenzioni.
“È impossibile che sia libera e anche se fosse non mi ha mai visto prima, come posso chiederle un appuntamento dal nulla nel dopo lavoro?”.
Anche il mio proverbiale ottimismo e quella speranza che è sempre “l’ultima a morire” vacillavano sotto i colpi di quello che succede nella vita reale.
Mi ero rassegnato, per la prima volta, e, col passare dei giorni, il pensiero di lei e di quell’idea folle che le avevo legato come un nastro iniziò a non farsi più sentire. Questo fino a ieri.

Al ritorno dalla consegna parcheggiavo il daily e attraversavo la strada, per andare incontro alla mia solita pazzia dove c’entrano spesso le ragazze.
Entro e aspetto il mio turno. La fortuna aiuta gli audaci e il ballo tra cliente e servizio, indeciso fino all’ultimo, mi favorisce, assegnandomi la mia intenzione.
Le chiedo un momento per parlare, tra le colleghe e il resto del mondo che era lì solo per comprare il pane. Poche frasi sconnesse, com’è mio solito, forse perché certe cose non credo si possano spiegare con tutte le parole che servono ma sia meglio lasciarle finire all’immaginazione di lei.
“Sono impegnata, mi dispiace” e lo sapevo che non poteva essere altrimenti ma almeno, finalmente, ero riuscito a stare in piedi davanti a lei e a suicidarmi socialmente, tra tutto quel pane e quei dolci, con un ricordo in più dal quale farmi investire domani.

la Sera

L’appuntamento di giovedì sera, dopo una giornata di lavoro passata barcollando e cercando di evitare le conseguenze di quel sonno esauriente che continua a mancare, era ancora una volta a proposito di un concerto nella zona.
La dritta sulla serata da seguire al “Clan Destino” di Faenza (RA), era arrivata nel bel mezzo del recente lunedì sera, offrendo lo spunto giusto, a me e a Matteo, per fissare l’incontro seguente, da lì a poco.
Nel programma di seconda mano si prospettava un omaggio alla sassofonista e pianista Billy Tipton molto interessante e promettente e, considerato che è bello dedicarsi ad ascoltare un po’ di buona musica dal vivo, l’occasione avevamo deciso di coglierla immediatamente.
Appuntamento a Solarolo (RA), comune di residenza del mio più recente amico, pianista di talento.
Ci troviamo alle 21.30.
Tocca a me metterci il mezzo e la manodopera e in un quarto d’ora raggiungiamo l’ancora (per poco) comodo parcheggio a pochi metri dall’ingresso del locale.

Dall’ingresso ho subito l’impressione che qualcosa non sia destinato a girare nel senso giusto. L’evidenza di un palco assente ci spinge a chiedere paurose spiegazioni al cameriere, a cui fa seguito la presa di coscienza di una realtà che ci fa essere lì per ascoltare il concerto della sera prima.
Prendiamo da bere e mi rifugio sul solito analcolico alla frutta, da lasciare all’immaginazione del barista, con quel bicchiere da riconsegnare che fa la figura del carrello della spesa, a cui si lascia in pegno la moneta da un euro da restituire alla consegna.
Matteo ritrova un suo amico e mi accorgo che l’ambiente faentino mi è completamente estraneo, nonostante l’esigua distanza.
Gli stringo la mano e lungo la conversazione scopro del suo essere pittore, provvisto di uno studio a cui dovere un affitto, del suo essere professore universitario in un istituto d’arte privato di Firenze (FI), con tre ore a settimana e subito, questo laureato in psicologia dai trent’anni da poco passati ma tenuti benissimo, mi impressiona positivamente.
La promessa di andarlo a trovare, per togliermi la curiosità di dare un volto alle sue opere, la condanno alla fine del mio ruolo da operaio, inconciliabile con qualsiasi forma d’arte. Il locale intanto si va riempiendo, offrendo anche qualche buono spunto per acuire gli sguardi.
Ritrovo Loredana, la vedo passare due o tre volte, prima col cellulare in mano e poi con quelle amiche che giustificavano la prima compagnia.
Ho ancora in sospeso quelle parole scritte grazie a lei, una lei che non si è mai interessata ad ascoltare. Devo andare in bagno e mi prometto di fare qualcosa nel caso il destino decida ancora di metterla sul mio cammino.
Non la incontro e mi sta bene così.
Alla fine, per oggi, a proposito di ragazze, credo di aver già fatto abbastanza.

Decidiamo di tornare e la forma mutevole dell’orologio, legata a quelle lancette in continuo movimento, mi lascia una speranza per il letto del riposo tanto auspicato. Ci stavo veramente credendo, almeno fino all’istante prima in cui Matteo mi domanda se ho fame.
Non posso rinunciare ad una baracchina, con tutto quel ben di Dio targato Romagna, a base di piadina, fritto e affettati vari.
Posso solo seguire le sue istruzioni per l’uso e fare la mia ordinazione.
Un hamburger (1) e patate fritte, tanto per gradire che lui doppia, a parte il contorno a base di zucchine.
Il servizio è immediato e mi porta a stringere tra le mani una bella spianata, quell’(1) stava ad indicare questa particolare peculiarità, piegata a mezzaluna e ripiena con gli ingredienti di un hamburger classico, incrementato dalla mia solita voglia di maionese da sposare col ketchup previsto.
Tra la via emilia e il West come direbbe Guccini.
Sono soddisfatto.
Lo lascio alle cure di Lucia, la sua ragazza, e me torno a casa, sempre oltre, rigorosamente, la mezza della notte.

 
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